La poesia è, forse, tra le arti, una delle più dimenticate. Spesso un verso poetico, anche apparentemente semplice, racchiude misteri. Nell’analisi letteraria, lo studio delle intertestualità è adoperato come metodo di indagine per esplorare un testo. Questo tipo di analisi può essere svolto a livello stilistico, formale o contenutistico.
Si seguono metodi differenti nell’analisi: la filologia delle fonti di un testo, l’analisi tematica (temi letterari ricorrono citati in modo chiaro, talvolta invece la presenza è sotterranea), fino a studi specifici che riguardano metrica e stile. L’approccio di studio che mette in relazione un testo con un contesto considera un’opera letteraria in relazione con tutta la tradizione passata in maniera creativa e dialogante, mettendo in evidenza che il riconoscimento del sistema di allusioni e citazioni mostra i gusti dell’autore, il significato simbolico dell’opera, la sua idea di letteratura, i suoi modelli culturali e affettivi, e la sua memoria.Un esempio affascinante. Si tratta di un estratto del Jaufré Rudel, in “Rime e Ritmi”, di Giosuè Carducci. Per leggerlo per intero, andare sul nome del Poeta. O qui, dove ci sono ottime pagine che contengono ampi saggi.
Jaufré Rudel fu poeta trovatore di lingua provenzale, noto per i suoi versi dell' amor cortese, e per la sua avventura: si innamorò di una nobildonna, la Contessa Melisenda di Tripoli, che non aveva mai visto, ma che avvicinò solo in punto di morte.I versi, famosissimi, che ci interessano in breve, sono i vv. 73-76
è l'ombra d'un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
il vero immortale è l'amor.
In questo breve estratto è già presente una reminiscenza del lessico tipico di Pindaro, nell’espressione “è l’ombra di un sogno…”; e una splendida citazione petrarchesca, “La mia favola breve è già compita” dal Canzoniere, CCLIV, che invito a leggere, scorrendo fino al 254 “I'pur ascolto, et non odo novella”
Mostrando la dinamica e la vitalità interna a un (micro-)testo famoso, l’augurio è per la ripresa dell’interesse verso gli studi classici e umanistici, come scoperta di un patrimonio nazionale della nostra tradizione, la ricostruzione di un’identità fatta finalmente di contenuti e anche l'auspicio di una nuova stagione di poesia nostrana, una volta riallacciati i legami con le nostre origini.
(foto in alto e foto piccola a destra: Monumento a Giosué Carducci di Leonardo Bistolfi - 1928)
Josh
26 commenti:
Introducing Josh nel Giardino delle Esperidi. In realtà, una vecchia conoscenza, già ospite partecipe e in un certo senso coautore.
Difficile impresa la tua. E cioè quella di pungolare e suscitare l'interesse verso una della Muse più importanti della nostra tradizione: la poesia. Non ho ancora letto interamente i numerosi riferimenti che metti in link.
Il Carducci però è una nostra gloria nazionale. Come potremmo definire la sua poesia? Epica? Patriottica? Talora sì. Elegiaca? anche questo in alcune sue poesie.
E ha una biografia tormentata e interessante di uomo assai ribelle. E' vero che fu massone incallito (come del resto furono massonici buona parte dei nostri patrioti risorgimentali)? Grazie Josh!
L'invito alla poesia, ad un certo tipo di poesia, è invito al classicismo, all'ideologia del classicismo, che richiama ordine, equilibri, proporzioni, modelli da imitare. Il Bello si è già realizzato, si tratta di guardarlo, fruirlo e cercare di imitare. Il lavoro sul testo a cui ci invita Josh è un lavoro diciamo strettamente intratestuale o comunque molto aderente al testo. Si pone, consapevolmente o inconsapevolmente, in polemica con tutto un approccio diciamo sociologico, storico e, a volte, anche politico, cioè tutta quella scuola di pensiero che vede il testo letterario come un prodotto, analogo agli altri prodotti, che la storia e la società hanno espresso.
