mercoledì 27 febbraio 2013

Dante e varie idee sul "gran rifiuto" in letteratura

In questi giorni, in molti si sono occupati dell'abdicazione del Papa. Qui non lo facciamo.

In quanto blog dedicato a culture e aspetti collaterali, osserviamo appena più da vicino un passo letterario controverso spesso estrapolato. Personalmente non ero d'accordo con l'opinione (supposta) di Dante su San Pietro da Morrone/Celestino V (e nemmeno la Chiesa Cattolica, che venera Celestino V come Santo, con festa liturgica il 19 Maggio, Patrono di Isernia, compatrono dell'Aquila, Urbino e Molise).

« Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto. »

(Inf., III, 58-60)


Siamo nel Canto III dell'Inferno, che introduce alle prime immagini dell'ambiente malefico.
Il tema d'avvio è tipicamente medievale, quasi rituale nella minacciosa scritta all'ingresso (l'anafora Per me si va.../per me/per me) e cristiano almeno nel concetto dell'eternità delle pene.
Dante ha appena varcato la porta dell'Inferno con Virgilio, è nell'AntiInferno, dove sono le anime degli ignavi, che visser "sanza infamia e sanza lodo" (Inf. III, 36), non operando il male ma neanche il bene, così che la misericordia divina, in ottica dantesca, li sottrae all'inferno, ma pure la giustizia li escluderebbe dal paradiso.

Dante giunge al primo gruppo di anime, gli "ignavi" (22-69) e scorge nella massa una figura paurosa che non nomina. Ne sottolinea subito la viltà.

Se la critica letteraria si è interrogata sulla figura anonima con esiti discordi, è stata costretta a convergere a volte con le tradizioni dei commentari coevi o quasi: si poteva trattare di papa Celestino V,  
di Esaù (figura biblica, che per un piatto di lenticchie vendette il diritto alla primogenitura, cfr. Genesi 25-27, 36; ripreso nel NT in Ebr. 12:16,17; Rom. 9:10-13 ) o Ponzio Pilato.


(nell'immagine, rappresentazione tradizionale dell'eremita Pietro da Morrone futuro S.Celestino V)

Dante, con la Commedia, oltre la nota polisemia testuale, ha di fatto costruito un poema immaginario dell'aldilà, basandosi su più fonti d'ispirazione, anche per castigare a modo suo l'aldiqua, e portare a termine qualche vendicativa invettiva personale (non va dimenticata la sua concezione di Chiesa e Impero, intesi come entrambi dotati di potere temporale e di chiamata sacra, mescolata alle sue vicende personali).
In linea di massima, in più casi, nell'interpretazione del passo, si tende ad escludere le altre figure, e si concorda col fatto che Dante mise all'Inferno Celestino V, che invece la Chiesa Cattolica onora.

Dante, come in altre parti della Commedia però, abbandona più volte ogni concetto canonico, dal momento che sia Bibbia sia Eneide ignorano gli ignavi,
mentre i Vangeli esaltano gli umili e i "poveri di spirito" (si vedano per es. le sole Beatitudini).  
Un concetto forte in ambito biblico, cui si pensava si fosse ispirato Dante, diversamente si trova in Apocalisse cap. 3:14, ma se si sa approfondire il testo sacro, non si parla certo di "ignavi" (nè di San Celestino V, che la tiepidezza non sapeva manco cosa fosse, schietto e radicale com'era nelle sue scelte) ma di apostasia:

14 All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi:
Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: 15 Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16 Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17 Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. 18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. 19 Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. 20 Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21 Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. 22 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.


