lunedì 31 gennaio 2011

Gioielli, gemme, pietre preziose e simboli



Il nostro Giardino delle Esperidi si trasforma, con questo post, in Giardino delle Vanità. Alzi la mano chi non ha mai ricevuto o donato un gioiello, un monile, anello o altro. Impossibile resistere alla  bellezza e rarità di gioielli e pietre preziose. Ben lo sapevano e lo sanno i potenti della terra. In particolare imperatori, monarchi, principi, principesse, papi e cardinali, nobili e dignitari. Siamo incantati davanti ai Gioielli della Corona a Londra, a Copenhagen  e a Vienna coi gioielli degli Asburgo (celebre il ritratto qui in alto,   di Elisabetta d'Austria e d' Ungheria, al secolo Sissi, con astri di diamanti che tempestano la  sua lunghissima chioma) e nei paesi d'Europa in cui vigevano e sono tuttora in vigore le monarchie.
Si perde nella notte dei tempi la credenza che gioielli e pietre preziose abbiano un'origine sacra e divina, e che quindi siano dotati di misteriosi e prodigiosi poteri, trasformino la vita di chi li porta con sé, dispensando gioie, salute, fortuna, oltre che eleganza e seduzione.
La pietra filosofale (in latino lapis philosophorum o "pietra dei filosofi") è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell'alchimia, capace di risanare la corruzione della materia.pietra filosofale sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie:

  • fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità fornendo la panacea universale per qualsiasi malattia;
  • far acquisire l'"onniscienza" ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male (cosa che spiegherebbe anche l'attributo di "filosofale")
  • conferire la possibilità di trasmutare in oro i metalli vili (proprietà che ha colpito maggiormente l'avidità popolare

La tradizione vuole che le gemme e gioielli siano dunque potenti talismani e amuleti: essi contengono la forza della natura, i sentimenti nobili di chi ha voluto farcene dono (l'affetto di un amico-a, il desiderio dell'amante, la riconoscenza di un figlio o di un genitore ) e non ultimo, anche  l'anima dell'artista che ha saputo interpretare e raggiungere l'essenza delle forme e strutture: è l'artista-artigiano orafo che grazie alla sua capacità di abbinare creatività e rigore, ingegno e meticolosità; è in grado di attivare e accrescere i poteri della materia e dei sentimenti, tanto che lo splendido oggetto si trasforma, come per incanto, nella rappresentazione di chi lo indossa, della sua anima. Qui in Italia abbiamo sempre  avuto fin dall'età dei Comuni,  una forte tradizione di botteghe artigiane di orafi, incisori e cesellatori. Basta, uno per tutti, ricordare Benvenuto Cellini e quella preziosa saliera in oro, ebano e smalti creata e  lavorata per il  re di Francia Francesco I che i musei  del mondo si contendono.


I gioielli   sono  rimasti tra i  pochi oggetti magico-rituali della nostra civiltà contemporanea. Per questo e per il fatto d'imprigionare in eterno i meravigliosi colori della natura o di emettere vibrazioni benefiche per l'organismo (la cristalloterapia) sono tra tutti il dono più raro.
Indossato,  scatena le sue virtù, si legherà in maniera indissolubile alla persona che  lo porta con sé,  conferendole grazia e stile. Felicità e fortuna non sono sempre irraggiungibili, ma vanno ricercate con pazienza e conquistate sprigionando la nostra energia, credendo nei valori positivi, coltivando il bello, l'autentico. Amuleto prodigioso di tutti i tempi, emblema della fulgida luce solare e stellare, agevola questa ricerca appassionante. Miti e affascinanti leggende sulle proprietà terapeutiche delle pietre preziose si intrecciano e si sovrappongono. Arte, dipinti, letteratura hanno magnificato e celebrato gioielli e pietre preziose. Tiziano ritrae la sua Madonna di Urbino, dalla placida sensualità  che ha un paio di perle alle orecchie; Vermer e la sua famosissima "ragazza col turbante" da cui fuoriesce un iridescente orecchino di perla, Klimt e i suoi preziosi bizantinismi "secessionisti"  in oro e smalti nella sua celebre Giuditta, Moreau e le sue sontuose e ingioiellate Salomé ed Erodiadi. Buona parte del simbolismo e del decadentismo ha celebrato ori, smalti, monili, diademi e vezzi, ma anche objets d'arts come cofanetti in madreperla, tabacchiere in agata, bomboniere in ametista ecc. L'art déco ci rimanda alle sue affascinanti e diafane donne dalle lunghe collane di perle  (Il ritratto di Wally Toscanini di Alberto Martini).

Fiabe,saghe e leggende, romanzi di avventure sguinzagliano storie basate sull'inseguimento di gioielli trafugati. Si pensi ad esempio al cofanetto di  puntali di diamanti della regina a cui i Moschettieri danno la caccia per riportarli alla legittima proprietaria dopo mille peripezie,  ne "I tre moschettieri"di Dumas. Ai racconti di Stevenson e ai forzieri dei pirati, ai racconti di Salgari.
Molte sono le citazioni e i riferimenti letterari dedicati a pietre e a gioie. "I Gioielli indiscreti" di Diderot, "Les Bijoux" (Baudelaire) di cui vale la pena di citare almeno l'incipit 
La tanto amata era nuda e, del mio cuore esperta,

non aveva tenuto che i gioielli sonori,
il cui fasto le dava quel vittorioso assetto
che nei giorni felici hanno le schiave dei Mori.



