mercoledì 18 dicembre 2013

Difendere l'Italia (e gli Italiani)

L'ultimo saggio di Ida Magli "Difendere l'Italia", è senz'altro il più propositivo e pragmatico di quelli fin qui pubblicati. Non si limita infatti a insistere sulla denuncia dei misfatti fin qui perpetrati dall'eurocrazia di Bruxelles (si veda "La dittatura europea"). Non si limita ad analizzare i disvalori dell'Occidente che ci hanno reso così passivi, fragili e deboli nel respingere i nostri oppressori con i quali tacitamente collaboriamo ("Dopo l'Occidente"). Addirittura, l'ultima parte del saggio è dedicata alle prospettive per una nuova rinascita della Patria. A come si potrebbe ricostruire il Bel Paese, dopo le rovine perpetrate dai banchieri e da tutta la classe politica che ha chinato il capo, permettendo il disastro che  è sotto i nostri occhi. Insomma, la Magli ad un Laboratorio per la Distruzione (Lpd, per chi ama le sigle), centro operativo degli oligarchi mondialisti ed euromondialisti, contrappone un Contro Laboratorio per la Ricostruzione  per la difesa di un nazione ridiventata sovrana o in via di poterlo ridiventare.
Utopie? Può darsi, ma lei che è una famosa antropologa, sa benissimo che se è vero che le civiltà possono estinguersi a causa di invasioni demografiche, cataclismi, guerre, stragi, genocidi,  è altrettanto vero, che i sedimenti di antichi saperi, di esperienze, di una cultura e un' identità (le due cose coincidono) non sono fattori così facili da cancellare, nemmeno per il  tramite della più pervicace volontà distruttiva. Ma procediamo con ordine.

Terza Guerra Mondiale. La prof. Magli sa benissimo che la guerra che i banchieri hanno scatenato contro i popoli, non abbisogna di carri armati, di corazzate, di fregate militari, né di bombardamenti strategici a tappeto: bastano i mezzi finanziari, in primis la dittatura dello spread.  ("Forse non ci siamo accorti di essere nelle mani dei banchieri fino a quando non abbiamo visto le corde con le quali ci stavano impiccando"). Aver in mano una potente arma di distruzione di massa come la creazione del denaro dal nulla, significa usarla con spietatezza: distruzione dei prodotti particolari e specifici di un Paese, distruzione dei popoli ("così come le mucche e le arance, anche i popoli dovevano essere omologati e distrutti").
Chiamandola perciò con questo nome (III GM), la Magli spera che qualcuno vi si opponga, facendo scattare un naturale istinto di conservazione.

Egualitarismo repressivo
Lo sgomento di tanti Italiani nasce dal fatto che ci troviamo a vivere in democrazia, il più "perfetto" (o il meno imperfetto,  secondo il pensiero di Churchill) di tutti i regimi. E allora come capire che in nome dell'Egualitarismo non possiamo criticare chi fomenta sbarchi su sbarchi sulla Penisola esponendo il nostro Paese a migrazioni selvagge da ogni angolo del mondo? Come possiamo criticare coloro i quali mettono sullo stesso piano il matrimonio naturale coi matrimoni omosessuali? Come possiamo confutare chi favorisce trapianti ed espianti d'organi per offrire a tutti le stesse funzioni? Chi mai denuncia il fatto che durante questi trapianti molti ci lasciano la pelle o possono prendere altre malattie? Non si può, perché è il Progresso, bellezza -  un altro mito "democratico" inconfutabile. Ida Magli mette alla berlina il concetto di "democrazia" con tutta la ridda di mistificazioni che comporta. Tra i fenomeni sgomentevoli che rendono perplessi i lavoratori esiste anche il fatto che la sinistra  (storicamente nata a tutela delle fasce più deboli) è la più zelante nel voler massacrare il popolo di tasse, di espropri, di Equitalia... e che tra tutte le forze politiche si mostra la più supina e prona ai diktat delle cancellerie europee. Insomma l'Egualitarismo è la nuova feroce ghigliottina livellatrice della nostra epoca. 
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Omicidi-suicidi . Come in ogni guerra non mancano le vittime, spesso indotte da questo Laboratorio mondiale per la Distruzione. Ecco allora Equitalia, strumento di tortura moderna, nuova Inquisizione fiscale, organizzata per la distruzione dei "nuovi eretici": gli evasori.  (8000  suicidi solo alla fine del 2012, per non citare i suicidi pregressi). Ma questi suicidi, non hanno nulla di eroico, nulla di spartano, di stoico. Sono morti meste, silenziose, basate sull'impotenza. Chi si uccide non sa nemmeno cosa gli è crollato in testa, non sa dare un nome alla tragedia che sta vivendo, è incapace di difendersi. Per questo si suicida. Ci si uccide nel Nord Italia dove esiste una coscienza del "debito-colpa" In tedesco Schuld, significa sia l'una che l'altra parola. Ci si toglie un bene prezioso come la vita, sperando di salvare i proprio cari, sperando che mors omnia solvit.  Ma non è vero nemmeno questo: i nostri feroci nemici fanno ricadere la "colpa-debito" anche sui familiari.
"Ce l'abbiamo fatta!" esclama Letta, perché le autorità finanziarie il 5 luglio 2013 avevano cancellato la procedura di condanna nei confronti del debito pubblico.  Sì, ma le migliaia di vittime? di cittadini disoccupati? di industrie fallite? di esercizi commerciali ed artigianali costretti a "chiudere bottega"? E i giovani senza futuro? E la Nazione ferma e bloccata in un tunnel senza fine?
Grande è la responsabilità dei nostri governanti, anche più grande dei loro infami mandanti, poiché essi POTEVANO, ma hanno espressamente tradito il loro stesso popolo.

Il tempo inafferrabile - Molto interessante in questo volumetto di 250 pagine è il concetto di tempo che ne emerge. Da quando il calendario è cambiato, da quando dal Novecento siamo passati al Duemila (XXI secolo), il tempo sembra essersi fermato: viviamo l'eterno presente senza più un passato da ricordare (non vogliono che ce ne ricordiamo) né un futuro da scrutare in lontananza, come si fa con la linea dell'orizzonte. Un futuro da poter sognare.
Qualcuno ricorda questo ultimi tredici anni? Questo decennio? No, perché il tempo sequestrato dai banchieri, è in realtà un eterno presente, impossibile da padroneggiare, da storicizzare.  "Un silenzio quasi vuoto ,"un'orrida attesa di un nemico sconosciuto, misterioso, invisibile"...

Il crollo del Papato -  Il 5 marzo 2013 è stata un'altra data cruciale con le dimissioni del Papa Benedetto XVI. E dato che Ida Magli sa perfettamente che le dimissioni  (termine burocratico) può darle un capo di stato, un primo ministro, ma non il Papa, constata in questo avvicendamento della chiesa,  tutta la tragedia della "perdita del Sacro". "Il Parlamento e il Papato possono continuare a fingere di esistere, come nei fatti sembra che facciano, ma la forza del Sacro, l'hanno persa per sempre". L'ascesa alla sede vacante è stata come è noto rimpiazzata da un gesuita, il cui Ordine, un tempo era addetto alla guardia del Papa. Nessuno ha creduto ai motivi di stanchezza e di vecchiaia ("ingravescentem aetatem") di Benedetto XVI. Buon senso vuole che se la decisione è stata così repentina è perché altrettanto traumatici e repentini sono stati i fatti che hanno costretto Ratzinger alle "dimissioni". E ora da chi è stato sostituito il vecchio Papa divenuto "emerito"? Mica da un giovincello! Da un 77enne, proveniente dal Nuovo Continente ("la fine del mondo") con la sua finta familiarità di finto parroco di campagna. Su questo strano anomalo "colpo di stato" all'interno di una millenaria istituzione  religiosa, si dovrà ancora fare piena luce.
Di grande interesse il capitoletto intitolato al gesuita Ignazio di Loyola e le donne, che ben disvela come gesuitismo e ipocrisia siano  in pratica, la stessa cosa.