(Laodicea era situata in un crocevia in Asia Minore: ricco centro amministrativo, vi si producevano lane, medicinali anche per gli occhi, era ricca di acque curative, distrutta però da un terremoto nel 60 d.C.; la Chiesa del luogo non fu fondata o visitata da S.Paolo -Col. 2:2- ma da Epafra -Col. 4:12-13- ; solitamente l'esegesi riferisce questo passo non tanto alla chiesa del posto d'allora, ma a una condizione della Chiesa; c'è chi lo legge in termini solo storici, -molto comodo....- , ma da un punto di vista etico e mistico è valido sempre e comunque per l'autoanalisi e come monito sacro a chiunque legge)
 
Il concettismo di Dante sugli ignavi allora va rintracciato sulla scorta di tutt'altri esempi, già presenti nella propria opera:
dal momento che amava grandi impetuosi caratteri "solari" o conquistatori della vita, come Cicerone (Inf. IV) e San Tommaso (collocato dal poeta nel IV cielo, tra gli spiriti sapienti, Par. X, XI, XIII, XIV), allora l'accostamento simbolico va inteso nel poeta come contrapposizione tra magnanimi - ignavi, quando per Dante ignavia andava intesa come pusillanimità dinanzi a una responsabilità etica, politica, civile e/o religiosa pubblica.

In questo caso comunque, mancando la categoria "ignavi" sia nella Bibbia (la vicenda di Esaù è più sottile, il suo non fu un "peccato" d'ignavia, ma un esempio d'uomo "naturale" e istintuale, abile cacciatore, pieno di mogli, forte fisicamente, ma sprovvisto di fede, di senso e interesse spirituale) sia nell'Eneide, Dante trae l'immaginaria categoria degli ignavi dal senso comune, ed escogita per gli ignavi una pena/contrappasso per opposizione.

Chi in vita non prese mai posizione, non seguì mai una bandiera, non si schierò, è ora costretto ad inseguire in eterno, assurdamente, un'insegna.
Chi non sentì mai l'orgoglio (da Dante inteso come un valore dei magnanimi, e non un peccato, come invece è, pur nella molteplicità d'interpretazione del vocabolo), ora è sobillato in eterno da insetti repellenti.
La condanna, tutta dantesca quindi, degli ignavi, intesi come vili, ha la sua motivazione principale probabilmente nella fierezza del carattere di Dante, nella sua tempra incline a prendere posizione senza mezze misure, a non (saper) astrarre mai da sè, e a schierarsi sempre con i grandi caratteri, con le "tempre" volitive, conquistatrici e inflessibili (anche in senso mundano), che stima spesso nel bene e anche nel male.

Se i Libri Sapienziali (Proverbi, Qohèlet in part.) già affermavano che era infinito il numero degli stolti (intendendo però con 'stolti' non i semplici, i miti, gli umili, ma chi tiene il cuore ostinatamente lontano da Dio),
Dante non sviluppa il concetto di pregio dell'umiltà (miti, puri, umili, ultimi, poveri in spirito favoriti da Dio) dei Vangeli, e lascia intendere che per lui gran parte dell'umanità è stolta, nell'accezione dantesca di -senza nerbo-, e non vede in questo una caratteristica su cui possa rivolgersi la reale Misericordia divina, che in realtà dichiara proprio nei testi sacri di "far grazia agli umili" (altro caso ancora, Luca 1:52)

Per cui, anche in questo tratto d'Inferno, possiamo notare versi divenuti proverbiali, che riteniamo appartenenti alla tradizione e alla memoria collettiva,
ma in cui i significati sono dal poeta intesi in un'ottica differente dai testi originali
da cui sono ispirati.

Bibbia ed Eneide rimangono i modelli letterari e gli antecedenti di Dante anche in questa parte, ma rimane ugualmente vero che proprio Bibbia ed Eneide (così "medievale" l'accostarli, e l'appaiarli, dal momento che per i credenti la Bibbia è la Parola di Dio, l'Eneide un'opera capitale, ma solo umana di Virgilio) non parlano di questo tratto d'umanità in questi termini.

Un indizio, che Dante si riferisse a Celestino V, è da alcuni considerato anche l'uso di citare personaggi senza nominarli direttamente, quando si tratta di casi famosi alla sua epoca, in cui bastava un'allusione a delinearne l'identità; alcuni commentatori suoi contemporanei convergono nell'indicare Celestino V come artefice del "gran rifiuto" e alcuni miniaturisti dipingevano di solito una figura con la tiara nella schiera degli ignavi. Se Dante davvero non avesse voluto indicare Celestino, il resto fece l'opinione popolare e alcuni commentari,
che cristallizzarono nei secoli un'accusa piuttosto sciagurata a un pover'uomo, usato senza scrupoli come capro espiatorio dai potenti del tempo.