"Smalti e cammei" è la raccolta poetica di Théophile Gautier molto amata da Oscar Wilde,  Salambo di Flaubert, una principessa cartaginese figlia di Tanit, dea della Luna, che si muove ieratica tra veli e preziosi monili.
Oggi dalle dee pagane, dalle Madonne,  dalle effigi e dai grandi ritratti di regine, principesse e nobildonne del passato ingioiellate e ammantate di gemme, si passa alle dive hollywoodiane, sfarzose ma talora anche un po' pacchiane (è il caso delle parure di smeraldi e diamanti di Elizabeth Taylor, comunque preziosissime).
Maria Callas aveva un'autentica passione per i gioelli di cui sono state fatte mostre a Milano con Sotheby's e a Firenze. Celebre l'aria della Tosca  di Puccini più volte da lei cantata, "Vissi d'arte" : Diedi gioielli della Madonna al manto/ e diedi il canto agli Astri, al ciel/che ne ridean più belli... 


 E non sono poche le star del cinema contemporaneo che fanno da testimonial strapagate alle  griffes di preziosi come Bulgari, Salvini, Damiani, Pomellato, Bucellati.
Mentre Audrey Hepburn, dopo la sua celebre "Colazione da Tiffany" di Blake Edwards è e resterà per sempre l'ineguagliabile testimonial del famoso gioielliere di New York, il quale continua a esporre il  suo diademino.
Marilyn Monroe, citava Cartier quando cantava che i diamanti sono i migliori amici delle ragazze in "Gli uomini preferiscono le bionde" di H. Hawks, fasciata nel suo abito rosa shocking e ornata di brillanti. 

Lo splendore e lo stupefacente gioco di luci e di purezza hanno suggerito agli uomini dell'antichità il potere soprannaturale delle Gemme, rendendole impareggiabili talismani dalle magiche virtù. Il bianco iridato della perla, il misterioso splendore blu dello zaffiro, il  "fuoco verde" degli smeraldi o il "fuoco rosso" in tutte le sue tonalità del rubino, l'azzurro incantevole dell'acquamarina e gli altri luminescenti colori delle pietre preziose sono stati interpretati come sublimi rappresentazioni dell'Acqua, del Fuoco, della Terra, e dell'Aria, i 4 elementi della natura. Molti sono i tagli delle pietre preziose: il taglio cabochon, quello a facce piene, a navette, il taglio quadrato a gradini ottagonali (tipico dello smeraldo), a goccia, a nido d'ape, a baguette e così via.
Meno pregiate sono le pietre dure e i cristalli, in grado però di figurare se accostate sapientemente agli ori, smalti,  o attorniati da diamanti o perle: la pietra blu del lapislazzulo, la giada con tutte le sue sfumature di verde (da quello chiaro semitrasparente e  adatto alle statuette,  a quello più carico), le agate, le corniole, i diaspri, i turchesi, il calcedonio, i quarzi in tutte le sue varianti e varietà (da quello rosa, a quello verde, al  violetto conosciuto come ametista), i granati, le tormaline,  i  coralli estratti dagli abissi marini, l'ambra, una resina lucida dal giallo all'ocra al rossiccio,  emessa dalle conifere che successivamente con il tempo si è fossilizzata. E a proposito del corallo è antichissimo amuleto di valore apotropaico per i neonati, ancora oggi diffuso. Secondo la tradizione pagana i rametti appuntiti infilzavano il malocchio lanciato per invidia, mentre per i Cristiani il suo colore rosso ricordava il sangue di Cristo, infatti veniva usato già nel Medioevo per i reliquiari della Croce. Il corallo assumeva così la valenza di simbolo della doppia natura di Cristo, umana e divina. Per questo si trova in numerosi dipinti rinascimentali come la Madonna del solletico di Masaccio, la Madonna di Senigallia e la Pala di Brera di Piero della Francesca.

Ma torniamo alla Cristalloterapia, la teoria secondo cui alcuni cristalli possono aiutarci a stare meglio, fonda i suoi presupposti nel fatto che tutti i corpi possiedono un particolare campo energetico e che ogni fenomeno naturale ha come conseguenza l'emissione o l'assorbimento di energia.
E' un antichissimo sistema di guarigione naturale che mira a riportare l'equilibrio energetico in una persona.
L'essere umano riesce ad assorbire e trasformare le energie attraverso i Chakra (ruote, vortici), centri energetici, che rappresentano le porte di accesso per la corrente energetica e vitale del nostro corpo psichico.
Vero o meno, è pur sempre intrigante conoscere segno per segno zodiacale qual è la pietra che ci è più propizia.

