giovedì 23 febbraio 2012

Marcello di Mammi


Il 23 febbraio di un anno fa, veniva a mancare Marcello di Mammi.

Mi piace ricordarlo ripubblicando un racconto tratto dall'immenso archivio del suo blog. Uomo di grande cultura, anche se non ha mai voluto confermarmelo direttamente, credo provenisse dal ceppo di un'antichissima famiglia nobile, affondante le sue origini a prima dell'anno 1000. Era un lavoratore instancabile. Partecipava a concorsi letterari, tra i quali questo di Io Racconto, e tante volte, prima di spedire i suoi lavori, mi mandava la bozza per sentire un mio parere. Alcuni di tali racconti, i più brevi, sono poi confluiti nei suoi blog letterari, Sarcastycon3 e Narrare. Ricordo almeno sei dei suoi lavori più lunghi, inediti e di ottima fattura, che potrebbero costituire un regalo per la giovane figlia, se li dovesse far pubblicare.

""Una giornata strana vissuta molti, molti anni fa.

Negli anni cinquanta abitavamo vicino ad Arezzo, non lontani dal convento dei frati cappuccini. Nelle famiglie cattoliche di allora era “cosa buona e giusta” avere un consigliere spirituale; nella fattispecie impersonato da Padre Giovanni. Un vero francescano che viveva nella povertà più assoluta .Indossava un saio liso ma pulito. Una magrezza, da far paura, dovuta ai lunghi digiuni. Un’ intelligenza viva ed una grande cultura, non solo religiosa, che tuttavia non ostentava . Sapevamo che il convento era molto povero, pertanto a volte, Padre Giovanni era da noi a pranzo. La sua conversazione era sempre piacevole e profonda , la sua fede era incrollabile ma non prevaricatrice. Capitò un giorno, che ci disse, dopo pranzo, di non potersi trattenere perché aveva molta strada da fare. Alla domanda dove fosse diretto ci rispose: a Siena. Da casa nostra a Siena c’erano circa sessanta chilometri. Gli chiedemmo come intendesse andarci. Risposta :a piedi e aggiunse la divina Provvidenza mi accompagnerà. Dopo averci salutato partì. Rimanemmo perplessi ben sapendo che non aveva mai denaro con sé. Dopo un po’ mio padre ,che poi tanto cattolico non era , mi disse: te la senti di vestire i panni della divina Provvidenza? Prendemmo la macchina e raggiuntolo ci avviammo verso Siena. La strada di allora passava per Montesansavino ed in cima al passo ci investì in pieno un temporale . Non si vedeva più niente ci dovemmo fermare: tutto intorno tuoni, grandine e fulmini. Allora ,mio padre, professore di fisica, forse per rincuorarmi, disse: in queste condizioni la macchina si comporta come una gabbia di Faraday pertanto non c’è alcun pericolo. Il frate aggiunse :la divina Provvidenza non mi ha mai abbandonato.Sapevo perfettamente cosa fosse una gabbia di Faraday, ma vi assicuro che un conto è studiarla sui libri del liceo e un altro starci dentro!!Non osai dire ad alta voce quello che mi passò per la mente. E se la famosa gabbia non funzionasse? E se la divina Provvidenza fosse impegnata altrove? Andò tutto per il meglio. Non so se per merito della gabbia ,come sosteneva mio padre o per merito della Provvidenza, come sosteneva il frate, oppure per il caso come pensavo io.Ossia lo scienziato , il credente e lo scettico.
(è un episodio veramente accaduto)""

Per sopraggiunte altre incombenze, il mio impegno con Il Giardino delle Esperidi dovrà subire un ridimensionamento. Non potrò più uscire con la cadenza attuale di una volta ogni tre settimane, bensì solo saltuariamente.

