lunedì 26 luglio 2010

Per la candidatura di Eugenio Corti al Nobel

Postilla: sarò assente per vacanza fino a data incerta, pertanto, risponderò ad eventuali commenti, a me rivolti, dopo il mio rientro. Nel frattempo rimane la facoltà di commentare da parte di altri bloggers, di chi voglia.
Buone vacanze!
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Sostegno per la candidatura al Premio Nobel per Eugenio Corti.
Sapevo, fin dal maggio scorso, dell'iniziativa di candidare Eugenio Corti al premio Nobel per la letteratura. Ieri ne ho avuta conferma definitiva.
Sul Cittadino di Monza e della Brianza del 24-25 luglio 2010, a pagina 51 è stampato l'appello su come sostenerne la candidatura.

Lo trascrivo:

"Il nostro giornale condivide la proposta di candidare lo scrittore besanese Eugenio Corti a Nobel per la letteratura. Sul nostro sito (www.ilcittadinomb.it) da tempo ospitiamo in home page una rubrica "Nobel" dove raccogliamo di volta in volta tutti gli interventi di personaggi illustri che condividono l'iniziativa. Essa - lo ricordiamo - è promossa dall'Associazione culturale internazionale Eugenio Corti, che spiega tutto sul suo sito. Per sostenere la candidatura di Eugenio Corti al Premio Nobel è possibile inviare un messaggio di posta elettronica al Comitato per l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura ad Eugenio Corti all'indirizzo

nobelcorti@aciec.org

specificando nome, cognome, data e luogo di nascita, professione, città e nazione di residenza