Omosessualità e inculturazione femminile
La sfrenatezza sessuale legata all'omosessualità ha purtroppo invaso la società in tutte le  sue diramazioni. Essa viene incoraggiata, blandita, coccolata dai media, dalla pubblicità, dal cinema, perfino dalle fiction televisive. Guai a dissentirne, ora che anche grazie al M5S (criticato dalla Magli, la quale all'inizio mostrò un'apertura di credito verso Grillo)  è passata la legge sul reato di omofobia.
La stessa Chiesa  è stata ferita a morte dal fenomeno interno dei preti omosessuali, come già si è visto durante le repentine dimissioni di Ratzinger, quando è venuta alla luce la questione di "una potente lobby gay" in Vaticano che vorrebbe cambiare la dottrina teologica e morale relativa all'omosessualità. Ma  anche il problema dell'eccessiva femminilizzazione dei ruoli politici, occupata proditoriamente dalle donne (quote rosa), viene stigmatizzata dall'autrice. Poiché è vero,  che gli Eurocommissari, ben vedono l'occupazione di donne nei posti chiave, più conformiste e assai meno critiche nei confronti del Potere (da cui ne sono state escluse da secoli) degli stessi maschi. Si vedano gli esempi deleteri di Cecilia Malmstrom, di Laura Boldrini, Bonino, della Kyenge.

Breve itinerario di un sogno ad occhi aperti
L'ultimo capitolo del libro è dedicato a come lavorare su più fronti, ben sapendo  che sul tema "identità e cultura"  sono state erette barriere, paletti e trabocchetti d'ogni genere. "Più estesa è l'informazione, meno si agisce". Non è certamente il mondo del web e l'eccesso di informazione nella quale siamo tutti quanti immersi che farà deviare il percorso della Troika. Quando si parla di "identità" occorre tener presente che non è lo Stato che crea un popolo, ma il popolo che crea lo Stato. Anche la lingua è frutto di una lunga sedimentazione culturale. E nessuna lingua al mondo,  è pervasa da musicalità come quella italiana.  Amante della musica nonché studiosa e musicista, Ida Magli, dedica un capitoletto a come dovrebbe essere formulata una legislazione speciale riguardante le scuole d'arte e i conservatori di musica, da sempre nostri punti forti.
"Lo Stato curerà, fornendo tutti i mezzi economici necessari, la formazione di orchestre italiane, con professori e direttori esclusivamente italiani"  (...) "Il Teatro alla Scala di Milano sarà per legge diretto da musicisti italiani. La serata di apertura sarà sempre dedicato a un musicista italiano e diretto da un maestro italiano".
Altri importanti paragrafi sono riservati alla scuola e all' istruzione universitaria,  all'ambiente e alla sua salvaguardia, alla demografia, al territorio e all'immigrazione massiva. Al rapporto tra densità demografica e natalità (siamo a un pericoloso rapporto di 198 abitanti per km quadrato, dati allarmanti che dovrebbero far riflettere). La Magli si spinge anche più in là: elabora una nuova organizzazione del potere che vada nell'ottica della salvaguardia dell'identità-cultura dell'Italia e degli Italiani. Non aggiungo altro,  per non rovinare le sorprese che certamente non mancano in questo prezioso volumetto. Forse non tutto è ancora perduto:  "Non siamo ancora morti e abbiamo intenzioni  di NON farci impiccare dai banchieri". Da leggere durante le festività natalizie.

 
A tutti i visitatori   e lettori del Giardino, auguro Buon Natale e serene feste.



Hesperia

lunedì 9 dicembre 2013

Un po' di numeri del Comunismo




Questo blog non si occupa direttamente di politica, anche se come chiave di lettura è costretto ad accorgersene quando scoviamo pesanti strumentalizzazioni in ambito artistico, letterario, cinematografico, vulgata generale e simili, o in storture  nella lettura del presente o della Storia.

Stavolta mi sento obbligato a soffermarmi e fare il punto brevemente su qualcosa di basilare che davo per assodato almeno nella formazione storica e memoriale di tutti, 
ma che dopo i dialoghi con un amico che non vedevo da un po', che comunque nel suo ambito è uno studioso, anche se non in questi ambiti, ho inteso che così scontato non è.

Parti di quel dialogo vertevano sulla presunta bontà del comunismo, 
sul fatto che "chi non è comunista è -in pratica- automaticamente fascista" (gioco questo già noto nella storia italiana, i comunisti hanno bollato ottusamente con la consueta retorica come fascista a ruota sia De Gasperi, sia Craxi, sia Berlusconi, sia Bossi, e quasi chiunque, dall'aumento della benzina ad altre amenità, che "fasciste" ovviamente non sono), 
sull'idea che "il comunismo E' la libertà",
che "il comunismo qui non c'è stato"
a dire, che se ci fosse stato avrebbe fatto senz'altro sempre tanto bene....
certo che 70 anni di gabbia ideologica comunista, ateista e di pensiero obbligato, di storia e letteratura lette SOLO in chiave marxista, il finto progressismo feroce e persecutorio, e ora il Soviet EuroGulag delle sinistre unite a lobbies e banche la dicono lunga su ciò che c'è stato e ciò che non c'è stato,
ma vediamo, dove c'è stato, cosa ha causato.

da

http://www.marxists.org/italiano/reference/nero/intro.htm

"(...) Il comunismo di cui trattiamo in questa sede non si colloca nel mondo delle idee. E' un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Castro etc (...)

Il comunismo reale, in qualunque misura sia stato influenzato nella sua pratica dalla dottrina comunista anteriore al 1917 (...), ha comunque messo in atto una repressione sistematica, al punto da eleggere, nei momenti di parossismo, il terrore a sistema di governo. L'ideologia è, dunque, innocente?
I nostalgici e coloro che ragionano con una mentalità scolastica potranno sempre sostenere che questo comunismo reale non aveva niente a che vedere con il comunismo ideale. E sarebbe evidentemente assurdo imputare a teorie elaborate prima di Cristo, durante il Rinascimento o ancora nell'Ottocento, eventi prodottisi nel ventesimo secolo. (...)
Non a caso i socialdemocratici russi, meglio noti come «bolscevichi», nel novembre del 1917 hanno deciso di chiamarsi «comunisti». Non a caso, ancora, hanno eretto ai piedi del Cremlino un monumento in onore di coloro che consideravano i loro precursori: Moro e Campanella.

Al di là dei crimini individuali, dei singoli massacri legati a circostanze particolari, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto del crimine di massa un autentico sistema di governo.
E' vero che in un arco di tempo variabile - che va da pochi anni nell'Europa dell'Est a parecchi decenni nell'URSS e in Cina - il terrore si è a volte affievolito e i regimi si sono stabilizzati su una gestione della repressione nel quotidiano, mediante la censura di tutti i mezzi di comunicazione, il controllo delle frontiere, l'espulsione dei dissidenti.
Ma la «memoria del terrore» ha continuato ad assicurare la credibilità, e quindi l'efficacia, della minaccia repressiva. Nessuna delle esperienze comuniste che hanno conosciuto una certa popolarità in Occidente è sfuggita a questa legge: né la Cina del Grande timoniere né la Corea di Kim Il Sung né il Vietnam del «gentile zio Ho» o la Cuba del pirotecnico Fidel, affiancato da Che Guevara, senza dimenticare l'Etiopia di Menghistu, l'Angola di Neto e l'Afghanistan di Najibullah. 

I crimini del comunismo non sono mai stati sottoposti a una valutazione legittima e consueta né dal punto di vista storico né da quello morale. Questo è, forse, uno dei primi tentativi di accostarsi al comunismo, interrogandosi sulla dimensione criminale come questione fondamentale e globale al tempo stesso. Si potrà ribattere che la maggior parte dei crimini rispondeva a una «legalità» di cui erano garanti le istituzioni dei regimi in vigore, riconosciuti sul piano internazionale e i cui capi venivano ricevuti con il massimo degli onori dai nostri stessi politici.  (...)

