mercoledì 21 aprile 2010

La semplice arte della conversazione e chi cerca di ucciderla

Mi fu consigliato il libro di Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione. Scopo principale di questo volume è cercare di comprendere che non solo l'ozio non è il padre dei vizi, ma quando la gente aveva  tempo per bighellonare nacquero salotti, spazi privatissimi, dentro le case, il cui strumento basilare era la parola: la parola scambiata a voce, scritta nei diari, nelle memorie e in qualche romanzo, ma molto anche attraverso biglietti e lettere, scambi a metà tra il parlare e lo scrivere, usata come le generazioni odierne hanno usato il telefono e adesso la rete.



Più tardi arrivarono i caffé, ritrovi, piazze, giardini in cui ci si riuniva per parlare, per ritrovarsi e scambiarsi delle opinioni. E molte delle idee che si svilupparono nella nostra civiltà presero spunto da questi luoghi. Cosa c'è di più bello che conversare, passare del buon tempo scambiandosi delle opinioni con amici simpatici, senza prevaricarsi l'un l'altro e darsi sulla voce, come invece si vede fare stolidamente in tv? Eppure sembra che questa semplice arte che risale a quando è comparso l'uomo sulla faccia della terra, oggi sia costantemente messa in crisi da una serie di nuovi killer ammazza-conversazione:

  • la tv che coi talk show e i salotti politici imita le conversazioni dal vivo in versione esasperata e urlata per aumentare l'audience

  • i cellulari che quando si è con amici simpatici, si mettono a squillare proprio sul più bello di una conversazione interrompendola e frammentandola con sonerie e loghi. Inoltre hanno abolito la barriera della riservatezza.  

  • internet con le sua chat, i suoi social network, le sue community e i suoi forum che creano un falso rapporto di contiguità, di aggregazione fasulla e di interazione virtuale: insomma la fredda estetica della simulazione di quel che era fino a poco tempo fa, una normale chiacchierata "dal vivo".

  • un diverso riassetto urbanistico e la smodata urbanizzazione caotica delle città, che ha tolto o marginalizzato i più classici luoghi di incontro del nostro Paese.


  • non ultimo, la vita frenetica che conduciamo e l'aver ridotto i rapporti interpersonali a relazioni utilitaristiche, legate al lavoro. Pertanto, l'uomo moderno, finito il proprio lavoro, si ritrova nella condizione di monade isolata. Un caso tipico è dato dal periodo del pensionamento col sentirsi isolato dalle conoscenze che durante il tempo lavorativo facevano da riempitivo (ancorché surrettizio) all'esistenza.

Il modello di conversazione veicolato dai cosiddetti main streams è aggressivo, narcisista e crea un individuo ansioso e smanioso di mettersi solipsisticamente in mostra, del tutto incapace all'ascolto e al vero scambio di idee. Senza risalire alla Francia del '600 e '700 dell'Ancien Régime del libro della Craveri, ai diari, a i billets doux e ai bons mots, anche in epoche relativamente più vicine alle nostra esistevano ritrovi, luoghi, piazze dove, senza bisogno per gli individui, di attaccarsi al telefono prenotando l'incontro tra amici con qualche settimana di anticipo (perfino mesi, a volte) , era possibile incontrarsi.

I caffè letterari, sebbene frequentati da particolari élites, erano spazi in un certo senso "stanziali" e "fissi", opportunamente arredati per ospitare persone aventi il privilegio di avere molto tempo a propria disposizione per parlare. All'Accademia dei Pugni, nacque il Caffé dei Verri; a Trieste il mitico caffé degli Specchi (foto in bianco e nero, in alto al centro)  fu frequentato da Svevo e da Joyce. Poi i caffé letterari di Torino (il Baratti),  Firenze, di Venezia e del suo Florian, Cipriani e Harry's Bar. Roma era soprattutto nota  per le sue conviviali trattorie e ritrovi tipici per artisti in Via Margutta.  Impossibile stabilire una mappa dei caffé e ritrovi italiani legati alle lettere, alla musica e alle arti. Ma anche quali semplici luoghi di incontri.

Il Café de Flore a Parigi (St. Germain des Prés) venne frequentato dal gruppo esistenzialista di Sartre, Camus, Simone de Beauvoir, Juliette Gréco. E anche la Closerie des Lilas di Montparnasse, aperto nel 1847 divenne famoso sul finire del XIX secolo come luogo di incontro di artisti come Emile Zola, Cézanne, Théophile Gautier, Charles Baudelaire e i fratelli Jules ed Edmond de Goncourt .



La Closerie divenne leggendaria per aver accolto l'intellighenzia americana: Hemingway, Fitzgerald, Miller… Altri artisti che frequentavano questo locale erano: Amedeo Modigliani, André Breton, ancora Pablo Picasso, Jean-Paul Sartre, André Gide, Oscar Wilde, Samuel Beckett, Man Ray, Ezra Pound.  A Londra ad Hyde Park si mantiene ancor oggi il rito dello Speech Corner (foto piccola a sinistra) che ha origini antichissime e che è parte integrante della cultura britannica così attenta al freedom of Speech, anche nelle sue leggi.



Da questi esempi alti ed élitari, vorrei passare però, ad esempi di costume e stili di vita alla portata di chiunque. Il nostro è il paese del borgo, delle antiche corti e cortili e broletti, delle piazze, piazzuole e piazzette italiane, dei fatidici muretti e dobbiamo far rivivere il tutto. E' bello vedere dei capannelli di persone che si incontrano e stanno conversando insieme, in luogo dei poveri alienati smarriti in centri commerciali, outlet e "non luoghi", sotto le note di una musicaccia assordante, quasi  che gli uomini siano oggetti tra gli oggetti e  tra le merci.

Quando d'estate torno al mio paese alcuni antichi stili di vita riaffiorano alla mia memoria. C'era (e c'è ancora, per fortuna) una piccola cappella su per una mulattiera di mare, con una piazzetta dove le donne la sera (complice la bella stagione) si portano l'uncinetto o il ricamo chiacchierando amabilmente all'aperto sedute sulla lunga  panchina di pietra del sagrato mentre i bambini giocano allegramente intorno.

Durante il giorno gli uomini si mettono a trafficare intorno alle loro barche e mentre ne curano la manutenzione raschiando la vecchia vernice, restaurando le ordinate di legno e i pagliuoli con l'aiuto di qualche bravo maestro d'ascia, si crea intorno un capannello di amici che chiedono e danno consigli e si scambiano piccole tecniche di lavoro artigianale. Nel corso di questo tempo estremamamente dilatato, parlano di ciò che fanno e non di ciò che dicono i giornali, la tv, o i media sempre più intrusivi nelle nostre vite, fino a farne divenire vite inautentiche e "copiate". Ecco, questa è quella che io chiamo la "semplice arte della conversazione", senza null'altro scopo che saper stare in mezzo agli altri. Per imparare e per trasmettere, quello che i nostri mezzi di comunicazione di massa ci impediscono di fare. Poiché inutile negare che troppa comunicazione, nessuna comunicazione.

Hesperia

52 commenti:

aldo ha detto...

Ce ne sarebbe della carne al fuoco ma mi soffermo sui cellulari. Oltre a essere fastidiosissimi in treno, autobus e altri mezzi pubblici con loghi, sonerie e segnali acustici di sms, ci costringono all'impudicizia. Cioè ad ascoltare fatti e conversazioni altrui di cui non ci importa un tubo e che interferiscono di continuo disturbando magari la lettura di un giornale o di un libro.
Oltretutto la gente è diventata maleducatissima perché parla a tutto decibel quasi volesse far sentire apposta i cavoli propri.