giovedì 16 febbraio 2012

Viaggio musicale intorno al mare


Mi piace intraprendere questo viaggio musicale intorno al mare che è per me una fonte di energia dalla quale non posso allontanarmi troppo senza sentirmi quasi indebolita e fiaccata. E' come una ricarica della quasi ho assolutamente bisogno. In questo lungo interminabile inverno mi sorregge solo un pensiero: poter rivedere le azzurrità del mare, carico di luci, di calore e di sfumature. Mai le stesse. Ovvio che penso alla superficie acquea marina quando si scalda e scintilla sotto il sole, sebbene anche il mare d'inverno "poco moderno" ha un suo fascino mentre infieriscono i venti, si sente il clangore degli alberi maestri delle imbarcazioni, e i gabbiani stridono nei cieli grigi. Ed eccoci alla parola francese "la mer" assonante con  "la mère", la madre. Ma è anche vero che il mare è per i latini quel mostro nero eternamente in movimento ." Ma che paura che ci fa quel mare scuro / che si muove anche di  notte e non sta fermo mai", canta Paolo Conte, il quale sogna "gamberoni rossi" e croccanti da mangiare quando la pioggia bagna l'entroterra piemontese della non bella provincia di Alessandria, mentre Genova è lontana anche se poi è vicina di pochi chilometri dalla sua. Ecco quindi l'eternelle Mer.  
La mère /  La Mer/ qu'on voit danser le long des golfes clairs/ a des reflets d'argent/ la mer... nell'immortale canzone di Charles Trenet di cui sono state fatte parecchie cover in molte lingue. Ricordo fra tante "Beyond the Sea" di Bobby Darin

Anche la famosa  Ebb Tide (Bassa marea), canzone che va continuamente in crescendo ricorda il moto ondoso e la sua risacca. Qui nell'interpretazione insolita di Tom Jones dalla voce notoriamente possente. Ne esistono versioni più note di Frank Sinatra, The Righteous Brothers, i Platters e anche di Pat Boone , ma per cambiare ho scelto questa. 


Sassi di Gino Paoli ha uno stile laconico e dimesso che l'autore stesso, ammette essergli stato ispirato dalla poesia di Montale. I sassi levigati dal mare sono metafora di parole aspre e  consumate di un amore in procinto di finire. Una curiosità: lo sciabordio delle onde è stato ricostruito con un semplicissimo trucco di quelli che fanno sorridere rispetto a come è progredita e sofisticata oggi l'industria discografica: facendo passare una penna d'uccello su un disco di vinile. Bella l'armonica che suona nell'intermezzo tra una strofa e l'altra.

E l'alba mi sveglierà Mediterranea e sola/ mentre mi pettino il primo sole è mio...Lampare che tornano a dormire dopo la pesca, ma soprattutto una voce solatìa che ricorda il mare, una voce da sirena crudele e fascinosa: quella di Giuni Russo, artista bravissima ma sfortunata, dato che è morta precocemente e lo show business non l'ha valorizzata come  avrebbe dovuto.  Cresciuta ad Ustica, chi meglio di lei può esprimere i sentimenti di un risveglio nella casa isolana sul Mediterraneo, mentre all'alba si incendia di sole?  

E nel pomeriggio/quando  il sole ci nutriva/ di tanto in tanto un grido copriva le distanze/ e l'aria delle cose diventava.... irreale... Mare, mare, mare voglio annegare....Più fortunata la carriera di Battiato, rispetto a quella della collega e amica Giuni Russo, e questa canzone "A summer on a solitary beach" è un sogno impossibile da realizzare se non nel passato remoto della nostra memoria, giacché la meravigliosa estate su una spiaggia solitaria non esiste che nei nostri desideri. Tutti vorrebbero trovarla e  perciò il risultato è la solita spiaggia affollata e presa d'assalto che sappiamo.   




Il  mare d'inverno / è solo un film in bianco e nero / visto alla tv / e verso l'interno / qualche nuvola dal cielo / che si butta giù / sabbia bagnata / una lettera che / il vento sta portando via / punti invisibili / rincorsi dai cani / stanche parabole di vecchi gabbiani / e io che rimango qui sola / a cercare un caffè / il mare d'inverno / è un concetto che il pensiero non considera / è poco moderno / è qualcosa che nessuno mai desidera / alberghi chiusi / manifesti già sbiaditi di pubblicità/macchine tracciano solchi su strade / dove la pioggia / d'estate non cade / e io che non riesco / nemmeno a parlare con me / Mare mare / qui non viene mai nessuno / a trascinarmi via / are mare / qui non viene mai nessuno / a farci compagnia / Mare mare / non ti posso guardare così / perchè questo vento / agita anche me / questo vento agita anche me... 