E' il gioco delle tesi e delle antitesi, nel Novecento è andata per lo più di moda una lettura storico-sociologica del testo, mentre adesso si sente l'esigenza di una lettura più aderente al testo; la virtù sta in mezzo? No, o meglio potrebbe stare in mezzo però in alto, come il superamento hegeliano, l'Aufhebung, che è una terza posizione, che salva in sè sia tesi che antitesi.
Petrarca è il precursore del classicismo moderno, col suo pre-umanesimo; canta sì ansie, angosce, pene d'amore, ma tutti i conflitti vengono sublimati e innalzati in una sfera superiore di equilibrio formale e di dolce armonia, tanto che quasi ci si dimentica che sta parlando di strazi d'amor. E' questo è classicismo. Sull'augurio di Josh di un utilizzo del classicismo in funzione "patriottica", non c'è niente di male, l'importante è non dimenticarsi quale uso improprio ha fatto del classicismo il fascismo. Mi fermo e più non dico, siamo nel giardino dell'Esperidi!!
cara Hesperia, difficile definire Carducci in modo univoco. Bisognerebbe prendere opera per opera: negli Juvenilia e Levia Gravia c'è la prima ripresa delle forme classiche in direzione antiromantica, con reminiscenze d'Alfieri e Foscolo, nell'Inno a Satana le battaglie anticlericali degli intellettuali d'epoca che poco approvo; il polemismo dei 'Giambi ed Epodi' con prestiti da Archiloco e Orazio...e poi le 'Rime nuove', le 'Odi barbare' fino a 'Rime e ritmi', in cui si mette in relazione con la lirica europea, e si trovano echi di Hugo, Goethe, Heine. Personalmente preferisco le cose della maturità e vecchiaia, si accentua il lato sentimentale, meno poeta-prof.: in fondo il suo classicismo è una sorta di Neoclassicismo Secondo Impero, distinto da un Primo Impero di Monti e Foscolo. Il rifugio nell'antico è stata per lui una scelta di stile e morale, per fuggire 'la malattia' del secolo dei tardoromantici.
Ripropongo un mio pensiero sulla poesia, fatto in altre circostanze.
Cos'è il magico della poesia? Cos'è l'universalità della poesia? Qual è la logica, non-logica? Come in tutte le arti del resto, il magico della poesia sta nell'usare una lingua, che di per sè, al di sotto, ha una grammatica e una sintassi; la poesia rompe la sintassi e dice altro e il linguaggio diventa altro e altre cose dice, che non si riducono a quel che dice. E fa parlare e presta voce ad altre cose, che voci non hanno o hanno voci senza sintassi, presta lingua e voce alla natura, al dolore, all'amore in tutte le sue forme, come forza cieca dell'universo, forse senza un fine, un amore come libido ed eros di tutti gli esseri animati, animali e piante, un amore umano tenero, gioioso, triste e perduto. La poesia, anche quando canta la guerra, in fondo canta l'amore, la tragedia umana. Il poeta è profeta, perché si lascia invadere da questo Dio gli presta il suo corpo, la sua anima la sua voce, forse è un sol Dio, che cambia nome, Dio, mistero, morte, nulla, Universo che corre ordinato e caotico al suo spegnimento.
La poesia è più sfortunata rispetto alla musica, la quale può esserci senza la parola, e quindi ha un pò meno a che fare con la sintassi e con l'uso della parola e con la razionalità. I poeti, le poetesse, hanno scelto una via impervia, non si vogliono adattare alla prosa, alla banalità della vita quotidiana, non vogliono tacitare o uccidere l'eterno fanciullo, l'eterna fanciulla che è in loro, è via di sofferenza, ma anche di gioia, a volte sublime.
