martedì 14 maggio 2013

Casa Missoni

Questo blog ha iniziato la sua attività proprio con un post sulla moda: "Aforismi per una demoiselle" dedicato all'indimenticabile Coco Chanel. Parlai anche di Valentino. Perché la moda? Perché è il lascia-passare di una nazione, il suo marchio di fabbrica, il suo stile, il suo indossare.  Non so se sarà colpa  del Terzo Millenio che spazza via inesorabilmente e fatalmente quanto di bello e buono ha lasciato il Novecento, ma mi sembra ultimamente di dovermi occupare più di morti che di vivi. Come tutti sapranno il 9 maggio scorso è morto Ottavio Missoni e le sue esequie si sono tenute ieri a Gallarate. Caso vuole che insegnassi a Sumirago (Va) proprio negli anni '80 quando la moda italiana e l'Italian Style erano all'apice del successo internazionale. Non conobbi personalmente Ottavio e Rosita Missoni, una







Ottavio ai tempi della sua vittoria olimpionica nel 1948 







coppia di ferro davvero salda, operosa e  fattiva. Incontrai in una sola occasione uno dei  figli, Luca,

ad un centro di cultura, persona mite, alla mano e sempre sorridente come i suoi genitori.Mamolte madri dei miei alunni lavoravano alla Missoni spa, azienda di famiglia sita nella località citata, ed era quella, una realtà produttiva feconda e in espansione secondo il tipico stile italiano della casa e dell'atelier-capannone lì  attiguo. Gli alunni a scuola avevano le copertine dei quaderni disegnate coi suoi colori, come pure gli astucci. Quelle trame che Missoni attinse dalla natura, osservando gli intarsi, le scanalature e zigrinature, gli arabeschi dei  tronchi d'albero nei boschi di Sumirago, i licheni, i muschi e altri elementi naturalistici che poi traduceva in cromatismi per i suoi filati. Nacquero così arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno nonché il famoso 'put together', espressione con cui Ottavio spiegò agli americani che si trattava di 'mettere insieme' fantasie, punti e colori che mai nessuno avrebbe osato accostare.
"Una vita sul filo di lana"  (RCS)  è infatti  la sua autobiografia di novantenne ex atleta olimpionico, esule dalla Dalmazia della quale si porta dietro i colori dei tramonti in ocra, giallo, rosso e viola, sul blu cobalto del mare e gli azzurri dalle più svariate sfumature,  quando intraprende negli anni '50 la professione di imprenditore tessile insieme alla moglie Rosita  in quel di Gallarate, e successivamente di stilista a Sumirago. 



Molti "coccodrilli" sono stati scritti in questi giorni in morte del patriarca novantaduenne Ottavio chiamato familiarmente e alla veneta Tai. Certo ha fatto la sua bella e lunga vita avventurosa di sportivo-atleta e di couturier-tessitore. Ha saputo coniugare con estro e intelligenza laboriosità, creatività secondo quell'imprenditorìa familiare che è la nostra grande  vera ricchezza. Una bella e numerosa famiglia di tre generazioni tra figli e nipoti, di quelle sane e robuste che oggi non esistono più, ma che tutti invidiano, quella dei Missoni. Un'armonia  invidiabile, purtroppo interrotta dalla sventura del primogenito Vittorio scomparso nella rotta di Los Roques in Venezuela, durante una vacanza. Perdere un figlio ed essere ancora robusto, sano e  longevo come una quercia è  quasi contro natura. Questo deve aver pensato il vecchio Tai nella notte tra l'8 e il 9 maggio quando si è addormentato dolcemente per non svegliarsi mai più. Tra le tante cose lette, mi ha colpito  il bell'articolo comparso sulla Stampa del suo conterraneo Enzo Bettiza, sensibile scrittore e giornalista a cui dedicai questo post, un dalmata nato nella sua stessa città: Ragusa Adriatica oggi Dubrovnik che riporto testualmente.