Petrarca diede uno spaccato in parte differente di Pietro da Morrone nel "De Vita Solitaria" (il 1313 è la data della canonizzazione di San Celestino V).  Per Boccaccio invece, Dante nel verso si riferiva ad Esaù.
Comunque il Petrarca lo considerò a suo modo vile (De vita solitaria, III, 27), ma ritenne la rinuncia  "utile a lui e al mondo per l'inesperienza degli affari, perché era uomo di assidua contemplazione, per l'amore alla solitudine", anche se intendeva il gesto coerente con la sua vita di eremita, col suo senso di libertà e del sacro, che fuggiva la corruzione del mondo e della Chiesa.

Il realtà Petrarca e Dante, anche se da posizioni diverse, non misero mai in discussione il fatto che anche il papato dovesse avere un ruolo politico pieno tra le potenze del mondo.
Dante voleva un pontefice disposto a collaborare, alla pari, con l'Imperatore. La sua delusione fu la vista, dopo Celestino, di Bonifacio VIII papa:
sarà infatti Bonifacio VIII causa dell'esilio di Dante da Firenze e per il poeta causa della rovina della città. L'interesse personale diretto non è mai alieno del tutto dalla Commedia.

Petrarca, non così coinvolto in prima persona nella vicenda e nell'aspettativa politica quanto Dante, si limitava ad auspicare un pontefice "capace", "affidabile", tipico nella tradizione della Chiesa Cattolica, e di Celestino capiva la scelta nei termini della volontà individuale del suo spirito, ma non nei fatti di necessità del ruolo della sua carica nel mondo.
Nessuno dei due poeti seppe penetrare fino in fondo il caso dell'eremita Celestino V.

Dante era ancora in vita al momento della canonizzazione del Santo, c'è chi pensa che non avrebbe messo all'Inferno un Santo appena elevato agli onori, e che il passo infernale si riferisca ad altro,
così come c'è chi, conoscendo appunto il vigore del poeta, e che la Commedia è stata ritoccata fino alla morte di Dante, pensa che il poeta potrebbe aver voluto esprimere proprio il suo disappunto sia contro San Pietro/Celestino V sia contro papa Clemente V (il papa autore della beatificazione di Celestino, che però sospese anche l'Ordine dei Templari e spostò la sede del papato in Francia,  che Dante colloca proprio all'Inferno tra i simoniaci), sia contro l'abdicazione di Celestino V perchè pur tra i tranelli subiti, il lasciare, diede via libera al cardinale Caetani futuro Bonifacio VIII, noto bersaglio dantesco.