ARIETE -  predilige le pietre rosse come il rubino e il corallo
TORO - è associato alle pietre verdi come  Smeraldo e Giada che vi porterà amore, equilibrio e comprensione  che vi garantirà coraggio, giustizia, saggezza e longevità.
GEMELLI - governato da Mercurio, vengono associate tutte le pietre cangianti e gialle come il  Topazio che ha la funzione di controllare l'emotività e di stimolare la spiritualità. Associata a Mercurio, potete invece scegliere l'Agata e la Citrina.
CANCRO - governato dalla Luna, vengono associate le pietre bianche e lattiginose. La pietra abitualmente attribuita la vostro segno è la Perla che ha la funzione di addolcire, calmare e portare equilibrio e anche la Pietra di Luna.
LEONE - governato dal Sole, vengono associate le pietre gialle o molto luminose. La pietra simbolo del segno è di norma il Diamante. Aiuta inoltre nella meditazione e a focalizzare meglio come ottenere i vostri desideri.Per stimolare la vostra creatività e aumentare la fiducia in voi stessi è particolarmente indicata l'Ambra.
VERGINE - governato da Mercurio, sono associate le pietre grigie, cangianti e opalescenti. Pietra del segno è considerata lo Zaffiro, che può indirizzare energie di guarigione e amore su chi ne ha bisogno. Anche il Turchese che stimola sentimenti di amicizia e di lealtà ed è un antidepressivo.
BILANCIA - Governato da Venere, sono associate le pietre verdi. Per l'amore è consigliata la Tormalina Verde, magari incastonata in un ciondolo o in un anello, che vi infonde anche un po' di praticità. Nei momenti in cui vi sentite un po' sottotono scegliete invece l'Opale: la sua azione vi infonderà un po' di carica energetica.Utili nella professione la Malachite e la Giada.
SCORPIONE - governato da Plutone, vengono associate le pietre di colore rosso.La pietra del segno è il Rubino, che vi protegge da tutte le negatività, da danni fisici o malattie o il Granato. La Corniola aiuterà i nativi a raggiungere i propri traguardi, fornendo la giusta spinta e ambizione
SAGITTARIO - governato da Giove, vengono associate le pietre azzurre o indaco.Tipica del segno è il Lapislazzulo che ha una funzione protettrice e garantisce vitalità a tutto il corpo.Come pure il Turchese, che è la pietra protettrice dei viaggiatori.
CAPRICORNO - governato da Saturno, sono associate le pietre nere e scure. Pietra tipica del segno è l'Onice nero che aiuta i nativi a superare eventuali difficoltà, stimolandoli costantemente a realizzare la propria individualità, l'Ossidiana e le Perle nere.
ACQUARIO - La pietra associata a questo segno è il Quarzo, che aiuta a portare ordine nei pensieri e chiarire la mente, o lo Zaffiro Blu particolarmente utile per la salute o l'amore.Il Cristallo di Rocca, particolare tipo quarzo, considerato purificatore e protettore, apporta invece ai nativi energia.
PESCI - Governato da Nettuno, vengono associate le pietre azzurre e luminose. I Pesci sono molto sensibili e quindi devono utilizzare delle pietre per proteggersi, come, ad esempio, l'Ametista e l'Acquamarina,  che fanno aumentare la loro energia vitale ed austostima.

A ciascuno la sua pietra gioiello, a ciascuno il suo talismano.

Hesperia


























 


lunedì 24 gennaio 2011

Tolosa, il vero Paese di Cuccagna

L'ispirazione per questo post mi è nata da un commento di Hesperia. Post che mi ha dato anche l'opportunità per approfondire un argomento storico, legato ad uno dei primi crolli in borsa: quello dei titoli legati al pastel di Tolosa. La borsa valori, per come la conosciamo oggi, ha avuto le sue primissime origini ad Amsterdam alla fine del ciclo storico di cui al presente post: nella metà del secolo XVI. A quella vicenda di crollo di borsa è legata una storia che sembrerebbe uscire dalla penna di un narratore, una storia che avevo sempre creduto legata ad un segreto. E invece, segreto non è stato, ma è stata bensì una storia di inventiva, caparbietà, intraprendenza di tolosani che avevano intuito le ottime potenzialità di un prodotto della loro terra e ne avevano studiato il modo diverso dagli altri per estrarvi quello che risultò il miglior pigmento del colore del blu esistente allora sui mercati. E quindi, se Matilde Serao, nel suo romanzo omonimo, aveva definito ironicamente Napoli come Il Paese di Cuccagna, c'è stato un tempo in cui fu Tolosa quello della vera cuccagna.
Nel triangolo d'oro del sud della Francia, racchiuso tra le città di Tolosa, Carcassonne ed Albi, per oltre un secolo i suoi abitanti vissero come per i proventi di una manna caduta dal cielo. Quell'area è sicuramente tuttora una fra le più fertili d'Europa e il suo terreno è particolarmente vocato per certi tipi di colture. Il periodo d'oro in cui avvennero questi avvenimenti andò dal 1463 al 1561, però i benifici si cominciarono a sentire fin dagli inizi del '400, protraendosi poi almeno fino alla fine del '600. I suoi abitanti, ma in particolare un gruppo ristretto di famiglie, guadagnò cifre favolose commerciando le cocagnes, un prodotto generoso della loro terra. L'unicità del prodotto, l'assenza di concorrenza tra le poche famiglie che ne detenevano quella sorta di brevetto, unita alla capacità di mantenere segretezza sui loro affari, consentirono a quelle famiglie di conseguire guadagni favolosi, col minimo dispendio d'energie. Ma cos'è questa cocagnes, il cui termine italianizzato è diventato cuccagna? E' un derivato, proveniente da una coltura tipica di quella ricca terra. Erano le foglie del pastel
che, fatte macerare in acqua, per poter essere ridotte in poltiglia, venivano poi pressate fra le mani e trasformate in palle della grandezza di un pugno. Fatte poi essicare per circa 15 giorni, ne risultavano le famose coques o cocagnes (vedi foto dall'alto), grosse pallottole di circa un kg di peso, che venivano esportate in tutta Europa; costituivano il ricercatissimo pigmento del blu per tintorie e, in taluni casi, per pittori. Alla base della fortuna del paese di Cuccagna vi fu soprattutto la passione per il colore blu da parte dei grandi del mondo, e dai nobili; non a caso, durante il Medio Evo, si designava di sangue blu la classe sociale dei nobili.
In quel periodo d'oro furono 60.000 gli ettari di campagna coltivati a pastel (vedi Isatis tinctoria, e guado in lingua italiana), una pianta simile alla colza, contro i circa 11.000 ettari coltivati a guado (nome usato in Italia e Germania per la stessa isatis tintoria) nella città tedesca di Erfurt (anche qui si visse un lungo periodo di cuccagna, dal 1200 al 1600, grazie ai ricchi proventi derivanti dal commercio del guado, dalla piantina alla tintura pronta).
Ad ogni modo, la scoperta che dalle foglie del pastel (guado) si potesse ricavare il pigmento del blu, fu per l'epoca una vera cuccagna. Considerato il migliore in Europa, era esportato in tutto l'Occidente, ed a prezzi altamente remunerativi per i produttori, che li arricchì notevolmente, assieme a mercanti e banchieri della zona. La domanda era crescente, così costoro, grazie alle ricchezze che andavano accumulando, furono in grado di cambiare il volto delle loro città, costruendo palazzi, torri e castelli. Tolosa si abbellì così di sontuosi palazzi, tra i quali spiccano i palazzi Assezat e Bernuy, ora trasformati in alberghi di lusso; ad Albi primeggiò il palazzo della famiglia Reynes.