La storia dei regimi e dei partiti comunisti, della loro politica, dei loro rapporti con le rispettive società nazionali e con la comunità internazionale non si riduce alla dimensione criminale e neppure a una dimensione di terrore e di repressione. Nell'URSS e nelle «democrazie popolari» dopo la morte di Stalin, in Cina dopo quella di Mao, il terrore si è attenuato, la società ha cominciato a uscire dall'appiattimento, la coesistenza pacifica - anche se era «una continuazione della lotta di classe sotto altre forme» - è diventata una costante nei rapporti internazionali. Tuttavia, gli archivi e le abbondanti testimonianze dimostrano che il terrore è stato fin dall'origine una delle dimensioni fondamentali del comunismo moderno. Bisogna abbandonare l'idea che la tal fucilazione di ostaggi, il tal massacro di operai insorti, la tal ecatombe di contadini morti di fame siano stati semplici «incidenti di percorso» propri di questa o quell'epoca. Il nostro approccio va al di là del singolo ambito e considera quella criminale come una delle dimensioni proprie del sistema comunista nel suo insieme, nell'intero arco della sua esistenza. 

Di che cosa parleremo, quindi? Di quali crimini? Il comunismo ne ha commessi moltissimi: crimini contro lo spirito innanzi tutto, ma anche crimini contro la cultura universale e contro le culture nazionali. 
Stalin ha fatto demolire decine di chiese a Mosca; Ceausescu ha sventrato il centro storico di Bucarest per costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi viali; Pol Pot ha fatto smontare pietra dopo pietra la cattedrale di Phnom Penh e ha abbandonato alla giungla i templi di Angkor; durante la Rivoluzione culturale maoista le Guardie rosse hanno distrutto e bruciato tesori inestimabili.

Eppure, per quanto gravi possano essere a lungo termine queste perdite, sia per le nazioni direttamente coinvolte sia per l'umanità intera, che importanza hanno di fronte all'assassinio in massa di uomini, donne e bambini?
Abbiamo, quindi, preso in considerazione soltanto i crimini contro le persone, che costituiscono l'essenza del fenomeno del terrore e che si possono ricondurre a uno schema comune, anche se ciascun regime ha la sua propensione per una particolare pratica: l'esecuzione capitale con vari metodi (fucilazione, impiccagione, annegamento, fustigazione e, in alcuni casi, gas chimici, veleno o incidente automobilistico); l'annientamento per fame (carestie indotte e/o non soccorse); la deportazione, dove la morte può sopravvenire durante il trasporto (marce a piedi o su carri bestiame) o sul luogo di residenza e/o di lavoro forzato (sfinimento, malattia, fame, freddo).
Più complicato è il caso dei periodi detti di «guerra civile»: non sempre, infatti, è facile distinguere ciò che rientra nella lotta fra potere e ribelli dal vero e proprio massacro della popolazione civile.

Possiamo, tuttavia, fornire un primo bilancio in cifre, che, pur essendo ancora largamente approssimativo e necessitando di lunghe precisazioni, riteniamo possa dare un'idea della portata del fenomeno, facendone toccare con mano la gravità: 

- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, un milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, un milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, un milione 500 mila morti,
- movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti. 

Il totale di morti causati dal comunismo si avvicina ai 100 milioni. 

Questo elenco di cifre nasconde situazioni molto diverse tra loro. In termini relativi, la palma va incontestabilmente alla Cambogia, dove Pol Pot, in tre anni e mezzo, è riuscito a uccidere nel modo più atroce - carestia generalizzata e tortura - circa un quarto della popolazione. L'esperienza maoista colpisce, invece, per l'ampiezza delle masse coinvolte, mentre la Russia leninista e stalinista fa gelare il sangue per il suo carattere sperimentale, ma perfettamente calcolato, logico, politico.
Questo approccio non pretende di esaurire il problema, che merita, invece, un approfondimento qualitativo, basato su una definizione di crimine precisa e fondata su criteri obiettivi e giuridici"

da  http://www.marxists.org/italiano/reference/index.htm

Gli argomenti sono poi ampliati in cartaceo nel "Libro nero del Comunismo" (Le Livre noir du communisme: Crimes, terreur, répression, 1997) a cura di Stephane Courtois,
ma trovo di acutissima lettura e documentazione tutta l'opera di Solgenitsin (ovviamente ci sarebbero migliaia di altri testi)

http://it.wikipedia.org/wiki/Il_libro_nero_del_comunismo

Il Libro nero porta a sostegno delle proprie tesi numerosi riferimenti bibliografici e fonti accettate, senza retropensieri. Inoltre, i dati riportati dal libro sono coerenti di fatto con quelli di molte altre pubblicazioni note e diffuse.
Lo stesso Norberto Bobbio ne ammetteva la veridicità.

(per un panorama storiografico snello dopo "Il Libro Nero" si rimanda al modulo dei commenti)


Aggiungo che il comunismo è contestato, analizzato e condannato nella Lettera Enciclica di Pio XI (1857-1939) Divini Redemptoris, contro il comunismo ateo (del 19 marzo 1937) e sulla successiva scomunica ipso facto comminata ai comunisti e ai loro sostenitori dal Sant'uffizio con decreto del 1º luglio 1949, sotto il regno di Pio XII (1876-1958).
E' condannata dal Magistero anche l'adesione alla Massoneria nella Humanum Genus di Leone XIII.

sul web, come fonte e argomento, seriamente condotta è anche questa breve indagine:
http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo/

d'interesse:
 http://www.centrosangiorgio.com/piaghe_sociali/comunismo/pagine_articoli/ha_ancora_senso_parlare_di_comunismo.htm

Sull'origine massonico-cabalistica già della dialettica hegeliana:
http://www.centrosangiorgio.com/occultismo/articoli/la_kabbalah_e_la_filosofia_moderna.htm

link correlati:

http://esperidi.blogspot.it/2013/02/che-cosa-nasconde-la-parola-rivoluzione.html

http://svulazen.blogspot.it/2013/04/la-caritas-marx-engels-profughi-in.html

Tragicamente attuale!
http://www.volkstaat.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1248:nelson-mandela&catid=49:nelson-mandela&Itemid=67

E visto che siamo in Avvento, sarebbe saggio non cadere in altre ovvietà (eretiche) del tipo "Gesù è il primo comunista/socialista della Storia". 

I fatti descritti in Atti degli Apostoli (ripresi anche da Mordechai Levi alias Karl Marx)
in 2, 44 "... Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune";
e 4, 32  "La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune."
è nel testo sacro la brevissima descrizione della scelta di una piccolissima comunità cristiana iniziale composta da Santi osservanti, rigenerati dallo Spirito Santo, su base volontaria e sacra, che nulla ha a che fare con il "Comunismo" o ingegneria e consueta macelleria sociale espropriante.

Se proprio si vuole nominare Gesù, e non per tirarlo strumentalmente dalla propria parte politica e ridurlo a una citazione illustre,
s'impari a discernerLo come dalla Scrittura, dalla Tradizione, dal Magistero Perenne, dal Depositum Fidei come Figlio di Dio, Salvatore e Giudice, come Profeta, Sacerdote e Re, o anche come Pantocrator, con i titoli cioè che Gli spettano, applicandosi sempre prima al proprio cuore e vita personale.
Con buona pace anche dei vari Rahner, Schillebeeckx, Dossetti, Boff, Panikkar e loro epigoni più o meno eretizzanti.

 http://www.doncurzionitoglia.com/PioXII_e_scomunica_comunismo.htm

 http://www.doncurzionitoglia.com/conoscere_il_comunismo-jean_daujat.pdf

 http://www.doncurzionitoglia.com/Insidie_Neocomunismo_Neomodernismo.pdf

Josh

martedì 3 dicembre 2013

Dal pasticciaccio di Gadda all'imbroglio di Germi

Mi è capitato di avere in dono il DVD del film  "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi, primo importante esempio di poliziesco italiano. Mediaset per il tramite di  Fedele Confalonieri, che è persona assai colta, ha avuto la funzione meritoria di provvedere al restauro dei nostri capolavori cinematografici dal dopoguerra a oggi in DVD nella collana cinema forever. Avevo in mente di fare un post su Germi cineasta sui generis in quanto anche interprete e attore dei film che dirige, ma la visione di "Un maledetto imbroglio" mi ha suggerito lo spunto per un altro tema: non poter venire mai a capo di una scomoda verità. Sì, insomma, l'intrigo investigativo che non si dipana e che non fa piena luce sui delitti. Vorrei partire innanzitutto dal capolavoro di Gadda "Quer pasticciaccio brutto della via Merulana": impensabile tradurlo nello schermo, in quanto l'autore persegue nella sua intricata narrazione, dei fini linguistici. Poi dirò, nello specifico,  delle utili modifiche apportate da Germi, al soggetto gaddiano.
 

