mercoledì 28 marzo 2012

MOEBIUS, AVVENTURIERO DELLE FORME DISEGNATE E DIPINTE

Il 9 marzo scorso, a 73 anni, è morto il grande disegnatore e sceneggiatore di storie per immagini Jean Giraud, detto anche Gir ma più noto con lo pseudonimo di Moebius, artista eclettico e immaginativo capace di innovare e stravolgere con la sua fantasia prodigiosa e col tratto magico della matita e del pennello tutti i generi, il western, la science-fiction, il fantasy, restando a cavallo tra passato e futuro ma attingendo a piene mani nel mito, nell’onirico e nell’inconscio per estrarne mostri surreali generati dalle nostre angosce ma anche figure bellissime ai limiti dell’angelico, non meno inquietanti, tuttavia, degli esseri mostruosi. Lo ha detto anche lui: “Si trascrivono cose presenti nel profondo di noi stessi”.

La definizione riduttiva di fumettista si attaglia poco a un disegnatore eccezionale e visionario come lui. Ma, di fatto, benché abbia compiuto numerose incursioni nel cinema, collaborando, tra altri, con registi del calibro di Jodorowsky, Luc Besson e Ridley Scott, Giraud è stato essenzialmente un disegnatore di storie a fumetti. Viene da chiedersi perché abbia scelto questo mestiere minore e non abbia fatto il pittore tout court. La risposta non è difficile, se ci riflettiamo un momento. In un’epoca come quella in cui Giraud ha vissuto, durante la quale la pittura ha subìto un’involuzione radicale, declassando la figurazione ad anticaglia e perfino negandole l’ammissione ai circuiti commerciali, che cosa poteva fare, per guadagnarsi da vivere, un figurativo per eccellenza come lui, capace come pochi altri di restituire con minuziosa dedizione figure d’uomini e donne così come ci appaiono quando le osserviamo esternamente e come diventano allorché assumono forme aliene e minacciose; o animali evocati da un passato ancestrale oppure emersi da qualche fessura delle pareti di casa; e inoltre i paesaggi più lussureggianti, gli abissi degli oceani, cieli rilucenti di stelle solcati da navi spaziali immaginifiche; e infine città, città del futuro, città impossibili, città librate nello spazio a somiglianza di quelle evocate da Magritte ma molto più intriganti delle sue?

Indubbiamente è perché aveva in ogni caso scelto di vivere tracciando figure quando, dopo aver giocato con la matita e i pennelli fin da bambino, ha cominciato a disegnare professionalmente dedicandosi al genere più popolare del fumetto, il western, proprio nel momento in cui fioriva in Europa il west di Sergio Leone e contribuendo assieme a lui a restituire al genere quell’appeal che in America stava perdendo per eccesso di usura. Il suo west è quello rappresentato dai tratti scanzonati del luogotenente Blueberry (Mirtillo), una sorta di Jean Paul Belmondo rusticano che, per una decina d’anni, cavalca e spara nelle strisce di Jean Giraud inseguendo avventure tratte dal retroterra hollywoodiano ma sempre illuminate da un humour irridente e dissacrante.

Finché il suo autore perde interesse per il western-mirtillo così come, in Italia, il western-spaghetti stava già stretto a Sergio Leone, e imbocca un’altra strada, quella della fantascienza, o meglio della fantasia d’un viaggiatore nello spazio e nel tempo che attinge all’alienità, all’ambiguità, all’extrasapienza e alla diversità, assumendo, in questa nuova veste, lo pseudonimo di Moebius ripreso da uno scienziato del ‘700, matematico e forse negromante. Ed è a questo punto che si scatena in tutta la sua potenza immaginativa la fantasia di questo autentico avventuriero delle forme disegnate e dipinte, creatore di un universo al tempo stesso tenebroso e luminoso che rappresenta più l’interno che l’esterno di noi stessi. E’ sulla rivista Métal Hurlant , fondata dallo stesso Moebius insieme ad un manipolo di amici, che si sviluppa il nuovo corso delle sue storie, affidate più al disegno e all’impaginazione grafica che alle parole, e dove la struttura del racconto non ha sequenze logiche ma si configura come un viaggio all’interno della mente, una fantasticheria o prospezione visionaria su un tempo che non è passato né presente né futuro, anche se li condensa tutti e tre. Questo nuovo genere di storia disegnata farà scuola e costituirà il traguardo stilistico di riferimento per un’intera generazione di disegnatori, tutti emuli di Moebius, oggi resi orfani dalla sua morte.


In verità tutti coloro che conoscevano la sua magnifica produzione grafica si sentono orfani. Per anni egli ha nutrito ed esaltato il nostro immaginario nel suo modo personalissimo, fascinoso e incantevole, e questo ci mancherà. Inoltre ha mantenuto viva e alta la bellezza e la nobiltà dell’arte del disegno, avvalendosi delle tecniche più moderne ma senza mai dimenticare gli insegnamenti più fulgidi del passato (si avverte costantemente nel suo tratto l’influsso di grandi disegnatori come il Durer e il Doré), e anche questo lo rende prezioso.

Dionisio