lunedì 21 dicembre 2009

Il mistero del Natale


L'amico Marcello, del blog Aquaeductus, si complimenta spesso con autori di questo blog; dimostrazione di stima che effettua mediante la ripubblicazione, da lui, di nostri post. Oggi, gli rendo la cortesia, ripubblicando il suo ultimo: Natale toscano.
"In Toscana è molto sentita la tradizione del presepe, la “capannuccia”, come solitamente si usa dire nel linguaggio comune, una sineddoche più che giustificata dato che, la parte più importante del presepe, è proprio la capanna della Natività, con tutta la sua simbologia religiosa e spirituale. L’ambiente circostante è solo un panorama complementare, quasi sempre avulso dalla realtà storico-geografica mediorientale. Il paesaggio è quello tipico dell’ appennino toscano, con molto verde, rappresentato dall’immancabile borraccina e dal muschio, con piccoli casolari, intagliati nel legno, nei colori caratteristici e nelle forme architettoniche peculiari della regione. Sulle aie animali da cortile in gesso ed i classici pagliai, oggi del tutto scomparsi dal panorama toscano, che, insieme ad ampie scorze di corteccia di sughero, a piccoli ruscelli, in carta stagnola ed a laghetti di specchi, completavano il presepe domestico o delle chiese più povere. Modesti doni portati dal Bambinello, quasi sempre dolciumi per i più piccoli, venivano posti alla base del presepe, quasi a simboleggiare l'innocenza. Un abete, con addobbi molto semplici, rispondenti all’antica tradizione nordica, frutta al posto delle insignificanti palle, fievoli e tremanti fiammelle delle candeline di cera al posto delle odierne sfavillanti e multicolori lampadine, allietava il soggiorno. Il prevalere, pertanto, della semplicità, del simbolismo e dell’atmosfera gioiosa e nello stesso tempo spirituale della Natività, sul materialismo della vita quotidiana. Poi venne il progresso, il boom economico, babbo Natale e la festa divenne occasione per dimostrare lo status symbol, il raggiunto benessere, i regali divennero costosi, appariscenti, quasi sempre inutili ed elargiti a tutti i conoscenti, col preciso scopo di farsi notare. Nei presepi comparvero le statuette di pregio, gli effetti luminosi speciali, gli alberi di natale furono addobbati riccamente, le tavole imbandite per novelli Pantagruel, in pratica un ritorno ai pagani saturnali, che, nell'antica Roma, si celebravano proprio in questo periodo. La vuota esteriorità prese, e continua ad avere, il sopravvento sul significato più profondo della Natività che è la redenzione dell’uomo."

Dopo averlo letto, la "tentazione" di parlare del Natale della mia infanzia, è stata forte. Un'infanzia trascorsa nelle campagne del cremonese, negli anni '50, quando i doni venivano portati da Santa Lucia, in groppa al suo somarello, perchè cieca, nella notte tra il 12 e 13 dicembre -, o di quello di mia moglie - cresciuta in un paesino della Sicilia Sud-Orientale, là dove, negli anni della sua infanzia, e ancora per parecchio tempo dopo, "la parola mafia era solo un vago aggettivo..." e dove era "ancora possibile cogliere qualche reliquia della serenità del vivere, del toccare a momenti - fuggevolmente, con tenerezza e rimpianto - il giusto della vita...", come ha scritto Gesualdo Bufalino -, là dove, per l'appunto, i doni ai bambini venivano portati da parenti defunti, per lo più i nonni, nella notte tra l'1 e il 2 novembre. Ma la frase conclusiva del post di Marcello - "La vuota esteriorità prese, e continua ad avere, il sopravvento sul significato più profondo della Natività che è la redenzione dell’uomo" - ha sviato la mia mente dal proposito iniziale, deviandomi a scrivere di un passaggio cruciale della mia vita. Il blog è, infatti, anche diario personale, e la parola redenzione, evocata da Marcello, ha agito su di me, facendo riemergere i ricordi di una mia rinascita, annullando così quel proponimento iniziale.

Gli anni '70 furono per me un periodo abbastanza burrascoso e tormentato: avrei anche potuto perdermi. Ebbi la fortuna, in quegli anni, di avere tra i clienti la Editrice Letture, Rassegna del Libro e dello Spettacolo. Essa è un'emanazione diretta dei Padri Gesuiti di San Fedele a Milano. A dirigere la rivista, era, in quegli anni, padre Alessandro Scurani. Io, venditore di carta da stampa, ebbi così la possibilità di poter intrattenere con lui un periodo di breve, ma intensa e proficua amicizia. Le mie visite di routine si prolungavano oltre misura, per parlare unicamente di Gesù e dei Vangeli. In quegli anni aveva curato la messa in stampa di una mirabile edizione dei Vangeli, quella, appunto, edita dai Padri Gesuiti, che è il massimo, in tema di Vangeli, che si possa avere. Ne acquistai da lui una copia, con dedica ad personam: "in segno d'amicizia".

Padre Alessandro Scurani è venuto a mancare negli anni '90, ma è ancor oggi ricordato dai giornalisti più attempati, per gli accesi contrasti avuti con l'agnostico e mangiapreti per eccellenza, Indro Montanelli, su questioni inerenti la fede.

Lessi e rilessi il testo dei quattro evangelisti, abbastanza avidamente, ripromettendomi di rileggerli unitamente a commenti, note e storiografia, che sono la parte più corpulenta ed interessante dell'opera. Un'operazione, questa, che richiede tempo, passione, attenzione e forte coinvolgimento; ciò che è possibile fare solo per gradi e su lunghi lassi di tempo, come in effetti è stato, e continua ad essere.

Comunque, e per chiudere il cerchio, la scoperta e lettura di quello, e di quel Vangelo, coincise con una mia prima rinascita - quella che Marcello ha inteso chiamare come redenzione - a cui, poi, ne sono succedute altre. Sul finire degli anni '70, forse anche grazie alla scoperta "consapevole, consenziente e ragionata" dei Vangeli, la mia vita "ingranò una marcia giusta" e le cose cominciarono a "funzionare" indubbiamente meglio.

venerdì 11 dicembre 2009

L’arte che provoca non è arte, e la Bellezza è nei piccoli gesti

Con Roger Scruton filosofo, columnist, compositore e “provocatore” in un mondo dove la ragionevolezza è diventata “provocazione”, e la provocazione “saggezza”, condivido alcune idee riguardo l’Arte e la Bellezza e come lui “rifiuto buona parte dell’estetica moderna”.
Mi ha molto colpito questa sua intervista. Non tutta l’arte ha ripudiato il concetto di bellezza
“Solo quella che fa più rumore, e che ne guadagna più pubblicità lo ha fatto”.
Nelle arti visive il fenomeno è molto evidente: “ci sono molti artisti che mantengono un’idea di bellezza, che creano opere figurative che alle grandi mostre non arrivano. Arriva invece la cacca dissacrante, che sta lì per il semplice motivo che è offensiva. Il pubblico ordinario non apprezza questa roba. Molti intellettuali non la amano. Ma nessuno dice che è spazzatura”.