Tolosa, in particolare, era così diventata la piattaforma mondiale del commercio del pastello, con succursali di banche, dove venivano negoziati e scambiati titoli legati alle fiorenti attività legate al pastel. L'epoca d’oro prosegue fin poco dopo la metà del XVI secolo, quando una crisi dei raccolti e la concorrenza sempre più agguerrita dell'indaco, proveniente dalle terre del Nuovo Mondo, ne decretò la fine definitiva. Era la fine della cuccagna.

Che pagò il conto diretto di quella sorta di speculazione sul Blu, furono in prima istanza un pò tutti i pittori e tintori europei. Il blu, infatti, non si trova puro in natura ed è l'unico colore che l'uomo fin dall'antichità ha faticato ad ottenere. Di questo fatto, ne seppe certamente qualcosa anche Giotto, che, per affrescare gli azzuzzi della volta della Cappella degli Scrovegni, aveva avuto come uniche possibilità ciò che era reperibile sui mercati nel suo secolo: l'Azzurrite, un minerale abbastanza comune, ma comunque abbastanza caro, oppure il più costoso Blu Oltremare. Questo era chiamato così perchè proveniva dai paesi del vicino Oriente, di là dal mare, come la Siria e soprattutto l'Afghanistan. Durante i secoli d'oro della pittura italiana "quasi tutte le botteghe artigiane erano produttori e alchimisti di colori e ossidi in proprio basati sulla triturazione e l'impasto di minerali e pietre di pregio" (Hesperia: vedi a inizio post). Sperimentavano, ma non seppero trovare una valida alternativa alle cocagnes francesi, ciò che permise quegli arricchimenti oltre misura.

Qui una visita virtuale alla Cappella degli Scrovegni edita da Il Sole 24Ore
Dedica
Questo post è dedicato ad un ragazzo milanese, che ha trovato a Tolosa il grande amore della sua vita, trasferendovisi. E poichè s'è qui parlato di inventiva e intraprendenza dei tolosani, mi piace ricordare la storia di tale ragazzo, ancora emerito sconosciuto, che ha importato a Tolosa un prodotto siciliano, la terra dei suoi nonni, escogitando, però, e provando e riprovando un nuovo ed originale modo per produrlo. Che diventi per lui una nuova cuccagna, così come lo era stata l'idea sviluppata sul pastel dagli antichi tolosani.

Per saperne di più:
Weekend a Tolosa
Cultorweb Medioevo
Turismo: Tolosa e il pastello
Il guado in Germania

Foto:
Tolosa, piazza del Campidoglio: da Wikipedia
Una "cocagne du pastel" dal sito del Museo di Tolosa
Blu Occitania: dal sito Coltivazioni tipiche nel mondo
Tolosa: Palazzo Assezat (ora albergo), dal sito Amedeo Modigliani
Veduta di Carcassonne: da Wikipedia
Veduta di Albi: da Wikipedia
Cappella degli Scrovegni: dal sito Tanogabo
 