Pier (Pietro) da Morrone (nato Angeleri, nel 1209 o 1215) era un eremita, che espresse una notevole vocazione all'ascetismo, ritirandosi nel 1239 in una caverna sopra il Monte Morrone, sopra Sulmona. Prese i voti sacerdotali a Roma, ma nel 1241 ritornò al Monte, in un'altra grotta ancora più separata dal mondo a vivere in semplicità. Si allontanò dall'eremitaggio per fondare una Congregazione ecclesiastica riconosciuta da papa Urbano IV e confermata poi da Papa Gregorio X (al Concilio di Lione, cui si recò a piedi nel timore della soppressione dell'ordine) come ramo dei Benedettini eremiti, che ebbe la sede nell'Eremo di Sant'Onofrio al Morrone, nota come Fratelli dello Spirito Santo o Celestini.
Il 5 luglio del 1294, dopo ben 27 mesi di conclave dopo la scomparsa di Niccolo IV, 11 cardinali (in lotta tra Orsini, Colonna, Carlo II d'Angiò) lo elessero papa a Perugia, col nome di Celestino V.
Incoronato il 29 agosto, all'età di 79 anni, rinunciò al papato il 13 dicembre 1294,  pressato da forze intestine e lotte di potere della curia romana dell'epoca, e morì nel 1296 forse assassinato (le perizie mostrano un buco nel cranio probabilmente risultante da un chiodo infisso nel suo capo, non si sa se causa della morte o successivo) dopo arresto e durissima detenzione in circostanze discusse, imprigionato nella torre del Castello di Fumone ad Anagni; fu catturato mentre stava riparando nelle sue grotte dopo esser stato portato a Napoli in rivolta, poi in procinto di salpare per la Grecia, tra pressioni di Carlo d'Angiò, dei cardinali filofrancesi, degli intrighi di Bonifacio VIII.
La canonizzazione avvenne sia per sollecitazione del re di Francia Filippo il Bello, sia per desiderio popolare (si narra che nel giorno della sua morte, una figura comparve nel luogo della sua prigionia, di visioni simboliche e altre figure di luce), accelerando il procedimento avviato dallo stesso Bonifacio, che nonostante tutto portò a lungo il lutto per Celestino. Tuttavia Clemente V non lo canonizzò come Martire, come richiesto dal sovrano (riconoscendo le circostanze di oppressione che lo avevano portato alla tragica fine), ma come Confessore della Fede. Filippo il Bello in seguito prese parti del corpo di San Celestino da esibire come reliquie, e ancora, in età contemporanea nel 1988 furono trafugate, poi ritrovate,  le spoglie del Santo dal Mausoleo della Basilica di Collemaggio.
Qui una biografia più dettagliata .

Tornando al passo dantesco, la critica rimane divisa sul passo anche in pieno Novecento, tanto che Natalino Sapegno teorizza che Dante non pensasse nemmeno a un personaggio concreto per "l'ignavo", ma volesse creare un typos astratto.

Per chiudere un argomento che è un campo di tensioni che ha attraversato i secoli, incontenibile in un banale post, anche il libro "L'avventura di un povero cristiano" di Ignazio Silone è dedicato alla vita di Celestino V.


Josh

26 commenti:

Hesperia ha detto...

Mizzica, che argomento! Da spulciare fino a mercoledi prossimo. Dunque secondo il Sapegno, non sarebbe manco vero che Dante alludesse al Celestino V che ci hanno inculcato i nostri prof a scuola.
Beh, poi ripasso perché la lettura merita approfondimento.

Sympatros ha detto...

Dante è figlio dei comuni, della civiltà comunale della toscana di fine duecento, caratterizzata da una frenetica partecipazione alla vita cittadina, alle lotte fra le parti, all'amore per gli stendardi per le corporazioni.. fino alle feroci lotte fra guelfi e ghibellini e infine fra guelfi bianchi e guelfi neri. Una vita fuori della lotta, per uno col carattere di Dante, era inconcepibile… difatti gli ignavi sono condannati a seguire una bandiera, uno stendardo.. per contrappasso quella bandiera che non hanno seguito in vita. La vita è scelta ed è lotta per Dante e per questo imparerà presto "come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ' l salir per l'altrui scale " cioè l'umiliazione dell'esilio e sperimenterà altrettanto il secco vento "che vapora la dolorosa povertade . Per Dante il non scegliere è cosa grave…. Dante granitico e sicuro, per molti aspetti ancora uomo del medioevo, non è corrotto dalla "modernità" incipiente come invece sarà Petrarca che si crogiolerà nel piacere dolce amaro dell'abulia del dubbio e del rimorso.
La Comedìa dantesca ha avuto da subito commentatori e nei secoli le interpretazioni proliferate si sono sedimentate le une sulle altre. Io propendo per Celestino V, che col suo atto, con la sua fuga, con la sua "viltà" ha lasciato il posto ad altre forze "politiche" ad altro papa, indigesto a Dante.

Josh ha detto...

Hesperia, in effetti il post è venuto un po' lungo ma tant'è...

Sì alla fine Sapegno parla di figura astratta e typos: mi sa che si era stufato di leggere interpretazioni funamboliche sul "gran rifiuto".