Questo ovviamente sempre in certi ambiti riportati dal gran megafono mediatico, che si sa non è propriamente “super partes” e alieno a interessi di cassetto.
Perché per ogni amante dell’Arte la “cacca è cacca” e non solo è offensiva allo sguardo, ma anche all’intelletto: solo un beota senza cervello che non capisce nulla di Arte può applaudire a certe sconsiderate bruttezze. E solo un cinico “bottegaio” può proporre la spazzatura come Arte. Se si sottomette l’Arte al “vil denaro” cioè si “crea” o si finge di creare per guadagnare tanto, ogni confine viene varcato anche quello dell’humama pietas e procurare morte e sofferenza ad un essere vivente, diventano l’indegna provocazione per garantirsi “onore e gloria”, ma soprattutto un solido conto in banca…

Com’ è pur tristemente vero che
“ci sono molti Artisti che mantengono un’idea di bellezza, che creano opere figurative che alle grandi mostre non arrivano” è il caso di un amico fraterno del mio buon amico Il Berretto a Sonagli, Francisco Fernandez “un vero Artista” che “Non si piega a compromessi e per questo, il suo talento non é stato valorizzato come sarebbe giusto” (copy right BaS..).
Parlare di quanto sia stato “disintegrato” il mondo dell’Arte dal malcostume sopra menzionato comporterebbe una conoscenza del tema molto più vasta della mia, che è solo il “grido” di dolore di un’amante del Bello.
Ritornando a Scruton:
“C’è una sorta di apprezzamento istituzionale per lo shock, spesso si confonde l’opera d’arte scioccante con l’originalità. E questo non c’entra niente con la vita normale. Invece voglio parlare della bellezza nella vita normale, senza nemmeno riferirmi all’arte. Nella vita che ognuno conduce ci sono momenti di bellezza. Anche solo apparecchiare la tavola in maniera bella. Vestirsi bene per uscire la sera. Se si eliminano questi momenti, si eliminano i veri momenti importanti della vita”.
L’Arte infatti in primis è negli occhi di chi la guarda. Se non c’è questa sensibilità anche l’immortale Venere diventa “una sguinzia al mare” e i "gabinetti" finiscono nei musei…(mi perdonino gli amanti di Duchamp…se ce ne sono…).
Quando si ha il dono di questa sensibilità anche “apparecchiare una tavola” con cristalli e pizzi al tombolo diventa Bellezza, e la vita una gioia vissuta in ogni istante.

Per concludere Scruton nei suoi libri dà grande risalto alla Tradizione, quella occidentale, quella Cristiana, quella del suo Paese.
“Nel XIX secolo. Si diceva che con Wagner e Baudelaire tutto fosse andato sottosopra, e che l’arte occidentale fosse finita. Ma cinquant’anni dopo c’erano geni come Yates, Pound, Montale. Pensiamo ai film di Fellini. Come li possiamo spiegare? Solo se li connettiamo a una tradizione antica. Fellini ha riattualizzato, anche con il suo modo di fare regia, la commedia dell’arte. Bene, dobbiamo fare così. Dopotutto, pensiamoci, il futuro non esiste. Non abbiamo altro che il nostro passato per costruire. Dobbiamo guardarci dentro e cercare modelli, esperienze, cose perdute”.
Una consiglio saggio per una società che ha indossato gli “stivali del multiculturalismo” per correre incontro al baratro che se la inghiottirà: l'arretratezza dell'attuale mondo islamico.
Aretusa

giovedì 3 dicembre 2009

Fumetti, passione segreta

Da bambina mi vietavano la lettura dei fumetti, perché dicevano che l'eccesso di immagini impediva di concentrarsi sulla lettura come si fa invece con i buoni libri. Inoltre il fumetto era accusato di limitare la fantasia evocativa suscitata dalla parola scritta. Poi venne il periodo della conversione ai fumetti d'autore. Specie dopo che Buzzati stese i suo Poema a fumetti.
Mi piaceva leggere le sequenze di nuvolette e in seguito imparai a capire che una serie di pallini sotto la nuvoletta, voleva dire che il personaggio stava pensando, e che se la nuvoletta era tratteggiata, i personaggi parlavano sottovoce, mentre se era irta di punte, i personaggi gridavano.
Ma torno a quando di nascosto andavo dall'edicolante e comprarmi Il Monello o quando mi facevo prestare di nascosto L'Intrepido dal mio vicino di pianerottolo, perché secondo mia madre "non sta bene che una bambina legga i fumetti dei maschi". Ricordo con tanto affetto le strisce di Superbone, di Arturo e Zoe e soprattutto di Pedrito el Drito che pigliava sempre delle gran legnate in testa da sua moglie, l'irascibile Paquita, tutti eroi ingenui del Monello.  Su Topolino invece avevo licenza di lettura. Ma della banda Disney,  io preferivo di gran lunga Paperino perché era più pasticcione,  sfigato e non la sapeva così lunga come quel dannato Topo detective.
Tra i miei preferiti di adolescente però resta la Banda TNT di Alan Ford. Perchè mi piacesse questa sarabanda di poveri sgangherati che avevano un negozio di fiori a paravento delle loro improbabili attività di agenti segreti, è  presto detto. Forse perchè avevano una connotazione grottesca, sarcastica e un po' trucidona in stile Italietta del vorrei-ma-non -posso. E perché come agenti segreti non valevano un piffero. I fumetti di Bunker e Magnus (questi gli  autori della banda TNT) contengono un sapiente miscela di avventura, umorismo e presa in giro della società italiana che sfocia spesso nello sberleffo. Non parliamo poi del leggendario Superciuk e della trovata di rubare ai poveracci per dare ai ricchi. I poveri infatti erano accusati di tenere sporche le strade e di vivere nei tuguri malsani, in perfetto disaccordo col correttismo politico sessantottino di quegli anni. La moglie Beppa Giosef (foto sotto a sinistra) poi con i bitorzoli sul naso e i peli il mento era sorta di gansteressa  racchiona e  insolente. Il bello è che si permetteva pure di essere  fedifrega e andava a caccia di giovanottoni.

 Diabolik lo leggevo in spiaggia durante le mie azzurre e interminabili giornate estive,  ma dopo un po' me ne stufai,  perchè divenne troppo prevedibile. Quell'ispettore Ginko, mai una volta che realizzasse un bel colpo e acciuffasse lui  e la sua complice, la bionda Eva Kant.

In seguito si volle dare una connotazione intellettuale al fumetto e nacquero Valentina, eroina di avventure erotiche più immaginarie che vere e Corto Maltese  (foto in alto al centro) forse uno tra gli eroi a me cari perché romantico-avventuroso, sognatore, ma soprattutto viaggiatore. Bella l'idea di Hugo Pratt di far nascere il personaggio a La Valetta di Malta da una zingara e da un marinaio di Gibilterra.
Dino Battaglia su Linus (che già furoreggiava con Schulz ed altre strisce) catturò la mia fantasia con le storie del Santo Graal e coi racconti di Hoffmann. Fu grazie a lui che poi scoprii la fiaba del Mago Sabbiolino di Eta Hoffmann. Dunque non è poi così vero che il fumetto allontana dalla vera narrativa. In molti casi se ne ispira e ci riconcilia felicemente con questo mondo.  Come fece in Francia Jacques Tardi con "Il Viaggio al  termine della notte" di Céline. Forse quella del fumetto, più che una vera lettura è una sorta di racconto emozionale, una suggestione, una reminiscenza infantile che custodiamo negli scaffali delle nostre case e della nostra memoria, quasi come un album di fotografie.