Josh ha detto...

Non ho letto il libro della Craveri, solo la presentazione al link. Sembra davvero interessante...oltre che qualcosa di cui c'è un gran bisogno oggi.

Certo che l'arte della conversazione è caduta in oblio tranne rarissimi casi.
E' vero anche che i caffè e gli esempi citati sono ormai luoghi della memoria. Secondo me si tratta di un valore da recuperare: persone si ritrovano per commentare, approfondire, al di là di regie occulte, gusti, eventi letterari...cinematografici, musicali, teatrali, artistici.

Oggi è tutto velocità, tranne rari casi, come le esperidi, almeno nel mondo virtuale.

Josh ha detto...

Come Aldo, detesto i cellulari tranne quando ce n'è davvero bisogno (cioè raramente) e peggio è quel dover sentire (sui mezzi pubblici, in sale d'attesa & co) tutti i fatti degli altri (che nemmeno si peritano di attenuare, col volume della voce)...

Torno al post: cosa ci sarebbe di più bello che scambiarsi idee senza prevaricarsi? ah niente di meglio, ma adesso siamo a un punto in cui tra maleducazione diffusa, autismo, e desiderio di sopraffazione dell'opinione o del tono di voce non è così facile il dialogo o il confronto.

Hesperia ha detto...

Già, Aldo, non dirlo a me che i treni le devo prendere abbastanza di frequente. Anche il treno, un tempo luogo ameno e favorevole alle conversazioni con lo sconosciuto viaggiatore del sedile accanto (si veda il romanzo di Patricia Highsmith "Sconosciuti in treno"), è diventato un vero incubo moderno con telefonate spudorate che i viaggiatori fanno ad alta voce ristretti in uno stesso compartimento. E dato che a volte capita che i cellulari squillino simultaneamente, allora fanno a gara a chi alza di più la voce e a chi si rinchiude ciscuno nel suo "display". Il mondo sembra incominciare e finire lì. Ma andarsene nel corridoio e parlare a bassa voce, no eh?

Josh ha detto...

Seguo poco la tv, per fortuna, ma la tv urlata dei talk show è tra i maggiori elementi diseducatori del cambiamento in negativo.
Aggiungo anche che, a parte i toni nei talk show, spesso le posizioni sono stereotipate: ognuno recita un ruolo, spesso prestabilito prima della trasmissione.

E' sempre tutto così prevedibile nelle conversazioni dei talk show, anche l'apparentemente imprevedibile era già stato previsto.

Tornando ai cellulari....ci sono persone che non frequento più per vari motivi, ma uno dei motivi costanti era che si erano "abbonati" a qualche chat/messaggeria/forum/maispeis e simili con connessione al cellulare: così anche quando erano fuori casa, in compagnia con gli altri, ricevevano sui telefonini sotto forma di sms l'avviso che era stata data loro risposta a un loro argomento.
Ogni 30 secondi guardavano il telefonino per stare sempre al passo della web-conversazione snobbando i (realmente) presenti in carne e ossa. Alienati e alienanti.

Josh ha detto...

Internet con le chat, i social network, le community e i forum creano aggregazione fasulla: ma c'è chi ci ha fondato un partito...Grillo & co
:D

Fa anche specie che la gente possa incontrarsi sul web e trovarsi affine, mentre avviene sempre meno dal vivo.
Anche le città per come sono state conciate aiutano poco a socializzare, senza dubbio.
Ma è proprio un fatto che segna la società d'oggi: incomunicabilità e solitudine, e sempre maggior difficoltà ad uscire dal guscio e vivere la propria vita reale, e non quella spossessata guidata/riflessa dai media.

Hesperia ha detto...

Errata corrige: "i treni li devo prendere...." e non le :-).

Josh, hai detto la verità sui caffé e i ritrovi citati, ormai luoghi della memoria. Ora si sono trasformati in attrazioni per turisti. Se vai a Parigi al Café Flore è difficile trovarvi qualcosa del clima "esistenzialista" di allora. Ormai è solo un'attrazione turistica e basta.
E se si attivano degli "eventi" (termine che aborro, perché promette chissà cosa senza mantenere e nella maggior parte dei casi, trattasi di patacche) all'interno di qualche noto caffé d'Italia, stai tranquillo che si tratta di promozioni commercial- editoriali per acchiappare consumatori. Manca la "gratuità" della conversazione e tutto è pilotato.

E' vero inoltre, c'è questa questa storia dell'"autismo" da parte di chi si sente una star, anche della scrittura. Lo scrittore era qualcuno che aspirava sì, alla notorietà anche in passato, ma i suoi lettori dovevano comunque giudicarlo e apprezzarlo per quel che scriveva. Non per i suoi passaggi in tv, a prescindere da cosa scrive.
Come vedi, oggi prevale il "personaggio".

Sarà per questo che la conversazione moderna ha preso questa brutta piega?

Josh ha detto...

Già Hesperia, "eventi" sa di cosa preparata, la patacca che deve "avvenire" per forza in un certo modo: presentazione, incensazione, discussione zero, argomenti pochi, arte ancor meno e via così:)

Sono rimaste solo le promozioni commercial-editoriali per vendere.
Anche l'apparente conversazione alle presentazioni segue una scaletta (elaborata non più da studiosi ed esperti dell'argomento, ma da studiosi di marketing:)) che sanno cosa "tira" sul mercato e cosa no)

Oddio oggi in tv gli "scrittori" che fanno passaggi promozionali sono inguardabili. Sicuro prevale il 'personaggio' rispetto al contenuto o all'arte.
Di sicuro con questi modelli, la conversazione ne ha risentito...aggiungereianche una certa diseducazione in genere, e disabitudine a ragionare, a confrontarsi.

Hesperia ha detto...

"Internet con le chat, i social network, le community e i forum creano aggregazione fasulla: ma c'è chi ci ha fondato un partito...Grillo & co".

Sì, ma il radicamento sul territorio dovuto allo strumento principe della parola è andato a farsi benedire. E anche su questo ci sarebbe molto da riflettere, caro Josh.

Pensiamo ad esempio, al ruolo delle rivoluzioni colorate (arancio, verde, amaranto, viola). Ma che popolo è un popolo che si dà appuntamente in Internet invece che creare le condizioni oggettive per scardinare a casa propria un regime odioso? Un popolo virtuale senza appartenenza di suolo, di nazione e che accetta appoggi e protezioni virtuali di paesi lontani. Insomma, per quanto ci lavoriamo ormai tutti quanti, con la rete e per quanto ne traiamo anche degli indubbi benefici e comodità, è chiaro che bisogna saperne vedere i limiti oggettivi che sono l'impalpabilità, l'effimero e l'aleatorietà.

Hesperia ha detto...

Josh, la disabitudine alle piacevoli conversazioni d'antan ma che ancora si fanno nei piccoli villaggi e in piccole realtà, e a mettere di continuo la "tecnica del paletto" e dell'"intralcio" a puro scopo polemico e di provocazione, nasce purtroppo da quella mancanza di "gratuità" di cui parlavo prima.

Tutto deve avere un risultato immediato nel talk show televisivo e anche la telerissa è funzionale all'incremento degli spettatori. L'indomani la notizia viene ripresa dalla stampa, e intanto il web riprende il filmatino su you tube della rissa. Insomma, per quanto possa sembrare aberrante, c'è tutta una filiera di canali di comunicazione da incrementare in questo stolido tam-tam.