Questa di Enrico Ruggeri è forse una delle migliori canzoni sul mare, perché non è consolatoria né ruffiana né  vuole essere una di quelle canzoni-tormentone da scodellare d'estate per vendere di più. Si vede che l'ha scritta sospinto dall'urgenza di un sentimento malinconico, forse di un amore irrealizzato. E improvvisamente anche il paesaggio marino è diventato poco accattivante, addirittura ostile. Portata al successo da una giovane  (e allora bella)  Loredana Berté, che gli dà  un mordente rabbioso, la ripropongo cantata dal suo autore, che sa  infondere un senso di desolazione che ben si confà al paesaggio marino nella stagione inclemente. 





Il mare mi piace in tutte le stagioni, e per gustarselo  in santa pace l'autunno e l'inverno sarebbero l'ideale  venti e pioggia permettendo, perché le spiagge e le scogliere disabitate tornano ad essere regno degli uccelli marini, delle onde e dei venti. 
Il tema del naufragio sentimentale è la famosa canzone di Paolo Conte "Onda su onda" e quella frase musicale  "la nave è una lucciola persa nel blu /mai più mi salverò", ci fa sentire bambini impauriti nella tempesta e magari in balia delle onde. 
Ma onda su onda, vicissitudine su vicissitudine c'è sempre un'isola che può recare conforto al naufrago: "Stupenda l'isola è...il clima è dolce intorno a me/ ci sono palme e bambù/ è un luogo pieno di virtù/steso ad asciugarmi il corpo e il viso/ guardo in faccia il paradiso/ Onda su onda/ il mar mi ha portato qui...
La canzone è stata interpretata sia da Bruno Lauzi che gli conferisce melodia e musicalità pur mantenendo ironia, e dallo stesso Conte che ne fa quasi un copione cinematografico buffamente picaresco.  Mi piacciono ambedue le versioni. 




Il viaggio termina in stazione, una stazioncina rivierasca dalla cui porta di ingresso s' intravvede l'ultimo lembo  d' azzurro di mare,  prima di separarmi da un paesaggio che mi ha allietato ma  che devo lasciare. Tanti oleandri, un caffé, un giornale spiegazzato e la voce meneghina  e un po' brumosa di Giorgio Gaber, accompagna i miei pensieri, dal finestrino di un treno che sta per partire. 

Una stazione in riva la mar/dopo l'estate mi accoglierà/ 
con un giornale ed un caffé/con un ricordo di te/

Una stazione in riva al mar/con pochi treni  ma molti fior/ 
con qualche inutile dolor/ con dei ricordi d'amor/.

Ed io guarderò verso il mare/ per vedere l'estate che muore/ 
Con un giornale ed un caffé/con un ricordo di te. 

Una stazione in riva la mar/dopo l'estate mi accoglierà/
con un giornale ed un caffè/con un ricordo di te.

Coda - Con un giornale ed un caffè/con un ricordo di te



Corollario sonoro : La Mer di Debussy                                                                                                                              Hesperia

giovedì 9 febbraio 2012

Neve, Immagini, Poesie

Una breve rassegna di poesie e immagini su Inverno e Neve,
anche se poi molti di noi ...ne hanno già avuto abbastanza ...

(Pieter Bruegel il Vecchio "I Cacciatori nella Neve")


Fr. 338 Voigt

ὔει μὲν ὀ Ζεῦς, ἐκ δ' ὀράνω μέγας
χείμων, πεπάγαισιν δ' ὐδάτων ῤόαι ...
[ἔνθεν]
[ ... ]
κάββαλλε τὸν χείμων', ἐπὶ μὲν τίθεις
πῦρ ἐν δὲ κέρναις οἶνον ἀφειδέως
μέλιχρον, αὐτὰρ ἀμφὶ κόρσαι
μόλθακον ἀμφι[ .. ] γνόφαλλον

trad.:
Zeus fa piovere dal cielo grande tempesta,
e sono gelate le acque correnti
quindi......[...]
abbatti questo inverno, aggiungendo legna sul
fuoco, mescendo il dolce vino senza risparmio,
e attorno alle tempie
morbida lana avvolgi.