Hesperia

giovedì 26 novembre 2009

Vedute

Tra tanti generi di pittura, esiste anche la 'veduta'.
Uno dei maggiori vedutisti è Giovanni Antonio Canal, più noto come Canaletto (Venezia, 1697-1768). I suoi dipinti mostrano grande cura nella resa della natura, del paesaggio, della topografia, con attenzione particolare alle connotazioni architettoniche. All'inizio le vedute sono 1)'vedute ideate' e 2)'capricci': 1)elementi architettonici presentati con cura ma estratti da contesti propri e reinterpretati in scene immaginarie, 2)l'altra tipologia sono paesaggi immaginari con rovine e monumenti.
Ma Venezia del Settecento riunisce l'estetica della veduta e lo spirito illuministico. Il diffondersi delle idee illuministiche e razionalistiche fanno sì che Canaletto adoperi, ad un certo punto, per le sue vedute, un'idea scientifica dell'immagine, realizzata mediante studi sulla prospettiva e sulle capacità dell'occhio, sulle teorie del punto di vista. Si serve infatti anche della camera ottica.
Lo strumento è in realtà molto più antico, ma se ne fa grande uso in quest'epoca che richiede una visione analitica, capace di una veridicità inedita. Sull'immagine dal vero proiettata dallo strumento l'artista realizza sì uno schizzo, ma alla fine la calibratura dei volumi, le coloriture ricche rimangono artistiche e personali, non solo 'copiate' dall'immagine riflessa.
Di seguito la sua "S.Cristoforo, S.Michele e Murano", precisa, ma ugualmente vibrante, immersa in un'atmosfera dorata:




Anche il genere della veduta nasce in precedenza: alla fine del '500 a Roma, nel '600 come rappresentazioni di ruderi e antichità, solo alla fine del '600 si caratterizza come veduta realistica. E' diffusa anche nel Seicento al Nord, ha successo in Olanda e tutta Europa, a volte per mostrare a chi non poteva viaggiare quali sarebbero stati gli scenari d'arte e città del Grand Tour: chiaramente in Italia dove gli scorci architettonici sono sempre stati più numerosi e ricchi, trova terreno fertile nella rappresentazione delle grandi città d'arte, ora con taglio fotografico-realistico, ora con effetto quinta architettonica-scenografia.



Ma ci sono numerose e precisissime vedute del Canaletto anche di città estere. In realtà Canaletto ricrea il genere della veduta trasformandolo quasi in 'paesaggio razionale', superando, con le sue aggiunte stilistiche personali, il precedente olandese Gaspar van Wittel. Per affrontare il genere della veduta, il fruitore può ammirare la precisione della pittura, ma col tempo all'interno dei canoni del genere, può rendersi conto che non si tratta solo di "maniera" (anche se di una splendida maniera) o di ritratto oleografico di città, ma una forte personalità nel tratto, nella resa, è comunque presente.

Altro grande vedutista è Bernardo Bellotto (Venezia, 1721-Varsavia 1780).



Nipote di Canaletto (e a volte confuso con lo zio) dopo l'apprendistato presso le maggiori città italiane, e ovviamente Venezia, sarà di casa presso grandi Capitali europee. Rispetto alla pittura del precedente, Bellotto sottolinea maggiormente i dettagli architettonici, accentua rese veristiche quasi fotografiche, ma aggiunge una sorta di drammaturgia della visione: i cieli sono profondi, spesso in movimento, il gioco chiaroscurale sottolinea una sensibilità più drammatica e meno olimpica.



Si trasferisce a Dresda sotto il patrocinio di Augusto III nel 1747. Sarà ancora a Vienna, a Monaco, prima degli ultimi anni di vita a Varsavia (la precisione delle sue vedute di Varsavia sarà utile anche per la ricostruzione della città dopo la II Guerra Mondiale).
Il suo modo di rappresentare Dresda è particolarmente interessante, come parte della storia della città stessa che assume un valore paradigmatico.



La città si trova sul Fiume Elba, è oggi patrimonio dell'Unesco, era chiamata "Firenze sull'Elba". Dresda conta, nel corso della sua storia, numerose distruzioni: nel 1491 a causa delle fiamme; poi ad opera dei bombardamenti prussiani nel 1790; durante le rivolte per la richiesta della Costituzione nel 1849, stagione dei moti; è stata quasi completamente rasa al suolo nei bombardamenti americani del 1945 (a febbraio, marzo e aprile). Dunque Dresda può rientrare nel novero delle città dolenti, e più volte cadute nella polvere,
d'Europa.
La Dresda rappresentata da Bellotto è, storicamente, quella del bombardamento del 1760: mostra una città colpita nel suo cuore simbolico più autentico, e anche il quadro rappresenta uno shock rispetto alla continuità della sua figurazione abituale. "I resti della Kreuskirche":




Il periodo, per esattezza, è la Guerra dei 7 anni. L'alleanza austro-russa si accinge ad attaccare Federico II di Prussia. Federico riesce a far breccia preventivamente in Sassonia e attacca violentemente Dresda.
La distruzione è epocale, la città subisce un grave bombardamento. Anche la dimora dell'artista è distrutta, con quanto di prezioso conteneva.
Bellotto nella rappresentazione della città violata continua ad adoperare il suo stile vedutista con influsso illuminista, ma nel quadro, pur dipinto secondo i canoni consueti, trapela una grande drammaticità.
La scena mostra la Piazza, i resti della grande Chiesa di Santa Croce, con il centro della città sullo sfondo morto: pare di cogliere, della distruzione, le pietre staccatesi dagli architravi, l'impressione è di respirare la polvere in maniera tangibile, sembra lo scenario di una grande Caduta.
Il quadro è chiaramente un altro capolavoro, anche se in memoria di un fatto tragico.
La storia poi accatasta distruzione su distruzione. L'emozione negli occhi di chi guarda aumenta se ci si ricollega alla successiva distruzione di Dresda che conosciamo più da vicino, quella americana del 1945. In quest'ottica il dipinto sembra profetizzare in maniera simbolica un destino sinistro.

Nella successiva DDR Dresda diviene uno tra i più importanti centri industriali. La potenza industriale dell'altra parte di Germania, lo stile di vita, le possibilità di libertà non eguagliano le condizioni degli altri paesi europei, e nemmeno l'altra metà del paese. Per i tedeschi dell'Est si tratta ancora di una nuova ferita. Visti oggi, sanno che non si stava meglio quando si stava peggio, eppure la risalita è lenta e faticosa, e lo si ricorda ora che da poco si è celebrata la caduta del Muro.
Si ritrovano consegnata una democrazia recente e un capitalismo che li può divorare, come fatti dall'esterno, liberati sì ma lasciati anche soli. La ricostruzione di Dresda dopo i bombardamenti USA incominciò negli anni del socialismo, proprio grazie ai dipinti dettagliati di Bellotto, usati come una guida, una pianta, una memoria. Ma anche il regime DDR cancella a Dresda altre tracce di memoria e d'arte, Vie storiche, per operare la consueta tabula rasa iconoclastica. Prima, nel bombardamento USA, era rimasta distrutta anche la Frauenkirche, chiesa barocca importantissima per la città (oggi ricostruita).

Di nuovo il fruitore può sobbalzare, davanti al quadro di Bellotto, SE ha consapevolezza del presente,
pensando alle chiese profanate di recente in Kossovo.
Il dipinto di Bellotto su Dresda caduta ha tanto da insegnare ancora oggi, assume purtroppo valori metaforici sempre nuovi nella contemporaneità. Anche in visione di tante iniziative, fatte passare come "magnifiche sorti e progressive", della "nuova" idea d'Europa, spersonalizzante e sradicata.


