martedì 2 novembre 2010

Il Capolavoro Sconosciuto


Nel Capolavoro Sconosciuto, racconto di Balzac ingiustamente ignorato dal grande pubblico, viene preconizzato il destino dell’arte figurativa nel secolo successivo a quello in cui visse il grande scrittore, il suo declino da quel linguaggio o strumento di comunicazione di un uomo con altri uomini, che era stato fin dalle sue origini, all’esercizio solipsistico, egocentrico, solitario e arrogante in cui si sarebbe configurato in epoca moderna. Balzac, oltre ad essere quel grande orchestratore di storie accumulatesi nella sua vastissima produzione di romanzi e racconti ch’egli chiamò, con giustificata fierezza, la sua Commedia Umana, era anche un eccellente osservatore dell’evoluzione del pensiero e dei costumi e, da genio lungimirante qual era, intuì dove sarebbe approdato il capzioso ragionare e arrovellarsi degli artisti, presente già al suo tempo, sul rapporto tra artista e opera d’arte, tra arte e realtà. Guardiamo alle date. 
Honoré de Balzac (foto sottostante) nasce nel 1799 e muore nel 1850; Il Capolavoro Sconosciuto viene composto a Parigi nel 1832, trent’anni prima dell’esplosione di quella stagione dell’arte che passerà alla storia col nome di Impressionismo e che, pur restando ancora vincolata alla rappresentazione della realtà sensibile, costituisce il primo scossone alla riproduzione naturalistica della forma, segna cioè l’avvio di quel processo concettuale che, dalla scomposizione del soggetto rappresentato, porterà alla sua dissoluzione. Balzac, facendo negare a Frenhofer, il protagonista principale del suo racconto, l’esistenza in natura della linea, del contorno degli oggetti, definiti in realtà dalla luce che avvolge dinamicamente superfici e volumi, anticipa già, per l’appunto, la visione impressionistica basata sulla rappresentazione d’una realtà mobile e mutevole con la scomposizione della superficie pittorica in macchie e tocchi di colore, configurandosi in un gioco di ombre e riflessi colti a colpo d’occhio per restituire la dissoluzione del colore locale in valori tonali, prospettici e atmosferici.


I personaggi più importanti del Capolavoro sconosciuto sono tre artisti, Porbus, il pittore socialmente affermato che gode dei favori d’una committenza importante, Poussin, il giovane artista di belle speranze trasferitosi dalla provincia a Parigi per trovare il suo posto di rilievo nel mondo dell’arte della capitale e, appunto, Frenhofer, l’artefice più anziano che, nella sua volontà prometeica di ricreare sulla tela il palpito e il mistero della vita “rubando a Dio”, come dice lui stesso, “il suo segreto” per cogliere lo spirito, l’anima, l’immagine profonda degli oggetti e delle creature, si è estraniato completamente dalla vita e dal pubblico per darsi totalmente alla sua ricerca dell’assoluto nell’espressione artistica. Subito, nella scena d’esordio del romanzo, in cui i tre personaggi si incontrano nello studio di Porbus, di fronte a una Maria Egiziaca dipinta con tocco magistrale dallo stesso Porbus, Frenhofer ha parole di disprezzo per l’opera dell’amico. “La tua creazione è imperfetta: non hai saputo infondere che una parte della tua anima alla tua opera prediletta” gli dice. “La fiaccola di Prometeo ti si è spenta più di una volta fra le mani e molti particolari del tuo quadro non sono stati toccati dalla fiamma celeste”. E, di fronte all’obiezione proferita in tono scandalizzato dal giovane Poussin: “Ma questa santa è sublime, signore!”, chiede per tutta risposta la tavolozza e i pennelli di Porbus e si mette a correggere il suo quadro con rapidi tocchi di colore, illustrando al ragazzo il perché dei suoi interventi. “Vedi come, con tre o quattro tocchi e una lieve velatura bluastra, si poteva far circolare l’aria intorno alla testa di questa povera santa, che doveva sentirsi soffocare, oppressa in questa atmosfera pesante! Guarda come questo drappeggio ora svolazza, e come si capisce che è il vento a sollevarlo. Prima, pareva una tela inamidata e appuntata con gli spilli”. Porbus non ha nulla da recriminare per gli interventi del maestro più anziano, anzi, recandosi più tardi nel suo studio insieme al giovane, gli chiede di lasciar loro vedere l’opera a cui Frenhofer lavora da dieci anni senza averla mai mostrata ad alcuno, il ritratto d’una donna ch’egli chiama La Belle Noiseuse. “Così” dice “forse potrei dipingere una nobile pittura, grande e profonda”. Ma il vecchio rifiuta energicamente: “Devo ancora perfezionarla. Ieri credevo d’aver finito: i suoi occhi mi sembravano umidi, la carne palpitava, le trecce dei suoi capelli si muovevano: ella respirava!.. Stamattina, alla luce del giorno, ho riconosciuto d’aver sbagliato”.