Post correlato: Venezia - Chiesa di Sant'Alvise

Aggiornamento del 10/11/2012
Link correlato: Il blu di Tintoretto

lunedì 17 gennaio 2011

L'impostura della Pop Art

Nel campo dell’arte, come in tutti gli altri settori, sarebbe tempo di impegnarsi seriamente per liberarci dagli equivoci e dalle imposture, anzi dai veri e propri macigni che, da troppi anni, tagliano la strada a chi è dotato di vero talento, depauperano di bellezza la nostra civiltà e fanno perdere la bussola al popolo mostrandogli immagini capaci solo di degradare l’umanità e di confondere la percezione della differenza che esiste tra armonia e dissonanza, tra bellezza e deformità. Considerata la paccottiglia che dilaga da decenni si deve pensare a un lavoro enorme; ma vale la pena perdere altro tempo prezioso per discettare sul nulla o, ancor peggio, per rovistare nella spazzatura? Per fare chiarezza e chiudere il conto con un passato fatto di troppe brutture e nefandezze ritengo che basterebbero pochi saggi di facile lettura, a prezzo contenuto e adeguatamente veicolati. Uno potrebbe essere dedicato allo smascheramento della pop art e del personaggio Andy Warhol, che del pop fu e resta il massimo rappresentante.
Con ogni probabilità la definizione pop art fu coniata in Inghilterra, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, da Lawrence Alloway, un critico d’arte autore di molte recensioni che, più tardi, troviamo a New York fortemente impegnato nel lanciare giovani “artisti” pop. Già il pur facile accostamento dell’arte all’aggettivo popolare (pop infatti allude in qualche modo al vocabolo popolare) dovrebbe indurci a qualche utile riflessione. Potrebbe trattarsi dell’espressione di soggetti rozzi e privi di ingegno appartenenti alle classi meno abbienti, oppure dell’arte prediletta dal popolo. Ma, in questo caso, non si capirebbe come mai proprio il popolo per lungo tempo fu la classe sociale più ostile e diffidente verso l’esposizione in spazi imponenti e spesso prestigiosi di bidoni di spazzatura firmati, tubi serpentinati al neon e immagini seriali di nessun significato. In realtà si tratta della presunta arte che un piccolo numero di personaggi facenti capo ad una potente setta capace di condizionare il pensiero e quindi il comportamento umano in tutti i campi ha destinato al popolo. A tutto il popolo. Infatti, ancor più degli equivoci ascrivibili all’informale, all’astratto e al concettuale, i bidoni di spazzatura, i tubi al neon e le immagini seriali, ben lungi dall’esprimere, come pretenderebbero schiere di entusiastici recensori, una “critica alla società dei consumi”, hanno l’unico scopo di confondere e deprimere la percezione estetica collettiva e fanno parte della stessa tecnica usata in tutti gli altri settori da chi tende ad acquisire il potere demolendo i fondamenti della nostra società, e trasformando le popolazioni in masse di bruti facilmente manipolabili. Un percorso all’indietro che, per l’appunto, diventa possibile solo nel momento in cui viene meno l’ordine che discende dall’esistenza delle categorie del bene e del male, del bello e del brutto, del sano e del patologico a cui per secoli e secoli la nostra civiltà aveva sempre fatto riferimento. E, nel contempo, costituiscono il procedimento con cui i furbi e gli arroganti, ben inseriti nel sistema, misurano la loro capacità di catturare con ogni mezzo l’attenzione del prossimo o di provocarne una qualsiasi reazione, non importa se di disorientamento o di rifiuto, per ottenere, grazie all’alta visibilità conseguente, grossi introiti economici in cambio di poco o niente: le “opere” uniche vendute ai borghesi danarosi, inebetiti dai cataloghi che valorizzano il pattume con parole incomprensibili e a tutti gli altri, che si portano a casa la paccottiglia riprodotta in serie a medio o a basso prezzo, dalla quale, grazie alla facilità di riproduzione in grandi quantità che consente la tecnica moderna, si possono ugualmente ricavare cifre stratosferiche.
Insensato, come ho già detto, sarebbe dedicare altro tempo prezioso alla memorizzazione e all’analisi della miriade di nomi e di “opere” di tanti pretesi artisti del pop. Per il nostro scopo, che resta quello di porre fine a una delle tante imposture e quindi propiziare l’avvento di una nuova stagione, basterà la divulgazione della biografia di Andy Warhol, quella vera, non inventata da biografi falsi o prezzolati. In questa sede possiamo solo mettere in evidenza il collegamento che esiste tra l’irrompere sulla scena di questo modesto grafico pubblicitario, bilioso e paranoico, e il nichilismo pratico oggi dilagante in cui hanno finito per sciogliersi tutte le ideologie del Novecento. Potendo disporre, finalmente, di adeguati strumenti di analisi, risulterà evidente a chiunque come l’ascesa del figlio di emigranti slovacchi a cui continuano a rifarsi le torme di imbrattatori che ancora ci tormentano con i loro ignobili scarabocchi, non fu dovuta né a un inesistente talento ribelle né alla forza di volontà di una madre frustata e ambiziosa, ma all’occhio acuto di chi già negli anni Cinquanta cercava il matto giusto per promuovere la pazzia collettiva e l’uso generalizzato della droga, consapevole di quanto sia facile esercitare tutto il potere su un popolo debole di mente e incapace di scegliere, e