venerdì 24 aprile 2009

La Primavera, il sorriso e le rose

Infiniti sono i componimenti dedicati alla Primavera, che l'hanno come protagonista, o presenza indispensabile sullo sfondo. Stavolta la scelta cade su due brani, insoliti e non famosissimi, ma che a mio avviso vale la pena ricordare. Insolitamente hanno in comune, oltre ad un accenno alla primavera, un inno alla giovinezza, e un uso condiviso di alcuni elementi: il sorriso, il prato, le rose (e come sempre una riflessione sulla vita e sull'amore). Il primo è di Gabriello Chiabrera (1552-1638) dedicato al sorriso di una donna. Nato a Savona, dopo la frequentazione del Collegio dei Gesuiti a Roma, fu a servizio del Card. Cornaro, e di varie corti. (dipinto Giuseppe Maria Crespi - Convito degli dei, Bologna, palazzo Pepoli, 1691-1706, affresco)


Ebbe notorietà per il "Poema eroico delle Guerre dei Goti" (1582), e compose moltissimo in versi: dal dramma per musica (Il rapimento di Cefalo, 1600), alla tragedia (Erminia, Angelica in Ebuda, etc.), alla satira (Sermoni, 1623-1632), anche se oggi è ricordato specie per le Canzoni e Canzonette (Genova 1586 e 1591). La caratteristica della sua poesia è una certa nota di classicismo, a cavallo tra Rinascimento e Arcadia, con qualche suggestione barocca. In realtà la cifra dell'autore è lo sperimentalismo metrico e linguistico: seppur ancora legato all’equilibrio e armonia cinquecenteschi, ripercorre forme e metri della lirica greca, la classicità di Pindaro, Saffo e Anacreonte, ma a un certo punto non può esimersi dal contaminare la sua classicità con il barocco: compaiono così nei suoi versi arditezze seicentesche, metafore, concettismi, giochi ad effetto di maestria ed eleganza.


Belle rose porporine, (1)
che tra spine

su l'aurora non aprite; (2)
ma ministre de gli Amori,


bei tesori di bei denti custodite.
Dite rose preziose,
amorose dite,

ond'è che s'io m'affiso (3)
nel bel guardo vivo ardente,
voi repente disciogliete un bel soriso?
E' ciò forse per aita di mia vita,
che non regge a le vostr'ire?
O pur è, perché voi siete tutte liete

me mirando in sul morire?
Belle rose, o feritate, (4)
o pietate del sì far la cagion sia,
io vo' dire in novi modi vostre lodi;
ma ridete tuttavia.
Se bel rio, se bella auretta
tra l'erbetta sul mattin
mormorando erra,
se di fiori un praticellosi fa bello,
noi diciam: ride la terra
Quando avvien, che un zefiretto
per diletto,


bagni il pie' ne l'onde chiare,
sì che l'acqua su l'arena

scherzi a pena,
noi diciam, che ride il mare.
Se giamai tra fior vermigli,
se tra gigli veste l'alba un aureo velo;
e su rote di zaffiro move in giro,
noi diciam, che ride il cielo.
Ben è ver, quando è giocondo
ride il mondo,ride il ciel quando è gioioso;
ben è ver, ma non san poi come voi/fare un riso grazioso.
Note: (1) Allusione alle labbra di una donna (2) come dire "non sorridete al far del giorno"(3) "ond'è ch'io" qual è il motivo per cui/ "m'affiso" mi fisso(4) feritate, crudeltà (dalle "Rime" di Gabriello Chiabrera, edizione di riferimento "Maniere, Scherzi e Canzonette morali" a cura di Giulia Raboni, Fondazione Pietro Bembo-Ugo Guanda, Milano-Parma 1998) Se ne ha una versione musicata da Giulio Caccini (1546-1618) "Aria Nona-Belle Rose Porporine" pubblicata nel 1601, n.22 ne "Le Nuove Musiche" Giuseppe Maria Crespi


Il secondo componimento è di molto successivo, e di tutt'altra impronta, scritto da Vittoria Aganoor. Nacque a Padova nel 1855, morì a Roma nel 1910. Compì i suoi studi con i maestri Giacomo Zanella ed Enrico Nencioni. Tradusse De Musset e Baudelaire. In Italia ebbe rapporti con Aleardi, D'Annunzio, Di Giacomo.