A questo punto il giovane Poussin freme di curiosità: è convinto, come Porbus, che la visione dell’opera sconosciuta di Frenhofer gli aprirà la strada per accedere alla conoscenza della grande pittura. Per raggiungere lo scopo, non esita a chiedere alla sua ragazza di lasciarsi condurre dall’anziano maestro per proporgli di ritrarla, così da avere accesso alla visione del suo quadro e ai segreti della sua arte. Pur di fronte alla riluttanza della giovinetta, che prende la richiesta del fidanzato come una sorta di prostituzione della sua bellezza all’avidità pittorica del maestro anziano, egli l’accompagna ugualmente davanti a Frenhofer, rischiando di perdere il suo amore. Ma Frenhofer, pur affascinato per qualche istante dalla bellezza della giovane donna, subito riporta l’attenzione sul suo quadro, quel ritratto di donna che rappresenta l’unico interesse della sua vita e, in un certo senso, il suo vero amore. E questa volta decide di consentirne la visione ai due colleghi pittori per godere del trionfo che la bellezza della sua creazione riporterà su quella della giovinetta in carne ed ossa. Ma il quadro si rivelerà nient’altro che un incomprensibile groviglio di macchie di colore sovrapposte che formano una muraglia di pittura, sotto la quale si intravvede appena un frammento di piede nudo, un piede delizioso, di forma perfetta. “C’è una donna là sotto!” esclama Porbus, facendo notare a Poussin gli strati di colore che Frenhofer ha di volta in volta sovrapposto credendo di perfezionare la sua opera. “Ma finirà pure per accorgersi, prima o poi, che non c’è niente sulla tela!” commenta Poussin. Dal tono scandalizzato del ragazzo, e dall’atteggiamento deluso di Porbus, Frenhofer riesce a vedere per la prima volta con occhi lucidi il suo quadro, e tutte le sue sicurezze vacillano. “Niente! Niente!” prorompe, scoppiando in lacrime. “E ci ho lavorato dieci anni!” L’indomani Porbus, preoccupato, torna a cercare Frenhofer, e scopre che è morto quella notte, dopo aver bruciato tutte le sue tele.

Balzac ha previsto, con questo racconto magistrale, quale sarebbe stato il destino dell’arte e la sua inevitabile involuzione verso l’astrazione, il concettuale e l’informale, col loro corollario di equivoci sfocianti spesso nell’impostura; individuando così perfettamente le conseguenze che deriveranno dell’estraniarsi dalla vita e dal pubblico e comprendendo quale minaccia nascondesse l’estetismo e il nichilismo esasperati legati a una concezione dell’arte superomista intesa unicamente come esercizio privato e individualistico, col pericolo di incomunicabilità e distruttività che conteneva; una minaccia divenuta, in epoca moderna e post moderna, una drammatica realtà.

Dionisio

26 commenti:

Hesperia ha detto...

In confronto a quanto è arrivato dopo (mi riferisco alle famigerate "installazioni") l'impressionismo è rose e fiori, caro Dionisio. Il racconto è emblematico di quella rottura consumata tra l'artista individualista, idiosincratico e nevrotico dall'età romantica ai nostri giorni, e l'artigiano rinascimentale e tardo rinascimentale.
Balzac però era grande estimatore di Delacroix, come forse già saprai. Un artista romantico che però aveva chiarezza su forme e volumi della figura umana oltre che sui colori fiammeggianti alla Rubens.
E anche se poi c'è un'intera schiera di impressionisti che dice di essersi ispirata a lui, non hanno però la sua stessa solidità delle masse corporee e dei volumi, andati via via disperdendosi.

marshall ha detto...