La prima parte del romanzo è incentrata sulla scoperta dei delitti e sulle indagini tra gli esponenti della borghesia romana, mentre la seconda sulle indagini all'interno del proletariato della periferia della città.

Il romanzo è privo di un vero e proprio protagonista, o di un punto di vista che rifletta quello dell'autore, se non a tratti il personaggio di Ingravallo, che cerca di porre ordine in una situazione caotica.

La mescolanza tra le situazioni, i personaggi, e il loro linguaggio, dà luogo a un plurilinguismo e a un intreccio tra spaccato popolare e borghese.
Rappresenta probabilmente, con La cognizione del dolore, la migliore opera dello scrittore; nel romanzo, infatti, il virtuosismo linguistico e sintattico, il "barocchismo" e l'uso di più livelli di scrittura (dal dialetto popolare alla descrizione con echi manzoniani, dai termini arcaici fino alla pura invenzione di vocaboli) rappresentano la complessità della realtà ed insieme la sua essenza fatta di "percezioni": l'affascinante "buccia delle cose". Detto "pasticciaccio", secondo l'occhio disilluso di Gadda, riflette inoltre l'agglomerato di linguaggi e comportamenti, orrori e stupidità, della società italiana. Un narrato apparentemente comico (si pensi alla scena della defecazione della gallina), quindi, non deve trarre in inganno il lettore. Questo espediente vuole mettere in luce il garbuglio di un mondo che più che comico è grottesco, e svela così una condizione drammatica cui non si può porre rimedio. Secondo  Gadda la realtà è troppo complessa e caleidoscopica per essere spiegata e ricondotta ad una logica razionalità. Per lui la vita è un caos disordinato, un "pasticciaccio" di cose, persone e linguaggi da cui non si riesce mai a trovare il bandolo dell'intricata matassa.
Pietro Germi e Carlo Emilio Gadda


Durante i primi anni del fascismo a Roma, il commissario della Squadra Mobile di Polizia Francesco Ingravallo, rude e orgoglioso molisano, è incaricato di indagare su un furto di gioielli ai danni di un'anziana donna di origini venete, la vedova Menegazzi. In seguito viene uccisa, nello stesso palazzo che era stato teatro della rapina, la moglie di un uomo piuttosto ricco, la signora Liliana Balducci. Il luogo del furto e dell'omicidio è un tetro palazzo di via Merulana 219, noto come "Palazzo degli Ori", situato poco distante dal Colosseo.

La narrazione parte con la descrizione dell'ambiente attorno alla signora Balducci e si allarga ai Castelli Romani da dove provengono le domestiche della signora e le "nipoti", ragazze che accoglieva come figlie per compensare solitudine e mancata maternità. Intorno una folla di comparse: la svenevole e avvizzita contessa Menegazzi, vittima del furto, il commendator Angeloni "prosciuttofilo", i brigadieri della questura, i carabinieri di Marino a caccia di indizi nella campagna, le figure sfocate delle domestiche e nipoti.

Il giallo non ha soluzione, non c'è un colpevole assicurato alla giustizia  come di prammatica, e non si chiude con la  scontata scoperta dell'assassino per le ragioni che ho già enunciato poc'anzi: il pessimismo di Gadda nei confronti della realtà per lui indecifrabile e  inintelligibile.
 
"Un maledetto imbroglio", apporta modifiche che sono state fatte oggetto di studi specifici nientemeno che dall'Edinburgh Journal of Gadda Studies detti  studi intersemiotici tra il testo gaddiano e lo script cinematografico di Germi coadiuvato dal bravo Alfredo Giannetti e da Ennio De Concini:
 
 
La Trama filmica - In  un appartamento di una vecchia casa signorile, nel centro di Roma, viene perpetrato un furto. Il commissario Ingravallo della squadra mobile (Germi stesso, indimenticabile con cappello a larga falda, occhiali scuri e sigaro tra i denti), ha appena iniziato le indagini per scoprirne l'autore, quando nello stesso edificio, nell'appartamento contiguo, viene commesso un assassinio. "Due bombe non cadono mai nello stesso posto?".
L'uccisa è Liliana Banducci (con la n invece che con la l del romanzo), una donna ancora giovane, piacente, timida e riservata, con un portamento signorile (interpretata da Eleonora Rossi Drago). Il nuovo delitto costringe il commissario ad estendere le indagini, che da principio procedono a stento, poiché gli indizi sono slegati e frammentari. Ingravallo si interessa soprattutto alle persone più vicine alla vittima: un cugino (Franco Fabrizi), sedicente medico, che l'uccisa riforniva periodicamente di denaro; il marito (Claudio Gora), uomo taciturno e schivo, ma dal comportamento ambiguo; una servetta imbarazzata e sconcertante (Claudia Cardinale) e il suo fidanzato mariuolo e poco di buono (Nino Castelnuovo). I sospetti del commissario si accentrano sui due primi personaggi e le sue indagini lo portano a scoprire che entrambi mantengono dei rapporti sessuali con Virginia (Cristina Gajoni), una ragazza alquanto squilibrata che, a suo tempo, prestò servizio in casa della signora Liliana. Attraverso pazienti indagini, alternate con astuti tranelli, il commissario s'avvicina a poco a poco alla verità, che appare in piena luce quando il ritrovamento di alcuni gioielli rubati permette di collegare il furto e l'assassinio. Il ladro  e l'assassino sono in realtà la stessa persona...
 
Come si può constatare,  il testo gaddiano resta volutamente irrisolto mentre Germi dopo i barocchismi di un'investigazione tormentata mette un finale chiuso al suo film,  come nella tradizione classica del poliziesco anglo-americano. Inoltre non rinuncia all'economia del racconto e ad un  buon ritmo  secco e sostenuto .
 
E tuttavia nonostante la sua mirabile premessa sul cinema... :
 
In generale, mi sembrerebbe un sintomo di decadenza, per il cinema, ridursi a cercare le sue storie nei romanzi. Per quanto mi riguarda, mi sentirei diminuito se risultasse che nel mio lavoro mi aggancio alla letteratura. Io credo nell’assoluta autonomia del cinema; non solo, ma credo che sia molto difficile che un film veramente importante nasca da un libro.
Pietro Germi, 1964 .
 
....mi pare che alla fin fine,  lo spirito gaddiano venga creativamente trasferito in un'amara concezione sull'umanità che si riverbera anche nel suo cinema: i personaggi su cui investiga Ingravallo,  hanno tutti quanti scheletri nell'armadio da nascondere, scheletri sui quali nulla può il bravo commissario, in quanto non direttamente legati al caso in oggetto. Pertanto, nessuno degli indagati  è personaggio veramente innocente e specchiato. "Meriteresti la galera" è infatti la frase preferita, quasi un leit motiv di Ingravallo al cospetto di questa genìa.
Possiamo dire che Ingravallo è un moralista? Certamente, anche se poi mantiene per sé le sue idee e concezioni etiche, ma si limita  con distacco e cinismo a perseguire dettaglio su dettaglio le sue investigazioni, assicurando l'omicida alla giustizia. Ce lo dimostra con l'efficace similitudine della sua inchiesta  da lui paragonata ai  sassi di un parco che appena li si sposta vi si trovano vermi e verminai al di sotto -  una concezione dell'umanità davvero pessimistica.
Non si può fare a meno di constatare che la storia di questo nostro sventurato Paese sui cui delitti di stato non si giunge mai a far definitivamente luce (Caso Mattei, caso Moro, caso Ustica ecc.), ricorda non poco il "pasticciaccio" citato. O se vogliamo, anche l'imbroglio maledetto.  Quello dal quale non se ne viene mai a capo.
 