Josh ha detto...

Infatti il radicamento sul territorio della politica è quasi scomparso. L'esperimento astratto e 'slegato' di Grillo a mio avviso lo dimostra. Siamo allo strapotere dei media e al massimo di lontananza dalla realtà.

Ancora su più grande scala le rivoluzioni colorate (arancio, verde, amaranto, viola, hai scordato la gialla!:). Gente che fa incontri virtuali e non solo non scardina a casa propria un regime....ma anche subisce dei lavaggi del cervello dallo strapotere mediatico...da radio, tv, web, giornali...
che è poi il vero motivo per cui nacque il web: controllare il pensiero, controllare le masse, schedare i dissidenti, riscrivere la storia e la realtà...e vendere delle cose.

si tratta proprio di un popolo virtuale senza nazione/senza radice, quindi in balia di poteri che effettuano loro il brainwashing.

Personalmente a me il web serve nei limiti, a parte le nostre gradevoli conversazioni e post e discussioni;
mi sono 'formato' che internet non c'era, a parte che la formazione avviene sempre sui libri e sull'esperienza reale.
A me il web serve anche per trovare libri che nelle librerie fisiche non ci sono, e a prezzi più bassi/trovare dischi che nei negozi fisici mossi solo dal mercato selvaggio di massa non ci sono, e li trovo a meno/trovare...quadri e antiquariato di nicchia...se c'erano in città o nelle vicinanze non avrei cercato sul web.
Trovo comunque il nostro un uso molto diverso del web da quello dei fenomeni inquietanti descritti sopra, perchè abbiamo mantenuto una diversa dimensione di vita in complesso.

Josh ha detto...

Penso sia una grande verità quella che dici nel commento delle 16 e 47, Hesperia....
La mancanza di "gratuità"!! La gratuità è una cosa fondamentale.
Nei rapporti in genere..nell'amore..nelle arti...nel gusto della vita...nella capacità di avere a che fare con gli altri disinteressatamente mossi solo dall'amore per la vita.

Direi che ci vorrebbero vagonate di gratuità: oggi sono in pochi che sanno 'dare' in genere.

E' anche per quello che abbiamo così pochi insegnanti veri, e così tanti cattivi maestri. E' sempre un problema connesso con la gratuità il fallimento di massa nell'approccio al senso della vita e agli altri. A volte penso che la gratuità sia un aspetto della Grazia.

Chiaramente da questa mancanza negli animi dei più, e da questo sistema viziato, ne perde anche lo spessore delle conversazioni.

Sembrano un'utopia le placide conversazioni di cui parli, al paese. E infatti io torno a quello dei nonni quando posso.

Hesperia ha detto...

Beh, è chiaro che chi come noi, proviene dal libro cartaceo, ha una formazione che non può essere cancellata. Ma per i più giovani così attratti dalle sirene della frammentarietà? Che ne sarà?
Vero poi che il web rappresenta un'immensa banca dati favorevole al controllo della mente e al governo mondiale.

Nell'ultima foto in basso, ho messo l'oggetto-barca. E tutti intorno che parlano del varo, della manuntenzione, che si scambiano consigli ecc. Ecco, io credo che la conversazione assuma un taglio migliore, quando è legata al "fare". E magari anche al "saper fare insieme".
Ma su questo aspetto la parola di Dionisio.

Nessie ha detto...

Non saprei, Josh, circa il tuo ultimo commento. Forse gli esseri umani hanno perso proprio quell'innocenza e quell'entusiasmo che li legava a questa "gratuità" che andiamo cercando.
Forse è per questo che bisogna cercare un po' di questo spirito nelle piccole realtà e nei piccoli villaggi (come quello di tuo nonno).
Se leggo le biografie di quelli che frequentavano i caffé letterari o i ritrovi per artisti raccontano che litigavano anche loro. Non sempre tutto può essere idilliaco. Ma almeno lì c'erano delle passioni, un progetto che doveva prender forma.
Per questo ho appena scritto, che mi pare che la conversazione migliori, quando il "parlare" è legato al "fare".

Josh ha detto...

Indubbiamente unendo le forze e creatività nel fare (cfr. la barca che citi) tutto si fa più interessante:) Il mio paesino è montano, barche non ce n'è e sarei negato, ma ci sono campi e orti....e giardini: parte dell'orto l'ho già fatta:)

Comunque qualcosa va sempre fatto. Ricordi il tuo vecchio post 'come eravamo, come siamo...e quanto durerà?'

Chissà che non finiremo anche noi così, mi auguro di no: leggi qui

http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo479704.shtml

paesino venduto all'asta su Ebay...

dionisio ha detto...

La prima reazione alla lettura del tuo post, Hesperia, è stata di nostalgia. Sì, nostalgia, perché tu parli di qualcosa di prezioso che, oggi, appare irrimediabilmente perduto. A suo tempo, quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti, ho vissuto un’esperienza bella e irripetibile simile a quelle che tu descrivi. Dietro l’Accademia, sotto i portici, c’era un bar (ma sarebbe meglio definirlo cantina, perché ricordo le grandi botti di vino antiche che incombevano sul bancone) dove, dopo le lezioni, si andava a bere qualcosa e a discutere d’arte. Eravamo quasi tutti studenti, dai diciotto ai ventitré anni, ma c’erano alcuni avventori abituali del locale, d’età più adulta, che partecipavano alle discussioni. Talvolta veniva anche qualche insegnante. Ne ricordo uno in particolare, il nostro insegnante di tecnica del disegno, un ometto che faceva pensare al protagonista del “Cappotto” di Gogol, vestito sempre allo stesso modo, un completino color grigio-topo che continuò a indossare (non so se sempre lo stesso o uno simile) anche dopo la mia conclusione dell’Accademia; tanto che, molto tempo dopo, parlandone con un vecchio compagno di studi, dicemmo che lo si riconosceva non tanto per l’aspetto, ma per l’abito sempre uguale. Ma era un tipo in gambissima: a me insegnò a praticare il disegno in funzione espressiva, quindi, a differenza di altri insegnanti, non concepiva affatto il suo ruolo in chiave “accademica”. In quel locale parlavamo soprattutto di arte, delle nostre preferenze, speranze e ambizioni. Talvolta portavamo qualche nostro lavoro (quelli fatti a casa, non per la scuola) e lo esaminavamo da ogni punto di vista. Non c’era mai malanimo tra noi, invidie o altri sentimenti del genere. L’atteggiamento era sempre quello di trasmetterci le nostre conoscenze, di darci consigli, suggerimenti. Ricordo la mia ammirazione sincera, incondizionata, per i disegni a carboncino realizzati da una ragazza di grandissimo talento. Era sorprendente guardare come riuscisse a conferire alle sue immagini una cupezza tragica simile a una sorta di urlo di dolore; eppure rideva e scherzava come tutti, quand’era in compagnia. Ricordo anche un altro ragazzo che era già un vero pittore fin dai primi corsi e che parlava della storia dell’arte con la stessa competenza degli insegnanti. Credo che l’interesse per la tecnica della velatura (una tecnica antica, cioè quella a più strati di colore trasparente sovrapposti l’uno sull’altro) me l’abbia trasmessa più lui che certi insegnanti. Ricordo che gli dicevo che lui era il pittore più bravo di tutti, e lui mi ripagava affermando che io però ero il disegnatore più bravo. Quel che mi rimane di quel periodo è il senso di bellezza e di vitalità che l’atmosfera dei nostri incontri e delle nostre concersazioni, vivace, effervescente, piena d’entusiasmo mi trasmette ancor oggi, ormai carica soprattutto di quel sapore struggente di nostalgia.

marshall ha detto...