Ottima sintesi del "Capolavoro sconosciuto" di Balzac. Di lui, e della sua serie sulla "Commedia Umana", conosco solamente il Papà Goriot, per averlo letto. Tale romanzo lo ricordo come un esperimento ben riuscito di Balzac, relativamente al salto sociale: Papà Goriot che dilapida il suo ragguardevole patrimonio accumulato in tutta una vita di probabili privazioni, per far fare alle due figlie il "grande" salto sociale. Sposano infatti un banchiere ed un conte, nella probabile speranza che con loro faranno la "dolce vita". E' invece una vita di stenti, alleviata soltanto dalla continua profusione di denaro da parte del padre, che per loro si priva di tutto (vive di nascosto dal mondo in una sorta di stamberga; una pensioncina anche poco raccomandabile; e le figlie che si vergognano del loro padre - tanto che non si fanno nemmeno chiamare figlie - da loro stesse ridotto a quelle condizioni). I due generi si eran rivelati, fin da subito dopo il matrimonio, emeriti squattrinati, emeriti cacciatori di dote (alle figlie però interessava molto essere la moglie di un conte e di un grande" banchiere).

Questo post, mi conferma Balzac nella veste di un raffinato sperimentatore. Nel Papà Goriot illumina i lettori sul quanto sia illusorio, e non privo di incognite, far "provare" ai figli "l'ebbrezza" per il salto sociale (che fine abbian fatto le figlie di Goriot, il romanzo credo non ce lo dica); nel tuo post vediamo Balzac alle prese col mondo della pittura. E ce lo fa vedere come profeta e anticipatore di quel movimento venuto 30 anni dopo la diffusione del suo "Capolavoro Sconosciuto".
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Grazie, perchè ora non ci è più "sconosciuto", ed è per me come un'altra finestra aperta.

paolo ha detto...

Salve a tutti. Di Balzac vorrei ricordare anche un pregevole saggetto dal titolo "Il trattato della vita elegante".
E anche il racconto Pelle di zigrino che ha ispirato O. Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray.

marshall ha detto...

Paolo,
il tuo commento giunge a proposito.
Il titolo de "Il trattato della vita elegante" sembra proprio uscire dalla mente dello scrittore quale parte di quel filone di racconti e romanzi che aveva in animo di scrivere sugli "studi del costume", come, ad esempio, il Papà Goriot che fa parte di quella serie di scritti intitolata "Scene di vita privata".
Il Papà Goriot l'avevo letto anni fa, e mi fece buona impressione. Ma me ne stavo già dimenticando, sia del romanzo che del suo autore, mentre invece, riesumato da questo post, si rivela essere stato uno scrittore dal pensiero assai profondo. E chissà cosa aveva in animo di scrivere ulteriormente, se ha perfin dato il titolo di Capolavoro Sconosciuto al romanzo di questo post.
Insomma, uno scrittore da riprendere in mano e ristudiare.

Benvenuto nel blog.

marshall ha detto...

A proposito del mio commento sopra, dove vado un pochino fuori tema parlando di Papà Goriot (ma sempre di mezzo tema si tratta, per via del suo autore Balzac), chiedo a Josh - per quando, avrà, si spera tanto, risolto i suoi problemi familiari - a lui che è esperto di cinema (dopo quel bel commento che mi ha lasciato, a proposito del mio Antonio Fogazzaro , nel quale scrive:

Alida Valli è stata un'attrice enorme, brava...e bellissima, di quelle bellezze con nerbo e personalità che oggi ce ne sono poche, conturbante anche da ...matura.

Ma a questo punto DEVI assolutamente procurarti e vedere il film "Malombra" regia di Mario Soldati (42), fregatene se sembra datato, è un capolavoro.
E' considerato il film proto-gotico italiano, per la sua visionarietà, studiato anche da Hitchcock e Truffaut. E visto che sei affascinato anche dai luoghi....

al link una breve scheda, ma guarda che immagini. C'era, lì, Isa Miranda in una delle sue interpretazioni migliori:

http://www.film.tv.it/gallery.php/film/4095/5/malombra/

al link puoi navigare tra 6 immagini, la breve trama etc...

gli chiedo, appunto, di indicarmi, sempre che esista, un analogo strepitoso film su Papà Goriot.

Hesperia ha detto...

Marshall, su Père Goriot, personalmente non conosco film. Eugenie Grandet, invece fu uno sceneggiato della tv ai tempi del bianco e nero di Bernabei.

Per quanto mi riguarda, conosco poi "La ragazza dagli occhi d'oro", un film francese di Jean Gabriel Albicocco, tratto dalla sua raccolta "L'Histoire des Treize", interprete Marie Laforet.
Ne ho letto anche il racconto, che è un vero e proprio omaggio a Delacroix, per come sono descritti gli interni.
Ha ragione Dionisio: Balzac è una vera miniera.

marshall ha detto...