Non immaginavo di dover inviare, proprio di giovedì, quest'ultimo tristissimo saluto a Tai, come usavamo chiamare Ottavio Missoni. Al conviviale e, nonostante gli anni, ancora vigoroso Tai, che non rivedrò più al solito tavolo d'angolo del ristorante «Boeucc» di Milano.
Quando non era in giro per il mondo, oppure in barca a vela nella nativa Dalmazia, Tai, era solito riunire il giovedì sera nel vecchio ritrovo milanese sotto la sua divertita ala patriarcale un ristretto gruppo di amici.
Scendeva a Milano dalla villa-fattoria di Sumirago in una macchina grande e modesta insieme, che continuò a guidare di persona anche in notti burrascose fin quasi al limite delle forze vitali; mollò il volante solo alla soglia dei novanta, cedendolo a un cognato più giovane, col dispiacere ironico e un po' amaro dell'olimpionico assuefatto a tendere i muscoli e lo spirito contro l'usura del tempo.
Ma non usava compiangersi; usava anzi rimproverarsi: «Noi dalmati siamo tutti un po' matti. Ci ostiniamo a confutare la realtà della morte, cantando e bevendo come se i malanni e i guasti degli anni non ci riguardassero».

A prescindere dal cantare alto e dal bere forte, che lo accompagnarono e sostennero di successo in successo in una vita piena, ardita, una vita artistica, più da pittore che da tessitore, egli si compiaceva dello sfondo biografico e dinastico da cui proveniva. Le sue barche erano barche vere, illiriche, uscocche, non ferri da stiro miliardari, ma strumenti basati sulla vela e la manualità del timone: atti a misurarsi con la forza della natura, con i brutti scherzi del mare, degni insomma del figlio d'un capitano dalmata di lungo corso che s'era fatto le ossa nella marina austroungarica.
sandali Missoni con zeppe colorate

La moda, le sfilate, i guadagni che gli procuravano? Non ne parlava mai, assolutamente mai, come se la cosa concernesse i talenti e le inclinazioni naturali delle donne di famiglia. Lui, che era un falso naif, preferiva passare le sue ore a leggere libri, anche astrusi, piuttosto che sperperarle in clangori mondani.
Figlio autentico della propria terra, nel fisico atletico, nei lineamenti bellissimi e marcati, nel bilinguismo in cui il veneto coloniale si univa a nostalgiche e temerarie battute in croato: amava sottolineare il cognome della madre, una Vidovich, nobildonna di Sebenico, che lo esortava a non dimenticare la lingua slava che egli infatti parlava correntemente. Usava non a caso definirsi così: «Sono un mediterraneo multiforme, nel quale si rimescolano le acque dell'Adriatico e del Danubio».
Ancora bello, sempre generoso, sempre sorridente, sempre pronto alla battuta scettica e inattesa, il colpo di grazia che doveva portare lui, novantenne intrepido, a una fine per così dire precoce fu la scomparsa misteriosa del primogenito Vittorio nei marosi del Venezuela.
L'enigmatico e tragico abisso che aveva inghiottito Vittorio doveva inghiottire, ripeto precocemente, anche il «grande Tai», come lo chiamavamo, la cui sana allegria era diventata alla fine quella che Ungaretti chiamava «l'allegria del naufrago». Si direbbe quasi che il mare non perdoni nulla proprio a chi l'ha vissuto e amato troppo. Hvala za sve, dragi Taj.




Ottavio Missoni testimonial della sua maglieria

Ecco... ho cercato la traduzione dal croato di questa frase finale di Bettiza, ma non l'ho trovata. Che cosa vorrà dire? Forse ha voluto lasciare l'ultimo commiato al suo amico,  avvolto nel mistero.
Un mio personale augurio affinché casa Missoni vada avanti. Con tanti imprenditori in difficoltà in questi tempi bui (penso ai numerosi suicidi nel Nord Italia) c'è davvero bisogno di credere che la leggenda dei  Missoni possa continuare, anche dopo la morte del loro grande indimenticabile Patriarca.


Un defilé della Missoni spa
Qui un'importante Foto Gallery sulla sua rivoluzione nello stile di maglieria

Hesperia

34 commenti:

Josh ha detto...

E' passato un bel po' di tempo dall'inaugurazione del blog.

Prima di demoiselles ce n'erano tante, ora ne è rimasta una:-)

La Famiglia Missoni è in realtà un caso raro ormai se raffrontato alla tipologia familiare in dissoluzione di oggi..e insieme un modello di produttività.

Josh ha detto...

Indubbiamente sulla scomparsa di Ottavio ha influito la morte del figlio.

L'azienda continuerà naturalmente, è uno dei marchi simbolo del nostro paese e ci sono molti talenti all'interno.

Certo che alcuni filati con le maglie dai colori zigzaganti sono sempre spettacolari.