Una nota di elogio alla colonna sonora del bravo maestro Carlo Rustichelli che con Germi seppe creare un binomio inscindibile visivo-musicale. Come Fellini con Rota, come Leone con Morricone.
La canzone "Sinnò me moro" è cantata da Alida Chelli, figlia del maestro, la quale,  come nome d'arte, ha scelto di perdere metà del suo vero cognome.

Hesperia

lunedì 25 novembre 2013

"Nuovo" strumento d'origine leonardesca


Uno strumento musicale progettato 500 anni fa da Leonardo Da Vinci è stato costruito di recente da un pianista polacco. L'ha anche suonato nel suo primo concerto all’Accademia di Musica di Cracovia.


Il progetto di Leonardo era uno tra le incredibili invenzioni di vario genere (dalle macchine belliche, a quelle per volare, altri strumenti musicali etc..) del grande inventore del Rinascimento Italiano.


Lo strumento musicale è curioso, una sorta di contaminazione tra un clavicembalo, un organo e una viola da gamba, come ha dichiarato il suo costruttore, il pianista Slawomir Zubrzycki (sopra nella foto), che lo ha suonato per la prima volta all’Accademia di Musica di Cracovia, davanti ad un pubblico divertito e soddisfatto dal melodioso e indefinito suono.

la "viola organista" è costituita da 61 corde in acciaio, facenti capo ad una tastiera simile a quella di un pianoforte a coda. A sostituzione dei martelletti (che nel pianoforte colpiscono le singole corde) ci sono ben 4 ruote le cui circonferenze sono avvolte in capelli di coda di cavallo. Quando le ruote vengono attivate (attraverso un'apposita pedaliera), le corde emettono un timbro sonoro simile al violoncello.


Seguendo con precisione le istruzioni per la costruzione, il suono dovrebbe essere proprio quello che aveva immaginato Leonardo quando impresse la sua idea su carta, nella tipica scrittura rovesciata conosciuta come Codice Atlantico.
Ci sono voluti tre anni a Zubrzycki per portare a compimento la realizzazione dell’invenzione.

Di seguito, una performance della "viola organista" di Sławomir Zubrzycki, all'INTERNATIONAL ROYAL CRACOW PIANO FESTIVAL il 18 Ottobre 2013,
Aula Florianka.


da QUI

e QUI

Con esattezza la viola organista leonardesca è precursore dello strumento tardo-rinascimentale detto Geigenwerk e di vari strumenti dei secoli successivi, detti Bogenklavier, Gambenklavier o più genericamente Streichklavier.

L'idea originale di Leonardo, descritta in quattro disegni del "Codice Atlantico" (folio 218 recto-c, 1488-1489) e in altri quattro disegni del Manoscritto H della Biblioteca dell’Institut de France (ff. 28 verso, 28 recto, 45 verso e 46 recto, 1493-94) deriva dal meccanismo degli strumenti medievali detti organistrum e symphonia, antenati della ghironda.

In quegli strumenti, esistenti fin dal XII secolo, una corda di budello animale era tesa fra due ponticelli fissi su una cassa armonica ed era sfregata, invece che da un arco, da una ruota di legno messa in rotazione da una manovella. La corda poteva produrre le diverse note della scala grazie a un sistema di ponticelli mobili, detti tangenti, azionati da tasti; si trattava in tutti i casi di strumenti monofonici, che emettono solo una nota alla volta.
Lo strumento disegnato da Leonardo, invece, ha una corda per ciascuna nota, come nel clavicembalo o nel clavicordo (strumenti già esistenti ai suoi tempi). Al di sotto delle corde si trovano due o più ruote che girano simultaneamente su perni paralleli, trascinate da una cinghia, sotto l'azione di una manovella. I tasti, disposti come nel clavicembalo, portano le corde corrispondenti a contatto con la ruota sottostante, oppure (a seconda dei disegni) con la cinghia di trasmissione. Lo strumento può quindi eseguire più note contemporaneamente ed è a suono continuo, come l'organo a canne, dato che le corde suonano per frizione, anziché essere pizzicate (come nel clavicembalo) o percosse (come nel clavicordo). L'effetto sonoro è quello di un insieme di strumenti ad arco (all'epoca di Leonardo detti genericamente "viole"): da qui il nome "viola organista". La viola organista è uno degli strumenti musicali più complessi di Leonardo da Vinci, ne sono stati fatti nel tempo tentativi di costruzione, e non va confusa con un altro progetto ricostruito solo recentemente, la Clavi-Viola, disegnata sul foglio 93 del Codice Atlantico.
Si ignora se Leonardo abbia mai costruito lo strumento descritto. Il primo strumento simile ad essere sicuramente realizzato fu il Geigenwerk del 1575 di Hans Haiden, un inventore tedesco di strumenti, illustrato anche nel trattato Syntagma musicum di Michael Praetorius (1619). Un analogo strumento del 1625, opera dello spagnolo Fray Raymundo Truchado, è tuttora conservato nel Musée des instruments de musique di Bruxelles. Una moderna ricostruzione del Geigenwerk del costruttore Akio Obuchi, basata anche sui disegni della "viola organista", è stata utilizzata in un concerto a Genova, nel 2004.
Tutti questi strumenti, il cui scopo è simulare l'effetto di un insieme di strumenti ad arco, hanno storicamente incontrato una scarsa diffusione finora,  a causa della difficoltà di rendere la frizione, e conseguentemente l'intonazione e la qualità timbrica, uniformi per tutte le corde.

Josh

domenica 17 novembre 2013

Madame Hardy: un libro, un disco...





L'immagine che noi Italiani abbiamo congelato di Françoise Hardy è quella della graziosa ragazza alta, longilinea, dallo sguardo malinconico e dai lunghi capelli, nello stile anni '60.
Per i cinquant' anni della sua carriera la sua casa editrice musicale, tanto per lasciare il segno, le ha chiesto un libro e un disco. Così nasce il libro "L'amour fou", un manoscritto che aveva nel cassetto trent'anni prima,  ed il disco omonimo. Ma col tempo, piove argento sui suoi capelli, e  tuttavia, con quel caschetto bianco alla Andy Warhol si mantiene magrissima quasi immateriale come non mai, e creativa come non mai. In Francia non è un mistero che  Bob Dylan fosse stato innamorato di lei (tempi orsono, le dedicò una poesia), che Mick Jagger la considerasse "il suo ideale" di ragazza e che David Bowie fosse affascinato da lei e rimase piccato che di passaggio a Parigi per i suoi concerti, lei non venisse mai a trovarlo. Françoise sgrana gli occhioni quando glielo ricordano e sembra chiedersi incredula "Perché proprio io?".
Quale ragazza si sarebbe fatta scappare simili occasioni? Lei che sposò l'attore-cantante Jacques Dutronc (foto sottostante), parigino come lei e attraente quanto lei (lo si è visto in "Grazie per il cioccolato" di Claude Chabrol) rimanendogli praticamente legata per la vita, con un figlio nato da questo legame di nome Thomas, buon musicista e arrangiatore.