La bella bimba dai capelli neri
è là sul prato e parla e gioca al sole.
Io so quei giochi e so quelle parole;
rido quel riso e penso quei pensieri.
Son io la bimba dai capelli neri.
Ed anche io vedo una fanciulla bruna,
gli occhi sognanti al ciel notturno fisi.
Quante chimere e quanti paradisi
negli occhi suoi! Te li rammenti, o Luna,
gli occhi febei della fanciulla bruna?
Ora è stanca; la penna ecco depose.
E la man preme su le ciglia nere.
Di quanti sogni e quante primavere
vide sfiorir le immacolate rose?
Ora è stanca; la penna ecco depose.


Poesie complete qui


Dipinti : Gaetano Previati, la Danza delle Rose, 1908, Gardone, Vittoriale
Giuseppe Pellizza da Volpedo - Girotondo 2° (foto piccola) versione 1903 olio su tela 100cm. diametro Milano - Galleria d'arte moderna.
Autore: Josh

venerdì 17 aprile 2009

Concerti di musica sacra a Nova Milanese

Sembra quasi l'abbiano fatto per Il Giardino delle Esperidi, quasi per esaudire una nostra velata richiesta. Chissà se verrà replicato? Chiedevamo loro, indirettamente, a conclusione del mio post sui canti popolari sacri. E così il 5 aprile, la domenica delle Palme, quel concerto di brani sacri popolari è stato riproposto.


Nova Milanese ha cinque chiese, delle quali due, che sono abbastanza recenti, sono totalmente prive di barriere architettoniche. Poichè per quella domenicale reti Rai avevano organizzato una campagna di sensibilizzazione contro le barriere architettoniche, gli organizzatori del concerto sacro, per andare incontro a portatori di handicap, hanno rinunciato a ripetere il concerto tra gli splendori della chiesa parrocchiale di Sant'Antonino, scegliendo invece la pur bella chiesa di San Giuseppe. Da tale scelta, attenti osservatori hanno potuto constatare quanto siano altresì sensibili i dirigenti del Gruppo di Canto Popolare.
L'acustica è risultata a tratti migliore, tanto che, durante il recitativo, si è potuto lasciar suonare l'arpa elettronica di sottofondo,cui, invece, si era dovuto rinunciare nella volta precedente, per problemi di riverbero, dato che il suono dell'arpa sovrastava la voce recitante.
Ho potuto anche riascoltare un assolo di violino, un brano celestiale che mi è sembrato di Mozart, il quale ha fatto risaltare le doti virtuosistiche di una giovane eccellente violinista, sconosciuta, però, al grande pubblico.
Al di là del concerto, l'occasione m'è stata propizia per assecondare una curiosità circa l'aspetto predominante di questa Città: le Antiche Corti.