L'economia odierna, il globalismo, mira a cancellare ogni simbolo, tipicità nostrana, con la smania di imporre l'indifendibile,
ma mi auguro non riusciranno.

Hesperia ha detto...

Ti dirò Josh, mi piaccciono in particolare i loro cardigan per uomini e trovo che lui, Ottavio, li porti benissimo. Sembra che sia nato con quelli già addosso.

Magari poi ci sono uomini che se li mettono senza avere il criterio di scegliere i colori e le taglie giuste, ma direi che a certuni stanno davvero d'incanto.

Si vede che come "demoiselle" sono più dura e resistente della Pucelle d'Orléans, perché alle altre alla fine l'impegno pesava. :-)

Hesperia ha detto...

Hai letto il pezzo di Bettiza sull'amico Tai? Beh, ho conosciuto pure lui nell'ambito del Premio Chiara. Persona onestissima, davvero sapiente ma mai saccente. Incantevole ad ascoltarsi con quella cultura di frontiera mitteleuropea.

Una cosa che non ho scritto nel post (dove le notizie sarebbero state tantissime, ma ho preferito soffermarmi su alcuni particolari tralasciandone degli altri che possono sempre essere reperiti nei link della biografia), è che Rosita ( o "la Rosita" come la chiamava lui) è figlia di un imprenditore tessile di Somma Lombardo (fraz. Golasecca, tutti posti che sono mète di mie passeggiate). E che è stata una figura importantissima nelle scelta di Ottavio di darsi all'imprenditoria tessile prima, e allo stilismo poi. Diciamo che la Rosita, ha già un "bernoccolo" per il tessile già ereditato.

Hesperia ha detto...

Senza la Rosita forse sarebbe stato un eterno transfuga un po' avventuroso e avventuriero, bello, prestante e atletico com'era.

La foto che riprende tutto il gruppo di famiglia in maglia coloratissima, è di Toscani, come puoi vedere.

Poi in quell'ambiente lì degli stilisti essere così normali, troppo normali è davvero una rarità :-)

GL ha detto...

Hesperia,
con google traditore la frase in serbo-croato risulta: "Grazie di tutto, caro Tai".

I sandali che hai messo nel fotto del scritto mi piacciono molto. Neanche la Cenerentola è degna di metterli.

Hesperia ha detto...

Grazie mille GL. Hai usato google-traduttore?

Ho provato anch'io, ma a me non è uscito fuori niente. Anche a me piacciono quei sandali anche se quei colori lì, legano un po' col vestiario.

Josh ha detto...

Hesperia

"Ti dirò Josh, mi piaccciono in particolare i loro cardigan per uomini ....
Magari poi ci sono uomini che se li mettono senza avere il criterio di scegliere i colori e le taglie giuste, ma direi che a certuni stanno davvero d'incanto."

da uomo i cardigan vanno spesso abbinati con le camicie e cravatte della casa, sciarpe comprese. Belli alcuni giacconi anche.

Da donna sempre sciarpe, camicette, maglie ma anche i vestiti di maglia interi, gli scialli.

Comunque sia prodotti di altissima qualità ed estro.

Josh ha detto...

Sì ho letto di Bettiza e mi ricordo il tuo vecchio post su di lui. Una figura particolare.

Sicuro vedere una famiglia tradizionale nel mondo della moda ...un esempio sia per lo stile sia per l'azienda in sè,
è consolatorio al posto dei soliti Hollywoodbabilonia o Sodoma & Gomorra di quell'ambito lì, per intenderci:-))

Hesperia ha detto...

Uhmm Josh, sei un vero consulente... estetico, devo dire. Hai mai pensato di fare il costumista per il cinema?

Mi hai messo in piedi un guardaroba maschile e femminile davvero allettante.

Hesperia ha detto...

"Sicuro vedere una famiglia tradizionale nel mondo della moda ...un esempio sia per lo stile sia per l'azienda in sè".

Eppoi a loro merito va anche il fatto di non aver mai assunto pose divistiche anche nelle varie interviste e rassegne stampa, così frequenti negli stilisti.

I figli sono stati tutti avviati agli studi classici (hanno fatto il classico), ma ciascuno di loro poi ha voluto rimanere a lavorare nell'azienda di famiglia. E anche questa è un'ottima cosa per la continuità della Maison.

Riflettevo anche su questo e su come, una volta la famiglia italiana fosse un rifugio per l'occupazione dei figli e delle generazioni successive.