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Eugenio Corti è nato nel 1921 a Besana Brianza, signorile cittadina situata sui colli brianzoli al di là del fiume Lambro di passaggio a Carate Brianza. Con i paesi di Costa Lambro, Zoccorino Brianza e Briosco, posti dal lato del fiume Lambro e Missaglia con Monticello Brianza, Montevecchia e Viganò, posti ad est della città, costituisce una delle più belle e ariose zone della Brianza. La zona è per me anche ricca di ricordi giovanili perchè vi avevo buoni ed affabili clienti. Inoltre, il cappellano superiore dell'ospedale di Niguarda, don Riva, col quale feci lunghe chiacchierate, è di Besana Brianza. Ritengo quindi assai probabile conosca a fondo lo scrittore.
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Di lui ho questo particolare ricordo.
Era il periodo in cui avevo appena terminato la lettura integrale del Mulino del Po, di Riccardo Bacchelli (circa 2000 pagine), e mi ero appena immerso nell'intenzione di leggere tutti i romanzi di Giorgio Bassani. Ero rimasto colpito dall'amore con cui i due autori, entrambi bolognesi di nascita, manifestavano un grande amore per una città che non era stata la loro, Ferrara, divenuta la loro città d'adozione. E fu così che parlando con l'amico, dirigente scolastico, nonchè professore di lettere ed eccellente dantista, oltre che essere padre di una famosa giornalista locale, discussi con lui circa la sua eventuale disponibilità a scrivere un romanzo con epicentro la nostra città; sullo stile dei romanzi dei due famosi scrittori citati. Prospettai lui anche un filone di trama plausibile.
Il padre di Einstein aveva avuto una fabbrica, credo di motori elettrici, dislocata sulla strada per Pavia (che poi fallì), e il figlio, Alberto, il celeberrimo scienziato, si suppone lo andasse a trovare di tanto in tanto (era già diventato famoso, e qualche soldo in più in tasca gli girava). Il genio della relatività, prima che emigrasse in America, e mentre risiedeva in Svizzera, si suppone facesse la spola da lì a Pavia, per andare a trovare l'anziano padre. Per adempiere a tale dovere, e ammesso che andasse in macchina, doveva fare forzatamente la strada Comasina (o statale dei Giovi) se passava da Como, oppure, e di preferenza, la Valassina, se transitava da Lecco; passando così forzatamente dalla nostra città, allora un piccolo centro prevalentemente agricolo. Da quella suggestiva ipotesi, perchè non elaborare un romanzo? Chessò, magari immaginando che lo scienziato facesse ogni volta sosta presso un nostro famoso ristorante (che a quell'epoca era un'osteria o trattoria di campagna) dell'angolo alle quattro strade?
Di questo si ragionava con l'amico, che ora non c'è più. Si ragionava del fatto di scrivere un romanzo ad ampio respiro che avesse per epicentro la nostra città, o la nostra bella Brianza, sulla falsariga degli struggenti romanzi del Bassani (e, più recentemente, per rendere bene l'idea di quel che ci proponevamo, avrei aggiunto anche il nome di Antonio Scurati, che ne "Il bambino che sognava la fine del mondo" usa nomi veri di persone vere e note, ad esempio Mentana, inventandosi poi la trama del romanzo. Tutto questo perchè si sarebbe dovuto citare per forza il nome di Albert Einstein ). L'amico mi diede allora la notizia che esisteva già un simile romanzo, che parlava alla grande di luoghi, località, personaggi reali della nostra Brianza: era Il cavallo Rosso, di Eugenio Corti. Mi raccontò che aveva conosciuto lo scrittore durante un convegno per parlare a giovani studenti della seconda Guerra Mondiale; si videro poi altre volte, divenendo amici. Era l'autunno del 2005 e i due si erano appena incontrati per parlare dell'ultima opera dello scrittore besanese: un racconto storico, una sorta di biografia basata sulla figura di Catone l'antico, il celebre censore dell'antica Roma. Quando mi parlò del Cavallo Rosso, raccomandandomene vivamente la lettura, non immaginava che io possedessi già quel libro da un ventennio. E' la prima edizione, stampata in un migliaio di copie dalla gloriosa e antica Tipografica Sociale di Monza, per conto delle Edizioni ARES, azienda specializzata in edizioni cattoliche e sacre. Cesare Cavalleri, direttore della Casa Editrice, che negli anni '70-'80 conoscevo di fama, fu l'unico che nel 1983 ebbe il "coraggio" di investire il centinaio di milioni di lire necessari per supportare la messa in stampa del libro. Il tempo gli ha dato immensamente ragione, ripagandolo del suo coraggio. I collezionisti di libri attribuiscono enorme valore alla prima edizione di un qualsiasi romanzo; se poi questi diventano casi letterari, il valore venale s'impenna, come è il caso del Cavallo Rosso. E caso letterario è diventato, se penso che in questi giorni me ne è stata casualmente nuovamente raccomandata la lettura da una persona che non mi sarei mai aspettato fosse un raffinato lettore di libri. Lui l'ha letto, mentre a me ha sempre spaventato la immensa mole del libro, peraltro fatto di capitoletti brevi, di facile e scorrevole lettura, concatenati tra loro in un attraente fluire. All'epoca dell'impossessamento del libro avevo letto solo i tre o quattro capitoletti iniziali, ora mi è giocoforza leggerli tutti.
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Foto. Dall'alto in basso: Eugenio Corti - di Storialibera.it; Eugenio Corti al lavoro - di Edizioni ARES Milano; Eugenio Corti - di ilcittadinomb.it; Ricordi di guerra - di ilsussidiario.net


Allegato: Il Cittadino - notizia

lunedì 19 luglio 2010

La Capria e la fine del linguaggio colto

Suggerisco di leggere, durante queste giornate calde e oziose, l'articolo intelligente di Raffaele La Capria "Le miserabili metafore del potere" comparso nella pagina Cultura del Corriere del 17 luglio u.s. Si tratta di come la comunicazione tv in Italia (ma non solo nel nostro Paese) e il linguaggio dei politici (il politichese) abbiano contaminato negativamente il linguaggio  con un "parlottio autoreferenziale" che esclude il volonteroso che cerca di ascoltare. La pervasività della politica, del linguaggio mediatico e televisivo creano stereotipie di ragionamento e un bestiario di metafore e luoghi comuni il cui unico referente è il matenimento del potere. La Capria ne fornisce in modo ironico, un'avvilente  quanto esaustiva campionatura. Da tapparsi le orecchie...E invece subiamo quasi quotidianamente questo stolto lavaggio al cervello. Suggerisco inoltre di questo autore, la lettura del romanzo "L'amorosa inchiesta".