JOSH

venerdì 20 novembre 2009

Venezia per tutti, tutti per Venezia

"Sono i cittadini a fare la città": frase
coniata da un ex contadino, mio conoscente, a cui piace inserirla nei discorsi, quando gli vien chiesto se sia meglio viveve in città o in campagna. Frase enunciato valido per Venezia, che, al diminuire incessante del suo numero di cittadini, potrebbe perdere il diritto di chiamarsi città. Ipotesi assurda, ma non tanto. Dal 1600 in poi, Venezia è andata progressivamente spopolandosi, perdendo il ruolo di seconda metropoli più popolata d'Europa; dopo Londra, che invece ha mantenuto e consolidato il primato costantemente nel tempo. Con i suoi 200.000 abitanti, Venezia era la seconda città del mondo occidentale, per numero di abitanti, durante il Rinascimento. Un numero molto elevato, se consideriamo che Roma, all'inizio del '500, aveva appena 85.000 abitanti, e 100.000 un secolo più tardi.
Per sensibilizzare l'opinione pubblica sul decremento demografico di Venezia, dovuto al deflusso progressivo e inarrestabile dei suoi residenti, sabato 14 novembre è stato inscenato il Funerale di Venezia. Una bara addobbata di tutto puntino, racchiusa in un manto color fucsia, incoronata di fiori e con la scritta"I Cittadini Veneziani", contenente simbolicamente il "cadavere" della città di Venezia, è stata trasportata da una "balotina", con quattro vogatori che le hanno fatto percorrere tutto il Canal Grande, passando sotto il Ponte di Rialto con arrivo alla sede del Municipio Cà Farsetti. La cerimonia è descritta da Fausto nel suo blog, con dovizia di particolari. Dati inoppugnabili testimoniano il progressivo spopolamento della città, che, alla lunga, potrebbe causarne la "morte". Nell'immediato dopoguerra Venezia aveva ancora 150.000 abitanti. Ridotti a metà negli anni '80, secondo dati da verificare ci sarebbero attualmente (ottobre 2009) 60.020 abitanti residenti. Di questo passo Venezia è destinata a diventare una sorta di Disneyland, frequentata solo da pendolari addetti alle varie attività e servizi turistici, e dai turisti stessi.
Fausto, veneziano da tante generazioni, forse tra i pochi appartenenti a questa sorta di specie in via d'estinzione (nella quale possiamo sicuramente includere l'attore veneziano Lino Toffolo), rimasto fedelmente a risiedere in città - dove gestisce un albergo economico - ne conosce assai bene storia e vita, abitudini e modo di vivere dei suoi concittadini. A suo parere, l'esodo dalla città lagunare per andare a risiedere sulla terra ferma, è dovuta agli affitti troppo elevati. E ad ogni trasloco, cui ha modo di assistere, vede scomparire una parte viva della città, rammentandogli la lenta agonia e la morte cui è destinata, se non si riuscirà a bloccarne l'emorragia.
Confidando nella Divina Provvidenza, affinchè risparmi al mondo la catastrofe che prevedono si verifichi, causata dall'effetto serra, per rivitalizzare Venezia c'è un unica strada percorribile, le cui idee verranno esposte nell'altro blog: ecopolfinanza .
Ma le cause dell'esodo sono forse anche altre. Nell'epoca degli agi e dei confort portati dalla motorizzazione di massa, Venezia, pur mantenendo integro il suo fascino unico al mondo, non può dare quel genere di confort che invece potrebbe essere fornito mediante un uso intelligente delle automobili. Col progresso, Venezia è quindi diventata città difficile da vivere, soprattutto per i non più giovani o per chi è affetto da patologie o da postumi di incidenti invalidanti. La fitta presenza di canali (ve ne sono circa 200 nel centro storico) e relativi ponti per poterli attraversare (ve ne sono oltre 400 in tutta Venezia), costituisce un forte deterrente per le famiglie che volessero andare a vivere a Venezia, e una barriera reale al libero movimento di persone con handicap motori. Vorrei sbagliare, ma credo che nelle valutazioni di chi intende lasciare Venezia per andarsi a stabilire sulla terraferma, vengono prese in considerazione anche tali infauste eventualità. A completare il quadro sui motivi che sconsiglierebbero di "metter su casa a Venezia" vi sarebbe poi il catastrofismo messo in piedi dai teorici del global warming. In assenza di adeguate politiche globali, volte a salvaguardare le condozioni di vita sulla terra, potremmo assistere all'innalzamento del livello del mare fino a sei metri, con la conseguente andata sott'acqua di Venezia. Sarebbe una tragedia di portata biblica, forse paragonabile a quella del Diluvio Universale, che priverebbe l'Umanità di una delle sue Perle più belle: Venezia.
Tralasciata questa molto malaugurata ipotesi, soffermiamoci per ora su quanto l'Amministrazione Comunale di Venezia ha fatto, con mio grande stupore, negli anni appena trascorsi, e quanto ancora sembra determinata a fare proprio in favore dei disabili e degli anziani, siano essi turisti che residenti. Le passerelle allestite per agevolare e rendere meno faticoso l'attraversamento dei 13 ponti - di cui 6 in Fondamenta delle Zattere (vedere http://www.alloggibarbaria.blogspot.com/2008/11/fondamenta-delle-zattere.html ) e 7 in Riva degli Schiavoni - da parte dei circa 7000 atleti che il 25 ottobre scorso hanno partecipato alla Venice Marathon 2009 - la maratona di Venezia giunta alla 24a edizione - resteranno montate e funzionali fino all'11 febbraio 2010, data di chiusura del Carnevale di Venezia. Alla maratona ha partecipato anche un gruppo di disabili, partiti con 15 minuti d'anticipo rispetto ai concorrenti normodotati, capeggiato da Alex Zanardi, lo sfortunato pilota di Formula 1, che ha perso l'uso delle gambe nel noto incidente di gara. Sono chiari segnali d'attenzione dell'amministrazione comunale veneziana verso i portatori di handicap motorio, ai quali stanno cercando di rendere il più accessibile possibile, e quindi godibili, le bellezze di Venezia anche per loro. Almeno una volta nella vita, fare un giro per Venezia, godere della sua magia, passeggiare lungo i canali, magari passando sui ponti alla maniera di Indiana Jones, in compagnia della bella professoressa Elsa Schneider e di Marcus Brody, nel film Indiana Jones e l'ultima Crociata, con l'attraversamento del Ponte dei Pugni, per andare verso la bliblioteca, che in realtà è una chiesa, situata nell'omonimo Campo San Barnaba, la quale ospita da qualche anno la mostra dedicata alle "Macchine di Leonardo da Vinci".
Andare per calli e calletti, campi e campielli, attraversando i numerosi sottoportici sparsi per la città, deve essere un piacere unico, che l'amministrazione comunale, con queste iniziative, sembra voler far provare anche ai meno fortunati.
Con queste ed altre iniziative, descritte con precisione da Fausto nel suo corposo blog, e in modo particolare nel post Venezia per i disabili , la Città si prepara a diventare sempre più accessibile anche ad anziani e disabili con problemi di deambulazione.
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-A lato: Ponte Ognissanti - allestito per disabili.
Da notare il lungo percorso fatto dalla pedana, per darle una giusta pendenza, tale da rendere il meno faticoso possibile il suo attraversamento. Esso non fa parte dei 13 ponti allestiti per lo svolgimento della Venice Marathon. Si presume sia quindi in servizio permanente.
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-Sopra, a destra: concorrenti della Venice Marathon 2009 al passaggio di Ponte Lungo
in Fondamenta Zattere al Ponte Longo, prospicienti il Canale della Giudecca
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-In mezzo: servoscala per disabili al Ponte Manin
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Si ringrazia il sig. Fausto, dal cui blog sono stati desunti buona parte dei dati menzionati in questo post. Si ringrazia, inoltre, per l'autorizzazione concessa alla pubblicazione delle tre foto di cui sopra. Il blog di Fausto è il seguente: http://www.alloggibarbaria.blogspot.com/ - Venezia.
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Sopra a sinistra: Cà Farsetti e Cà Loredan, sede del Municipio di Venezia - da Wikipedia
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Al centro, in alto: Riva degli Schiavoni (Canaletto) - da Wikipedia: luogo di conclusione (in Riva dei Sette Martiri) della Maratona di Venezia.

Nota: posseggo una conoscenza molto limitata di Venezia, per cui, per rispondere a specifici commenti a riguardo, mi avvarrò della consulenza professionale del sig. Fausto, che ringrazio fin d'ora per la preziosa collaborazione offerta.

venerdì 13 novembre 2009

Un trans chiamato desiderio...