Hesperia ha detto...

Eppoi a ben pensarci, con una risorsa importante come un'azienda di casa ben avviata, chi glielo fa fare a questi figli di andare a peregrinare "a casa d'altri", quando a casa propria puoi mettere a disposizione cultura, competenze e fresche energie?
Sono fortune che è meglio non dissipare ma concentrare...

Josh ha detto...

se vuoi c'è questa foto, molto "riassuntiva" Missoni anche da aggiungere al post se ti va

http://d2go4xbtnjpuqp.cloudfront.net/wp-content/uploads/2013/05/0missoni.jpg

io costumista? ah ah non fa per me

è che non mi piacciono gli abbinamenti sbagliati:-))

O le scarpe bianche dopo settembre-ottobre....

c'era una battuta in un film eccessivo e un po' trash di John Waters

http://it.wikipedia.org/wiki/La_signora_ammazzatutti

in cui la mamma killer seriale Kathleen Turner/ Beverly, una che segue le tradizioni, non ha sopportato di vedere un membro della giuria che, al suo processo, indossava scarpe bianche anche dopo il Labor Day e per questo la fa fuori.

:-)

Josh ha detto...

Oltre al fatto che non farò mai costumista da cinema nè altro del genere,
penso che tutto bene o male si può mettere o riciclare (se si è un po' in forma, non importa l'età)
eccetto le "sperimentazioni" di
Thierry Mugler, JP Gaultier e Vivienne Westwood. Quelli non sono per tutti, nè per tutte le occasioni.

Dipende sempre da che vita si fa.

Da questo punto di vista le cose di Missoni non mettono in ombra la persona...che deve venire sempre prima del vestito. E' uno stile riconoscibile senza essere pesante.

Hesperia ha detto...

Molto bella la foto delle sue trame, grazie Josh. Ora l'aggiungo da qualche parte. Sapevo che un grande come Balthus (di cui ho visto una meravigliosa mostra a Venezia) apprezzava molto il gusto per il colore di Missoni.


Beh, dal punto di vista dell'abbinamento, le scarpe bianche dopo l'estate sono un vero disastro :-). Il film che citi non l'ho visto, ma la tipa che era in giuria ha fatto bene a far fuori il candidato.

Un po' come mettersi una borsetta di paglia quando piove :-)

Hesperia ha detto...

Sul riciclo, ora siamo quasi obbligati al farlo. Tant'è vero che proliferano i negozi vintage.

Ma il vintage migliore è quello che ciascheduno si fa da sé.
Io ho una sarta che si chiama Modestina (nome da sartina) che mi fa gli aggiustamenti con modiche cifrette. Nomen/omen

Josh ha detto...

@Hesperia...prendo questo tuo passaggio

"I figli sono stati tutti avviati agli studi classici ....ma ciascuno di loro poi ha voluto rimanere a lavorare nell'azienda di famiglia. E anche questa è un'ottima cosa per la continuità della Maison."

Il Classico non è così poi così lontano come potrebbe parere dallo stile Missoni..intendo che una solida base classica, di greco, latino, storia antica fino ai giorni nostri, con parti tecnico-chimiche comunque e di storia dell'arte...tutto entra nel settore moda...Dal gusto per l'arte, alla citazione letteraria alla conoscenza dei miti.

CReare qualcosa senza sapere nulla di tutto questo sarebbe come non saper creare.


Josh ha detto...

@Hesperia
"Riflettevo anche ....su come, una volta la famiglia italiana fosse un rifugio per l'occupazione dei figli e delle generazioni successive.
Eppoi a ben pensarci, con una risorsa importante come un'azienda di casa ben avviata, chi glielo fa fare a questi figli di andare a peregrinare "a casa d'altri", quando a casa propria puoi mettere a disposizione cultura, competenze e fresche energie?
Sono fortune che è meglio non dissipare ma concentrare... "


beh ma così dovrebbe essere....se un'azienda va bene, i figli dovrebbero rimanere lì.

E' invece proprio della s-cultura di oggi dello sradicamento continuare a dire che i figli degli italiani devono andare all'estero in cerca di lavori precari,
perchè fa più 'international'
e che è un assurdo sia la casa di proprietà, sia l'eredità, sia l'azienda di proprietà da passarsi genitori-figli.

Ogni nostra ricchezza se c'è ( e in parte è perduta per le chiusure forzose aziendali causa IMU, non pagamenti statali, non protezionismo verso i nostri prodotti & co) è invece in questo, e non nell'annullare case di proprietà, eredità, e aziende di famiglia.