Hesperia,
grazie per la citazione del post: L'Accademia dei Pugni.
Il libro di Marta Boneschi, che me lo aveva ispirato, inizia proprio raccontando dei tanti salotti di conversazione che s'erano formati all'epoca a Milano, che allora contava forse appena 60.000 abitanti. E quando fu costruito il Teatro La Scala, i nobili milanesi fecero a gara per accaparrarsi un palco, che intendevano usare anche come ritrovo per conversazioni private in tranquillità, oltre che per altri scopi.

Hesperia ha detto...

Josh, è chiaro che queste aberrazioni del link che citi, sono fenomeni americani. Però noi Italiani dovremmo difendere l'Italian style, impedendo, ad esempio, che sotto la torre di Pisa si apra un Mc Donald.

Quando dico del parlare legato al fare, intendo ovviamente il fare artiginale e non certo il correre in giro a lavorare come forsennati come è uso fare secondo la nuova divisione del lavoro odierno. Era (ed è ancora in talune realtà) tipico delle botteghe artigiane italiane quello di lavorare con ritmi calmi e ben cadenzati che comprendevano la chiacchierata, il tempo di pausa ben articolato con quello dell'operosità. In questo senso, non cambia nulla tra il maestro d'ascia o il carpentiere che fa una baita di montagna.

Hesperia ha detto...

Dionisio, parli per caso della vineria Giavotto, sotto i portici dell'Accademia di Genova? Ho fatto a tempo a conoscerla anch'io. E ovviamente anch'io rimpiango il periodo della mia vita dove si faceva tardi fino a notte alta a casa di questo o quell'amico, a parlare di tutto e di più, senza che le nostre conversazioni fossero disturbate da musicaccia a tutto decibel, da luci stroboscopiche di qualche discoteca forsennata o dal bisogno di impasticcarsi con qualche porcheria o di farsi le canne. Sì, perché tra i killer della conversazione dobbiamo anche metterci le discoteche e quei modi selvaggi che hanno certi giovani di divertirsi come le assordanti movide dove è uso ubriacarsi di birre a alcolici a fiumi e lasciare pure per la strada e per le piazze bottiglie vuote e sporcizia d'ogni tipo. Eppure non sono passati dei secoli da quelle nostre conversazioni su questo o quel poeta, questo o quel film, libro, corrente pittorica e letteraria. Ma sembra che la mutazione genetica tra una generazione e l'altra sia stata più veloce della luce.

Hesperia ha detto...

Marsh, leggi il link sulla recensione del libro di Benedetta Craveri "La civiltà della conversazione" su in alto nel post. E' chiaro che la civiltà e la storia umana inizino proprio con l'uso consapevole e sapiente della parola.

Quanto ai links degli Esperidi (l'ho fatto anche con Josh e Are) non è per autocitazione nei confronti del Giardino, ma accade che abbiamo trattato tanti argomenti passati che poi trovano un reimpiego anche nei post nuovi.

dionisio ha detto...

Tra i motivi che impediscono l'arte della conversazione, quello dei cellulari è uno dei più perversi. Ricordo perfettamente, qualche anno fa, allorché i cellulari cominciavano a diffondersi (io non l'avevo ancora), l'impressione sgradevole che ricevetti sul vagone di un treno quando una donna cominciò a voce alta una conversazione al cellulare parlando tranquillamente dei suoi affari privati in presenza di tutti i passeggeri. Ha ragione Josh: il cellulare rende impudichi. Poiché sono riservato per natura, da allora ho contratto una vera e propria diffidenza verso questo strumento, che uso solo quand'è strettamente necessario; e comunque badando a non mettere in piazza i fatti miei se qualcuno è in grado di sentire. E se sto conversando con altri, mi infastidisce alquanto lo squillo di un cellulare (mio o dell'interlocutore) e, almeno io, evito di rispondere.

Quanto ai talk show basati sull'urlo e sull'insulto,saggiamente, come Josh, me li evito per non irritarmi. Meglio in ogni caso la compagnia di un buon libro (una vecchia abitudine a cui cerco di mantenermi fedele), almeno con quello la conversazione, anche se a senso unico, è interessante (purché l'autore mi coinvolga nel suo mondo, naturalmente).

dionisio ha detto...

Parlavo proprio di Giavotto, cara Hesperia! Allora l'hai conosciuto anche tu? Io lo frequentavo solo quando studiavo all'Accademia, perché poi mi sono messo a girare il mondo per qualche anno, quindi ho conosciuto mia moglie e ho perso definitivamente il giro.
E' vero quello che dici: la nostra generazione è stata molto più fortunata di quella attuale, perché noi abbiamo avuto dei genitori e dei maestri che ci hanno trasmesso una dose sufficiente di pensiero logico, l'autodisciplina, l'impegno, la volontà di dare il meglio di noi stessi nelle cose che decidiamo di fare (anche quando non del tutto scelte da noi); soprattutto a non temere il futuro e a vivere per conoscere tutto ciò che ci è possibile assimilare. La generazione dei nostri figli (salvo eccezioni, naturalmente) teme il futuro e non vuole crescere, tende a stordirsi in ampia compagnia e ricorrendo ad aiuti di vario genere (alcool, droghe, musica che assorda). Fa pena e impressione per la sua fragilità e ti chiedi come farà a cavarsela in un mondo che diventa sempre più spietato e feroce. In gran parte è colpa anche della nostra generazione, che non è stata capace di trasmetterle ciò che aveva ricevuto dalla precedente. Possiamo dire esclusi i presenti?

Sarcastycon ha detto...

Hesperia
penso che sia il caso di ricordare anche il Caffè dell'Ussero a Pisa
http://www.caffedellussero.it/
http://www.lumierecinema.it/caffeussero.htm

Il quattrocentesco Palazzo Agostini o Palazzo dell'Ussero o Palazzo Rosso è uno dei più bei palazzi sui lungarni pisani, sede del Caffé dell'Ussero dal 1775 e del Cinema Lumière dal 1899. Appartiene alla famiglia dei conti e patrizi pisani Agostini Fantini Venerosi della Seta.
Ha le pareti coperte di ricordi dei suoi illustri frequentatori: Filippo Mazzei (l'italiano che suggerì uno degli emendamenti della costituzione americana: la ricerca della felicità), Francesco Domenico Guerrazzi, Antonio Guadagnoli, Giuseppe Giusti (che lo rese famoso nelle sue Memorie di Pisa), Renato Fucini, Enrico Panzacchi, Giosuè Carducci, Cesare Abba, Giuseppe Montanelli, Alessandro D'Ancona (primo direttore del quotidiano La Nazione), Bino Sanminiatelli e molti altri personaggi quali Paolo Mascagni, Charles Didier (che vi ambientò il suo romanzo Chavornay, Giovanni Battista Niccolini, Pietro Gori, Enrico Ferri, Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Puccianti, Curzio Malaparte, Ezra Pound, Giovanni Spadolini, Indro Montanelli, Renata Tebaldi, Luigi Comencini, Arnoldo Foà.
Io ho qui sintetizzato, ma al secondo link potete trovare una descrizione più ampia della storia del Caffè,mentre al primo link ci sono delle fotografie sia dell'interno che dell'esterno del locale.
ciao
Sarc

marshall ha detto...

