venerdì 18 ottobre 2013

Verdi


Numerose iniziative sono state e sono in corso per il bicentenario verdiano, e non sarà con un semplice e breve post che si potrà esaurire un argomento così vasto.
(sopra, Riccardo Muti su Verdi)

Alcuni punti possono essere comunque ricordati. Giuseppe Verdi (1813-1901) è senz'altro figura di punta dell'Ottocento italiano e non solo per la lunga durata della sua vita.
Ebbe profondi legami con la società del suo tempo. 
Se molti artisti, proprio in quell'epoca, manifestavano non appartenenza, disagio quando non disprezzo nel confronto del pubblico e del mondo borghese, Verdi mostrò sempre simpatia, nel senso letterale del "patire e sentire insieme", quindi condivisione per idee e valori della società che lo circondava.

 

Uno dei simboli di questa convergenza risiede in quella sorta di identificazione di massa nei contenuti drammatici delle sue opere (a partire dal Nabucco che gli diede successo nel 1842) che richiamava, per esempio, le tensioni risorgimentali. 
Nel Nabucco si parte dalla narrazione biblica per giungere a un dramma corale, con una trasposizione simbolica tra la prigionia degli ebrei ai tempi di Babilonia e la servitù dell'epoca (e mica solo di quell'epoca) degli italiani.

Fa specie ricordare proprio oggi, anche tramite l'opera citata, la servitù dell'Italia allo straniero d'allora, quando in evo contemporaneo, tramite il fallimentare progetto dell'Europa dei Mercati, nata dopo la Seconda Guerra Mondiale e vari Trattati (Maastricht, Lisbona, senza consultare i popoli), abbiamo consegnato confini, moneta (oggi euro-marco tedesco) e qualunque tipo di sovranità nuovamente agli stranieri.  
Per quale indipendenza s'è combattutto allora?

Lo stesso sentimento di contrasto, come nel ripensare Verdi oggi,
rinasce dinanzi alle da poco concluse celebrazioni per il 150° dell'Unità. 
Gli stessi 150 anni d'Italia unita, mai così esteriormente pompati e ideologizzati tra fanfare, quanto più se ne andava la nostra autonomia, anche in politica interna o nella libertà d'opinione, dovevano essere anche festeggiamenti per l'Indipendenza. 
Ma quale Indipendenza, di grazia? 
Siamo servi ora più di prima. Servi ricattati, per di più, ed espropriati.

Sarebbe comunque riduttivo rimpicciolire la complessità del teatro verdiano al patriottismo o alle pulsioni della società del tempo, per quanto elementi presenti. 
Verdi per un verso non partecipò direttamente alla politica del tempo, e diversamente i personaggi e le tensioni rappresentate raffigurano un universo umano molto più complesso e sfaccettato del mero patriottismo. 
Molti ideali dell'800, già tramontati in altre nazioni più disincantate e disilluse, hanno ancora uno spazio in Italia, più arretrata industrialmente, non unita; la capacità di Verdi risiede anche nel farsi interprete delle passioni e dei valori di un mondo ancora ingenuo, per certi versi, dando vita a personaggi molto sentiti, vibranti, calati in un congegno drammaturgico tragico. Questo spiega in parte il suo successo ad un certo punto, e il divenire del nostro Artista una sorta di coscienza simbolica dell'epoca.

 

Se prima di Nabucco, c'era stato Oberto Conte di San Bonifacio, poi seguono Ernani (da Victor Hugo), La Battaglia di Legnano, Attila, I Lombardi alla Prima Crociata, i temi storici sono alternati a temi amorosi e vicende familiari come I due Foscari, i Masnadieri, Luisa Miller. Le tematiche presenti ruotano intorno a potere, famiglia e amore, ingredienti del melodramma precedente, ma rinnovati da Verdi con stratagemmi originali.
I temi più incandescenti erano monitorati dalla censura, per cui il modo di rappresentare sovrani, nobiltà, borghesia, conflitti, era mediato dalla necessità. La tendenza innata di Verdi era la rappresentazione di spietati esercizi dell'autorità, ambizioni sconsiderate, ingiustizie, incarnazioni della malvagità, cui facevano da contraltare gesti di ribellione, banditi, corsari, attinti dal romanzo popolare ma anche da Byron e Hugo. Accanto a questa caratteristica tematica, più spesso fusa con essa, ci sono i conflitti familiari. 