Chi predica così (Franceschini in passato, per es.) si è messo al servizio di quei potentati esproprianti che non vedono l'ora di rilevarci tutto il buono nazionale per 2 soldi di cacio.



Nessie ha detto...

"beh ma così dovrebbe essere....se un'azienda va bene, i figli dovrebbero rimanere lì".

Questo lo dici tu, e lo diciamo noi. Però non è così scontanto per altri. C'è tutta un'ideologia che predica la ribellione delle nuove generazioni nei confronti delle vecchie, la lotta dei padri contro i figli, l'individualismo del poter dire menando vanto: "Ce l'ho fatta da me, lontano da casa e dall'azienda paterna"...
Credimi, avere dei bravi figli come li hanno avuti Ottavio e Rosita Missoni non è mica così frequente né facile...

Senza contare che il capitalismo a base famigliare come quello italiano (che è la nostra ricchezza a causa della sua continuità) viene schernito all'estero e viene fatto oggetto di luoghi comuni liberisti e neoliberisti con etichette sociologiche come "il familismo amorale" ecc. ecc.

Josh ha detto...

tutto vero Nessie..ma guardiamo un po' quelli che hanno applicato la ricetta neoliberista estera, invece.

Chi ha mollato un marchio, un tempo da capitalismo familiare, ad altri enti s'è ritrovata con un prodotto più scarso, un nome che non corrisponde al prodotto e spesso a fallimenti.

ALcuni casi; Fiorucci non è più italiana ma comprata da spagnoli, ora la si fa non si sa dove.

Burberry's divenuta Burberry alla fine dei '90 se già da tempo era in crisi (produzione in Spagna) non è più il marchio inglese tradizionale...ora si è ripigliata grazie a Christopher Bailey ed è tortnata in auge ma fa cose anche in Portogallo, all'est, in Turchia e in Italia, comunque per quanto fashion non è più così inglese.

O Magli che lasciato il caln familiare per amla amministrazione e disinteresse, ora è un nome appicciato a cose che non sono più quelle di prima fatte all'est e ovunque.

Idem nell'auto per le leggendarie Jaguar (India) e Rover MG(India)> queste ultime una mia passione...

ma sono scomparse del tutto alcune linee Rover e anche MG...non esistono più da più di 10 anni

quella neoliberista e dello sradicamento è evidentemente una politica che non paga.

Hesperia ha detto...

Quella neoliberista e dello sradicamento è evidentemente una politica che non paga sul piano della qualità, ma come ben sai costoro ragionano in modo diverso dal tuo e dal mio. Preferiscono l'uovo oggi, alla gallina domani. Meglio ancora, una bella partita di uova d'allevamento fino alla morte della gallina stessa :-(

Hesperia ha detto...

Dimenticavo di aggiungere che Ottavio è sempre stato molto generoso con la causa dei Giuliani e Dalmati, comunità diasporica che ha sempre subito molte ingiustizie nel dopoguerra. Di loro non si è mai dimenticato.
Curiosa gente questi dalmati. Si sentono anche più Italiani di noi, avendo sperimentato l'esilio ("Esilio" è anche il titolo di un bellissimo libro di Bettiza), ma nel contempo è come se vivessero in perpetua sospensione. Per certi aspetti, hanno delle marce in più.

GL ha detto...

Mi dispiace che spesso i miei commenti sono da guastafeste, ma veramente ho difficoltà di non intervenire quando vedo autocontraddizioni più che evidenti. Nessun discussione e approvo pienamente la superiorità del business a base famigliare (anzi è la chiave del successo, provato ancora un altra volta dalla Turchia di oggi), però non centra niente con la questione di business che per forza deve essere nazionale. Anzi il caso esposto nel post lo dice a lunga per il contrario, un croato che abbandona il suo paese.

Vedete bene la storia dell'Avvocato, perché potrebbe essere la storia in miniatura della Italia moderna.

Hesperia ha detto...

GL qui non è questione di "guastafeste", ma onestamente bisogna che ti informi meglio sulle vicissitudine del II dopoguerra e sulle politiche del generale Tito nei confronti dei Giuliani e Dalmati e degli istriani. Poi perché chiami "croato" Ottavio Missoni? Sapeva il croato perché ha vissuto nella Dalmazia (crocevia di più etnie) ma il cognome e la cultura è italianissima. Bisognerebbe informarsi meglio prima di pontificare a vanvera.