In realtà penso volesse tornare a una purezza del testo, (come dire: ciò che non è detto esplicitamente non esiste) liberandolo da tradizioni spurie.

Resta il fatto che nelle edizioni critiche degli ultimi 20 anni dell'Inferno, si parla del caso e si riportano le varie posizioni, non mettendo più la mano sul fuoco sul fatto che fosse Celestino in quel passo.

Josh ha detto...

Sympatros mostra di conoscere molto bene l'animo di Dante, la sua formazione, psicologia.... e l'humus in cui visse.

:-)

c'è ben poco da aggiungere

Sympatros ha detto...

Certo le analogie fra Celestino V Benedetto XVI non sono molte… Celestino il papa non lo voleva proprio fare e dopo l'accettazione si accorse che NON lo poteva fare e durò quindi pochissimo… come in politica non sempre gli onesti sono bravi politici.. così nella religione non sempre i santi sono all'altezza. Celestino era uomo abituato alla rudezza della vita monastica delle grotte, solitudine e natura erano il suo contesto. Il contesto di Benedetto XVI è differente. E' un contesto urbano e intellettuale, ma poi Benedetto non ha rifiutato, ha fatto il papa per anni… ad un certo punto la vecchiaia e l'incapacità di far fronte fisicamente e non fisicamente ai gravi problemi in cui versa la chiesa lo hanno spinto a mollare.
Celestino era rimasto un ruvido e solitario contadino dei monti…. Benedetto è un raffinato!

Hesperia ha detto...

Un'aggiunta. Silone dovette confrontarsi con la Chiesa Rossa. Che in fatto di dispotismo non era diversa da quella ...bianca. Divenne un caso nell'allora PCI, il "caso Silone". Credo che il movente del suo interesse per Celestino e le crudeltà che dovette subire, sia un po' questo.

Josh ha detto...

senz'altro Hesperia, Silone ci ha visto un parallelo a modo suo, nella sua situazione, così della vicenda ha fatta una metafora.

L'ho messo non tanto perchè chissà quali scenari avesse aperto sul nostro tema direttamente,
quanto per mostrare quanto il simbolo/codice/modello iniziale del "rifiuto di Celestino" sia radicato nell'immaginario,
sia sopravvisuto nei secoli,
e sia stato poi attraversato in tanti modi diversi da chi ne ha parlato o accennato.

Josh ha detto...

Vero Sympatros....Mi fa piacere che anche tu l'abbia notato...
Tra B VXI e Celestino le affinità non ci sono, anche se certa stampaglia l'ha tirato in ballo.

_Celestino il papa non lo voleva proprio fare e durò pochissimo…

_Celestino era un eremita in cerca dell'ascesi
_B XVI senz'altro diverso, anche se dalla spiritualità più introspettiva rispetto a Woytila,
anzi una figura già importante con Woytila
presente al Vaticano II, tutt'altro che un marginale.

_certo B XVI si è recato a rendere omaggio a Celestino nel 2009...ammirazione per i Benedettini l'hanno entrambi, ma le similitudini finiscono lì

_Celestino rude monaco dei dirupi/ B XVI appassionato d'arte, letteratura, filosofia, teologia, musica (l'inseparabile pianoforte)


Hesperia ha detto...

In sostanza questa canonizzazione di Celestino, ha tutto il sapore di un gesto riparatorio, dal punto di vista storico.

C'è una cosa che mi ha colpito sulla rinuncia dell'attuale Papa nel quale non colgo nessun aspetto in comune con Celestino, sia per i tempi, che per le differenti circostanza, che per l'intelletto vigile di Benedetto.

Mi colpiscono invece gli aspetti formali: come chiameremo l'attuale Papa? E via con l'"emerito". Come si vestirà ? Di bianco ma senza mantellina. Con mocassini, ma non più rossi, ma marron o beige.

E se è vero che nella Chiesa gli aspetti legati alla forma e alla liturgia sono importanti, però non mi pare che la mantella e i mocassini, dovrebbero essere l'occupazione principale dei vaticanisti. Dopotutto non è una sfilata di Valentino.