sul quale si può riversare qualunque porcheria. Ed è proprio alla necessità di perpetuare questo genere di potere totale e perverso che va ricondotta una circostanza che dovrebbe invece far riflettere: all’immediata e praticamente universale riconoscibilità del sembiante di Andy Warhol e di molte delle “opere” a lui attribuite, corrisponde, come più sopra è stato detto, una conoscenza assai approssimativa per non dire assolutamente vaga di quella che fu in realtà la sua vita, proprio come se qualcuno avesse provveduto a far silenziare i non pochi testimoni oculari delle innumerevoli ignominie ascrivibili al più falso e ingannevole dei miti. Per esempio chi, tra i tanti cultori del bislacco personaggio, si è preso la briga di raccontarci quanto avveniva sotto la sua esclusiva regia nella mitica Factory da lui fondata? Arrampicatore sociale, abile come pochi, Andy era riuscito in giovane età a emergere dall’anonimato diventando l’amante di Truman Capote, il più famoso scrittore omosessuale statunitense dei primi anni Cinquanta: una formula abbastanza scontata per raggiungere la notorietà passando dalla porta di servizio che egli, pubblicitario per formazione, una volta diventato famoso, decise di vendere alle torme di giovani che sgomitavano per godere dei benefici che immaginavano di poter ottenere entrando nella sua orbita. Egli, infatti, prometteva a tutti “un quarto d’ora di celebrità” in cambio di un pegno che si riservava di esigere e che quasi sempre consisteva nello sfruttamento del loro corpo o del loro talento. Ma siccome l’avidità e la mancanza di scrupoli, in definitiva, non erano i peggiori elementi della sua natura assolutamente crudele e negativa, spesso il prezzo per non uscire dal cerchio di luce che egli era in grado di accordare saliva a dismisura e molti dei giovani irretiti dalla sua algida personalità e ancor più dalle droghe che nella Factory non mancavano mai, finivano per perdere la salute fisica assieme a quella mentale e, non di rado, anche la loro stessa vita. Mentre lui, cinico e perfettamente lucido (in quanto non personalmente dedito alla droga) era sempre lì, con in mano l’immancabile cinepresa, per filmarne l’abbrutimento derivante dalla decadenza fisica, le indicibili umiliazioni e perfino il momento estremo del trapasso che a volte avveniva a seguito di sfinimento fisico per assunzione di droghe e altro genere di veleni o per via del suicidio, a cui egli stesso aveva indotto il disgraziato di turno. Perchè la morte e il dolore degli altri lo affascinavano, quietavano, almeno per un po’, la sua invidia congenita in quanto lo risarcivano di quell’aspetto cimiteriale che la natura gli aveva dato e che risultava a lui stesso sgradevole.
Cominciare a far luce su tante realtà occultate è il presupposto indispensabile per far saltare il paraocchi che ancora oggi impedisce ai più di scorgere l’abisso verso il quale sono tuttora orientate quasi tutte le espressioni della nostra vita. Finalmente liberato il campo dai condizionamenti “anti-tutto” e dai pregiudizi verso le rare voci che nel corso del tempo hanno cercato, sempre invano, di indicare i luoghi del pensiero in cui erano state prefigurate tutte le tappe di questo lungo cammino di demolizione delle basi della crescita individuale e di una convivenza collettiva impostata sulla ricerca dell’armonia, sarà finalmente possibile capire quanto, in realtà, sarebbe stato facile evitare le infinite e multiformi trappole mortali disseminate in ogni angolo e lungo tutte le strade percorse da almeno due o tre delle ultime generazioni.
Restando nel campo dell’arte e a mero titolo di esempio, basterà porre attenzione al significato letterale dei punti programmatici del manifesto “dada”. Nato a Zurigo negli anni dieci del Novecento, il dadaismo è la corrente di pensiero a cui, a pieno titolo, può essere ricondotta la pop art e il fenomeno Andy Warhol. Nulla può essere più chiaro delle parole d’ordine contenute in questo proclama la cui attuazione, come appare evidente, al di là della pretesa (in verità già di per sé insensata) di rifiutare la tradizione in tutti i campi, a partire da quello artistico, non avrebbe portato alla libertà di espressione bensì all’ospedale psichiatrico. Che in seguito e sicuramente non per caso è stato abolito. Recita il manifesto:
1) Per lanciare un manifesto bisogna volere A,B,C; scagliare invettive contro 1,2,3; eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffondere grandi e piccole a,b,c;
2) Firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non plus ultra, sostenendo che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio;
3) Con il manifesto dada non si persegue nulla; chi scrive il manifesto è per principio contro i manifesti. E’ anche contro tutti i principi. Lo scopo è quello che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie in un unico refrigerante respiro;
4) Si è in favore della contraddizione continua;
5) Dada non significa nulla;
6) Non si ritiene di dover dare spiegazioni.
Utile fermare l’attenzione sui primi due punti. Essi delineano chiaramente il modello di comportamento abituale con cui ancora oggi si tenta di ridurre al silenzio coloro che propongono una chiave di lettura diversa rispetto a quella corrente o offrono un pensiero finalmente rigenerativo.