Che sia stato massone, Hesperia, ...dicono di sì, eccome, come una parte del Risorgimento italiano. Grazie a te dell'ospitalità e della disponibilità.
Grazie a te Sympatros, mi piacciono le tue notazioni questa volta, le trovo interessanti e pertinenti. Una sola cosa in fondo...parlo di riscoperta di radici italiane e classiche senza vergogna, per riprendere a creare poesia annodati a noi stessi di nuovo, intendo proprio così semplicemente, più che affezionarci a culture estere, d'accatto (ma io sono il primo ad amare anche culture estere, tipo quella inglese...credo però che al punto in cui siamo giunti in EU, occorre anche riscoprire l'alfabeto del nostro passato). Per il resto, anche se il fascismo ha usato il classicismo simbolicamente, appunto casomai riguarda il fascismo...non tutto ciò che è classico vi è così connesso, direi che in qualche caso è stata fatta un po' di strumentalizzazione.
Josh, penso che siamo stati fortunati ad avere docenti fin dalla più giovane età che ci obbligavano a imparare a memoria poesie anche lughissime. Ricordo con piacere "Davanti a San Guido" e anche l'emozione di aver visitato le località carducciane di Bolgheri e di Castagneto Carducci, di Pietrasanta e i suoi "irti colli".
Anche i luoghi hanno una grande influenza nella composizione e trasmissione della poesia. Che ne sarebbe di Montale senza la Liguria? O di Pascoli senza la Romagna? O del Carducci senza la Maremma?
E per collegarmi anche a quanto afferma più sotto Sympatros a proposito del "fanciullino" di pascoliana memoria (o anche al "veggente", come disse Rimbaud), io vedo più che mai oggi nel POeta, il custode del "genius loci", oltreché attendente alle funzioni qui indicate. In particolare proprio oggi che viviamo lo sradicamento (déracinement) permanente.
Concordo in pieno Hesperia con l'idea del ruolo del poeta come genius loci..Montale senza Liguria, Pascoli senza Romagna (o se vuoi, ne parlavamo nel post delle canzoni, Salvatore di Giacomo poeta senza Napoli) non sarebbero loro stessi, nè la poesia sarebbe più la stessa.
Il déracinement oggi è esagerato, troppo...un conto è la capacità ideale (o, nell'arte, capacità visionaria) di trascendere il proprio luogo e tempo, un conto è negare i propri luoghi o la propria origine:)
Infatti il famoso "nessun dove" di Rainer Maria Rilke (scusami se faccio un salto di epoche e di luogo) è possibile solo perché Rilke fu innazitutto austriaco. Quindi ben identificabile in un territorio. Solo il senso di appartenenza (e questo vale anche per i poeti dell'"inappartenenza") può creare "trascendenza". E' paradossale, ma è così. Ma si potrebbe estendere questo concetto a tutta la letteratura (anche narrativa). Dostoevskij ha un'anima russa, ma ci riguarda universalmente. Shakespeare ne ha una inglese, ma è patrimonio universale.
Quoto Josh, sul neoclassicismo. Quando nacque dopo il Barocco, non aveva nessuna intenzione di essere "fascista". Canova era fascista? Lo stile imperiale napoleonico è fascista?
Cerchiamo di liberarci dai demoni dell'ideologia sennò non ne saltiamo più fuori. La critica di stampo neoclassico prende campo perché prima si è esagerato col sociologismo, con lo storicismo, con Croce, con la critica marxista ecc. ecc. Corsi e ricorsi, direi invece piuttosto.
Molto interessante Josh!
Io, come Hesperia ho studiato a memoria molte poesie di Carducci, ma son poche quelle che mi vengono in mente in certi momenti.
Salvo qualcuna, non le amavo, sopratutto quelle da Poeta Ufficiale.
Ma proprio poco tempo fa,in Italia, di fronte ad un albero di melograno in un giardino,immediatamente ho ripensato a..."L'albero a cui tendevi la pargoletta mano....nel muto orto solingo....sei nella terra fredda, sei nella terra negra.."