Il fenomeno del transessualismo, venuto attualmente alla ribalta con l’affaire Marrazzo, ha origini antiche e abbraccia differenti culture.
Nella mitologia e nella storia classica, nel Rinascimento e nella storia dell'Ottocento, vi sono abbondanti testimonianze che dimostrano l'estesa area di penetrazione del fenomeno transessuale; anche se il suddetto termine è relativamente recente, nella storia dell’umanità i riferimenti a tale fenomeno sono ampi e svariati.
Si hanno attestazioni di uomini desiderosi di cambiar sesso fin dall’epoca dell’antica Grecia e di Roma, Filone, il filosofo di Alessandria, scrisse: “Riservando ogni possibile cura al loro adornamento esterno, costoro non hanno neppur vergogna di ricorrere a qualsiasi espediente per mutare artificialmente in femminile la loro natura d’uomini… Alcuni di loro… bramando una completa trasformazione in donne, hanno amputato i propri organi della generazione”.
Ci sono anche nelle storie di imperatori romani delle notizie di casi di “cambiamento di sesso”. Una delle prime operazioni di cambiamento di sesso sarebbe stata eseguita per ordine del truce Nerone. A quanto pare, Nerone, durante un accesso di rabbia, tirò un calcio all’addome della moglie incinta, uccidendola. In preda al rimorso, cercò di trovare qualcuno il cui volto somigliasse a quello della moglie assassinata. Quello che meglio si adattava all’esecuzione dell’ordine dato era un giovane liberto di sesso maschile, Sporo. Si narra dunque che Nerone abbia ordinato ai suoi chirurghi di trasformare il liberto in donna. A seguito della “conversione”, i due contrassero nozze formali.
C’è poi la storia di Eliogabalo, che avrebbe impalmato un poderoso schiavo, e poi avrebbe assunto le funzioni di moglie dopo il matrimonio. Si descrive Eliogabalo “deliziato a sentirsi chiamare la signora, la sposa, la regina di Ierocle” e si dice che avrebbe offerto la metà dell’Impero Romano al medico che l’avesse potuti dotare di genitali femminili. Qui altri interessanti esempi di transessuali nella storia.
Il fenomeno quindi non è nuovo e il numero sempre crescente dei trans in Italia, la dicono lunga su quanti italiani apparentemente etero, si dilettano, con queste “donne” ben dotate di genitali maschili.
L’affaire Marrazzo ha solo portato alla luce, una realtà clandestina, che ha scatenato una vera e propria trans-mania: giornali, trasmissioni più o meno impegnate, reality,contenitori pomeridiani e talk show sono tutti sommersi da trans di ogni genere e ce n’è per tutti i gusti: uomini con “davanzali” e gambe da fare invidia alle “bonazze d’antan, donne con barba e pizzetto e pancione, padri diventati madri e viceversa. E’ come se, tutt’a un tratto, i mass media italiani si siano resi conto di fenomeno antico quanto la prostituzione, ma che ora come non mai è legato alla vita di tutti i giorni. Un marito esce per andar in ufficio e durante la pausa pranzo si fa una “ sveltina” con Efe, il trans più desiderato d’Italia. Oppure si concede il “peccato” per festeggiare il suo compleanno!
A sentire parlare Efe sembra più una manager agguerrita che una "peripatetica" dotata di "appendice",
ha una media di 120 clienti al mese e guadagna una montagna di soldi, basti pensare che ha una casa di 280 mq in centro a Milano. Nessuno meglio di lei dovrebbe saper spiegare perché un uomo normale va a trans (gli omosessuali infatti non ci vanno). Ma non lo sa: "Sono stata con tanti e non li ho ancora capiti, questi uomini. Sono annoiati della vita, il trans è adrenalina ed è femmina e maschio. Hanno poca fantasia, mi dicono tutti la stessa cosa: “Sai, ho una fidanzata, ho una moglie… per me è la prima volta…”. Balle! Ne hanno due per nascita e mille in testa”.
Io credo che quando la società si svuota di tutti i valori immateriali e li sostituisce con quelli materiali, la ricerca del pacere personale e fisico diventa parossistica, e i limiti si spostano sempre più avanti. Privé, trans, orge, pornografia e cocaina diventano "terre promesse" di piaceri inesauribili, ma la noia é sempre dietro l'angolo, quando la vita é vuota e nemmeno la bella Efe (per altro simpatica e arguta) può dare più di qualche attimo di effimero piacere fisico. Lo stesso effetto di una buona tavoletta di cioccolato;-)
Aretusa

venerdì 6 novembre 2009

Land of Plenty e la fine del sogno americano


Ho visto in dvd, un film che mi era sfuggito : Land of Plenty (La terra dell'Abbondanza) di Wim Wenders (2004), ispirato nel titolo ad una ballata di Leonard Cohen. Non l'ho trovato cinematograficamente convincente e condivido questa recensione.  Tuttavia il dvd contiene un' interessante intervista interna dell'autore che merita attenzione. Premetto che Wenders non è un Michael Moore qualsiasi, ma al contrario, è innamorato di questo grande e contradditorio paese. Si trovano tracce evidenti  di cinema americano ( in particolare, dei road movie) nei suoi film  "L'amico americano", "Alice nella città" e soprattutto "Paris Texas".




Quando si parla di crisi, lo si fa in concomitanza col crollo del Sogno Americano (American Dream).  Ma che cos'è davvero questo Sogno?
 In un certo senso ha a che fare con l'essenza della loro Costituzione "The pursuit of Happiness" (il diritto per ogni uomo a perseguire la sua felicità individuale)  e secondo Wenders è un mito fondativo del XVIII e XIX secolo inventato dagli europei  che migrarono in America alla ricerca dell'Eldorado, dovendo mostrare che lasciandosi il vecchio continente alle spalle, il passaggio a  nuova vita non poteva che contenere elementi mitizzati che la rendevano particolarmente allettante. E' un mito sopravvissuto e divulgato nel grande cinema statunitense, che ha finito per esserci venduto quasi come un "prodotto" pubblicitario. "Gli americani" – dice il regista  tedesco – sono un ottimo soggetto di studio, in quanto hanno colonizzato il nostro inconscio" (intervista sul suo film Land Of Plenty). 
Lost people, li definisce lui, cioè persone smarrite, disperse e in un certo senso "scollegate dalla realtà in quanto sono abituate a credersi il centro del mondo". Ma appena viaggiano ed escono da questo epicentro, restano stupite nel constatare quante  ostilità sappiano suscitare  nel mondo e ne hanno un profondo choc.  L'America – dice Wenders – è un ricco paese, ma anche profondamente povero. E non solo per l'esercito dei senzatetto, degli homeless che sono numerosi in molte città, ma soprattutto  povero culturalmente e spiritualmente.
Non dimentichiamoci mai che in America la cultura e l'educazione di un certo livello si pagano e che non tutti vi hanno accesso.
Il patriottismo è il cibo di cui si nutre la propaganda che lo istilla agli Americani di tutti gli strati sociali. Ma lo cosa più sorprendente , è che questo patriottismo e questo sogno venga istillato in particolare alle classi meno abbienti. Sono queste, alcune delle considerazioni di Wim Wenders contenute nel dvd del suo film.
 Nei giorni più neri della crisi legata ai mutui subprime, scaturita nel 2007, erano proprio coloro i quali vivevano nelle tendopoli che avevano la bandiera americana a stelle e strisce che sventolava sulle loro tende o sulle roulotte. Questo è ad un tempo, la loro forza (poiché crea coesione)  e la loro debolezza (poiché mostra scarso spirito critico).
Si diceva  poc'anzi che il sogno americano è un prodotto che sono riusciti a vendere e che fa parte dei miti fondativi. Oggi, però,  questo sogno si è trasformato in un incubo, a causa della debt economy (l'economia a debito) le cui ingenti perdite, vengono spalmate per tutti i paesi del mondo (compreso il nostro). Epperò il sogno è stato impacchettato e diffuso attraverso le tv, Internet, i main streams e i grandi media per i paesi del Sud del mondo , paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Nel contempo, dopo la Caduta del Muro e la fine della Guerra Fredda, la nozione di America si è allargata alla nozione più generica di "Occidente" (West).  Cioè tutti noi:  americani ed europei che dir si voglia.
Ecco perché assistiamo a queste bibliche masse in spostamento dai paesi del Terzo mondo verso di noi in cerca dell'Eldorado Occidentale. E le ragioni sono le stesse che caratterizzarono gli spostamenti degli europei nel Continente nuovo: il mito della terra promessa, della terra dell'opulenza, il mito dell'opportunity, vero o falso che sia. In questo quadro, ecco che ha un senso produrre per il mercato globale, ivi compreso quello asiatico,  film come The Millionaire di Danny Boyle, dove la favola del self made man che persegue la sua felicità , ovvero il suo benessere (un piccolo indiano che vive negli slums e che poi diventa immensamente ricco, dopo aver partecipato a uno di quei quiz televisivi) si trasferisce in India, secondo i dettami della nuova globalizzazione. Ma il sogno, gira e rigira  è sempre quello. E non è un caso che fosse venduto e impacchettato  proprio   nei giorni del fallimento della Lehman & Bros.
Non ci credono nemmeno più gli Americani  al "sogno", non ci crediamo noi Europei,  ma in giro per il mondo dei "candidi" disposti a crederci ancora, si devono trovare: per amore o per forza.  

