lunedì 20 gennaio 2014

Il ciclo arturiano e la nascita di una nazione



Il ciclo brettone e arturiano è comune a due storie della letteratura: a quella francese e a  quella inglese. In Francia Chrétien de Troyes, autore medievale della letteratura cortese,  in Gran Bretagna Geoffrey di Monmouth, Robert Wace and Layamon che chiamavano la spada Caliburn; una spada magica venuta da Avalon, secondo la tradizione celtica. E più tardi, sir Thomas Mallory (cognome che proviene dal francese malheureux), del quale si hanno poche certe notizie biografiche.
La parola Excalibur, nome della prodigiosa spada che rendeva invincibili a chi era degno di portarla, ha origini molto controverse, la cui nascita si può far risalire a due ceppi linguistici ben differenti: quello latino-indoeuropeo e quello sassone. Dal latino abbiamo diversi significati, ma quello più plausibile deriva da un'antica popolazione di fabbri chiamati "Calibs", Excalibur si può quindi scindere in due parole ex (con ablativo): dai e Calibs: Calibi, quindi tradotto letteralmente il significato diventerebbe "forgiata dai Calibi". Altre sfumature latine riportano alla capacità della spada e al suo aspetto come, per esempio, ex "calibro" che tradotto significa in perfetto equilibrio. Dal ramo celtico il significato cambia completamente, infatti, l'odierno nome deriverebbe da Caliburn, arcaico nome della leggendaria spada, che in antichità significava "acciaio lucente" o "acciaio indistruttibile". Qui, sul sito Camelot, varie notizie sul mito e sulle sue estensioni celtiche, latine ecc.

 
Comunque siano andate le cose l'immagine del re fanciullo che con mani pure estrae la spada dalla dura roccia (simile in  questo, al mito cristiano del Bambino Salvatore) laddove altri valenti cavalieri avevano fallito,  e che pone fine con questo gesto, a guerre intestine, a caos e a carestie,  è rivendicato da due grandi nazioni d'Europa: l'una continentale e più vicina a noi (la Francia) e l'altra circondata dal mare (la Gran Bretagna). Come cristiani erano i cavalieri del Santo Graal, (dal latino medievale  gradalis, calice) la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo dopo la sua crocifissione. Lo sviluppo della saga del Graal è stato tracciato in dettaglio dagli storici culturali:sarebbe una leggenda orale gotica, derivata forse da alcuni racconti folcloristici precristiani e trascritta in forma di romanzo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo. Gli antichi racconti sul Graal sarebbero stati incentrati sulla figura di Perceval e si sarebbero poi intrecciati con il ciclo arturiano.
Se vogliamo dirla tutta, nascono anche leggende che rivendicano la "latinità" di   king Arthur o Artù, Arturo  in Artorius. Per non dire della Germania e della germanizzazione del nome Perceval  (o Percival) che si fa Parsifal, ripresa  poi dal musicista Wagner. Andare a ritroso e ricercare le radici etniche e antropologiche di questo racconto di magia a cavallo tra la tradizione celtico-pagana e quella cristiana è lavoro  paziente di etnografi e mitografi, impossibile da riportare in questo post.
La saga arturiana e la "cerca" (la quête) del Santo Graal, hanno popolato la fantasia di poeti, di pittori (i preraffaelliti inglesi tra i quali Rossetti e Burne-Jones), di disegnatori (Aubrey Beardlsey nell'immagine in alto), di musicisti (il citato Wagner e le sue saghe), di fumetti d'autore,  di registi cinematografici che non cessano di riproporci anche ai nostri giorni la leggenda del re ragazzo e dei suoi  leali cavalieri della Tavola Rotonda (ma uno di loro tradirà, come per l'ultima cena del Cristo); con  Merlino l'Incantatore e precettore di Artù, con Morgana sua sorellastra  specialista in malefici. Degli amori di Lancillotto e Ginevra, della Fratellanza d'arme e dell'amicizia. Poi il reame di Camelot per anni governato con saggezza e capace di dare prosperità ai suoi sudditi,  sprofonderà nuovamente nel caos e nella carestia.
 
Tra le numerose pellicole cinematografiche sul tema, indimenticabile è per me  quella del visionario John Boorman dal titolo "Excalibur", con le sue spade lucenti, con le sue armature ancor più scintillanti, con gli elmi finemente cesellati, con quei verdi paesaggi che più verdi non si può. Con quegli specchi d'acqua di magica limpidezza, dove la meravigliosa fata bionda (la Dama del Lago) restituisce lucenti spade agli eroi. Con attori bravissimi presi dal teatro inglese, i quali recitano in uno stile aulico e ispirato. Con la colonna sonora di Wagner (Morte di Sigfrido, Parsifal) e  con pezzi riportati alla ribalta come i Carmina burana di Orff (Fortuna Imperatrix Mundi) e improvvisazioni celtiche a cura di Trevor Jones.  Il film in oggetto, ricorre al linguaggio della poesia ed evita qualsiasi pretesa di verosimiglianza o improbabili corrispondenze storiche. Ciò che conta è la forza evocativa di una leggenda immortale.
Coerentemente con questa impostazione, Boorman si guardò bene dal tentare di storicizzare l'ambiente o di modernizzare i caratteri, perché nulla di tutto ciò avrebbe mai potuto conciliare con vicende che parlano di misteri, incantesimi, manufatti magici, sacre cerche e codici cavallereschi spinti all'estremo.