(Alceo)



Carmina I, 9

Vides ut alta stet niue candidum
Soracte, nec iam sustineant onus
siluae laborantes, geluque
flumina constiterint acuto?
Dissolue frigus ligna super foco
large reponens atque benignius
deprome quadrimum Sabina,
o Thaliarche, merum diota.
Permitte diuis cetera, qui simul
strauere uentos aequore feruido
deproeliantis, nec cupressi
nec ueteres agitantur orni.
Quid sit futurum cras fuge quaerere et
quem Fors dierum cumque dabit lucro
appone, nec dulcis amores
sperne puer neque tu choreas,
donec uirenti canities abest
morosa. Nunc et Campus et areae
lenesque sub noctem susurri
composita repetantur hora,
nunc et latentis proditor intimo
gratus puellae risus ab angulo
pignusque dereptum lacertis
aut digito male pertinaci.

(Orazio)

trad.:

Vedi come il Soratte si innalza candido per l'alta neve, e come ormai i boschi affaticati non sopportano il peso della neve, ed i fiumi si siano congelati per il gelo pungente? Scaccia il freddo ponendo con abbondanza legna sul focolare e con maggior generosità versa, Taliarco, vino di quattro anni dall'anfora sabina: lascia il resto agli dei che, appena hanno abbattuto i venti che combattono sul mare ribollente, nè i cipressi nè i frassini secolari si muovono più. Non ti chiedere cosa accadrà domani e segna a tuo guadagno tutti i giorni che ti darà la sorte e non disprezzare, ragazzo, i dolci amori e le danze, finchè è lontana da te che sei nel fiore l'acida vecchiaia. Ora si ricerchino all'ora stabilita il Campo Marzio, le piazze ed i leggeri sussurri sul far della notte, ora si ricerchino il riso gradito che dal riposto angolo svela la ragazza nascosta, ed il pegno strappato da un braccio o da un dito che non fa resistenza.


Neve

Neve che turbini in alto e avvolgi
le cose di un tacito manto.
Neve che cadi dall'alto e noi copri
coprici ancora, all'infinito: imbianca
la città con le case, con le chiese,
il porto con le navi,
le distese dei prati.....

(Umberto Saba)

(a fianco, Giuseppe De Nittis "Effetto di Neve";







sotto Gustave Courbet "La Volpe")


L'uccellino del freddo

Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...

(Giovanni Pascoli)


(Camille Pissarro, "Strada Innevata")


Antico inverno

Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
cercavano il miglio di uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole:
un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.

(Salvatore Quasimodo)


(A sinistra, Sisley "Strada a Louveciennes")


Aggiungo una delle mie versioni preferite di "Ebben? N'Andrò Lontana" per la voce di una delle mie beniamine, Renata Tebaldi,

tratta dalla "Wally" di Alfredo Catalani (composizione 1889-1891), su libretto di Luigi Illica (fonte letteraria "Die Geier-Wally" di Wilhelmine Von Hillem).

Qui un'altra sua magistrale versione del 1969.


Ebben? N'andrò lontana..

Come va l'eco della pia campana,
Là fra la neve bianca...
Là fra le nubi d'ôr;
Laddove la speranza
È rimpianto, è dolor!

O della madre mia casa gioconda
La Wally ne andrà da te
Lontana assai
E forse a te più non farà ritorno,
Nè più la rivedrai...Mai più, mai più!

Ne andrò sola e lontana,
Come l'eco della pia campana,
Là fra la neve bianca
N'andrò,
N'andrò sola e lontana
E fra le nubi d'ôr!