E mi é venuto un brivido. Quei versi che allora mi commuovevano, ora mi fanno paura..
Poi un'altra che torna e ritorna in mente é "La nebbia agli irti colli piovviginando sale.."
Certo che quel linguaggio, quel modo di poetare erano cosi' musicali! La metrica ci dava quella cadenza che si imprimeva nel cervello..
Ciao Egle....ho scelto questo passo infatti, tentando di evitare alcune poesie della prima infanzia, perchè in così poche parole è riuscito a inserire il tema dell'amore da lontano, dell'amore negato, della lontananza, del medioevo, dei trovatori, Pindaro nelle assonanze e pure Petrarca. 'Pianto antico' la ricordo spesso anche io, l'altra che dici è San Martino, a me piaceva per "urla e biancheggia il mar", e "tra le rossastre nubi/ Stormi d’uccelli neri"...ero un po' gotico anche da piccolo:)) La ricerca metrica di Carducci era vera maestria, musica...magari prossimamente ti mostro poesie più scanzonate, di altri autori, senza terrorizzare niuno! ma l'attenzione alla rima e al ritmo ci sarà lo stesso.
Caro Josh proprio un bel post:-) Complimenti.
Hai ragione la poesia é l'arte più dimenticata, eppure é quella che meglio esprime l'animo umano.
Nasce proprio dalle più profonde emozioni del cuore.
In particolare da quelle più elevate: l'amore e il dolore.
L'amore per una donna, per la madre, per il proprio paese....
Il dolore per ciò che si é perso, per ciò che non si é potuto avere, il dolore della vita che pian piano si consuma, fra una risata e una lacrima.
Nemmeno per me Giosuè Carducci era fra i preferiti.
Mi piaceva l'indomito Foscolo o il dolente Leopardi.
A 16 anni invece adoravo Prévert, ma credo che sia impossibile, per un' adolescente romantica e sognatrice, non adorarlo.
"I ragazzi che si amano".
"Questo amore", "Paris at night"...
Poi crescendo ho apprezzato altri poeti, la Dickinsons, Pessoa, Hikmet, Hesse, Gibran.
Fra i poeti italiani il mio preferito é Ungaretti, duro e scarno come le pietre del Carso...
Ciao Are
Grazie Aretusa, bentornata. Sì, ti vedo proprio con la tempra di Foscolo, con lo "spirto guerrier ch'entro mi rugge":)
Prévert mi piaceva allora e anche adesso, e poi quelle belle canzoni tratte dalle poesie rimangono legate a sentimenti assoluti. Ungaretti era geniale, ha immagini intense e molto forti. Non so se ho preferiti in senso proprio, certo Pascoli, Montale...ho in testa un macrotesto, più che altro, legato da alcuni fili rossi di continuità.
Vedo che anche con Pessoa e Gibran hai un forte anelito all'ideale, al morale e all'assoluto, in fondo, scegli sempre autori molto intensi, complimenti.
Invece quando andavo a scuola io preferivo addirittura Carducci a Pascoli, che mi appariva un po' lacrimevole e con accenti di patetismo.
La rima e la metrica comunque sono state ben curate da entrambi. Una delle cose della poesia moderna che non mi vanno è proprio l'esclusione di entrambe a favore del verso libero. Che in certi poeti mi piace, ma in altri mi pare poco musicale.
Arestusa, anch'io da ragazzina ho iniziato con Prévert che è un classico dell'adolescenza. Un po' come Hermann Hesse con Siddharta che continua ad essere il romanzo che ottiene successo dai giovani. Vai a capire perché.
Forse sono riti di passaggio.
Pascoli un po' patetico, e anche morboso è, ma mi piace lo stesso. Da un punto di vista formale mi sembra incredibile la sua scelta di simboli, e la scelta dei vocaboli, dei lessici, le assonanze, etc. Certo la rima e la metrica erano ancora fondamentali.