Una delle caratteristiche verdiane in questo ambito, che lo rende originale e ottocentesco (nel '900 sarebbe impensabile, dal momento che si è distrutta ogni Paternità e Maternità) è la sottolineatura della figura del padre, e dell'amore passionale tra giovani, letto come forza rivoluzionaria che può abbattere qualunque ostacolo. La figura paterna nel teatro verdiano assume il ruolo di presiedere all'unità e moralità del nucleo familiare. Così assistiamo a padri che difendono l'onore delle figlie, o si battono contro le ribellioni dei figli, per educarli, mostragli la via e la verità, indicar loro un valore.

Verdi esigeva un certo controllo sui libretti (si veda il rapporto con Francesco Maria Piave) perchè cercava la "parola scenica" che scolpisse caratteri, declinata in una metrica a cui lui stesso avrebbe dato vita con la musica.








Oltre le citate tematiche narrative, le sue forme musicali accolgono il melodramma precedente, non lo spazzano via, ma lo rinnovano dall'interno. 
L'unità musicale non è più data, come nel teatro '700esco, da una schematica successione di recitativi e arie, eppure nulla è lasciato al caso. Lo schema formale verdiano è precostituito, anche se variato rispetto all'impianto precedente: il sintagma chiuso comprendeva un'intera azione, quindi la narrazione di un episodio, fatti esposti da recitativi iniziali, temi orchestrali, un'aria, una parte libera e un secondo pezzo del protagonista.
Dopo Ernani, Verdi adopera correlazioni tra voce e ruolo: soprano e tenore di solito erano la coppia eroica dei protagonisti amorosi, mentre basso e baritono erano funzioni antagoniste, per esempio del potere politico o familiare. Verdi in persona, come mostrano numerosi documenti e lo stesso epistolario, aveva idee molto chiare e prendeva parte in dettaglio all'allestimento, la messa in scena, la regia, la scenografia.
Il Macbeth (1847), sorta di eccezione nella drammaturgia del primo Verdi, è una tragedia di cupa ambizione incentrata sul tema del potere, senza eroismo e senza tema amoroso, per la prima volta Shakespeare, e con un testo ricco di apparizioni fantastiche.
Agli inizi degli anni 50 arriva già a Rigoletto (1851), tratto da Victor Hugo, vicenda di un deforme buffone di corte a cui il principe insidia la bella figlia: per vendicare l'affronto Rigoletto provoca accidentalmente la morte della figlia. 
L'opera era insolita all'epoca, sia per la tipologia del protagonista, sia per lo scenario notturno inedito, ma anche per la presenza nella struttura di episodi paralleli e a contrasto. I recitativi iniziano ad avere fluidità di linee melodiche tali da accostarsi alle arie. I temi sono ormai del mondo moderno: la Traviata (da Dumas) rappresenta in fondo un amore "moderno".
In quegli anni Verdi, dopo un matrimonio concluso con la morte della moglie e dei 2 figli quando era ancora uno sconosciuto maestro di provincia, conviveva con Giuseppina Strapponi che sposerà anni dopo. 
L'anticonformista Verdi non nascondeva il suo anticlericalismo, o al pieno della fama, stanco del successo e dei doveri pubblici, si rifugiava nella villa a S.Agata di Busseto, specie dal 1857 in poi.
Nel periodo parigino presentò Les Vespres Siciliennes (1865), una grand-opéra riletta secondo le proprie esigenze drammaturgiche. Anche in Simon Boccanegra (1857) fino ad Aida (1871) sono presenti aspetti della grand-opéra, ma rivisitati dalla sensibilità verdiana, per cui con trame narrative più articolate, aumento del numero dei personaggi, insiemi collettivi, episodi coreografici, scenografie sontuose, cura dei particolari nell'orchestrazione.
Dopo Un Ballo in Maschera (a Roma nel 1859) inizia a criticare l'ambiente italiano, troppo manageriale, e a suo dire poco professionale negli allestimenti, ma colpevole anche di schematismo culturale nei gusti del pubblico. 
Di qui, le opere successive non ebbero la prima in teatri italiani: La Forza del Destino (1862) a S.Pietroburgo, Don Carlos (1867) a Parigi, e Aida (1871) al Cairo. 
In queste opere si nota un'ulteriore evoluzione: i protagonisti sono più sfaccettati e sfumati, il bene e il male non si incarnano più in personaggi opposti. 
Nel Don Carlos (da Schiller) sono messe in scena le contraddizioni di Filippo II tra l'Inquisizione ecclesiastica e l'ansia di libertà delle Fiandre, tra l'affetto della regina per il figlio e la consapevolezza della ribellione.
Cambiano i metodi, le sfumature anche se la sostanza rimane l'ideale, la tensione morale e civile di Verdi, 
l'utopia irrealizzata di una società capace di assicurare giustizia in terra e dignità a tutti.