Il sogno di Lancillotto di Edward Burne-Jones
 
La saga di re Artù mantiene il suo fascino  intatto anche perché, pur attraverso la finzione, riesce a parlarci di un mondo lontano, che non esiste più, nel quale il politeismo e la superstizione spesso condizionavano la vita quotidiana, così come fece in seguito la fede nel Cristianesimo.
La prima parte del film è  un racconto scorrevole e tradizionale, almeno fino alla scoperta del tradimento di Ginevra. La seconda, narra invece della decadenza del regno e della ricerca del Graal. Qui Boorman si distacca dagli stereotipi del cinema di genere e calca la mano su toni visionari. Affronta temi complessi, come il rapporto tra le responsabilità del governare e le aspirazioni individuali, il prezzo della conoscenza e l'uso ragionevole del sapere.
L'inesorabile declino del sire Artù e della sua terra sono descritti con immagini drammatiche, mai banali. Si esamina la sacralità del ruolo del sovrano, una funzione che dona grande potere ma esige obblighi gravosi.
L'avventura si fa esperienza mistica: prima che vagare in cerca di nemici e prodigiosi tesori, è un viaggio dell'uomo nella sua interiorità. Per questo occorre calarsi nello sguardo estatico dei Cavalieri (in particolare Parsifal) e dimenticare quanto di solito viene esibito in  pellicole d'avventura. Visioni sovrannaturali e battaglie si alternano, fino al finale, solenne e malinconico, crepuscolare come e più di quanto non voglia la tradizione.


Anche la spada Excalibur, che sorge dall'acqua sorretta dalla mano della Dama del Lago e nel lago stesso torna al tramontare dell'età degli Eroi, non è solo un'arma straordinaria ma il simbolo dell'unione tra l'umano e il sovrannaturale, tra la Forza fisica e la Fede spirituale. Del resto richiama la croce. I miti fanno parte   dell'eterno ritorno, in quanto non finiscono mai di suggerirci qualcosa nel corso delle epoche. In un periodo buio e  apocalittico come quello che stiamo vivendo, è  fin troppo facile augurarsi nel  profondo  del nostro cuore che un cavaliere senza macchia e senza paura, possa compiere il miracolo di toglierci dalle ambasce che tutti noi stiamo vivendo, compiendo gesta mirabolanti e prodigiose. Quello del re, dei suoi cavalieri, della Fratellanza d'armi, è legato ad un periodo in cui il potere era fortemente sacralizzato, ma anche meritevole di essere tale. Se il monarca si macchiava di indegnità come re Uther (il padre di Artù), che ricorre ad un inganno per espugnare il castello del Duca di Cornovaglia e possederne la di lui moglie Igrayne, ecco che immediatamente decadeva dalla possibilità di preservarlo e veniva a sua volta sopraffatto dai nemici. Artù, viene sottratto a  Uther dal mago Merlino per i servigi che gli rese; fu allevato nella foresta (il mito del bosco come purificazione e costruzione della tempra) come semplice scudiero,  fino a quel momento ignaro della propria discendenza reale. Fino al giorno della famosa sfida ad estrarre la spada dalla roccia con altri nobili cavalieri.
Riconosciuto come legittimo sovrano e guidato dai consigli del saggio quanto scaltro Merlino, Artù riesce nell'impresa di unificare la Britannia (antico nome e luogo ideale che somma sia la Bretagna che la Gran Bretagna); fa di Camelot la capitale del proprio regno, sposa Ginevra e riunisce attorno a sé i più coraggiosi e impavidi  cavalieri, tra cui Lancillotto.

Il reame prospera fino al giorno in cui Ginevra viene accusata di infedeltà.  Le sequenze da me scelte sono quattro: la citata impresa della spada nella roccia dove  il padre putativo, riconosce in Artù "la reale trascendenza" insieme al fratellastro Kay  e si inginocchia umilmente.
 
L'investitura di Artù che batte Uryens uno dei nobili cavalieri durante l'assalto al Castello del padre di Ginevra. Ma  egli è ancora scudiero, e perciò non viene riconosciuto come vero vincitore. Allora il cavaliere Uryens, su richiesta di Artù, lo  battezza, nel nome di Dio, di San Michele e di San Giorgio, e gli dà diritto di portare arme e amministrare giustizia.  Una scena di grande solennità.
 
 
La scena  (in Italiano) di Parsifal che sebbene addolorato dai lutti che lo circondano, non abbandona la "cerca", trova il Graal e lo riporta al suo re.  I fratelli d'arme si ricostituiscono per la riconquista di Camelot usurpata Morgana e suo figlio Mordred. Una splendida sequenza in cui  i cavalieri vanno al galoppo nella prateria con i meli in fiore,  accompagnati dalla musica di  Carl Orff. La speranza ritorna:


Infine Parsifal riceve il testimone da un re Artù agonizzante dopo l'ultima sanguinosa battaglia, il quale gli intima di prendere la spada Excalibur gettarla in uno specchio d'acqua calma. Un nuovo re, che ne sarà degno la troverà. Quindi la morte di Artù prelevato dalle fate, adagiato su una nave veleggiante che ne trasporta le spoglie nell'isola di Avalon, con Parsifal, il più giovane dei cavalieri che gli  porge l'estremo saluto dalla riva del lago. Non so voi, ma a me questa scena non smette di commuovermi. Ci sono veri re che furono degli eroi, e ci sono monarchi usurpatori come quello che abbiamo la sventura di avere nell'attuale Presidente.

 

...e la spada risorgerà ancora (...and the sword will rise again).

Hesperia
 


Recensione integrale sul film di Boorman: http://www.terrediconfine.eu/excalibur.html