Un problema nella contemporanea è quello che tu dici: verso libero, niente rima, niente metrica, in più spesso una spontaneità che pare non curare la scelta dei vocaboli, spesso anche poco contenuto, insomma sembra una destrutturazione al 100%, come se si fossero detti "lo famo strano"? :)
Josh, io e Foscolo non abbiamo in comune solo la tempra..."spirto guerrier ch'entro mi rugge", ma anche il segno zodiacale, lui é nato il 6 Febbraio ed io 7, di qualche anno dopo:-)
Prévert é nato il 4 febbraio,se non ricordo male...
Tutti gli aquari aspirano all'assoluto;-)
Ciao Are
Demetra, Prévert é stato un grande cantore dell'amore giovanile, insuperabile nel toccare le corde dei sentimenti in modo diretto e semplice.
E poi uno che scriveva:
"Io sono il suo albero, lei il mio cuore inciso"...come poteva non essere amato dalle adolescenti, che sognano il grande amore?
Ciao Are
Finalmente Josh so qualcosa di te!
Sei conoscitore dell'argomento su cui ho fatto la tesi di Laurea, e che mi ha sempre molto appassionato: Chrétien de Troyes e le Chansons de Geste!
Mi farebbe piacere comunicarti alcune cose che ritengo importanti relativamente alla discussione nel mio blog: se vuoi scrivimi a questo indirizzo:
annav|chiocciola|splinder.com
Anna Vercors
@Anna: ho risposto in breve di là.
Sì, Chretien de Troyes e la Chanson de geste mi hanno sempre appassionato, insieme a molta latra letteratura, però a me toccò uno studio approfondito sui Cantari di Fierabraccia e Ulivieri, che divenne noioso, come nel caso di certi minori, con un lessico meno interessante, non c'è la stessa intensità.
Grazie dell'indirizzo, casomai scrivo più tardi, sono di corsa, per quella cosa figuramoci non ti preoccupare.
La poesia che più che essere razionalizzata e capita, a mio avviso va sentita, è qualcosa che io considero terapeutica.
Tra i miei preferiti, come ho già avuto modo di dire, quelli della scuola ligure, per affinità con la regione. E cioè Sbarbaro e Montale, qualcosa di Cardarelli, e più tardi anche Dino Campana e Caproni.
Nel periodo ottocentesco, invece, Leopardi.
Saluto tutti gli Esperidi e mi congratulo per l'interesse che Josh ha saputo calamitare sulla poesia, oggi un po' negletta e abbandonata.
Demetra, qualche poeta del verso libero che mi piace, c'è: Dylan Thomas (piaceva anche a MOntale) e Walt Whitman.
Grazie Nessie, senz'altro vero quello che dici: possiamo analizzare, categorizzare, sezionare, ma la poesia prima di tutto va sentita nell'intimo. Anche Dylan Thomas era un grande, nonostante il verso libero.
Il post di 'risveglio poetico' è nato comunque da una madeleine di confronto breve con te, in pratica me l'hai fatto venire in mente tu: le congratulazioni vanno anche a te:)Le Muse ispirano...
Madeleinette nel senso proustiano? Sono le mie preferite.