Altro luogo d'incontro per conversazioni "ad alto livello", caro a tutti i milanesi, è stato il "glorioso" Caffè Biffi in Galleria Vittorio Emanuele, di fianco al Duomo.
Vi si riunivano abitualmente per discutere di storia, letteratura, poesia, giornalismo, filosofia, ecc., Arrigo Boito, Verga, Capuana, Torelli Viollier (fondatore del Corriere), Emilio De Marchi; saltuariamente De Amicis, e più recentemente Bacchelli, Montale e Quasimodo. Di quest'ultimo mi piace ricordare un suo "favoloso" aneddoto biografico: quando era impiegato al Genio Civile di Sondrio, quasi sempre a metà settimana, di sera, subito dopo l'orario di lavoro, prendeva il treno Sondrio-Milano (130 km., oltre 2 ore di viaggio) per recarsi al Caffè Biffi, unicamente per incontrare e conversare con i suoi "amici" letterati. A tarda notte, poi, intrapredeva il viaggio di ritorno, stanco ma completamente appagato.

Josh ha detto...

@ Dionisio, dici: "la nostra generazione è stata molto più fortunata di quella attuale, perché noi abbiamo avuto dei genitori e dei maestri che ci hanno trasmesso una dose sufficiente di pensiero logico, l'autodisciplina, l'impegno, la volontà di dare il meglio di noi stessi nelle cose che decidiamo di fare (anche quando non del tutto scelte da noi); soprattutto a non temere il futuro e a vivere per conoscere tutto ciò che ci è possibile assimilare."

Caro Dionisio, ti rispondo autobiograficamente, qui le generazioni sono a confronto. Questa tua riflessione mi sembra anche un po' legata al tuo Art. su "Il Culturista" quello sul 68, droghe, cannabis, generazioni e degenerazioni....
Dunque...ho 39 anni e 1/2, ma in fondo non appartengo più di tanto alla mia generazione: di alcuni di voi non potrei essere figlio, di alcuni altri sì :) sssh. Per certe cose sono un 20enne per altre un 70enne.
Ho avuto genitori che mi hanno trasmesso valori come dici di impegno, serietà, etica...e fin qui ci siamo(e valori religiosi che invece ho rifiutato per tutta l'adolescenza fino a dopo i 20 anni, dopo aver sperimentato altre ricerche); quanto a maestri e modelli, insegnanti... nessuna atmosfera da caffè, tranne sparuti casi ho avuto tutti insegnanti post68ini e 68ini che al di là di loro ottime pertinenze scientifiche e lavorative oggettive, mi hanno trasmesso anche 'dissoluzione di certezze', cosa che ho rifiutato scegliendomi altri pensatori tra libri e altre esperienze più coinvolgenti.

Sulle cose per cui vivere: molto cambia per es. se si ha fede o meno, cambia la motivazione e il fine che vediamo nelle azioni: per qualcuno la fede è un'educazione ricevuta o una forma mentis, per me no, può solo essere una chiamata individuale.
Per il resto a me piace conoscere, specie letterature, arti...e sono così da sempre fin da bambino. Questo però oggi può farci in parte temere del futuro, dato su cosa si basa la società attuale: temere almeno una precaria realizzazione lavorativa, specie per noi delle materie e specializzazioni umanistiche.

Cosa c'entra questo con le conversazioni, i caffè? c'entra moltissimo. Se da 40 anni si è circondati da ubriaconi e cannaroli, o da relativisti estremi o sussiegosi autistici della superiorità morale e intellettuale anche quando si parla del nulla(mi riferisco a una certa pretesa intelligentija della fuffa), sarà ben difficile parlare di niente di che in conversazioni interessanti: manco le basi, insomma.
Molto dipende anche dal Dove: io sto a Bologna. E ho detto tutto come forma mentis generalizzata e dover pensare obbligato.

(Ho abitato-studiato-lavorato- per un periodo in Uk, ma anche lì la situazione non era così migliore, non fosse che tra i milioni di abitanti londinesi qualcuno con affinità si trovava. Ma oggi è irriconoscibile anche quella città, tutto si è uniformato al modello unico mondiale).

Oggi la scelta sembra qui tra l'alienazione degli iper-qualsiasi cosa-mercati, o il degrado dei centri storici con gli excaffè okkupati.
In nessuno dei 2 casi la situazione ideale per conversazione, tantomeno legata la fare. O si torna al caso criticato da Dionisio: vuote conversazioni...per di più legate al..."farsi". :-(

dionisio ha detto...

Caro Josh, ma tu appartieni alle persone rare che sono diventate in gamba (l'espressione, quand'ero piccolo io, veniva usata per significare "dotata e meritevole") nonostante la deriva del Sessantotto in cui hai dovuto "nuotare". Mi riservo di approfondire meglio perché ora devo scappare, ma quando parlo delle generazioni di oggi mi riferisco a quella dai venti ai trent'anni. Io il '68 l'ho vissuto quand'ero appena un ragazzino, ciononostante un po' mi ha condizionato, e anch'io sono diventato quello che sono "nonostante" quella deriva, per fierezza e anche per un po' di autostima che mi ha assistito. Ultima cosa, rispetto all'occupazione. Io fin da quando avevo sette anni e mi chiedevano "Cosa farai da grande?" rispondevo invariabilmente "Il pittore". Poi non sono riuscito a farlo professionalmente perché sono sempre stato avverso all'astrattismo e all'informale, negli anni in cui i "figurativi" avevano l'ostracismo dai galleristi. Per fortuna non ho mai smesso di dipingere, ma solo da poco i figurativi come me cominciano ad essere, in parte, riconsiderati.
A prtesto

marshall ha detto...

...Ovviamente parlavano anche di politica, ma non essendo questa la sede, più avanti ne scriverò in proposito su altro blog.

marshall ha detto...

Sarcastycon,
strepitoso il tuo commento. Vi si parla anche di quel tuo celebre concittadino, Francesco Domenico Guerrazzi, del quale ti chiesi se conoscevi qualcosa di lui. Vidi su una bancarella d'antiquariato, un antico libro, ancora in tonso (con i bordi da refilare per poterlo sfogliare e leggere). Era il romanzo forse più noto di Guerrazzi: L'Asino - Il sogno (forse Josh ce ne saprà dire qualcosa). Scritto da un livornese verace, credo sia colmo di vervè satirica; ma non lo potetti acquistare, perchè se l'era aggiudicato una persona arrivata prima di me.
Ma Guerrazzi è stato famoso per un libro sulla "Battaglia di Benevento" (credo sia riferita a Manfredi); e tu sai quanto sia legato alla città di Benevento, per via di quei memorabili versi di Dante (".../ l'ossa del corpo mio sarieno ancora / in co del ponte presso a Benevento, / ...")

Hesperia ha detto...

Grazie Sarc, per la tua preziosa aggiunta sul caffè dell'Ussero di PIsa. Nomi davvero prestigiosi. Ma questo mi fa pensare che il nostro Paese è pur sempre quello dei mille campanili e delle cento cottà e che ciascuna contiene davvero delle meraviglie. Spesso le città piccole non sono da meno di quelle grandi. Per questo è ingiusta la mentalità omologatrice della globalizzazione.

Hesperia ha detto...