O tempora ! O mores!

Josh ha detto...

In effetti, sembra che dopo tutto quello che gli avevano fatto passare, l'abbiano in qualche modo voluto premiare con la canonizzazione. Che senz'altro comunque ci stava tutta.

Anche se fa specie che nonostante c'è chi lo volesse "Martire della Fede" gli abbiano preferito il titolo "Confessore della Fede".

Sì perchè, se la dicitura fosse stata "Martire della Fede", sarebbe sorta la domanda:
e chi l'aveva martirizzato?
in fondo, la Chiesa stessa e i suoi intrighi.

Josh ha detto...

Sicuramente per il caso attuale, tutto l'ambaradan pletorico del chiacchiericcio intorno a dettagli insignificanti della persona del papa a me alla lunga stanca.

Di questo hanno colpa i media, i giornalisti stessi, anche cattolici talvolta.

Qui non si tratta più di sola liturgia: e anche in quel caso, l'essenza è una cosa, la liturgia un'altra.

ma i dettagli sul colore dei vestiti, mantellina sì e mantellina no, scarpe rosse di Prada o mocassini beige visti come fatto importante o di valore rituale, beh

La fede cristiana ruota intorno comunque a un Dio Personale che si incarna in Cristo, muore in croce versando il sangue per dei peccatori, risorge, dona perdono e vita eterna a chi vuole e manda nei cuori lo SS, a cui deve seguire una nostra vita degna. Punto!

Questo barocco-rococò ossessivo sui dettagli della persona, dei vestimenti, a che ora incontra chi, qundo prende il tè, è quasi offensivo. O rasenta il culto feticista della persona, cosa tra l'altro piuttosto aliena dallo stesso B XVI.


Hesperia ha detto...

Benedetto XVI non ha affatto coltivato il culto della sua personalità. E' stato un Papa sobrio, lieve, discreto, colto e introverso, anche a rischio di sentirsi dare del comunicatore non buono. Lui ha sempre saputo di essere un "tramite" e la sua forza è stata proprio in questa sua "non personalizzazione" della fede.

La gente l'ha capito in ritardo. E i media in questo hanno le loro responsabilità perché volevano un papa più "comunicatore" con gli strumenti moderni del comunicare: i media. Ora nel giro di poco tempo, sono passati schizofrenicamente dallo Zenith al Nadir, e penso che anche tutti questi peana, alla fine lo abbiano tediato.

Lui e suo Fratello (il maestro di Cappella) con quei maglioni neri da sacerdoti, col pianoforte e coi gatti ricordano un po' quei personaggi sturmisch del periodo protoromantico tedesco: due personaggi inattuali. Di una "inattualità virtuosa".

Josh ha detto...

Hai azzeccato in pieno un punto di volta....

"Lui ha sempre saputo di essere un "tramite" e la sua forza è stata proprio in questa sua "non personalizzazione" della fede."

Per il mio sentire, è così che si fa, in quel ruolo,
mentre altri protagonismi sono invece sbagliati perchè possono esser fuorvianti.

Aggiungo che l'aver dichiarato il 2013 anno della fede (in Dio),
e insieme, a pochi mesi, è anche l'anno dell'abdicazione di B XVI, non è una contraddizione per me.

S. Giovanni Battista (quello che battezzava quindi, non l'Evangelista e autore dell'Apocalisse)
parlando di Gesù che era andato a farsi battezzare da lui, lo riconosce come Cristo,
e dice

"Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca" (Gv 14:12-13).

E' un passo chiave sull'atteggiamento...
di chiuqnue parli di Dio, in ottica cristiana.
In pratica è un po' come i Salmi "Solo a Lui la gloria..."

Nemmeno al papa, come nemmeno a Pietro, a se stessi, andrebbe lo "spazio",
lo spazio, per un cristiano, va dato a Dio e a Gesù Cristo.

la fede è anche questa.

o per dirla con Paolo
"Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo ...(2 Cor 4:5)

Josh ha detto...

p.s. gatti e pianoforte sono una delle gioie semplici della vita:-)

GL ha detto...