Josh

giovedì 2 febbraio 2012

La via del ferro


Valvarrone - Tremenico - foto dal sito Ecomuseo della Valvarrone

Volevo scrivere un post a completamento dei tre brani che ho trascritto dal libro di Enrico Baroncelli, La Valle del ferro (questi i brani), ma il racconto sulla Via del ferro, parte integrante della storia della Valle, mi ha entusiasmato a tal punto da farmi deviare dal proposito iniziale. In Italia ci sono tante altre vie o valli con questi toponimi, ma la valle di cui si parla in questo post è quella che si estende tra la Valsassina e la Valvarrone.

Nel VI secolo A.C. fu forse un gruppo di etruschi, spintisi fino a quelle latitudini, ad introdurre in quelle valli il metodo di estrazione del ferro da rocce metallifere; aveva così inizio la vocazione mineraria della vallata. Una vocazione che procede tuttora nel distretto manifatturiero di Premana, dove ogni casa è un laboratorio per la lavorazione del ferro. Nel paese vengono prodotte forbici per le quali è famosa Premana nel mondo.

La storia plurimillenaria delle miniere della Valsassina e Valvarrone, nel Seicento e Settecento s'incrocia con quella di due potenti famiglie della valle, i Monti e i Manzoni, che in quel periodo ebbero un ruolo primario nelle vicende geo-politiche della valle. Nel 1647 la Valsassina era stata infeudata per la prima volta nel corso della sua storia, e il primo feudatario fu un Monti, il quale, per vanagloria, assieme al feudo aveva pure acquistato il titolo nobiliare di Conte, conte don Giulio Monti. Dalla famiglia Manzoni, proprietaria di quasi tutti i forni della Valvarrone, nascerà Alessandro Manzoni. Ma queste sono belle storie che riprenderemo eventualmente in altri post, qui ci occupiamo di storia mineraria della valle.


Premana. Il rudere è ciò che rimane di una vecchia fucina. Vicino ci sono anche i forni che servivano a fondere il ferro scavato dalle miniere della vallata (Foto di Donata Barin)

La Via del ferro, questa via del ferro, da non confondere con altre, ha avuto anch'essa origini nell'Età del Ferro, e precisamente tra i secoli VI - II A.C., forse ad opera di etruschi che s'erano spinti fino a queste latitudini, sul Monte Varrone, la montagna alle spalle di Dervio, località del Lago di Como situata tra Bellano e Colico. La presenza di etruschi sul Varrone pare sia ancora avvolta nel mistero, non essendo stato trovato alcun reperto che lo comprovi. E' invece certo che a loro si sovrapposero gruppi di Celti-Liguri, i quali dovettero poi lasciare il campo a popolazioni barbare provenienti da nord. Seguirono i Galli, padroni della zona fino all'arrivo dei romani, avvenuto nell'anno 196 A.C., con le legioni di Claudio Marcello. Anzichè combatterli e cacciarli, quei romani optarono per la pacifica convivenza con i Galli, formando così un nucleo misto di Gallo-Romani, contemporaneamente presenti anche a Milano. Per le miniere di ferro della Val Varrone iniziava un periodo d'intenso lavoro, durato incessantemente fino al termine dell'età viscontea. Nell'Età Romana, i lavori più pericolosi e massacranti - scavo nelle miniere e trasporto del materiale alle fornaci - veniva fatto svolgere da schiavi che i romani avevano strappato dalle loro terre.
La via del ferro della Valvarrone era una ragnatela di sentieri e mulattiere rimaste attive migliaia di anni, che partivano dalle cave sparse per i monti, per confluire a fornaci parecchio distanti. Tragitti lunghi, quindi, e assai faticosi, tanto che un cavallo, carico di rocce da colare, pesanti l'equivalente odierno di circa 160 kg, poteva fare un solo viaggio al giorno.