Dopo i primi decenni di attività verdiana lo sfondo su cui proietta la sua arte è ormai cambiato.
La borghesia italiana ha ormai smarrito i caratteri emergenti, eroici. Una volta giunta al governo, alla prima produzione industriale, l'indipendenza nazionale e unità politica raggiunte mostrano sì un cambio di struttura e di potere, ma i risultati non sono poi così differenti: 
rimangono indietro i valori sognati e il mondo nuovamente problematico non è l'Eden in terra che il Risorgimento e la propaganda avevano idealizzato. 
Anche in Italia, come già nei secoli precedenti altrove, si apre una distanza tra i sogni degli artisti e le scelte degli uomini di potere della nazione.  
Nasce la Scapigliatura, anche se su influsso francese, nasce il Verismo, nel tardo Ottocento si afferma anche Wagner. Arrigo Boito lamentando l'arretratezza culturale italiana a tratti provinciale nel 1863 si riferisce anche a Verdi. 
In fondo Verdi conosceva l'ambiente internazionale e aveva mostrato capacità di rinnovamento, ma è anche vero che il mondo andava evolvendosi molto velocemente e le nuove tematiche della fine Ottocento del rifiuto della società borghese, della solitudine esistenziale, del dialogo tra io e inconscio, dell'arte per l'arte e le destrutturazioni formali erano del tutto estranei dal mondo morale verdiano. 
La conferma degli ideali verdiani legati al primo Romanticismo fu ancora nel 1874 la Messa da Requiem ispirata dalla morte di Manzoni. 
Al Verdi degli ultimi anni il mondo pareva pervaso da una follia.
Tornò a Shakespeare, e compose nel 1887 l'Otello e nel 1893 il Falstaff, l'unica commedia della carriera, che videro come librettista proprio Arrigo Boito che l'aveva criticato.

(considerevole aiuto per tessere i fili della vicenda, da Storia della Musica, a cura di M. Baroni, E. Fubini, P. Petazzi, P. Santi, G.Vinay, Einaudi 1988)


Josh

16 commenti:

Hesperia ha detto...

Bel post che sa cogliere le coordinate del melodramma verdiano.
Come figlia di melomani, i mei genitori mi conducevano all'Opera fin da bambina e vidi il "Rigoletto" (che rimane una delle mie preferite per via dei difficili quartetti), e la Traviata.
POi beh, c'erano i dischi (che mi toccava ascoltare fino allo sfinimento) di molte romanze verdiane. E naturalmente l'eterna lotta tra la Tebaldi (nella Traviata, per me la migliore) e la Callas (ne La Norma di Bellini, per me la migliore).

Hesperia ha detto...

Importante la figura paterna, come hai sottolineato, nella Traviata fra il baritono (Germont) e suo figlio Alfredo nell'aria "Dov'è mio figlio?".

POi ci sono cori e sinfonie verdiane altrettanto belle dei melodrammi.
La vergine degli Angeli (che a scuola ci facevano imparare con ripetute prove e riprove, nell'ora di canto con un maestro che era nientemeno che lo zio materno di Gassman).

E "I lombardi alla prima crociata" (nell'aria "Oh Signore dal tetto natio"). Un'aria che preferisco all'ormai sfruttatissimo "Va pensiero".