"In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui".(Matteo 11,11)

Josh ha detto...

indubbiamente il tutto si coniuga a una serie di passi che indicano vari atteggiamenti da tenere, anche in vista del vero scopo finale:

"uno di voi dice: 'Io sono di Paolo'; un altro: 'Io di Apollo'; un terzo sostiene: 'Io sono di Pietro'; e un quarto afferma: 'Io sono di Cristo'. 13Ma Cristo non può essere diviso! E Paolo, d'altra parte, non è stato crocifisso per voi. E nessuno vi ha battezzati nel nome di Paolo."
(1 Cor. 1:12-13)

alla fine

"...affinchè Dio sia tutto in tutti" (1 Cor.15:28)

GL ha detto...

Josh come lo spieghi il fatto che Giovanni Battista è unico santo che non viene festeggiato il giorno della morte, ma il giorno della nascita? Mistero della fede eh?

Josh ha detto...

Non me lo sono mai chiesto, davvero, ma per me non cambia molto.

GL ha detto...

Voglio dire che la frase "Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca" forse non ha il senso di una fatalità, come ordinariamente e ufficialmente si interpreta, ma di un sentimento di colpa, la coscienza di un traditore. A differenza dei discepoli, che lo hanno tradito e poi sono ritornati per morire, Battista non è ritornato dopo che ha detto ciao. Per questa ragione la frase: "In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui".Lui e morto per cause futili, e "stranamente" a lui e dedicato per primo la Sacrosanta Cattedrale Papale Arcibasilica Romana Maggiore del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano, madre e capo di tutte le chiese della Città e del mondo.

Se per te non cambia molto, allora per niente abbiamo deciso un appuntamento di incontrarsi noi due nel futuro.

Josh ha detto...

non sono d'accordo con la tua chiave di lettura.

L'espressione "bisogna che Egli (Cristo) cresca e che io diminuisca"
detta da Giovanni battista va piuttosto inquadrata nel resto del testo sacro.
Giovanni battezzava in acqua, e invece Coului che viene /Gesù -dice il testo- vi battezzerà in Spirito santo e fuoco.
Tanto che Giovanni, così selvatico, vestito di pelli, ma gradito a Dio (e nulla nel testo fa pensare diversamente)dice che Cristo, Redentore, Salvatore, Re dei Re...
Giovanni non è in grado nemmeno di allacciargli i calzari.

Non c'è nessuna fatalità nè senso di colpa.
Giovanni battista non ha nessuna colpa nella morte di Cristo.

Josh ha detto...

GL
"Voglio dire che la frase "Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca" forse non ha il senso di una fatalità, come ordinariamente e ufficialmente si interpreta, ma di un sentimento di colpa, la coscienza di un traditore."

ordinariamente e ufficialmente si interpreta come ti ho detto sopra,
con la sfumatura "Bisogna che Cristo sia riconosciuto e glorificato, e non io-Giovanni" dal momento che si era sparsa la voce della santità di Giovanni.

Giovanni Battista non ha tradito nessuno.
Nè nel senso sacro, nè secondo la Chiesa Cattolica, nè Ortodossa, nè Evangeliche.

Pe cui non so dove tu abbia preso quell'idea.

Josh ha detto...

aggiungo:

Giovanni Battista fu arrestato e ucciso da parte di Erode Antipa (cfr. Mc 6:17-29; Mt 4:12; 14:3-12; Lc 3:19-20), ....è un po' difficile che tornasse indietro a dire ciao a chicchessia.

Per Flavio Giuseppe era stato imprigionato a Macheronte, una fortezza che sorgeva su una collina presso la sponda nord-orientale del Mar Morto ed era chiuso lì.