Hesperia 


giovedì 29 ottobre 2009

Telemaco Signorini e non solo.

Telemaco Signorini nasce a Firenze nel 1835. Fa parte della corrente dei Macchiaioli, ma si distingue per scelte d'arte personali: da caratterizzazioni sociali in alcuni temi, a influssi espressivi che ricevette dai numerosi contatti illustri, e per l'elaborazione di un forte linguaggio. La pittura dei macchiaioli ha una trama di relazioni con l'impressionismo anche se sviluppa una propria 'estetica' della macchia; nei soggetti ha attinenza con il verismo sociale e il naturalismo, è intrisa talvolta di realismo e descrittivismo. A volte convivono una rappresentazione sentimentale accanto a una 'documentaria' più tipicamente veristica, talvolta gli studi vengono svolti rigorosamente dal vero e anche la fotografia inizia ad essere usata per studiare la luce. Il gusto descrittivista può però spingersi fino al bozzetto, come in "La toeletta del mattino" (1898, opera tarda di Signorini, morirà nel 1901) che risente degli influssi di Degas:



Oltre all'amata Toscana, alle campagne, Signorini fu a Venezia, presso le Cinque Terre, Roma, Napoli. Conobbe Giuseppe De Nittis. I macchiaioli italiani hanno dato vita a un'esperienza pittorica originale e degna di coesistere a fianco di altri movimenti internazionali. Signorini in particolar modo è artista conosciuto e quotato anche all'estero. Si tratta nel suo caso non solo dello stile della 'macchia', ma di un approfondimento di luminosità, volumi e profondità, una sorta di drammaturgia della luce.
"Non potendo aspettare" (Signorini 1867)



La particolarità della Mostra (fino al 31 gennaio 2010 a Palazzo Zabarella a Padova) si evince già dal titolo
"Telemaco Signorini e la pittura in Europa": oltre alle opere del Nostro si avrà occasione di vederne molte altre estere, per mettere in relazione differenti sensibilità e le correnti europee tra loro.
Signorini a Firenze frequentò il circolo degli intellettuali inglesi, fra cui Joseph Middleton Jopling, amico del preraffaellita John Everett Millais, http://it.wikipedia.org/wiki/John_Everett_Millais
a Parigi conobbe Zola, Manet e Degas, in occasione dei soggiorni in Francia ed Inghilterra. La mostra testimonia la sua evoluzione artistica, dalle prime esperienze all’influenza di Courbet, fino all’ultima stagione segnata dall'elemento della figura umana, con uno scorcio importante della pittura europea fine 800.
Tra il centinaio di opere esposte, anche il famoso Degas "L’Absinthe" (1876) offerto dal Museo d'Orsay, qui http://it.wikipedia.org/wiki/L%27assenzio (non solo un liquore, ma un vero fenomeno sociale).
In più, presenti opere di Tissot, Decamps, Troyon, Toulouse-Lautrec, Corot, Courbet, Rousseau, Stevens, Sisley…
Uno dei leitmotiv della mostra è accostare, per esempio, gli interni di Signorini a quelli di Degas o di Toulouse-Lautrec, o mostrare le stesse vie di città italiane, francesi, inglesi, rappresentate da pittori differenti. Tra i più suggestivi di Signorini, nell'adesione alla poetica del vero della tranche de vie cittadina, sono (qui sotto) "Pontevecchio" a Firenze (criticato all'Esposizione Nazionale a Torino del 1880 per la sua fotograficità), e "Una Via di Edimburgo":





Simbolo della mostra è “Alzaia” di Signorini del 1864: uomini raffigurati nello sforzo di trascinare controcorrente un pesante naviglio, che nel quadro non compare,
Famoso anche il suo “Sala delle agitate al san Bonifazio di Firenze” per l'attenzione di Signorini a emarginati e disadattati. L'immagine dal manicomio è impostata in prospettiva obliqua e la drammaticità è sottolineata dall'ampiezza dello stanzone, immerso nella luce biancastra, su cui si stagliano impersonali le figure, qui http://www.retepiacenza.it/UserFiles/Image/arte/Telemaco%20Signorini.jpg

Qui ancora "Novembre" e "Sulle colline a Settignano"
















Palazzo Zabarella, Padova: tutti i gg 9.30-19.30
chiuso il martedì se non festivo
Ingresso: intero euro 10; ridotto euro 5
Per informazioni: 049 87 53 100
199.199.100
Josh