Miriam

lunedì 10 gennaio 2011

HERNST HAAS, QUANDO LA FOTOGRAFIA A COLORI DIVENTA POESIA


Hernst Haas, nato a Vienna nel 1921, fotoreporter tra i più quotati della prestigiosa agenzia Magnum dalla fine della grande guerra agli anni sessanta del Novecento, aveva già svelato nella fotografia in bianco e nero il suo straordinario gusto compositivo dell’immagine, ispirato sempre a un raffinato senso dell’ordine e dell’armonia, ma è stato uno dei primi ad usare la pellicola a colori fin dalla sua apparizione, esplorando questa nuova dimensione della fotografia con una sensibilità estetica e una capacità espressiva che nessun altro ha saputo eguagliare o, per lo meno, è riuscito a realizzare con la sua continuità immagini tanto originali e affascinanti lavorando in quasi tutti i generi fotografici, dai servizi giornalistici a quelli industriali e pubblicitari, dal reportage di costume a quello naturalistico e faunistico, dal ritratto alla documentazione d’ambiente, dallo sport alla fotografia di scena cinematografica (fu, tra l’altro, il fotografo preferito di John Huston, che lo volle al suo fianco durante la lavorazione de Gli spostati e de La Bibbia, ma documentò anche le riprese di altri film famosi come West Side Story, Moby Dick, Piccolo grande uomo, Hello Dolly), praticando le tecniche più svariate per restituire al meglio le caratteristiche del genere e inventando, tra l’altro, un metodo tutto suo per creare il “mosso” nella fotografia sportiva, ottenendo effetti sorprendenti e, come sempre, di grande suggestione estetica.Com’egli stesso ha avuto più volte occasione di spiegare, fotografare a colori è essenzialmente diverso dal fotografare in bianco e nero, perché “il colore non significa bianco e nero più colore, come il bianco e nero non è solo un’immagine senza colore. Ciascuno di questi mezzi richiede una diversa sensibilità nel vedere e, di conseguenza, una diversa disciplina”. Ed è anche più difficile fotografare a colori perché occorre, per farlo, una sensibilità “pittorica”, diversa da quella che riproduce la realtà nella dimensione semplificata del bianco e nero; quella sensibilità che ti fa cogliere ciò che armonizza una tinta con le altre e che, quando sono accostate, produce quella vibrazione sottile equiparabile a una musica, dando origine a una sorta di sinfonia visiva che avvince e seduce colui che guarda. Basta osservarle, le immagini di Haas, per constatare come egli possegga in sommo grado questa sensibilità pittorica. Le sue fotografie non sono solo immagini colorate, giacché il colore vi assume sempre il ruolo del protagonista assoluto. Ma non nel senso che appaia ridondante; al contrario, spesso è giocato su tinte morbide o cattura la luce sfumata di un ambiente o di un’ora particolare per restituire un’atmosfera, un clima, uno stato d’animo. In ogni caso, il risultato che Haas ottiene coi suoi scatti è sempre un’immagine di grande poesia e bellezza, sia quando vuol farci assaporare l’atmosfera che richiama il fascino dell’Oriente in un affollato accampamento di cammellieri del Pushkar, o quella, carica di nostalgia per il vecchio Far West, d’una mandria di cavalli al galoppo in una pianura del Texas; oppure vuol restituirci il senso di sottile tensione che pervade la sosta d’un gruppo di antilopi impala nella boscaglia del Kenia, o ancora la magia struggente del crepuscolo brumoso colto a Parigi dall’alto della Cattedrale di Notre Dame. Talvolta basta l’immagine più semplice del mondo, quella del mare che scaglia le sue onde verso la spiaggia, a creare, con le diverse gradazioni di colore verde azzurro e blu dell’acqua accostate ai bianchi della spuma e delle nuvole adunate in cielo, quella vibrazione ritmica che sprigiona la poesia e la musica.






Gli esseri umani, poi, sono colti con acume psicologico, talvolta con un pizzico di umorismo, ma sempre con rispetto e simpatia. Si veda il vecchio indù che offre all’obiettivo un volto accigliato ma non privo di orgoglio e fierezza di sé. O lo stupendo ritratto d’una giovanissima Joan Collins, prossima diva del cinema, dove la bellezza del soggetto viene puntigliosamente esaltata dalla veste rossa e sensuale su cui poggia la morbidezza delle braccia e del piede scoperto.




Perfino le immagini “mosse” obbediscono a quell’esigenza di armonia e di grazia pittorica che anima costantemente l’opera di Ernst Haas, così come l’eruzione di un vulcano, una fila di arlesiane in costume tradizionale, o una splendida fioritura di azalee.





Dionisio

lunedì 3 gennaio 2011

Bronzino

Si sta tenendo a Firenze, a Palazzo Strozzi, dal 24 settembre al 23 gennaio, l'importante mostra Bronzino, Pittore e Poeta alla Corte dei Medici: ideata dalla Soprintendente Cristina Acidini, dall’esperto Carlo Falciani e dal Direttore degli Uffizi Antonio Natali, è la prima esposizione di ampio respiro (durata quadriennale dei lavori) dedicata all'artista (Agnolo di Cosimo, 1503-1572), per cui un vero e proprio evento, nella stessa Firenze che lo ospitò come artista di corte e ritrattista della famiglia Medici, città in cui già erano conservati molti suoi lavori agli Uffizi e presso importanti Chiese della città.

(ritratto di Eleonora da Toledo col figlio Giovanni I, 1545, Firenze, Uffizi: si noti l’estrema cura per il dettaglio, l'abilità nel dipingere i tessuti e i gioielli, tanto che il sontuoso vestito di Eleonora, con le sue decorazioni, diventa quasi protagonista del dipinto. )

In quest'occasione è possibile tra l'altro vedere sue opere provenienti anche da collezioni di Canada, Australia, USA, Russia, Inghilterra, Francia, Germania, Spagna, Ungheria (a testimonianza anche di quanto fosse ampia la sua produzione e quanti capolavori inestimabili ci siano stati sottratti...).