Hesperia,
ti ringrazio delle preziose informazioni quasi enciclopediche, e aspetterò ora cosa ne dirà Josh, dal momento che egli, in una sua precedente attività, aveva dovuto visionare meticolosamente ben 8000 film.
Comunque sia, dell'eventuale film ora poco m'importa. E ammesso anche che esista. Ma lo dubito, perchè per ben rappresentare cinematograficamente il Papà Goriot ci vorrebbe non un film, ma una fiction di parecchie puntate. E' molto vasto, e pensa che i personaggi dell'edizione definitiva qualcuno si è azzardato a scrivere che raggiungono la cospicua quantità di cinquanta.
Hai capito? "Qualcuno si è azzardato a scrivere che sono cinquanta", il che vuol dire che sono talmente tanti che ci si perde il filo.

Hesperia, ho ripreso in mano quel mio libro d'allora, e l'entusiasmo che me ne sta venendo, anche al solo leggerne l'introduzione, è tale che, quasi quasi, gli dedico uno dei miei prossimi post del Giardino.

Ciao.

Dionisio ha detto...

Cari amici, Balzac è indubbiamente una miniera quasi infinita, e quasi impossibile da percorrere fino in fondo. Se pensiamo che i romanzi e i racconti della Commedia Umana sono circa ottantacinque (più opere minori, racconti buffoneschi, lavori teatrali e saggi vari)ci rendiamo conto quale impresa sia conoscerlo in maniera approfondita. Io ho letto: Papà Goriot, Il colonnello Chabert, Un tenebroso affare,Eugènie Grandet,La cugina Betta, Ferragus,Le illusioni Perdute, Splendori e miserie delle cortigiane, Piccole miserie della vita coniugale e alcuni racconti, oltre al Capolavoro sconosciuto, ma non posso certo dire di conoscerlo a fondo. E non sono un balzachiano in senso stretto, perché se c'era una cosa che a lui non interessava era la perfezione dello stile e quello che si suol definire estetismo artistico. Era l'opposto, per intenderci, di un Flaubert o di un Baudelaire (o di un Hoffmanhstal, se vogliamo andare fuori dalla Francia). Il suo stile e anche tante situazioni o psicologia dei personaggi dei suoi romanzi appartengono più al romanzo d'appendice che al purismo artistico. Eppure quando entri all'interno dei suoi intrecci narrativi, nel mondo ch'egli evoca, ti rendi conto di essere dentro la vita stessa. Ed è così "corposamente" dentro il suo tempo che spesso, leggendolo (ma sarebbe meglio dire "vivendo" le sue storie) ti viene da gridare "E' sublime". E in lui c'è un evidente annuncio di Flaubert e Baudelaire, pur tanto più preoccupati dello stile e del ritmo, e del mot juste al posto giusto, ma tanto meno prolifici di lui e, se vogliamo, anche molto meno coinvolgenti nella lettura. Balzac è il classico scrittore per i "divoratori" di libri.

Dionisio ha detto...

Non avevo ancora letto l'ultimo commento di Marshall. Non volevo smentirti; dai miei libri risulta che tutti gli scritti appartenenti alla Commedia Umana, compresi i racconti meno lunghi, assommano a ottantacinque (letto su "Ferragus", ediz. Einaudi, ma anche ediz. BUR e Newton Compton).
Di film tratti dai libri di Balzac ho visto solo "La ragazza dagli occhi d'oro" di cui parla Hesperia.

Dionisio ha detto...

Hesperia, mi ricordo Marie Laforet, che aveva occhi bellissimi. Non ricordo se il protagonista maschile era Alain Delon o Maurice Ronet. O forse mi confondo perché gli stessi attori, se non sbaglio, interpretavano "Delitto in pieno sole".

paolo ha detto...

Nel citato Trattato della vita elegante c'è un aforisma che sembra quasi uno slogan moderno:

"Le idee dell'uomo rasato non sono quelle dell'uomo barbuto".

Dionisio ha detto...

Infatti, Paolo, Balzac viene spesso indicato dalla critica, e non da oggi, come un anticipatore del futuro (cosa che del resto risulta dal Capolavoro Sconosciuto, di cui parlo nel post). Anche rispetto al suo tempo in senso stretto, i suoi nouveaux riches e parvenus, gli speculatori, gli avventurieri e le cocottes, indicati un tempo come appartenenti più al Secondo Impero che alla cosiddetta monarchia di luglio, assomigliano in realtà a tanti personaggi del nostro presente.
Ma la battuta che citi appartiene al peggior Balzac: difatti noti, acutamente, che sembra uno slogan del nostro tempo, che per l'appunto non brilla per finezza negli slogan.