Occorre ricordare che a Nova Milanese sono sopravissute 31 cascine storiche, diventate poi corti di abitazione al termine dell'epoca contadina. Esse sono tuttora pulsanti di vita e molte di loro sono state salvate da demolizione certa, giungendo quasi intatte fino a noi, grazie soprattutto all'interessamento del Centro Culturale "Il Cortile", associazione volontaristica nata nel 1975 da una geniale idea di Mariuccia Elli. E' un gruppo assiduo di persone che si occupano del recupero, salvaguardia e sopravvivenza di luoghi, opere, tradizioni, manufatti antichi, ecc., degni di nota e degni quindi di essere tramandati intatti alle generazioni future. Di tale più ampia associazione fa parte il Gruppo di Canto Popolare, citato in questo e nel mio precedente post per l'eccellente spettacolo di drammaturgia sacra cui hanno dato vita.
Dal sopralluogo fatto in una di tali corti, la Corte degli Scuratti, situata nel centro della città, a ridosso di Piazza Marconi, è poi scaturita una curiosità ancor maggiore. Nel suo cortile vi si trova un'Antica Pira, segnalata all'ingresso della corte da un decoroso cartello segnaletico bilingue (dialetto e italiano) che dice: Corte degli Scuratti: Antica Pira. Accompagnata poi da una sintetica storia della Pira e dalle indicazioni per raggiungerla.
Il nome Pira m'ha subito evocato i Celti dell'epoca pre-Romana, che hanno abitato queste zone, a partire dall'inizio del quarto secolo a. c. I Celti, sappiamo, compivano sacrifici umani e incenerivano i loro morti, adagiandoli su massi o pire. Venendo ad epoche più recenti, nel Medio Evo, le pire venivano usate anche per eseguire determinate condanne a morte,bruciando a vivo i condannati (gli esempi più noti sono quelli di Giovanna D'Arco, Giordano Bruno, il Savonarola; e come, poi, non ricordare La Pira del Trovatore di Verdi).
Ma l'Antica Pira di Nova Milanese, per ora, può essere datata solo dal 1181. A quell'anno, infatti, risale il primo documento storico che comprova l'esistenza di Nova (Milanese è stato aggiunto nel 1928, con R.D. del 28 giugno, quando, con l'acquisizione dei territori di Trento e Trieste, tale precisazione diventa necessaria per distinguere il comune di Nova Milanese, da quelli di Nova Levante e Nova Ponente, appartenenti alla provincia di Bolzano).
Ma questo fatto, di per sè, fa pensare alla mancanza di qualche tassello nell'enorme mosaico che contraddistingue quest'area del Nord Milanese. Dei paesi intorno a Nova si sono trovati reperti che riportano le loro origini certe all'epoca celtica, romana, o immediatamente successiva. E' così infatti per Desio (Desium Burgus), Serenium Burgus (Seregno), Blasonum Burgus (Biassono), Cinixellum (Cinisello), Balsemum (Balsamo), Cuxanum (Cusano),Inciranum (Incirano), Palatiolum (Palazzolo), Varedeum (Varedo), Boisium (Bovisio), Vedanum (Vedano), Dugnanum (Dugnano), ma non è così per Nova Milanese.
E il "giallo" s'infittisce ancor di più se pensiamo che lo storico Daverio in un documento di proprietà dello storico novese, Angelo Baldo, afferma che "nel 1843 in Piazza Dugnani (l'attuale Via Madonnina) sono stati effettuati scavi archeologici per portare alla luce una tomba ritenuta appartenente al periodo pre-romano, ma senza alcun risultato; l'oggetto in questione si trattava, forse, di un antico pozzo" (da Storia di Nova, di Massimo Banfi e Angelo Baldo).










autore: Mario (Marsh)

giovedì 16 aprile 2009

Concerti di musica sacra a Nova Milanese: allegato


E' l'antica pira cosiddetta celtica descritta nel post precedente, che si trova all'interno della Corte degli Scuratti a Nova Milanese, via Mariani n. 6.
La pira della foto veniva usata anticamente per macinare le granaglie.

La foto è tratta dal sito ufficiale del Comune di Nova Milanese, nella relazione del PGT (Piano Generale del Territorio), allegato 2, pag.141, scheda 33/N. Sistema insediativo. Le corti nei nuclei di antica formazione.
Il documento comunale è stato divulgato, mediante immissione in rete, in data 10 marzo 2010, successiva, quindi, alla pubblicazione del post originario.
La presente aggiunta è stata effettuata in data 6 novembre 2010