Nel Settecento le fornaci della Valvarrore in totale erano 6, e quasi tutte di proprietà dei Manzoni. Dai punti di colatura quasi tutto il ferro prodotto prendeva la via per Milano. Non essendoci strade, ma solo sentieri fino al 1832, quando gli austriaci inaugurarono la strada militare per lo Stelvio, divenuta poi l'attuale provinciale 72 Lecco - Colico (vedi alla voce Sentiero del Viandante), le merci viaggiavano via lago fino a Como, per poi giungere a Milano tramite l'antica arteria viaria costruita ancora in età Romana quasi 2000 anni prima. Per ridurre la durata, e alleviare la fatica per quel genere di trasporti, Ludovico il Moro ordinò l'apertura del naviglio della Martesana (originariamente nato solo per scopi irrigui) al passaggio di barconi mercantili. In tal modo il traffico fu dirottato gradatamente a Lecco. Da lì le merci potevano giungere direttamente alla Darsena di Milano, col solo disagio per un doppio trasbordo nei pressi di Paderno d'Adda (vedi alla voce Leonardo al MUST di Vimercate). Nei pressi della Darsena erano dislocati tutti gli utilizzatori di quelle merci, nel nostro caso il ferro, raggruppati in vie che già in epoca viscontea portavano nomi che richiamavano ai loro mestieri: via Spadari, via Armorari, ecc.

L'assenza di una vera rete viaria rendeva sempre meno conveniente la produzione locale, a favore di altri concorrenti regionali, tra cui le fornaci di Dongo, poste dall'altra parte del lago, sulla riva occidentale, che invece godevano di una funzionale viabilità stradaria fin dall'epoca romana, attraverso la Strada Regia (poi Strada Regina). E' quindi logico pensare che i porti di Dervio e di Bellano rivestirono grande importanza nei secoli, fino al 1832, poichè mancavano strade di comunicazione, e i commerci per Milano, sbocco privilegiato per le merci della Valsassina, si potevano svolgeve solo via lago. 


Forbici di Premana - foto mia

Curiosando

Nel 1782 a Premana il Forno detto di San Giorgio "lavora quattro mesi ogni due anni, consuma ogni giorno 32 sacchi di carbone e cuoce 44 Cavalli di vena circa, da cui ricavasi circa Pesi 117 di Ferro crudo e pesi 3 di Ferro minuto".

Per far rilanciare il ferro della Valsassina, rendendolo più competitivo, sul finire del XVIII secolo gli austriaci costruirono la strada Taceno-Bellano.

Secondo il saggio-ricerca di Enrico Baroncelli, ferro della Valvarrone sarebbe stato impiegato per la costruzione del Teatro La Scala.

All'epoca dei Monti e dei Manzoni, si utilizzavano unità di misura totalmente diverse da quelle odierne. 
Estrapolate dai quaderni derviesi, a cura di Michele Casanova, ecco alcune unità di peso utilizzate per gli scambi commerciali.
Per il ferro si usava il rubbo, equivalente a 8,17 kg per la città di Milano, e 7,916 kg nella città di Como.


Cataste di legna ricoperte di terriccio per produrre carbone a legna
Foto di Donata Barin, dalla festa "Premana rivive l'antico"
  
Per il carbone, necessario per colare il ferro, si usava il moggio, corrispondente a varie libbre, unità di peso variabile, a seconda del genere di prodotto da pesare (esempio, un moggio di frumento corrispondeva a 340 libbre).
La libbra aveva anche due sottounità: libbra grossa (0,76252 kg a Milano); libretta (0,3268 kg a Milano).
I boschi della Valsassina venivano di norma tagliati ogni 30 anni, e da ogni pertica di bosco si potevano ricavare circa 63 moggia di carbone.

I Ferraini - cioè gli scavatori - siccome erano pagati a cottimo, per avere una maggiore mole di minerale da consegnare non facevano una cernita diligente. Buttavano dentro di tutto, e questo danneggiava il padrone, quindi l'impresa, che poi spesso chiudeva o falliva, anche a causa di questo sleale comportamento che ne abbassava la resa.

Nel 1783 il forno al Ponte Regio di Premana, di proprietà di Massimiliano Manzoni, dava lavoro a circa 150 persone. Lo aveva concesso in affitto fin dal 1775 a Francesco Mornico, il quale, nel 1788, vi produsse il primo acciaio italiano. Massimiliano e il poeta Alessandro Manzoni discendevano dall'avo comune Pasino Manzoni, valsassinese morto nel 1592.


La via del ferro - nell'interpretazione di Davide Van De Sfroos