S ono una persona comune, di media intelligenza e media cultura, apro la televisione per informarmi di come stanno le cose o per capire almeno qualcosa di quello che accade nel nostro Paese e nel mondo, ma di quel che dice la televisione non capisco nulla. O il mondo si è fatto troppo complicato per dirlo con le parole, o la televisione le parole per dirlo non le conosce e non riesce a trovarle. Si lanciano sullo schermo coriandoli di cifre, numeri e numeretti sullo stato dell' economia, si vedono dati esposti su tabelle paragonati ad altri dati esposti su altre tabelle, interviene questo o quell' economista reduce da infiniti convegni, e cosa viene veramente trasmesso? Nulla. Nulla almeno di comprensibile per lo spettatore medio. Forse ci capirebbe qualcosa il ministro Tremonti? Può darsi, ma non è detto. Perché perfino quel nulla che viene trasmesso è sibillino, infatti, oggi si dovrebbe dedurre da quel nulla che tutto va benino, ma il giorno dopo siamo nella catastrofe totale, e ancora il giorno dopo le cose si stanno aggiustando ma è ancora presto per dirlo. Si aggiusteranno tra un anno o due, forse più... È possibile vivere, sperare, organizzare, pianificare la propria vita e i propri affari stando su quest' altalena di possibilità? Se quel che accade non può esser detto con le parole e non può nemmeno essere sintetizzato in qualche formula comprensibile, sarebbe meglio non dir niente. Per esempio riguardo alla crisi economica, dopo la Grecia pare stiano in difficoltà anche Spagna e Portogallo, e poi c' è l' Italia. Ma che vuol dire: e poi c' è l' Italia? Come sta veramente l' Italia? A rischio? Benino? Maluccio? Sta che non è nella condizione della Francia, della Germania, dell' Olanda, dell' Inghilterra. E questo però è poco chiaro, perché non vien detto quanto grande è la distanza tra noi e quei Paesi più fortunati. Siamo «tra color che son sospesi», tra i Paesi veramente a rischio e quelli forse a rischio, ma insomma bene non si sa. Non si sa bene nulla. E come ciechi andiamo avanti, in attesa della stangata che, dopo tante chiacchiere e tante assicurazioni, inevitabilmente, inesorabilmente, arriva. E infatti è arrivata. Ma non eravamo bravi risparmiatori? Le nostre banche non erano per questo più al sicuro di tante altre banche europee? Di chi dobbiamo fidarci? Lo stesso vale per i discorsi politici che ci ammorbano ogni sera alla tivù. Li ascoltiamo ed entriamo in una ragnatela autoreferenziale dove si dicono cose interessanti solo per gli addetti ai lavori o per i conduttori televisivi che se ne servono e li strumentalizzano a modo loro per imbastire come che sia una trasmissione. Quel che arriva all' ascoltatore di media cultura e media intelligenza è una specie di vaniloquio, perché da una parte si dice una cosa e si dice che è giusta e opportuna, dall' altra si sostiene l' esatto contrario e si dice che è ancora più giusto e ancora più opportuno. Per esempio sono anni che si parla della divisione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, ma a proposito di questa e di tante altre questioni del genere non si arriva mai al dunque, mai a decidere alcunché, perché non ci sono nuances o lievi differenze di opinione, c' è solo da una parte il bianco e dall' altra il nero. E se le cose sono trasmesse così, se il rilevante per i titoli dei giornali e per la televisione appare ai più irrilevante, il risultato è che chi non capisce alla fin fine una cosa sola capisce: che forse hanno tutti torto, non solo, ma fanno anche a noi un torto, perché governa male chi si esprime male. Tutti, ma proprio tutti dicono che i veri problemi sono altri, non quelli che essi continuamente dibattono. Ma allora perché non ce ne parlano? Tutti concordano che di questi si dovrebbe argomentare e mentre lo dicono continuano a insultarsi e contraddirsi e mai si accordano su qualcosa per il bene comune. Tutti si appellano alla morale, mentre l' immoralità da ogni parte dilaga. I politici per primi dovrebbero dare il buon esempio... (Continua)