Hesperia ha detto...

Il business nazionale? E dove l'avrebbe scritto Josh? E' impossibile non fare affari con l'estero per un imprenditore, non foss'altro perchè il commercio è basato su import-export. Ma c'è modo e modo di farlo. Josh, parlava di "delocalizzazione" degli impianti che è un'altra cosa. Cerchiamo di capirci eh? Eppure qui si scrive in ottimo italiano. Se poi sei qui solo per fare pulci inutili, allora te ne puoi anche andare, perché se c'è una cosa che non sopporto è la mancanza di onestà intellettuale. E non.

GL ha detto...

Hesperia, senza discussioni inutili per onesta e disonesta dei interlocutori è meglio di discutere con un prospettiva più ampia per capirci. Il fenomeno del delocalizzazione è un fenomeno generale di invecchiamento del capitalismo nei paesi invecchiati che lo hanno trasformato in capitalismo finanziario. Questo è il problema dell'occidente in generale, e per questa ragione emergono nuove superpotenze fino a ieri "localizzate" in periferia.
Appunto perché sono informato bene dal Bettiza sulla questione di Balcani, anche prima del maresciallo Tito e anche prima dell'imperatore Tito, non parlo con sicurezza sull'etnie balcanice italianissime e slavissime. Per non parlare per il percentuale di nomi italiani in Italia che in origine sono ebrei, presi dalla Bibbia.

GL ha detto...

"... nei paesi invecchiati che lo hanno trasformato ..."
deve essere:
"nei paesi invecchiati spiritualmente che lo hanno trasformato"

Hesperia ha detto...

La trasformazione del capitalismo industriale in finanziario esisteva anche quando il capitalismo non era così vecchio (vedi nel '29). Non si tratta di vecchiezza o gioventù, ma di volontà usuraia e speculativa. E questa purtroppo esiste da quando esiste il mondo. Leggiti Ezra Pound.

Hesperia ha detto...

Qui qualcosa (sebbene non esaustiva) di lui:

http://esperidi.blogspot.it/search?q=ezra+pound

GL ha detto...

Ezra Pound? Non so che lui era un anti-mondo cosi radicale, mi sembra che ha lodato il Rinascimento come epoca edenica.

Hesperia ha detto...

Ascolta il suo canto XVI sull'Usura. Certo che ha lodato il Rinascimento, ma proprio per questo ha capito che il capitalismo finanziario e bancario erode tutto il Bello della storia di un Paese:

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Aba1dVLVSFg

La traduzione del canto la trovi nel post che ti ho segnalato.

GL ha detto...

Hesperia, mi sembra che hai detto in un commento sopra:

"Non si tratta di vecchiezza o gioventù, ma di volontà usuraia e speculativa. E questa purtroppo esiste da quando esiste il mondo".

Se è cosi (ti ricordo che io ancora non mi sono espresso per la questione)allora come si fa a ammirare il Rinascimento e il Pound, o meglio la sua teoria economica che spero lo hai letto insieme con le sue poesie.

Hesperia ha detto...

E' l'ultima idiozia che ti permetto di dire. Se non vuoi capire un tubo è un problema tuo, non mio. Fino a due minuti prima manco lo conoscevi il povero Pound e ora, dopo esserti fatto un veloce bignamino on line, ti metti in cattedra a dargli quasi dell'usuraio proprio lui che ha sempre combattuto l'usura. Ne hai ancora delle stupidaggini da insinuare?

Stai portando come al tuo solito il discorso OT come fanno tutti i troll perdigiorno.

Nessie ha detto...

UN’AGONIA durata due anni, poi, a fine aprile, l’avvio di una procedura di mobilità che, nel più assoluto silenzio, in pochi giorni ha mandato a casa ben 54 lavoratori su un totale di 63. All’Itc srl, il braccio bolognese del marchio Gianfranco Ferré con sede in via Stendhal, ora si lavora in nove.
«Ci dividiamo le mansioni da soli», dicono alcuni dei pochi dipendenti rimasti a dirigere la logistica. La produzione, quella della prima linea del colosso d’abbigliamento milanese, fiore all’occhiello dello stabilimento bolognese, era già stata smantellata un anno fa, quando si cominciarono a chiudere i reparti, appaltando le attività di sartoria e di modelleria a service esterni.


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