giovedì 22 ottobre 2009

Marco d'Aviano, santo ed eroe dimenticato

Il suo Barbarossa è nelle sale, e Renzo Martinelli è già da tempo impegnato alla preparazione del suo prossimo film: Marco d'Aviano . Dovrebbe essere un film ancor più spettacolare del Barbarossa; infatti, se in questo ha dovuto ricostruire la Milano del XII secolo, nel Marco d'Aviano dovrà ricostruire la Vienna di fine '600. A rendere colossale il film, poi, ci dovrebbe essere la scena principale, la quale dovrebbe riguardare l'assedio di Vienna, iniziato il 12 luglio 1683 con l'arrivo delle prime avanguardie turche nei sobborghi di Vienna. La consistenza dell'esercito turco, al completo, è stata variamente valutata in 200.000 - 300.000 uomini, ma è più verosimile fossero all'incirca 140.000. Ammettendo per buono questo dato, sarebbero comunque stati il doppio rispetto alla coalizione formata da forze austriache, sveve, bavaresi, sassone, francone assommanti a 70.000 uomini, di cui 30.000, ben addestrati, provenivano dalla sola Polonia, comandati da re Giovanni Sobieski. I preparativi per la battaglia furono intrapresi la sera dell'11 settembre; l'indomani, domenica 12 settembre 1683, ebbe luogo quella che viene ricordata come la battaglia di Vienna ; una battaglia dal cui esito sarebbe dipeso il futuro corso della storia europea. In caso di vittoria ottomana, infatti, l'Europa sarebbe stata islamizzata di forza. E secondo il terribile progetto del gran visir Kara Mustafà, progetto che in Europa si credeva o si pensava di conoscere, questi aveva in mente di "espugnare Vienna e Praga, frantumare le forze di Luigi XIV sul Reno, e marciare su Roma per fare di San Pietro le scuderie del sultano".
Con un impiego di forze di quella proporzione, Vienna - assediata e parzialmente svuotata da suoi abitanti, datisi a precipitosa fuga nell'imminenza del pericolo - secondo quel progetto turco, sarebbe dovuta capitolare in pochi giorni. Invece resistette ad oltranza, dando così modo alla coalizione amica di organizzare gli aiuti. I viennesi sentivano che la posta in gioco era troppo grande: Vienna era considerata l'ultimo baluardo contro l'avanzata irrefrenabile dell'islam, che era culminata nel 1453 con la conquista di Costantinopoli (ora Istanbul) da parte dei turchi ottomani; impresa che aveva posto fine all'Impero Romano d'Oriente, o Impero Bizantino.
Il regista dovrà anche saper rappresentare il terrore patito dal popolo viennese durante i tremendi due mesi dell'assedio: "i bastioni non erano fortificati e muniti, i cannoni scarseggiavano, mentre dall'alto delle mura gli assediati potevano vedere le tende mussulmane che si stendevano a perdita d'occhio nei dintorni". Il terrore dei viennesi veniva anche alimentato dai racconti di quanto avvenuto 112 anni prima, nel 1571, nell'isola di Cipro, presa ai veneziani dall'assalto dei turchi. Era successo un fatto terrificante, di bestialità e crudeltà inaudita, oggi minimizzato e quasi trascurato dalla storia; una storia di cui rimando la lettura attraverso Wikipedia, riguardante l'assedio di Famagosta e l'orribile assassinio del suo Capitano Generale Marcantonio Bragadin , nonchè Governatore di Cipro (il fatto è descritto molto bene nel libro di Catherwood Christopher, "La follia di Churchill, l'invenzione dell'Iraq". Questi, con dovizia di particolari, ha descritto le atrocità compiute dai turchi ottomani che occuparono l'isola, e l'orribile fine cui fu sottoposta la numerosa scorta di Bragadin, andata là con lui in pompa magna, come fossero andati ad una festa, per firmare la resa e consegnare le chiavi della città. Erano completamente disarmati, in segno di pace). Tale fatto dovrebbe essere ricordato nel futuro film di Martinelli su Marco d'Aviano, per far capire agli spettatori la ragione di così grande paura nei confronti dei turchi ottomani. Famagosta, dopo 22 anni di ininterrotto assedio - forse il più lungo della storia - dovette capitolare, per stenti e fame; nè i residenti potettero contare su aiuti di esterni, o della madre patria Venezia, perchè impegnati nei preparativi per quella che sarebbe poi stata la battaglia che tanto ha influito sul successivo corso della storia: la battaglia di Lepanto , avvenuta il 7 ottobre 1571.
A padre Marco d'Aviano andrebbe riconosciuto il merito maggiore per la vittoria delle forze cristiane su quelle islamiche nello scontro decisivo di Vienna; lo si può intuire anche leggendo la sua biografia, unita agli atti per il processo di canonizzazione ( biografia di padre Marco d'Aviano ) . Eppure, nelle enciclopedie, nei libri di storia delle scuole superiori, almeno quelli più retrodatati, Marco d'Aviano non viene nemmeno citato. Completamente trascurato. Ne è riprova il fatto che, chiedendo in giro chi sia Marco d'Aviano, pochi o nessuno saprà rispondere; dovrebbe essere almeno conosciuto in Polonia e in Austria, sua patria adottiva, e soprattutto a Vienna, dove è sepolto, vicino ai reali d'Austria. Una rivalutazione, una riscoperta del beato, da quelle parti, pare sia però avvenuta solo di recente; prima, sembra sia stato dimenticato anche là. Infatti, quando nel 1883 "si celebrò solennemente il secondo centenario della liberazione di Vienna, nei discorsi e nelle commemorazioni di circostanza non ci si ricordò nemmeno di un certo padre Marco d'Aviano, il quale era stato, vedi combinazione! - una delle cause determinanti della grande vittoria che aveva salvato Vienna, l'impero, l'Europa. Dato il tempo e il luogo, non si può certo dire che si trattasse di un silenzio casuale". E sarà forse stato anche per la probabile venerazione di cui dovrebbe godere in Polonia, che papa Wojtyla, il papa polacco, prima di morire, ha voluto beatificarlo, domenica 27 aprile 2003, chiudendo il lungo processo di beatificazione e canonizzazione . Durato 300 anni, era iniziato nel 1703, dopo appena 4 anni dalla morte di padre Marco d'Aviano (beatificazione di padre Marco d'Aviano).

Marco d'Aviano, una vita da santo eroico, tutta spesa per la conservazione dell'indipendenza politica e religiosa dell'Europa dall'invadenza islamica turca ottomana. Santa, la prima parte della vita, anche per i miracoli documentati, che gli sono stati attribuiti; defatigante la seconda, per i numerosi viaggi - molto disagevoli per quell'epoca - compiuti per raggiungere le corti d'Europa, ove era molto richiesta la presenza di un frate già in odore di santità; santa ed eroica la terza ed ultima parte della vita, per la sua onnipresenza sui campi di battaglia, da Vienna, Buda, Belgrado, per sostenere e incoraggiare i soldati, spronandoli a combattere eroicamente per la salvezza del cristianesimo, e, con esso, dell'Europa.

Post correlati: Marcantonio Bragadin , Marco d'Aviano , Cavalieri di santo Stefano

venerdì 16 ottobre 2009

La lingua Italiana cambia: parole che vanno, parole che vengono


"La nebbia agli irti colli piovigginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar…"
La nostra bella lingua, così musicale, così elegante, così ricca di vocaboli sta morendo. L’allarme lo lancia lo Zingarelli segnalando, nell'edizione 2010, oltre 2800 parole da salvare. Voci come ciarpame, esimio, fronzolo, vaghezza, protervia, garrulo, fragranza, solerte, sapido, fulgore, così ricche di sfumature ed espressività, stanno finendo nel dimenticatoio per mancanza di originalità e ignoranza. Il loro uso, infatti è divenuto meno frequente perché i media privilegiano sinonimi più sbrigativi: profumo invece di fragranza, saporito invece di sapido, chiacchierone al posto di garrulo e via dicendo. Poca fantasia e pigrizia mentale contribuiscono all’appiattimento della nostra bella lingua.
C’è il rischio che un domani raccontando di uno “zotico che con roboante protervia arringa una garrula e vetusta signora”, il nostro interlocutore ci guardi come se parlassimo arabo.

Le domande aperte secondo la Zanichelli, casa edistrice della Zingarelli sono numerose.
Può fare a meno la nostra bella lingua di vocaboli affascinanti come ghirigoro? O beffardo? O Ghiribizzo? O l’onomatopeico ondivago? Dove finirà la buona creanza? E l'eloquio forbito? Lucio Battisti non potrebbe più cantare una “giornata uggiosa”. E come descrivere Zio Paperone meglio che con il termine taccagno? Sono parole che rendono il lessico più variopinto e più interessante, la lingua italiana più ricca e completa.