Le muse ispirano, purché non siano troppo inquietanti :-)
@ Demetra, in ritardo:
Su Classicismo e forma, dalle Lettere di Carducci, c’è n’è 1 al Chiarini del 1 gennaio 1874
“Io leggo (…) i colloqui di Goethe con Eckermann, e le Elegie Romane, e queste letture mi fan ritornare con tutta l’anima e la persuasione alla grande poesia greca. In fondo, confessiamolo, fu la più gran poesia della terra: Omero, Pindaro, Sofocle, Aristofane, Teocrito sono gli ultimi confini del bello di primo getto, giovanile, florido, sereno. Dopo viene il riflesso, il contorto, il vecchio. Noi abbiamo dei frissonnements d’inverno e crediamo siano i brividi dell’ispirazione”
Il classicismo di C. guarda il mondo antico con animo nostalgico. C’era però una valenza tra l’illuministico e il giacobino nei Giambi ed Epodi, c’è una sorta di gusto parnassiano nelle Odi Barbare. In realtà il classicismo di Carducci è parziale, anche dal punto di vista metrico/acustico. Nelle Odi Barbare si assiste a un vero sperimentalismo metrico, che prelude alla dissoluzione della metrica tradizionale: per riproporre l’andamento del metro classico-accentuativo costruisce metri nuovi nella lingua italiana, è un’operazione dotta e conservativa apparentemente, ma avvia anche un processo sperimentale di scomposizione e disarticolazione dei versi tradizionali in nuove combinazioni. Per es. il distico elegiaco (di cui pala in una lettera del 1877 ad Adolfo Borgognoni). O si può vedere il lavoro di Carducci sul novenario, che poi diventerà il metro di Pascoli, sperimentato però per primo da C. per riproporre l’enneasillabo alcaico o come la seconda metà di un esametro. Come si vedrà il novenario tipico in Pascoli, è stato però Carducci a dargli un nuovo valore nella nostra letteratura.
In pratica, C. più rivoluzionario di quanto si pensi…Però i significanti sono in C. ancora subordinati ai significati, ma già si trovano versi se non ‘fonosimbolici’ come in P., la valorizzazione dei significanti acustici carducciani in chiave mimetica sarà sviluppata da P. e portata verso esiti simbolici estremi, ma è un’operazione iniziata da Carducci nella propria poesia.
Non si parla di C. come di un classico nel senso in cui intendiamo per Dante, Ariosto o Shakespeare, anche per il rapporto già presente tra poeta e pubblico borghese e non solo ‘corte ristretta di letterati’ che era più pronunciato in passato. Se si prende invece per ‘classicismo’ l’idea di Auerbach in Mimesis come ‘norma per stabilire il classicismo’, allora non c’è poeta nel tardo 800 che separi stile alto e stile umile, stile tragico e stile comico più di Carducci, e questo ne fa un classico, più della presenza del mondo classico in filigrana, più della mitologia e della retorica, e dell’idea di ‘poeta civile’ nella poesia di C.
Distinguo ugualmente vanno fatti a riguardo dell’idea di modernità in Carducci: se prendiamo l’idea di ‘perdita dell’aureola’ baudelairiana (W. Benjamin, “Parco centrale” in Angelus Novus) con l’eclisse della figura del poeta-vate, e la sconsacrazione della funzione poetica (che sarà poi l’idea di modernità che in Italia si afferma col Crepuscolarismo e Futurismo, sia nella tradizione simbolista con la poetica dell’analogia, sia sulle dissoluzioni delle forme poetiche tradizionali) Carducci rimane al di qua di questa modernità, come rimane al di qua della ‘Perte d’auréole’ come enunciata nello ‘Spleen de Paris’ di Baudelaire, al di qua della corazziniana ‘Desolazione del povero poeta sentimentale’ (1-3:”Perché tu mi dici: poeta?/ Io non sono un poeta./ Io non sono che un piccolo fanciullo che piange”) o al di qua del verso gozzaniano della ‘La signorina Felicita’, VI, 17-18: “Io mi vergogno,/ sì, mi vergogno d’essere un poeta!’) fino alla sostituzione palazzeschiana del saltimbanco al poeta “Chi sono?”, tipi di modernità che vengono molto dopo Carducci e gli sarebbero risultati incomprensibili.
Cari Saluti.
Grazie Josh, di tutte queste dotte precisazioni sulla modernità e su cosa è al di qua della modernità. E' chiaro che il Nostro ne resta ancora al di qua. Un saluto anche a te.
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