Refuso: città e non cottà. Mannaggia ai refusi! :-)

Grazie anche a te Marsh, per aver ricordato il mitico Biffi. E del resto anche Brera aveva i suoi molteplici ritrovi durante la Scapigliatura milanese. Tu parli di Boito che era uno "scapigliato" anche autore di melodrammi.
Ma come mi pare ovvio, questo post ha per protagonista, non tanto la mappa dei caffé italiani ed europei al completo, quanto la conversazione in sé e per sé, e come è cambiata nel corso del tempo.

Hesperia ha detto...

Dionisio, il problema dell'"impudicizia" del cellulare e dei discorsi un tempo relegati alla sfera privata, lo ha inaugurato per prima Aldo e subito dopo Josh.
Ormai abbiamo raggiunto un tale livello di volgarità e di grossolanità che mi è capitato di sentire due fidanzati (una lei, per dire la verità) che urlava per la strada dei vaffa al suo lui. E senza più nessuna remora nei confronti dei passanti allibiti.

Josh ha ragione a parlare di "autismo", perchè vedere gente che sorride, gesticola e inveisce con un interlocutore "invisibile" attraverso l'auricolare, ti dà la misura dell'alienazione in cui è sprofondata l'umanità. Altro che arte del conversare!

E che dire dei maratoneti che corrono con l' IPOD nelle orecchie avulsi perfino da un meraviglioso paesaggio naturale? Non è forse meglio correre per boschi ascoltando il canto degli uccelli, invece di mettersi - chessò - un rockaccio assordante nelle orecchie?

Come ho concluso nel post, forse è il caso di rivedere tutti questi mezzi per la "non-comunicazione" di massa.

Hesperia ha detto...

@ "In gran parte è colpa anche della nostra generazione, che non è stata capace di trasmetterle ciò che aveva ricevuto dalla precedente".

Dionisio, il rapporto genitori-figli è diventato più complesso, perchè il genitore purtroppo non è più l'unico trasmettitore di valori e di criteri. Così come il docente non è più l'unico trasmettitore di nozioni-ifnormazioni.
Qui forse, andiamo un po' OT ripsetto al tema, ma tutte queste "cattive sirene" che abbiamo elencato, sono state messe apposta nel percorso per far sbarellare e deragliare le generazioni. Separando quelle precedenti da quelle successive. Così mi sembra.

sarcastycon ha detto...

Hesperia e Marshall
dimenticavo una cosa importante.
Il Caffè dell'Ussero era frequentato dai professori e dagli studenti della vicina,(non più di 100 mt) Università della Sapienza, una delle più antiche (risale al 1343) ed in questi locali, normalmente ritrovo di cultura, fu ideata e organizzata la spedizione dei volontari universitari che combatterono a Curtatone e Montanara.

ciao
Sarc.

Hesperia ha detto...

Sarc, al bar-pasticceria Baratti di TO, Guido Gozzano componeva "Le Golose" ne I colloqui:

http://www.kitchens.it/articolo.asp?art=369

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda

ecc. ecc.

E qui a dietro casa mia qui nel varesotto, c'è un'antica pasticceria molto frequentata dal Carducci quando veniva da queste parti a trovare la sua amante.
Come vedi ogni luogo di Italia, ha le sue meraviglie.

marshall ha detto...

Sarc.,
anche se il commento è fuori tema, grazie a te, che sei tra i migliori ambasciatori blogger delle città di Pisa e Livorno, mi sono appassionato allo studio un pò più approfondito della Toscana, e in particolare di Pisa e Livorno. Ho così letto le storie, a dir poco fantastiche, del canale dei Navicelli, che collega le tue due città; e delle due università "gloriose" di Pisa. Con riferimento al tuo commento, è stato grazie a ricercatori usciti dalla Sapienza, se in Italia, negli anni '50, è stato messo a punto il primo calcolatore "made in Italy", proprio lì a Pisa. Come a dire che i "sapienti" pisani avevano bagnato il naso ai ricercatori di Agrate e Vimercate, dove stavano sorgendo SGS (ora STM) e IBM.
Come a dire che a Pisa si era compiuta la simbiosi perfetta tra passato, rappresentata anche dai Navicelli, ripristinati in quegli anni, e la modernità dei calcolatori elettronici.

marshall ha detto...

Bello il finale, che fa ricordare a ciascuno di particolari periodi della propria esistenza.
Il mio primo è legato ad un bar-gelateria dove, da ragazzi e poi ancora da giovanotti, solevamo incontrarci la sera, non tanto per il caffè, la bevanda o il gelato, quanto per conversare.
Idem per il periodo successivo, quando appassionati di borsa e titoli ci incontravamo a mezzogiorno nel borsino della banca, uno stanzone appartato, dove la privacy era garantita, e parlavamo del più e del meno, più di altre cose, che di borsa. Il tutto proseguova poi nel bar di fianco o nella piazzetta antistante.
Del terzo periodo, il più recente, sono stato solo attento osservatore. Di fronte casa il bar più famoso del paese è meta, ogni mattina presto, di individui d'ogni genere: dai commercianti, agli imprenditori e dirigenti d'azienda, ai professori scolastici con inizio di lezioni variabili, ai registi e tecnici televisivi di una famosa tv commerciale, ecc..
C'è una piazzetta, tutta piena delle loro macchine. Preso il caffè, nelle giornate delle stagioni favorevoli fanno capolino e assembramento fuori del locale e parlano, parlano, parlano. Poi, dopo un certo orario, le figure piano piano svaniscono e la piazzetta si va svuotando delle loro macchine. Nel primo pomeriggio e a sera la scena si ripete. Ogni tanto, quando parlano animatamente, si riesce ad ascoltare i loro discorsi: cavolate. Ma è il loro modo, come quello di tutti, di stare insieme.

dionisio ha detto...

Per continuare nell'esame dei punti che hanno ucciso l'arte della conversazione. Sullo snaturamento della città e sulla sua riconfigurazione in funzione dello sradicamento dell'uomo dal proprio ambiente, che crea il suo senso d'alienazione e la sua aggressività nei confronti degli altri, abbiamo già scritto sia io che Josh (vedi qui: http://dionisioarte-ddf.blogspot.com/2010/02/quale-modello-di-citta.html)
e il post di Josh su questo stesso sito).
L'atro punto, indicato così da te, Hesperia:
"internet con le sua chat, i suoi social network, le sue community e i suoi forum che creano un falso rapporto di contiguità, di aggregazione fasulla e di interazione virtuale: insomma la fredda estetica della simulazione di quel che era, fino a poco tempo fa, una normale chiacchierata "dal vivo".
Cosa vera, soprattutto se si pensa a social network tipo Face book, dove si creano comunità di amici che non sanno nulla l'uno dell'altro e inducono a proiettare, per quanto si riesce a capire, un'immagine idealizzata e fasulla di sé, oppure spingono, per la loro caratteristica, all'esercizio di quello che viene definito "cazzeggio", un modo di far dello spirito che diventa lo scempio del buon gusto e l'esaltazione, semmai, del cattivo gusto (salvo rare eccezioni). Data la brevità degli spazi, poi, si legge di rado una frase con senso compiuto, ma è tutto uno sciorinare di muggiti e cachinni e imprecazioni, e verbi e aggettivi fuori luogo fieramente esibiti. Ma l'elemento che denota la superficialità (nonché il pericolo che celano) questi mondi virtuali è che, nella presentazione di sé, alla voce "che cosa cerchi?" taluni rispondono candidamente "Una relazione", intendendo chiaramente "sentimentale o sessuale". Insomma, ci si affida all'etere per trovare ciò che non può che scaturire da un sano confronto de visu.
Si obietterà che anche noi, qui,ci incontriamo in una dimensione virtuale. Ma qui almeno proponiamo un tema verso il quale possiamo trovare un interesse comune o che comunque ci spinge a discutere, ad esprimere la nostra opinione, ad arricchirlo e, quindi, ad arricchirci vicendevolmente. Non è il magnifico caffé letterario dei bei tempi andati, ma, almeno, cerca di riprodurne gli aspetti mogliori. O no?

dionisio ha detto...