domenica 5 aprile 2009

La domenica delle Palme e la S.Pasqua

Ci fu un tempo che oggi mi appare remoto dove la mia vita subiva la scansione del calendario gregoriano. Si onoravano tutte le festività: i santi, i beati, i patroni del villaggio e di quelli adiacenti con relative processioni e le fiere. E di tutte le festività, la mia preferita era la Pasqua, ancor più del Natale. Allora c'erano dei perchè non dissimili da quelli d'oggi: i giorni che si allungano fino a tarda ora, il risveglio di una natura festante, il tripudio di fiori... E le galline di mia nonna che facevano le uova e i pulcini di nuova covata. Mia zia mi portava dalla sua sarta perché mi confezionasse un nuovo elegante vestitino primaverile. Mia madre mi comprava le scarpe bianche un po' decolleté da bambola (col cinghino alla caviglia allacciato da un bottoncino) e dovevo preservarle immacolate per la giornata pasquale. Eppoi c'era l'uovo di Paqua di cioccolato fondente (il mio preferito) con le incrostazioni in zucchero. Oggi amo la Pasqua perché non si è costretti a passarla tra parenti come il Natale. Non ci sono fatui regali da fare e da ricevere né corse ai negozi affollati. I pranzi sono leggeri e a base di verdure di stagione. Gli alberi gemmano e fioriscono in veli rosa e bianchi, e il tintinnio giubilante delle campane m'infonde allegria
La domenica delle Palme si andava al mattino presto dal fiorista a comprare le palme dalle lunghe foglie lanceolate nuove di un bel verde-giallo tenero, intrecciate manualmente fino a farne delle piccole sculture vegetali. A Sanremo li chiamano parmureli e sono diffusi per tutta la Riviera Ligure. Costavano care e mia madre me ne comprava una non molto grande. Mentre io l'avrei voluto gigantesca come quella che portava il parroco quando officiava la Messa. Poi c'era il momento solenne della benedizione nel quale alzavo la mia palmetta circondata da una "asparagina" (così la chiamavo) di rametti d'ulivo verde-argenteo più scuro e aspettavo che un po' di quell''incenso profumato si aspergesse su di me e sulla palma che riportavo a casa come se dovesse propiziare chissà quali benefici sulla mia vita. Quindi mia madre e mia zia, durante la settimana di Passione mi mandavano in chiesa per la Via Cruicis, dove le donne invocavano iterazioni ossessive sulle piaghe del Signore. Queste donne coi loro cantici monotoni mi impressionavano alquanto. Nel mentre, il sacerdote con i chierici percorrevano le stazioni del Gòlgota di un Cristo sofferente. Era un' età dove si aderisce ai riti e alle cerimonie senza spiegarseli. Lo si fa con la curiosità e l'entusiasmo dei bambini. Perfino il sepolcro mi pareva una festa di luci, di profumi di ceri accesi, di azalee e tuberose, e non qualcosa di mesto. Una strana pianta dai pallidi e lunghi germogli era lì in bella vista su una ciotola di rame brunito accanto all'urna del Signore.
Erano i lupini. Ovvero i germogli di luppolo. Mia madre mi aveva raccontato la sua leggenda. Quando il Signore venne braccato dai soldati lui si nascose in mezzo ad un campo di lupini , ma questi si misero a fremere e a sibilare palesando la sua presenza. I soldati lo videro e lo catturarono. Non so quanto ci sia di vero in questa leggenda agiografica tramandata per via orale e che non ho mai visto riscritta. So che nell'Italia del Sud mettono nei sepolcri germogli di fagioli, di ceci, lenticchie e anche di lupini quasi a indicare che pur nella morte, la vita germoglia, segue il suo corso, continua. E forse per propiziare questa continuità.
Poi ci sono i dolci pasquali o le torte salate di verdura, come la torta pasqualina fatta per la ricorrenza.
Il numero delle sfoglie sta a ricordare gli anni di Gesù e queste 33 sfoglie erano chiamate dalle nostre nonne le 33 bellezze. Se proprio non ve la sentite di assoggettarvi a tanta fatica, potrete ridurre il numero delle sfoglie e potrete stenderle con la macchinetta con la gradazione più sottile tirandole poi ancora un pochino con le mani.
Questa torta salata deve il suo nome alla tradizione che la vuole obbligatoriamente nel menù del pranzo pasquale. La sua preparazione è lunga e laboriosa ma il risultato merita tanta fatica. Ecco il link della ricetta.
Mia sorella in occasione di un suo viaggio a S.Pietroburgo in Russia mi ha raccontato che nella tradizione pasquale cristiano-ortodossa si usa ancora portare le uova in chiesa e i dolci fatti con queste, per farli benedire. Peccato che una simile usanza non si compia anche nelle nostre chiese. Trovo che sarebbe molto bello. In fondo ha a che fare col "dacci oggi il nostro pane quotidiano". E l'uovo è principio di vita. Una vita che si rinnova col rinnovarsi della nuova stagione. Buona Pasqua agli Esperidi e a tutti i navigatori e visitatori!
Hesperia