Tanti, i successi discografici, molti dei quali tradotti anche nella nostra lingua (fino al '74). Su questo blog ho già inserito "L'amitié" , un brano topico che spesso duetta con altri artisti. "Des ronds dans l'eau" (Cerchi nell'acqua) fu inserito da Lelouch in "Vivere per vivere" e ripreso da Gabriele Muccino in "Ricordati di me". "Message personnel" è stato inserito da François Ozon in "Otto donne e un mistero" e fatto reinterpretare da Isabelle Huppert, al pianoforte. Di  "Voilà" (stupendo pezzo, tradotto in Italiano col titolo "Gli altri" da Herbert Pagani) ne è stato ripreso l'incipit da Robbie Williams in "You know me" (quello in cui saltella su un prato vestito da coniglio) . Incide oltre a pezzi suoi anche alcuni di Gainsbourg (tutti ricorderanno "Il pretesto", versione italiana di "Comment te dire adieu"). 
Nel frattempo la vita l'ha colpita da una malattia leucemica dalla quale fortunatamente ha saputo guarire. Ci sono ancora tante belle cose da vedere e da scoprire al mondo. Pertanto,  dopo questa dolorosa esperienza, nasce  un disco che è una vera perla: "Tant de belles choses".
La sua leggendaria giovinezza di ragazza perbene,  timida, introversa, catapultata quaasi per caso nello showbiz, è ormai alle spalle. Come pure quello charme discreto (da non confondere con il chiassoso glamour all'americana)  che molti illustri couturiers hanno esaltato facendone una sorta di loro ninfa Egeria. Paco Rabanne la vestì con miniabiti di scaglie metalliche argento e oro, André Courrèges costruì sul suo fisico asciutto e androgino le sue geometrie optical, St. Laurent e Cardin confezionarono per lei, eleganti smoking con giacca e pantaloni in  nero. Poi giubbotti (chiodo) e gonne in pelle nera, giacconi-pile casual a quadri. Musa anche per Dalì che amava  alla follia le donne-stelo di quegli anni, come lei (foto piccola in basso a sinistra). Il fotografo Jean-Marie Périer (suo ex fidanzato) ha promosso di recente al Beaubourg di Parigi una mostra fotografica dove è l'indiscussa protagonista dei suoi scatti per le più importanti copertine di magazines che se la contendevano (Vogue, Elle, Paris Match ecc.). E racconta come fosse sempre prodigiosamente fotogenica.

I francesi l'amano ancora moltissimo perché è rimasta tra le poche étoiles veramente Made in France, insieme allo champagne Dom Pérignon. Pertanto non hanno gradito il remake (invero patetico, data la sua non più verde età) che Carla Bruni ha fatto del suo primo successo "Tous les garçons et le filles". Carlà si mette una chioma hardyneggiante davanti agli occhi e intona la canzone con voce in falsetto cercando di atteggiarsi a ragazzina adolescente. "Elle est malade?!?" "Catastrophique!" "Affreux!" sono solo alcuni dei commenti allibiti dei francesi. Provate a leggere gli insulti che le fioccano addosso, sia dai francesi che dagli italiani che per non essere da meno,  replicano: "Tenetevela pure! Noi qui non la vogliamo", nei commenti su You tube. Povera Carlà!

Le posizioni politiche di Mme Hardy a favore di Marine Le Pen, vengono confutate dalla gauche au caviar, ma piacciono ad una buona parte di francesi. Fu lei a parlare per la prima volta di "razzismo antibianco", infrangendo un tabù mediatico. Il cinema in passato se l'è accaparrata ne "Il castello in Svezia" di Vadim, in "Grand Prix"  di John Frankenheimer e poi la si vede in una particina finale della commedia esilarante "Ciao Pussicat!" di Clive Donner,  con Peter O'Toole e Peter Sellers, nel ruolo della ragazza della réception d'albergo che fa ingelosire Romy Schneider. Ma come lei stessa ammetterà, il cinema l'annoia, tant'è vero che  non vi si è mai applicata con troppo zelo e impegno. La musica invece no e va avanti, e ora anche la scrittura.

Il suo libro "L'amore folle", presentato l'estate scorsa alla Fiera del Libro di Torino, l'ho preso in mano non senza una certa iniziale reticenza nei confronti della gente dello spettacolo che scrive. Invece poi leggendolo ho trovato eleganza, raffinatezza, stile, l'influsso di buone letture (ama Henry James e Edith Warthon) e perfino cura nell'espressione. E' un lungo monologo interiore sui sentimenti per un uomo che sembra sempre lo stesso, ma in realtà a comporre il racconto (récit lo chiama lei) sono alcune sue importanti relazioni amorose incastrate ad hoc, sempre e solo con la stessa tipologia di uomo. Una tipologia ricorrente che crea dinamiche altrettanto ricorrenti in una sorta di dolorosa coazione a ripetere, in uno scambio di ruoli psicologicamente sado-maso .
Nota dell'editore: Un romanzo-confessione, una storia d'amore intensa, sofferta, fra passioni e gelosie, erotismo e assenze. "Nel suo L'amore folle Françoise Hardy racconta senza difese la generosità in amore. Ci è sembrato un buon motivo per scegliere di pubblicare il suo dolce, straziante romanzo. Perché fare come lei, abbassare lo scudo per offrire la faccia al vento, è il solo modo di capirlo fino in fondo, questo mondo", dice Tommaso Gurrieri, direttore editoriale delle Edizioni Clichy, che nella collana Gare du Nord porta dal 22 maggio il romanzo in libreria in Italia (176 pag., 15 euro).

 
Già ebbi modo di leggere sul web il suo primo libro autobiografico "Le desespoir des singes et autres bagatelles" e ci trovai stoffa di autentica memorialista. Eppoi, che bel titolo! La disperazione delle scimmie è il nome che i francesi danno all'araucaria, quella pianta andina con i rami spinosissimi che non rende  certo agevole l'arrampicata. Nessuna compiacenza narcisistica da parte di Françoise, distacco verso il culto del "sé", capacità di essere ad un tempo lucida, chiara, trasparente e analitica, ma anche pudicamente elusiva. E' un buon inizio.



L'avrà scritto davvero lei? - mi sono  chiesta incredula. In effetti sì, e a dimostrarlo, è il secondo libro sull'amour fou,  tema sempre caro alla letteratura francese.



 Ma L'Amour fou è anche il titolo del suo ultimo CD, che in Italia (a differenza del libro) non è ancora arrivato. In Francia si vendono simultaneamente libro e disco. Nella compilation discografica segnalo "Pourquoi vous?", una melodia dolcissima, un classico che si avvale solo di piano e di archi cantato con la sua fragile voce, brano che ho messo alla fine del post. E anche la suggestiva "Normandia", un omaggio alla sua regione di nascita. In epoca di volgarità, lei scommette ancora nella forza dei sentimenti.
Ora  che Françoise è  una signora agée, è diventata ancora più brava e continua la tradizione dei cantautori francesi  permettendosi anche qualche sua versione personale  di mostri sacri che hanno lasciato il segno nella storia della chanson (di Brassens interpreta "Il n'y a pas d'amours heureux", di Prévert il famoso "Les feuilles mortes",  mentre riprende "La mer" di Trenet).
Sempre operosa, silenziosa, ascetica e  riservata, madame Hardy ha saputo dimostrare che anche nella società dello spettacolo ci sono individui per i quali  l'Essere ha una valenza superiore all'Avere.

 


Recensione del libro "L'amore folle" : http://www.sololibri.net/L-amore-folle-Francoise-Hardy.html

Hesperia

giovedì 7 novembre 2013

10 Racconti Gotici e lo spaccato su un'epoca


E' uscita un'antologia curiosa e di pregio, che contiene 10 racconti. Autori, tra gli altri, Dickens, Le Fanu, Mérimée. Le sorprese al suo interno non mancano, ma ce ne occuperemo alla fine perchè offre l'occasione di un excursus.
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Un passo indietro.
Per Letteratura Gotica, ci si riferisce al Romanzo Gotico o a racconti, intendendo un genere attivo dal secondo Settecento, che univa elementi romantici ad altri paurosi od oscuri, intrisi di amore e morte, varia drammaticità. Fanno parte di queste simbologie e categoria del sentire anche questo, questo e quest'altro tra i miei post.