Hesperia ha detto...

E' un'ottima battuta, Paolo.
Bisognava dirla a Nixon che perse la campagna elettorale presidenziale proprio per colpa della "five o' clock shadow" (l'ombra delle 5, e cioè quella barba che viene verso sera) :-).

Dionisio, l'attore che interpretava il dandy Henri de Marsay si chiama Paul Guers.
Sì , Marie Laforet aveva occhi stupendi.

Piccolo dettaglio OT: Bette Davis si fece chiamare così in omaggio al personaggio un po' perfidino di "La cousine Bette", di Balzac.

marshall ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
marshall ha detto...

Dionisio,
nel commento mi riferisco soltanto al Papà Goriot, che è l'unico romanzo di Balzac che ho letto.
A proposito del suo numero di personaggi, trascrivo quanto scrive la prefazione:
"Alla morte di Balzac le creature uscite dalla sua fantasia erano 2.472, senza contare 566 figure anonime e una schiera di personaggi storici citati col loro vero nome.
....Se sono esatte le cifre raccolte da A.G.Confield, un critico che amava le statistiche, i personaggi di questo celeberrimo tra i romanzi di Balzac erano soltanto ventitrè nell'edizione originale e divennero CINQUANTA nelle edizioni successive.
....".

Dionisio ha detto...

Parlando di produzione, basta confrontare quella di Balzac (sterminata, tanto che non si possono elencare tutti i suoi titoli se non si vuole intasare il post) a quella di Flaubert, che ha scritto: Madame Bovary, L'educazione sentimentale,La tentazione di Sant'Antonio, Tre racconti, Salambò, Bouvard e Pécuchet, più alcuni racconti giovanili come Memorie di un pazzo e Novembre (e un libro di viaggio sull'Egitto e l'epistolario, interessanti per capire l'uomo ma non opere letterarie). Insomma, otto opere di narrativa, tra corte e lunghe e tra più importanti e meno importanti. Ben poco rispetto a Balzac. Non che la mole di produzione accresca il valore di unopera, ma insomma, come dicevo, Blazac è per appetiti voraci, che hanno di che nutrirsi per un lungo periodo; Flaubert è per chi esige solo manicaretti, ma quelli veramente sopraffini sono Madame Bovary, L'educazione sentimentale e i Tre racconti; gli altri sono quasi esercizi di stile, pur sempre godibili per i palati fini. In Balzac, come dicevo, esercizi di stile non se ne trovano, ma i grandi momenti di letteratura viva, dove i personaggi respirano e si muovono sotto i tuoi occhi, sparsi un po' in tutta la sua opera, sono innumerevoli.

Dionisio ha detto...

Ah, dimenticavo, Marshall, avevo letto troppo rapidamente il tuo post: il numero cinquanta si riferisce ai personaggi di Papà Goriot, non a quello dei libri pubblicati da Balzac. La fretta combina di questi scherzi. In effetti, in un tomo che consta di circa 300 pagine (almeno nell'edizione che ho io) seguire il filo dove figurano 500 personaggi non è facile. Quando lo lessi (qualche anno fa) non mi pare d'averlo perduto, forse perché ero più giovane e più sveglio di adesso. Capita, nei libri di grande respiro e con tanti personaggi, di stentare a seguire il filo. Solo Guerra e Pace di Tolstoij (letto a 15 anni, poi a 30 e rivisto qua e là intorno ai 50) si segue senza nessuna incertezza, ma è perché Tolstoij ha un dono particolare, secondo me: non ti fa dimenticare nessuno, quando lo leggi.

Andrea ha detto...

Ho letto Papà Goriot, Eugenie Grandet, La ricerca dell'assoluto, Un medico di campagna, e qualche altro. Mi ha fatto una grande impressione Balzac, e per quel suo straordinario calarsi nella vita reale ( "vivere le sue storie", come dice Dionisio) , mi ricorda molto Dostoevskij.

Dionisio ha detto...

In effetti, Andrea, ”Un tenebroso affare” contiene alcuni elementi del romanzo noir (come oggi viene chiamato) che giustifica l'accostamento a Dostoieiskij. Ma in Dostoievskij c'è un anelito alla redenzione che in Balzac non compare mai. Perché i personaggi di Dostoievskij sono angeli decaduti che hanno perso la grazia; aluni anelano a ritrovarla, altri scelgono l'abisso. I personaggi di Balzac non hanno niente di angelico o, se vogliamo dir così, di poetico o di trascendentale; sono sempre immersi nella prosa della vita, spesso quella più greve. Non so se sei d'accrdo.