Ma lo Zingarelli 2010 guarda anche al nuovo italiano registrando oltre 1.200 nuove parole, in gran parte termini inglesi e provenienti dalla politica e dall’attualità. Entrano infatti la ormai famosa Social Card, i Pro Choice e i Pro Life ispirati dai dibattiti etici. L’acronimo, NIMBY “not in my back yard", tradotto "non nel giardino di casa mia".
Il Nerd, cioè il “secchione” Usa, imbranato, protagonista di libri e film. A proposito di secchioni c'è anche Ottista ossia lo studente che prende tutti otto; la lotta brasiliana Capoeira e la ginnastica Pump.
Ci sono anche dei nuovi modi di dire: una persona seducente è da Acchiappo specie se frequenta un ritrovo di Vipperia, dove si consuma Finger Food (cibo che si mangia con le mani). Traduttese è una traduzione troppo letterale e contorta. E ancora Instant messaging (scambio di messaggi in tempo reale attraverso la rete).
Il dizionario apre, anche alla famiglia omogenitoriale, formata da una coppia dello stesso sesso e figli, introducendo per o meno nella lingua italiana, l’adozione gay…
Non posso fare meno di essere rammaricata per questa trasformazione del nostro vocabolario, dietro ad ogni parola c’è la storia del nostro Paese, un passato in cui certi valori erano assoluti, dove "il bianco era bianco e il nero era il nero", e il relativismo non esisteva; in cui in famiglia c’erano una mamma e un papà e in cui noi bambini con i nostri grembiulini e il fiocco azzurro imparavamo l’italiano forbito e ad amare la nostra Patria.
Aretusa

giovedì 8 ottobre 2009

Polanski, l'estetico, l'etico e il comune senso della giustizia

Il caso Polanski si tinge di giallo. Secondo le ultime rivelazioni del Los Angeles Time pare che l'UBS (la potente banca svizzera) l'abbia venduto alla giustizia in cambio di una riduzione drastica della lista degli evasori americani ospitati nelle sue filiali elvetiche. Leggere questo articolo di Guido Olimpio sul Corsera. Comunque sia, sconcerta il fatto che quegli elementi orrorifici e perturbanti e che il regista ebreo-polacco naturalizzato francese ha inserito in numerosi suoi film (da Repulsion, all'Inquilino del terzo piano, a Rosemary's baby, per citarne solo alcuni) abbiano sorprendentemente fatto irruzione nella sua vita, massacrandola.






Molte cose continuano a essere poco chiare di quella lontana Strage di Bel Air nel 1969. Perché, ad esempio lui non si trovava accanto alla moglie incinta del nono mese? Perché un ospite famoso suo amico , lo scrittore ebreo-polacco di stanza in America Jerzy Kosinski (autore di Presenze, il libro da cui fu tratto il film "Oltre il giardino"), ha declinato l'invito all'ultimo minuto e si aggirava invece nell'aeroporto di S.Francisco senza prendere l'aereo mentre avveniva il macello nella villa? Quel Jerzy Kosinski che poi si suicidò e non poté mai testimoniare.

Stupisce inoltre che dopo un dolore che avrebbe fiaccato e piegato la tempra di un qualunque uomo normale, Polanski si desse a orge con uso di coca che contemplavano la violenza sessuale su una tredicenne stordita da stupefacenti proprio da lui somministrati. Intendiamoci, uno non è obbligato a fare il vedovo inconsolabile vita natural durante. Ma detto ciò, esiste modo e modo di consolarsi.






Pare che Roman Polanski fosse esperto in magia nera. E del resto l'elemento paranormale e
parapsicologico ha un posto rilevante nella sua produzione filmica. Che consumasse fiumi di cocaina (come da norma hollywoodiana), che avesse già praticato la pedofilia e altre ombre e vizi della sua vita.





Inutile appellarsi al concetto di prescrizione, dato che in Usa i reati non cadono mai in prescrizione. Inutile dire che è un vecchio 76 enne visto che poi ci sono vecchi prigionieri di guerra di 94 anni che si fanno regolarmente la galera. Inutile dire quel che a tutta prima ho pensato anch'io: che a distanza di oltre 30 anni una giustiza che ti raggiunge non è più tale. Polanski non si è fatto la galera semplicemente perché, quando ebbe sentore degli addebiti a suo carico, tagliò la corda. Quindi non si possono fare sconti di pena a chi scappa e si sottrae alle sentenze.




Questo per la cronaca. Vorrei però parlare dei suoi film, di cui sono sempre stata grande estimatrice.




Fin dal suo apparire su mercato filmico l'ho trovato eccentrico, con un gusto per il grottesco e geniale. Cul de sac (forse uno dei miei preferiti) è una commedia grottesca e grand guignol dalle atmosfere beckettiane. Rosemary's Baby con una quasi esordiente Mia Farrow (foto a destra) è l'irruzione del demonico nel domestico, ma anche l'ineluttabilità di sfuggire al Male, laddove l'Anticristo nasce a Hollywood e a NY. Quel male che poi sembrò tracimare dalla trama filmica per riverberarsi nella sua vita privata nella famigerata e maledetta notte dell'Helter Skelter (ovvero del sottosopra, la scritta col sangue dello stragista Charles Manson sui muri della villa di Bel Air).



Chinatown è un bel noir dove l'intrigo si dipana senza venire mai a capo di nulla. Celebre la frase finale e fatalista: "Lascia stare Jack, questa è China town". Con Tess d'Uberville interpretato da Nastassia Kinski (foto in basso) entra nel decorativismo (ancorché un po' formale) del grande romanzo classico di Thomas Hardy.






Non tutte le ciambelle riescono col buco e "Pirati" è decisamente un fim non riuscito. In fondo la commedia, quando non è grottesca non è il suo forte e lo si è visto anche in What? (Che?) .


Ma "Frantic" riannoda le file di una classicità hitchcockiana perduta. Atmosfere sado-maso e teatro delle crudeltà, in un thriller per i diritti umani, ne "La morte e la fanciulla" con una bravissima Sigourney Weaver. Mentre ne Il pianista, il sublime sconfigge l'inferno della IIa guerra mondiale e della Shoah con un toccante messaggio di riconciliazione tra il pianista ebreo-polacco Szpilsman ridotto a relitto umano per la fame e l'ufficiale tedesco che gli porta da mangiare nella soffitta in cui si nascondeva.



Ora compiaono su molte testate articoli pro Polanski e contro Polanski (gli ultimi dei quali sono a firma di Christopher Hitchens e Bernard Henry Lévy). Con troppa tempestività sono comparsi appelli a favore della sua scarcerazione, appelli a mio avviso superficiali, giustificazionisti, conformisti e incoscienti all'insegna di un banale e poco riflettuto spirito di corpo da parte dei suoi colleghi registi e attori. Ma anche da parte di politici francesi del governo Sarkozy, ansiosi di mettersi in vista. Tra le adesioni di spicco quella Frédérick Mitterand (nipote dell'ex Presidente e attuale ministro della Pubblica Istruzione francese) il quale è, a sua volta, nel vortice di uno scandalo, poiché ha praticato turismo sessuale con minori in Thailandia.
Con altrettanta foga è nato il controappello di Libero affinchè il regista polacco si faccia tutta la galera.

Se dovesse essere vera la tesi che la Svizzera dei banchieri lo ha barattato per non restituire all'America il resto del malloppo degli speculatori ed evasori fiscali (che sono circa 13.000) che hanno provocato la crisi, sarebbe un'ennesima mossa diabolica all'insegna dell'Anticristo: la consegna di un capro espiatorio che non può definirsi nemmeno tale, poiché colpevole. Ecco perché mi rifiuto di firmare appelli pro Polanski o contro Polanski, visto l'ingarbugliamento della vicenda dai risvolti poco chiari.

Un Oscar alla carriera, però, glielo assegnerei volentieri. Magari mentre se ne sta in prigione a scontare il suo debito con la giustizia. Poiché l'estetico non può sovrapporsi fino ad annullare l'etico, senza cadere in un nichilistico e dannoso superomismo.


Autore: Hesperia