Il vocabolo si diffonde in quest'uso per lo più in area anglosassone, e identifica vicende ambientate spesso nel Medioevo, con un sentire che predilige castelli, rovine, sotterranei e vari ambienti tenebrosi, ma non solo.
Se questo è lo sfondo, non si tratta sempre e solo di un'estetica (intesa proprio come tipologia della percezione), ma di esplorazione di alcune dimensioni dell'esistenza unite ad un senso drammatico particolarmente vivo, e vi è un nesso formale tra architettura reale/immagine e costruzione narrativa nelle opere letterarie.
Un profondo senso del tragico e dell'ineluttabile percorre le storie d'amore e di terrore, per vicende impregnate di amore perduto, circostanze dolorose, elementi preternaturali e soprannaturali, indicibili prove e rovelli interiori.


(Cattedrale di Metz, Francia)

Il Rinascimento che esaltava un linguaggio classico greco-romano e in certo modo apollineo, bollò spregiativamente  lo stile gotico in architettura medievale, trattato da Hesperia al link (in origine nelle magnifiche Cattedrali in Francia nel XII sec. poi in Europa occidentale nel XIV e XV sec. e Spagna, Portogallo, e paesi tedeschi, anche se il gotico inglese si diffuse precocemente già a partire dal 1175)  
ma proprio certe cuspidi, la linea curva e sinuosa, l'irresistibile svettare verso l'alto in cerca dell'ascesi, i reticolati, i pinnacoli, la forma arzigogolata, il senso del terribile e del solenne, il Sublime che atterrisce, erano "gotici" come i conflitti e sinuosità interiori descritti nella letteratura (neo)gotica nella ripresa successiva.


(Gargoyle a Notre Dame, Parigi)

Il termine "gotico" in origine si riferisce proprio ai Goti, l'antico popolo germanico, e venne usato per la prima volta per indicare questo stile artistico e architettonico da Giorgio Vasari (cui ho dedicato un post per i 500 anni) come sinonimo di nordico, barbarico, capriccioso, contrapposto alla ripresa del linguaggio classico rinascimentale.

La perdita della connotazione negativa del termine risale alla seconda metà del Settecento, quando prima in Inghilterra e Germania si ebbe una rivalutazione di questo periodo della storia dell'arte che si tradusse anche in un vero e proprio revival, il Neogotico appunto (anche in architettura, interni e mobili), che attecchì gradualmente anche in Francia e Italia, come reazione al neoclassico razionale dell'età dei "Lumi". Venivano ora esaltate l'emozione, lo struggimento, il Sublime (sembra in realtà un ritorno al dionisiaco).


(edificio neogotico a Bruges: dei misteri di un artista legato alla città mi ero occupato qui)

Le stesse rovine degli edifici (poste ad arte anche nei giardini) evocavano il decadimento delle creazioni umane, il senso mortuario delle cose e il cupio dissolvi.
Viene comunque evitata la conoscenza approfondita del Medioevo che non era naturalmente così oscuro come veniva dipinto, anzi tutt'altro, basti pensare al fiorire di notevoli punte della nostra civiltà (tutta la Patristica, le invenzioni tecniche e pratiche, la luminosa civiltà benedettina non erano l'unico faro in un'età non così buia).

Contribuisce alla diffusione della rilettura del gusto gotico nella nuova accezione lo stesso Romanticismo, che già si richiamava al mistero, al primitivo e tenebroso.
Per uno sguardo più ampio ad un certo tipo di temperie romantica, si rimanda a "La Carne, la Morte, il Diavolo..." post ispirato a Mario Praz di Hesperia.

Il primo testo che fece da apripista alla tendenza letteraria fu il romanzo breve "Il Castello di Otranto" di Horace Walpole nel 1764. L'autore in quell'epoca aveva iniziato la costruzione del Castello di Strawberry Hill, fuori Londra che arricchì di straordinari pezzi d'arte, comprese numerose reliquie.


(un interno del Castello di Strawberry Hill)

Nel 1800 è seguito da altri autori come Matthew Gregory Lewis, Ann Radcliffe, Charlotte Dacre e Mary Shelley: di nuovo le costanti sono sentimentalismo e romanticismo, ma anche rivolta contro il razionalismo illuminista, inquietudine per l'uso inedito e immorale di scienza e tecnica conosciute nella rapida industrializzazione e furono alla base della nascita del gothic revival.


(Castello di Strawberry Hill) 

Se "Il vecchio barone inglese" di Clara Reeve è un'imitazione del Castello d'Otranto, da segnalare "Vathek" in francese (1785) di William Beckford, "I misteri di Udolpho" (1794) e "L'italiano, o il confessionale dei penitenti neri" (1797) di Ann Radcliffe, "Il monaco" (1796) di Matthew Lewis, "Frankenstein" (1818) di Mary Shelley, "Il vampiro" (1819) di John William Polidori, "Melmoth l'errante" (1820) di Charles Robert Maturin.


(vetrata della Cattedrale di Chartres)

L'oscurità diventa strumento per accedere al sublime (al contrario della luce che rientra nel senso del bello e dell'armonia) secondo il concetto orrorifico di sublime (l'incanto del mostruoso) espresso da Edmund Burke.

Predominano così in questi romanzi figurazioni e oggetti imponenti che incutono timore (palazzi possenti, catene, l'elmo che campeggia minaccioso all'inizio del Castello di Otranto di Walpole);
il senso di vastità, di cose non misurabili; la mancanza di rapporto causa-effetto nella narrazione; infine l'approssimazione: John Milton nel Paradiso Perduto accennava solo vagamente all'aspetto e alle fattezze del diavolo.

Altre costanti: nel Castello di Otranto di Walpole, e oltre con la Radcliffe e Lewis, giovani donne sono costrette a fuggire da terribili seduttori, e le vittime sono in realtà più o meno figurativamente stritolate in ingranaggi perversi. L'ambientazione è medievale, ma a volte anche borghese e contemporanea, la minaccia contro i protagonisti proviene in questi testi dall'autorità politica e religiosa, e da episodi di corruzione maligna e abuso di potere.


(Gargoyle-bat a Nottingham)

"L'italiano, o il confessionale dei penitenti neri" (1797) di Ann Radcliffe e "Il monaco" (1795) di Matthew Lewis ne sono esempi: in più "Il monaco" contiene giudizi al vetriolo sulla Chiesa Cattolica, secondo la prospettiva inglese d'allora, e più in generale l'ambientazione in paesi cattolici, in vecchi castelli, abbazie e conventi è scelta per mostrarne le monarchie assolute che non avrebbero tutelato a sufficienza i diritti dei cittadini: consueto iato tra paesi Anglosassoni Calvinisti -che poi così liberal non erano, visti roghi e decapitazioni, e Cattolici Postlatini.

In realtà il gothic revival in Inghilterra raffigura il nero dell'esistenza anche attribuendolo alla Tradizione Cattolica e al legame con la Sede Romana: in questo rispecchia anche la scelta (nel senso letterale di airesis) inglese protestante di allontanarsi dalla Chiesa.

Siamo dunque alla Letteratura come Sintomo, quasi che, persa la Comunione, si ripiombi nell'oscuro mare dell'essere.
La riforma allora appare come una ferita che taglia in due l'Europa; e sembra che da quella ferita, dalle viscere della terra fuoriescano i mostri che infestano l'immaginario del neogotico.

Naturalmente anche l'anglosassone, il (neo)gotico è homo religiosus, ogni essere umano è concepito come aperto all'Infinito. Ma venendo meno la Comunione, se non si accoglie più la Rivelazione, si finisce per costruirsi una via personale e per accedere all’antirivelazione luciferina (i mostri) che sin dal principio della storia si è offerta come  tentazione all’umanità. In questa falsa gnosi domina il caos terrifico e si subisce senza difese l’eternità cangiante del mondo, minacciosa e non ordinata, che può portare alla disperazione del Nulla.

La tematica religiosa in questi testi del gothic revival intesi come orrorifici è infatti spesso presente, talvolta con connotazione negativa, specchio della cesura storica inglese.
L'ascesa di Enrico VIII e la rottura con l'autorità religiosa di Roma ebbero il suo peso, la scissione del reale sembra generare il ripiegamento dello stile, e un'inversione dei significati.
E' curioso infatti come l'architettura gotica medievale fosse più che sacra, religiosa e osservante, nel suo slancio verticale,
mentre la cosiddetta letteratura (neo)gotica del revival 700-800 veda il nero e la minaccia proprio insito in un'idea terribile e orrorosa del sacro.