(ritratto di Lucrezia de' Medici)

Tra i maggiori pittori italiani, anche poeta, rappresenta uno dei vertici del nostro Cinquecento. Protetto da Cosimo de' Medici ed Eleonora da Toledo, nei suoi ritratti rivela influenze da Michelangelo, Pontormo, Parmigianino: la critica dei decenni passati vedeva nella sua arte specialmente una ricerca quasi ossessiva di veridicità ottica, la realizzazione di immagini solenni come bloccate, sottratte al fluire del tempo, nel tentativo di eternizzare le figure ritratte.

(ritratto di Ludovico Capponi)

Indubbiamente questo aspetto è talvolta presente, specialmente nella ritrattistica, in cui si fa interprete di immagini da consegnare alla storia con intento celebrativo, di bellezza austera, in cui i canoni 'assoluti' della raffigurazione in qualche modo erano da leggere come il corrispettivo del potere assoluto mediceo.
Tra le caratteristiche ricorrenti va sicuramente segnalata la riproduzione dell'eleganza dell'ambiente della corte medicea, resa attraverso precisione e aristocratico splendore, levigatezza delle forme, plasticità, una ricerca coloristica fuori dal comune, nel rigore dei canoni di rappresentazione che Vasari intendeva tipica della ritrattistica di corte.

(ritratto di Lucrezia Panciatichi, 1541-45, Firenze, Uffizi)

Nella Cappella di Eleonora da Toledo in Palazzo Vecchio (1540-1545) Bronzino ripercorre le tappe del manierismo toscano, per esempio nel 'Passaggio del Mar Rosso' con le immagini distribuite in tasselli cromatici anche dissonanti, simbolici, messi in attenta relazione tra loro.


(Passaggio del Mar Rosso)

Lavorò anche a Pesaro presso la famiglia della Rovere, così come per i Doria, anche se la Firenze medicea è stato il suo scenario costante.


(Ritratto di Andrea Doria in veste di Nettuno, 1545-1546, Milano, Pinacoteca di Brera)

Per esemplificare il suo gusto per il simbolo e l'astrazione, si cita solitamente la famosa tavola con Venere e Cupido, interpretata ormai come l'allegoria di Piacere e Gioco: un compendio di simboli (il Tempo, la Gelosia) o una sorta di grande metafora nella presenza allusiva delle maschere, impeccabile nella cura formale.


(Venere e Cupido/allegoria del Trionfo di Venere, National Gallery, Londra: non presente alla mostra perchè non prestata)

Il suo mondo sembra intessuto di pura oggettività ottica, la levigatezza formale estrema è corrispettivo in qualche maniera dell'assolutismo fiorentino di Cosimo.
Le istanze di moralità e decoro richieste anche dalla Controriforma si notano per esempio nel ritratto di Laura Battiferri (dipinto tra il 1550 e il 55), moglie di Bartolomeo Ammannati e poetessa, 'donna dentro di ferro, fuori di ghiaccio' (Bronzino, Rime), anche se in alcuni episodi la sensualità fa capolino anche nella sua pittura.


Nel percorso della mostra è possibile stabilire parallelismi con Pontormo (nella cui bottega Bronzino lavorò), Cellini, Tribolo, Bandinelli, Allori (l'allievo prediletto).

(Venere, Amore e Satiro, 1553-55, Roma, Galleria Colonna)

La mostra si propone anche di mettere in evidenza la 'naturalezza' di Bronzino, così come era avvertita dai contemporanei, a dispetto di tanta storia della critica che tendeva solo a notare l'ufficialità della sua pittura, il formalismo, o l'appartenenza al Manierismo.
Per esempio, Giorgio Vasari, biografo attendibile specialmente per gli artisti fiorentini suoi contemporanei, nel 1568 pubblicò la “vita” del Bronzino, sostenendo: «era suo proprio ritrarre dal naturale quanto con più diligenza si può immaginare», i suoi ritratti sono «tanto naturali che paiono vivi veramente e che non manchi loro se non lo spirito».

(ritratto allegorico di Dante)

Altra particolarità dell'esposizione è la presenza di 3 dipinti creduti a lungo smarriti: il Crocifisso (per Bartolomeo Panciatichi), San Cosma (laterale destro della Pala di Besançon, in origine a Palazzo Vecchio nella Cappella di Eleonora di Toledo); l'altro inedito è un Cristo Portacroce, degli ultimi anni.

(dama con cagnolino, inizialmente di incerta attribuzione con Pontormo)

La mostra è ampissima e divisa in 9 sezioni:
_LA FORMAZIONE COL PONTORMO, GLI ESORDI, E POI PESARO
_PESARO
_IL BRONZINO E FIRENZE. I MEDICI
_IL BRONZINO E FIRENZE. I MEDICI
_IL BRONZINO E FIRENZE. I PANCIATICHI
_IL BRONZINO E LE ARTI
_TEMI SACRI
_I RITRATTI
_ALESSANDRO ALLORI: «IL SECONDO BRONZIN»


Abbinata concettualmente in qualche modo alla bella mostra su Bronzino, sempre a Palazzo Strozzi dall'1.10.2010 al 23.01.2010 si tiene anche la retrospettiva 'Ritratti del Potere-Volti e Meccanismi dell'Autorità': un'analisi su ritratto e rappresentazione-comunicazione del potere politico, economico e sociale nella contemporaneità con opere di Tina Barney, Cristoph Brech, Bureau d'etudes, Fabio Cifariello Ciardi, Clegg & Amp, Guttmann, Helmut Newton e molti altri.

QUI un interessante video sulla mostra.

Josh