Naturalmente volevo scrivere "migliori".

dionisio ha detto...

E per concludere il mio punto di vista sul tema, convengo con Josh su tutto ciò che ha scritto nella sua risposta diretta a uno dei miei commenti precedenti. In particolare, laddove dici che dipende molto da dove risiedi. Tu stai a Bologna, io a Genova (figurati), due città sicuramente sorelle proprio nel degrado di quegli aspetti di aggregazione "sana" di cui parliamo. Figurati che mia moglie, persona dotata di grandi capacità organizzative, s'era inventato, nell'ente pubblico dove lavorava, un ufficio "per la promozione delle tradizioni popolari" che, nel corso di alcuni anni, aveva ricreato in talune zone della città un vero e proprio tessuto di aggregazione e di ricucitura di sani rapporti sui temi appunto della tradizione. L'ufficio è stato chiuso (nonostante la prolungata protesta di migliaia di cittadini che partecipavano all'organizzazione degli eventi gratuitamente, cosa rara in una città come Genova) con la motivazione che era "più producente per l'amministrazione cittadina organizzare e promuovere concerti rock nei quartieri", da cui è poi derivata l'abitudine insana alle movide dove ci si ubriaca e ci si canna allegramente in migliaia di persone dal cevello destabilizzato.
Sicuramente altrove la situazione non è così tragica: penso soprattutto nelle città di modeste dimensioni, e negli agglomerati più piccoli. Lì sicuramente sopravviveranno caffé e altri centri dove le chiacchierate "sane" (anche intelligenti e colte, perché no?) hanno luogo. Qualcuno è già stato indicato, qui.

Hesperia ha detto...

Sì Dionisio, ho pensato anch'io la tua stessa cosa: anche questa conversazione sul Giardino (che non è reale, all'aperto, con i rumori della natura, ma è virtuale) in fondo nasce dall'esigenza di un'impossibilità di trovare luoghi adiacenti, persone del tuo stesso circondario con cui intrattenere una discussione di questo tipo. Ed è chiaro che ci rimanda alla conclusione che se prima (e parlo solo di pochi decenni orsono) l'essere umano disponeva di "luoghi" e di "ritrovi" vicini con persone a lui vicine, ma adesso deve andare a recuperarne di lontane, sparse per l'etere, ciò significa che qualcosa di prezioso e di unico è andato irrimediabilmente perduto.
Ovvio quindi che si cerchi di ripensare in termini critici all'utilità (ma anche alle controindicazioni) della rete, che non dimentichiamolo, è stata ideata apposta come strumento mondiale per un'organizzazione mondiale del lavoro e delle comunicazioni. Www come "world".
Ma soprattutto vorrebbe dare risposte all'utopia che nel mondo siamo tutti uguali e tutti affratellati.
Orbene, "utopia" vuole già dire "non luogo". Se poi questa utopia viene veicolata da mezzi virtuali, ne risulta evidente il suo carattere di impalpabilità e di aleatorietà. Per fortuna, non siamo tipi da face-book e da twitter. Vorrei sottolineare in Giappone o in Cina (non ricordo bene) un fatto di cronaca che racconta di un giovane, il quale tentò un suicidio perché aveva il pc fuori uso e non poteva più "comunicare" con gli unici amici virtuali che aveva: roba da alienati mentali! Ma ci rendiamo conto a che punto di esasperazione hanno condotto il mondo?

Bella, caro Marshall, la tua testimonianza al bar-gelateria e anche al borsino della Borsa, dove poi le conversazioni prendevano tutt'altro taglio da quello finanziario.

Hesperia ha detto...

PS: aggiungo: www vuol dire World Wide Web ovvero Grande Ragnatela Mondiale.
Ogni tanto bisognerebbe soffermarsi a riflettere sui mezzi che adoperiamo e cercare di non diventare mosche passive di questa ragnatela :-).
Insomma l'evoluzione moderna dell'arte della conversazione (dall'etimologia cum versari ovvero aggirarsi, intrattenersi, frequentare qualcuno) ha perso il suo significato di bighellonare pigramente insieme e intorno a qualcosa.

marshall ha detto...

Utilità del blog.

Vado all'indietro, come i gamberi, partendo dall'ultimo commento di Dionisio, che ha toccato il tasto giusto: quello delle tradizioni popolari.
Anche al mio paese mi era parso che, ad un certo punto della sua storia, le tendenze musicali innovative del momento stessero per avere il sopravvento sulle tradizionali feste popolari. Ma da un certo momento in qua, pare sia in atto un'inversione di tendenza, con un occhio di riguardo al tradizionale.

Vengo al sodo.
Dallo scorso anno, dopo che ho pubblicato, qui sul Giardino, i due post su feste popolari, canti popolari, drammaturgia sacra, recupero e valorizzazione delle cascine storiche (a proposito: quell'elenco di cascine e corti mi è stato poi appurato siano state 45 e non 27), credo ci sia stata, almeno qui dalle mie parti, una diversa redistribuzione di risorse finanziarie, con occhio attento a chi si occupa "professionalmente" di quanto avevo citato in quei post.
Per farla breve, quella rappresentazione drammaturgica è stata riproposta con nuovi e diversi canti, sempre del XIV e XV secolo, gemellandosi pure con un paese del Trentino (nel senso che i nostri sono andati là, e viceversa).
Ciliegina sulla torta: qui da me è stata scelta la chiesa che non ha nessuna barriera architettonica, anche se la chiesa è in stile ultramoderno.

Una conferma in più che il blog del Giardino delle Esperidi viene ampiamente letto.

dionisio ha detto...

Ma infatti, Marshall, il "Giardino" è senza dubbio una versione nobile, benché virtuale, della "conversazione" di qualità. Ognuno dà il meglio di sé negli argomenti che conosce bene e che propone e, secondo me, anche giudicando dall'intelligenza degli interventi, esiste già un insieme di fruitori già selezionato, ed evidentemente esigente, che aggiunge qualcosa, non toglie nulla a quanto "esposto" dagli estensori dei post. Così mi pare, almeno, da quando lo frequento. Quindi è certamente utile e,forse, nel senso in cui dici tu, a proposito di certe scelte che possono prendere spunto da alcuni nostri ragionamenti, anche stimolante (ma questo dipende dall'intelligenza e sensibilità di coloro che amministrano determinati settori).
Io criticavo, sulla scia dell'indicazione di Hesperia, certi social network nati da menti perverse che vogliono sviluppare gli impulsi meno nobili tra coloro che "navigano" in rete, perchè ci sono anche quelli. E poi Il Giardino è una sorta di "giornale" che tratta argomenti culturali; non viene stampato su carta, ma potrebbe benissimo esserlo; a differenza però dei giornali cartacei, qui la "posta" si smista e sviluppa rapidissimamente e acquista l'andamento della botta e risposta (e questo è un indubbio vantaggio).
Ecco, quel che va rilevato e sempre ricordato è che la rete deve essere utilizzata come strumento di comunicazione (infinitamente più veloce di quelli precedenti, quindi più vantaggioso), non quale mezzo per alienarsi ulteriormente il rapporto coi propri simili o, peggio, con se stessi (come avviene per tanti, vedi il caso citato da Hesperia).

sarcastycon ha detto...