Per quanto riguarda la dedicazione della Cattedrale Papale Arcibasilica Romana Maggiore del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista al Laterano,
è chiaro che si è fatta una sorta di riassunto del Vangelo,
unendo Giovanni Battista "Colui che preparava la via al Signore" come l'inizio della vicenda...
con Giovanni Evangelista, autore dell'ultimo Vangelo, così diverso dagli altri 3, e dell'Apocalisse,
così proteso verso le cose ultime.

Josh ha detto...

Se poi vuoi entrare nell'esegesi stretta (ma non ne vedo il motivo)

Quando Gesù dice: «In verità vi dico: tra i nati di donne non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista: tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v. 11).

Giovanni batt ha in modo chiaro la funzione di precursore del Messia: in quanto tale il Battista è il più grande di tutti gli esseri umani, come importanza del ruolo (GB ripeteva sempre "raddrizzate le vostre vie per l'arrivo del Signore").

Tuttavia, a pieno titolo, non farebbe ancora del tutto parte del regno di Dio (non riconosce subito Gesù, si aspettava un Messia potente, assoluto, già Giudice, e invece Gesù viene con misericordia...tanto che Gesù stesso deve ricordare a Giovanni dei segni "i muti parlano, i chiechi vedono..." per farsi riconoscere) ma Giovanni si fermerebbe alle soglie del mondo nuovo che nasce con la Risurrezione di Cristo che doveva ancora avvenire.

Ogni credente futuro nella Risurrezione, nel perdono dei paccati, nella fede nel sangue di Cristo che aderisce al Cristo in seguito mediante il battesimo è dunque più grande di Giovanni battista. Perchè Gesù non battezza solo con acqiua come Giovanni, ma con Spirito Santo e fuoco, infatti è il Figlio di Dio.
Ma anche lo SS sarà dato solo dopo la Risurrezione, cfr. Pentecoste.

È chiaro che questa affermazione grande/piccolo non riguarda la santità personale di Giovanni, ma la grandezza del Regno di Dio.

Josh ha detto...

Riprendo la mia ultima frase

"È chiaro che questa affermazione grande/piccolo non riguarda la santità personale di Giovanni, ma la grandezza del Regno di Dio."

sì perchè Giovanni batt ancora s'attendeva un Messia per Israele, una specie di "uno che facesse rigare dritto" il regno terrestre: questo è chiaro dalle dalle domande che GB fa, che non aveva inteso Cristo nella sua totalità come Salvatore del mondo, per tutte le genti, in maniera assoluta e cosmica, in vista della vita eterna.

Non è molto precisa nemmeno questa altra tua frase:

"A differenza dei discepoli, che lo hanno tradito e poi sono ritornati per morire..."

Ma quali sarebbero "gli altri discepoli che l'hanno tradito"...?
Solo Giuda, propriamente.

Pietro non ha proprio tradito, diciamo che ha dubitato.
Ma non è che sono tornati per morire. Sono stati la chiesa delle origini, mica sono morti subito....suvvia

GL ha detto...

Va bene Josh, tutto chiaro, almeno esegesi ha servito per qualcosa, di dimostrare elasticità formidabile del pensiero, tutti i buchi si possono tappare, ginnastica millenaria, e su quella base i successi della filosofia e della scienza dopo.

Tutto regolato per essere vittoria finale, tutto previsto, fatale, predeterminato, predetto, profetizzato, pianificato da Dio, anche la cosa più miserabile.

Josh ha detto...

sei come solito OT, se hai dei conti da regolare con qualche chiesa va' da loro e sputa in casa tua su Giovanni Battista;

NON C'E' in questi passaggi NULLA DI MISERABILE.

MODERA I TERMINI.

arrivare a dire che San Giovanni Battista ha delle colpe verso Cristo è una tua opinione personale, senza alcun riscontro nel testo sacro nè nella storia.

Che uno abbia fede o meno,
a un testo non bisogna far dire quello che NON è scritto.
E' una regola che vale sempre.

Posso leggere i Promessi Sposi e andare blaterando in giro che vi ho letto che Renzo e Lucia lì si dice che sono andati su Marte,
ma resta un mio viaggio,
nei Promessi Sposi Renzo e Lucia di fatto non vanno su Marte.