Hesperia ha detto...

Bello il Dies Irae da La messa di Requiem!
La Traviata (lo aggiungo io, anche se so che lo sai) è tratta da "La signora delle camelie" di Dumas figlio e fu un clamoros fiasco alla prima.

Hesperia ha detto...

Al mio "clamoroso" mancava una O finale. Forse il fiasco sonoro fu a causa della storia e della tematica ritenuta scabrosa per l'epoca. Ma anche per gli interpreti che non furono all'altezza.

Sympatros ha detto...

Travolgente, drammaticamente impetuoso, questo incipit del Requiem di Verdi puo' stare alla pari con Mozart, spettacolare ma nello stesso contenuto... l'aspetto melodrammatico, teatrale e l'estroversione sentimentale tipicamente italiana prende il sopravvento rispetto all'introspezione del Requiem di Mozart, che io considero tragicamente rasserenante,il corrispondente della divina commedia della musica, a cui ha messo mano cielo e terra, in un equilibrio quanto mai lieve e instabile che porta al superbo e tremebondo Lacrimosa.

http://www.youtube.com/watch?v=k1-TrAvp_xs

Josh ha detto...

Hesperia, Rigoletto è uno dei tanti capolavori di Verdi che ricordo sempre con piacere.

Tra Tebaldi e Callas io preferisco la Tebaldi.
Però molte pagine verdiane della Callas sono benriuscite.

Anche se rimane vero anche per me che la Callas ne La Norma di Bellini ha dato il meglio di sè.
Oggi direbbero interpretazione iconica...Nessun'altra può rendere quelle arie, tanto ha segnato la memoria la Casta Diva della Callas.

Josh ha detto...

il Dies Irae è uno dei passaggi che amo di più di Verdi.
Così tragico, assoluto, grandioso, apocalittico e..gotico in fondo.

Bella però La vergine degli Angeli che cantavate a scuola, ottima scelta.

Josh ha detto...

Già Sympatros, in quella pagina di Verdi non c'è tanto intimismo o introspezione, ma dolorosa immaginazione della fine con tutta la passionalità.

Davvero superbo il Lacrimosa mozartiano.

Aldo ha detto...

Nessie, permettimi di esprimere qui un plauso per la bella monografia sulle "stanze" di qualche post fa. Purtroppo lo spazio commenti di quella pagina è bloccato, quindi devo seguire questa "via traversa".

Su Verdi invece non sono altrettanto entusiasta, anche perché se la valutazione del musicista (valido, anche se non eccelso come vorrebbe il mito) permette toni positivi, quella dell'uomo temo che li permetterebbe assai meno.

Josh ha detto...

Aldo sia questo post sia quello sulle stanze sono miei:-)

Indubbiamente quello sulle stanze mi ha ispirato di più, questo è solo un ritrattino.

Josh ha detto...

p.s. comunque Nessie/Hesperia ha scritto molti valevoli post su questo blog

Sui commenti chiusi alle Stanze...avviene a volte che se il delirio è troppo prolungato (abbiamo un visitatore tormentoso) alla fine talvolta mi stufo e chiudo :-)

GL ha detto...

Josh come stai? Bene?

Josh ha detto...

Assolutamente, GL.

Hesperia ha detto...

Sì Aldo, "Stanze" è di Josh, mentre "I luoghi del genio" (altro argomento affine) è mio:

http://esperidi.blogspot.it/2012/05/i-luoghi-del-genio.html

Ogni tanto rifatti vivo. Abbiamo bisogno di disintossicarci in questo sito. Anche perché cose belle non ce ne sono tante, specie di questi tempi.

Aldo ha detto...

Josh, mi colpisci! Chiedo scusa per l'errata attribuzione: pensavo che questo blog fosse esclusivamente opera di Hesperia/Nessie. Nella più convinta buona fede. Giro a te i miei complimenti, che non cambiano d'una virgola.

Josh ha detto...

Ok, troppo buono....:)
se ti va, il blog è aperto da tanti anni, anche nei post passati ci sono molti argomenti, molto vari, magari trovi cose d'interesse...
comunque sei sempre il benvenuto!