Andrea ha detto...

Sono d'accordo Dionisio. L'analisi introspettiva, quasi psicanalitica dei personaggi, è l'origine da cui Dostoevskij ci fa analizzare il mondo, con Balzac osserviamo i personaggi dall'esterno, ma in entrambi, secondo me, l'amarezza della vita è il punto d'arrivo comune.

Alessandro ha detto...

Temo che lei, Dionisio, abbia letto Balzac ma non abbia compreso Flaubert, che non ha cucinato manicaretti bensì scritto i libri più profondi e importanti dell'800 - forse di sempre. "Bouvard e Pécuchet" - le suggerisco di leggerlo - è il ritratto (ahimè incompiuto), anzi la farsa del concetto di progresso infinito su cui si fonda la nostra società. Testo non facile, eppure divertentissimo, eppure amarissimo, purtroppo ingiustamente sottovalutato. Quanto a Balzac, è bello e piacevole, peccato non sappia scrivere (giudizio espresso da Flaubert in una lettera della "Correspondance": dove per scrivere, si deve intendere fare dell'arte).

Dionisio ha detto...

Alessandro, temo che lei abbia equivocato completamente il significato di quanto ho scritto (mi spiace rispondere solo ora, ma ho scoperto il commento solo adesso). Mi pare evidente che quando parlo di manicaretti per palati fini alludo a "manicaretti" letterari, non certo culinari. Ahahah... scusi la risata, ma lei me la strappa. Quanto a Flaubert, posso dirle che tutte le opere elencate le ho lette molto attentamente, qualcuna più volte, e che considero questo autore uno dei più grandi di tutti i tempi; come credo si capisca, del resto, leggendo con mente limpida ciò che dico di lui. Ma a proposito di Balzac,dissento totalmente dalla sua scarsa opinione circa la scrittura di quest'autore (al di là di quanto possa averne detto Flaubert,spesso gli scrittori sono poco gentili tra loro e possono anche essere cattivi critici pur essendo grandi scrittori - n'est pas?). L'ho detto anch'io che la prosa di Balzac è un po' all'ingrosso (anche perché scriveva moltissimo e quasi sempre di corsa...), ma questo non toglie nulla alla sua capacità e genio e forza espressiva; tant'è vero che solo chi capisce poco di arte letteraria si permette di liquidarlo con tanta facilità.

Alessandro ha detto...

Dionisio, per chi mi ha preso, per uno sprovveduto? So ancora distinguere le figure retoriche. Ho solo espresso un - credo - pacato dissenso rispetto alla sua valutazione dell'opera flaubertiana; se ho frainteso, come lei sostiene, non me ne voglia. Dopodiché il valore di Balzac non è in discussione. Quanto alla scarsa famigliarità con l'arte letteraria, non ho la presunzione d'essere un erudito, ma ammetto di avere gusti difficili. Risate a parte.

marshall ha detto...

Alessandro,
io non ho letto ancora nulla di Flaubert, ragion per cui vorrei conoscerlo. Visto che lei ne è raffinato estimatore, mi potrebbe consigliare la sua migliore opera, ma che sia nel contempo di facile lettura e non troppo lunga?

Alessandro ha detto...

@marshall
Richiesta di non facile esaudimento, la sua. Credo comunque che "Bouvard e Pécuchet", data l'incompletezza, potrebbe soddisfarla, così come i "Tre racconti". Ma su Flaubert bisognerebbe fare un discorso enorme, poiché non è autore che si possa distillare in un libro solo. E guardi che non sono affatto un esperto, ma ho compreso che nessun altro scrittore di quel tempo iperpositivista è stato in grado di fare una critica tanto lucida dei suoi contemporanei.

marshall ha detto...

Alessandro,
stupito per la sollecita risposta, sulla quale non avrei neanche contato, ringrazio per l'interessamento.

In questi due giorni ho pensato a Flaubert, essendomi ricordato d'avere qualcosa di suo (forse nel gruppo dei libri di altri francesi che ho letto: Dumas, Hugo, Verne, ma soprattutto Stendhal e Balzac, limitatamente, però, al Papà Goriot. Devo avere anche Maupassant, e qualcun altro che non ho mai letto ).
Mi metterò alla ricerca di Flaubert, e scriverò su questo commentario di cosa si tratta, per avere un parere.
Grazie ancora.