Hesperia
Il mio concetto è: usare la rete ma non farsi usare dalla rete.
In pratica bisogna essere come il ragno che si muove sulla ragnatela ma non ne resta impigliato.Se invece sei una mosca....
Ciao
Sarc.

Hesperia ha detto...

Sarc, questa sarebbe un'aspirazione condivisa. Ma dobbiamo essere consapevoli che spesso i mezzi e i fini non sono sempre così separabili.

Hesperia ha detto...

Marshall mi fa piacere, nel nostro piccolo. Anche se per incidere su certe scelte di orrenda architettura ci vuole altro che un blog. Questo, detto molto realisticamente.

Dionisio, penso che il fatto degli anticorpi che disponiamo nei confronti di certe aberrazioni come quello del ragazzo intossicato dal web che tenta il suicidio, sia

a) un fatto generazionale
b) un fatto culturale.

Purtroppo - e lo dico con rammarico - certe valutazioni si fanno nel corso del tempo e bisogna valutare i loro effetti sullo scorrere delle generazioni. Cioè, nel lungo periodo. Ora è ancora troppo presto per tirare le somme.
Una cosa è certa: noi non possiamo permetterci di correre dietro come tante scimmie ammaestrate, a tutte le diavolerie inventate dal cosiddetto progresso. Altre ne salteranno fuori.
E la cultura, per essere tale, dev'essere un fatto profondamente "inattuale". Ciao e buona domenica a tutti.

marshall ha detto...

Amici,
scusate il fuori tema, ma devo dire una cosa a Dionisio, che mi sta molto a cuore.
Oggi, a Bell'Italia, hanno trasmesso uno "splendido" servizio su Genova, parlando anche del "Secolo Genovese" che vide in Andrea Doria il suo fondatore e artefice principale. Tra l'altro, si è parlato anche della flotta genovese che diede l'aiuto forse decisivo per la vittoria delle forze cristiane su quelle musulmane, in quella memorabile Battaglia al largo di Lepanto, nel 1571; una battaglia che Sarcastycon ha cantato con grande enfasi in tutti i modi possibili, facendomela conoscere in maniera decisiva e approfondita.

Questo giro di parole per dire che io di Genova, e delle sue ultra bellezze architettoniche ne ho già parlato nel mio blog (sempre traendo spunto da una precedente puntata di Bell'Italia), intavolando un dialogo interessante con Zener, il genovese. In quell'occasione, però, ne parlai più in chiave politica (e qui entrerebbero in ballo certi insegnamenti lasciati da Emilio De Marchi, che Josh mi ha consigliato di leggere, sull'importante ruolo che "devono" rivestire i ricchi, e che i poveri "devono", loro malgrado, accettare), che di architettura. E quindi, DIONISIO, forse hai già capito a cosa vorrei parare: che tu, da buon genovese, come dimostri di essere, ci parlassi prossimamente della tua "bella" città. Sarebbe un piacere mio, e forse anche di altri.

dionisio ha detto...

Tutto il nostro essere è "inattuale". Infatti, come confondersi con questo cosiddetto progresso? Per poter camminare verso il futuro occorre mantenere saldo il contatto col passato. Dal momento che questo contatto si è voluto spezzarlo, si avanza solo verso l'abisso. Possiamo solo tentar di resistere, ma lo facciamo con tenacia, mantenendo ferma la diversità tra noi e chi vuole dirigersi ciecamente verso quell'abisso. Senza farci troppe illusioni, però teniamo ben salda in mano la bandiera della nostra differenza e dissidenza.

dionisio ha detto...

Ah, Marshall, hai toccato un tasto dolentissimo! Genova è una città bellissima, ma, da qualche anno, in piena decadenza. Per darti un'idea, al pronto soccorso dei due ospedali più importanti della città (dove ho accompagnato mia moglie quando si è rotta il polso, in tutt'è due perché il primo aveva deciso di ingessare solo dopo una settimana; e già questo ti indica come funzionano le strutture sanitarie qui) ho trovato una folla enorme di persone con ossa rotte per via delle mille e mille buche delle strade di Genova (l'amministrazione non le ripara, infatti l'assessore alle strade è stata ribattezzata "assessore alle buche", dopo che aveva dichiarato, in seguito alla morte di un motociclista sbalzato dal mezzo appunto da una buca, che nel giro di 90 giorni avrebbe posto rimedio a tutto: sono passati sei mesi ed è morto un altro motociclista per lo stesso motivo, oltre alla strage di ossa di innumerevoli cittadini, ma le buche sono ancora tutte lì).
Non parliamo poi delle condizioni in cui versa il centro storico, il più grande d'Europa, con strade, piazzette, vicoli e palazzi bellissimi, ma lasciato in ampie zone in preda alla malavita e alla prostituzione multirazziale, coi negozi che diventano ogni giorno di più solo saracinesche chiuse, e la sporcizia dilagante. Pensa che le zone più "fortunate" sono considerate quelle dove si svolgono le movide, dove per tutta la notte sale un frastuono intollerabile prodotto da giovani e meno giovani che bevono fumano e si impasticcano. Ma tutta la città è in pieno degrado, ovunque. Non c'è più lavoro, tutto viene appaltato alle Coop e, a seguito di questo, negli anni più recenti, la città ha perso ben 250.000 abitanti. Mi fermo qui perché dovrei dire cose ancora peggiori. La città è sull'orlo dell'abisso, ma la maggioranza dei genovesi è rassegnata o complice dell'andazzo. Eppure tutto è contro i cittadini. I posteggi sono tutti a pagamento (credo sia l'unica città, questa, priva di zone "bianche") e le multe fioccano per mille motivi e pretesti cercati apposta. E' un esempio di come non deve essere amministrata una città.Non è questo il momento per parlar bene di Genova, te l'assicuro

marshall ha detto...

Dionisio,
basta, mi arrendo, rinuncio alla richiesta davanti allo "scempio" che m'hai illustrato. Preferisco ricordarmi della Genova bella, così per come l'ho immaginata dopo quei servizi di Bell'Italia o per come la vidi realmente sfavillante di luce sotto il sole, durante quei giri della città che feci col mondiale ciclistico, forse del 2007.

marshall ha detto...

Benedetta Craveri - La civiltà della conversazionme.

Ho dovuto arrivare alla fine dell'articolo di Felicita Scardaccione per scoprire che è la nipote di Benedetto Croce. E con questo abbiamo detto tutto. Benedetto Croce nato e vissuto a Pescasseroli, nel cuore del Parco Nazionale d'Abruzzo.
Incontravo le comitive di quel paese, quando andavamo in pellegrinaggio a quel Canneto del quale ho scritto quel post. Stare 48 ore assieme, tra andata, permanenza e ritorno, sarebbe stato impossibile farlo senza dialogare. Conoscevamo quindi assai bene tale arte. E da quelle parti, tranne i timidi e i musoni, avevano tutti grande loquacità, che veniva fuori in quelle occasioni. E i ciociari, come appunto Benedetto Croce, sono in genere buoni affabulatori (vedere anche Cicerone).

Anonimo ha detto...

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