Ma nel periodo, scrittori non cattolici e cattolici sono spesso caduti in disgrazia e la vita pubblica inglese fu messa a durissima prova, con numerosi martiri e sangue.

Qui Martiri cattolici vittime dell'Inquisizione anglicana, e qui acute osservazioni con possibili paralleli col presente.

Il 1533 è l'anno di rottura con la Chiesa Cattolica, che porta allo scisma anglicano. Segue una dolorosa interpretazione filocattolica e anglocattolica e anche anticattolica nella cultura inglese. Alla restaurazione di Maria I d'Inghilterra la Sanguinaria ha fatto seguito la contro-restaurazione di Elisabetta I, la Regina Vergine, fino al riconoscimento dei principi calvinisti e alla sottomissione alla Corona.

Nei due secoli della letteratura gotica, numerosi artisti e scrittori inglesi di fede cattolica così come di fede anglicana sono stati protagonisti della loro epoca spesso fino alla perdita della libertà o della vita.




Tommaso Moro, cattolico, fu decapitato dopo avere opposto un rifiuto al giuramento di Supremazia che indicava il sovrano come capo della nascente Chiesa anglicana (1534).
John Skelton, precettore di Enrico VIII, si rifugiò nell'abbazia di Westminster dove rimase fino alla morte a scrivere satire.
John Milton, a causa degli scritti polemici sul divorzio, cadrà in disgrazia e si ritirerà a vita privata. Francesco Bacone fu condannato al carcere per peculato.
Di famiglia cattolica, Alexander Pope era discriminato per il battesimo tradizionale ricevuto.
Daniel Defoe, autore del "Robinson Crusoe" sosteneva la libertà religiosa tra anglicani e cattolici in UK, ma fu accusato di diffamazione verso la chiesa d'Inghilterra per il suo testo "La via più breve per i dissenzienti".
Jonathan Swift scrisse "I viaggi di Gulliver", ma la critica ufficiale lo ridusse a narratore per bambini.
Questa è solo una minima parte del campo di tensioni ideali e sangue vero che la storia ha generato e che si specchia nella letteratura inglese dopo la rottura col Cattolicesimo.


I simboli della letteratura del revival gotico si diffondono presto nel Romanticismo inglese, poi europeo per tutto l'800. Addirittura nei "Promessi Sposi" ci sono stralci e situazioni simili a quelle del gotico, come la vicenda della Monaca di Monza costretta dal genitore dispotico alla clausura, o rapimenti e oppressioni della vergine innocente, con l'episodio di Lucia, segregata nel castello dell'Innominato. Ancora tracce ritornano nelle atmosfere cupe di "Notre-Dame de Paris" (1831) di Victor Hugo, ambientato nel tardo Medioevo, con personaggi come il mostruoso Quasimodo o la fanciulla Esmeralda, vittima innocente di un crudele sopruso.

Il potere assoluto, il feudalesimo e il dispotismo contribuiscono ad alimentare lo sfondo del gotico sublime. Saranno temi poi ripresi nell'Ottocento anche dagli scrittori americani, che hanno vissuto la violenza sottile e sotterranea dei rapporti o plateale e spietata di regimi puritani e fondamentalisti.

"Frankenstein o il Prometeo moderno" di Mary Shelley, oltre alla fama, ha il merito di superare schemi del primo romanzo gotico del culto dell'irrazionale, per articolare una visione di scienza e tecnica maligne, uscite dal lecito e naturale quanto dal sacro, e volgerla in chiave fantascientifica e morale.
Il romanzo introduce tematiche attuali e di risonanza in un'epoca in cui la ricerca stava accelerando le sue scoperte: il rapporto fra l'uomo e la scienza, i limiti della scienza oltre i quali non è lecito spingersi, la figura della creatura artificiale che si ribella al suo creatore, e di più "il Prometeo moderno".
Il tema vero era il Dott. Victor Frankenstein e la creazione del mostro, per adorazione di scientismo e biotecnologia manipolatrice che arriva prometeicamente alla ribellione contro i canoni naturali e sacri dell'esistenza.
La Shelley infatti scelse il riferimento a Prometeo per indicare l'Hybris degli scienziati di poter fare tecnicamente qualsiasi cosa, anche ricreare la vita a modo proprio. La Shelley unisce 2 tradizioni della vicenda di Prometeo: sia quella del titano ribelle contro Dio padre/Zeus, sia la versione delle Metamorfosi di Ovidio
in cui Prometeo plasma gli esseri umani dalla creta (questa lettura si avvicina al Demiurgo gnostico-massonico).

Altri testi del filone evolvono dal gusto iniziale e affrontano tematiche differenti.
Edgar Allan Poe supera l'ambientazione di antichi castelli, rovine medievali, e i temi come fantasmi, e creature mostruose, e si avvicina all'uomo comune: le paure irrompono  nel quotidiano, l'io viene scandagliato nelle sue opere, sono raffigurate paure individuali e collettive dell'uomo moderno anticipando la psicanalisi. Derivano dal gotico ancora autori del tardo Ottocento, come Robert Louis Stevenson con "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde", con il tema del doppio bene e male nella stessa persona, e Arthur Conan Doyle, con i misteri di Sherlock Holmes, ma di più dei suoi racconti fantastici e del terrore. Si potrebbe continuare fino a Bram Stoker e H.P. Lovecraft e oltre. Nel 900, l'eredità di questi autori sfocia in nuovi generi narrativi differenti: giallo, il noir, la fantascienza, l'orrore, e il cinema ne sarà un veicolo notevole, a partire già dal muto.

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L'antologia curata da Enrico Badellino, edita da Skira 
"Arte e Mistero: Dieci Inquietanti Racconti" si appoggia a un'accezione del gotico intesa in senso lato come Unheimlich, per cui comprende elementi fantastici, passaggi di stato tra animato e inanimato e simili.
Statue assassine, disegni, dipinti e incisioni che prefigurano delitti, ritratti di persone defunte che si animano intrecciando inquietanti liaison con i viventi: scrittori come Hawthorne, Mérimée, Dickens, Poe, Erckmann, Nesbit, e anche Pirandello e Capuana - accanto a maestri della ghost story come Le Fanu e M.R. James - hanno affrontato il rapporto tra l'opera d'arte e il mondo degli spiriti, aprendo prospettive narrative sulla contaminazione tra l'aldiqua e l'aldilà della tela, tra questo e l'altro mondo.
La novella di Pirandello è "Effetti di un sogno interrotto". Un uomo che vive in una casa cupa e barocca osserva dal letto un quadro che ritrae una donna sdraiata in una grotta. Volto splendido, capelli sciolti e seni scoperti. Un vedovo suo ospite un giorno riconosce nel dipinto l'immagine della moglie scomparsa e vuole il quadro, perchè non tollera che un estraneo ne contempli la nudità.  Il proprietario del quadro una notte è convinto di aver incrociato lo sguardo vivo e in movimento della donna del ritratto, e chiama così il vedovo per donargli il dipinto.
Plutarco già aveva utilizzato il tema di statue che ...facevano movimenti creando un effetto di spiazzamento e straniamento sullo spettatore. Spiega Badellino che quella della statuaria classica quindi politeista è un'antica tradizione, che però dopo il Cristianesimo muta di segno. Gli dei greci immaginari e allegorici divengono come demoni.
La rappresentazione muta di scopo, si fa o sacra o profana, Vera Immagine o pagana, sia nella considerazione cristiana tradizionale, sia nella già citata lotta tra Cattolici e iconoclastia protestante.
Il fantastico moderno, sorto tra XVIII e XIX secolo, sarà come un contrappasso rispetto al piatto razionalismo dei lumi, e l'evento soprannaturale o preternaturale assume la valenza di un'intromissione inquietante nell'ordine razionale e apparentemente conosciuto delle cose.

Chiudo con Léon Boëllmann e la sua Suite Gothique, op. 25



Josh