martedì 28 maggio 2013

Lana del Rey

                                              


Insolitamente il Giardino, di norma avvitato su questioni più di nicchia, non si sottrae a commentare uno dei fenomeni dell'ultimo anno di nuovo e controverso pop e di costume.



Di Lana del Rey si parla molto sul web, anche a sproposito, perchè da internet ebbe la sua prima notorietà quando come Lizzy Grant (Elizabeth Woolridge Grant è il suo vero nome, nata a New York nel 1986, di origini scozzesi, ha studiato Filosofia e Metafisica dai Gesuiti alla Fordham) provava a farsi conoscere,
affiancando poco più che in età scolare esibizioni live ai primi demo, un album online poi ritirato ...
Circolano anche una profluvie di brani scritti da lei, alcuni di qualità buona,  ancora non incisi ma eseguiti dal vivo negli anni passati, prima della fama, sotto il nome di May Jailer, Sparkle Rope Jump Queen, e Lizzy Grant, altri invece finiti poi nelle incisioni ufficiali.

Cantautrice e oggi anche modella (spot HM, Jaguar), ispirata dal cinema, dalla stessa ariosità delle colonne sonore cinematografiche, dal pop anni '50 e '60, dal ritratto di un'America nostalgica, kitsch e a volte malata, che mescola b movies, tragico, sensualità e ...moda,
ha ricevuto notorietà con l'album "Born to die".


Sono in disaccordo con chi trova anche in Lana del Rey e nel suo bon ton glamour qualcosa degli... "Illuminati", contenuti e simbologie para-sataniche e disturbanti, del resto palesi in Lady Gaga e in certo pop plasticoso trash USA. Idee venute in giro per il (bel) brano in questione.

Il video di "Born to Die" sopra, visionario senza dubbio, è ambientato nel Palazzo di Fontainebleau. Il luogo contribuisce a sottolineare in qualche modo il lusso, la preziosità, e la corona in testa a Lana è grigio-mortuario, del resto è in una chiesa vuota metafora dell'ultima destinazione, dell'aldilà: tutto il girato in realtà è una metafora, il pezzo "Born to die" è da situarsi quando l'anima è già dall'altra parte, e a un certo punto la ragazza si incammina per corridoi finchè le si aprono le porte del cielo mentre alcuni frammenti ci mostrano l'ultima notte della sua vita, il fidanzato, l'ultima corsa in auto con un tremendo incidente.


C'è il tema dell'amore e della perdita, nel testo (come in molte sue composizioni): la protagonista muore in un incidente stradale e il video la mostra camminare in una sorta di limbo, con i cancelli/porte del cielo, tuttavia l'anima è ancora alla ricerca di amore, di calore, di frammenti di vita cui si aggrappa disperatamente....(a me ha ricordato in qualcosa, nel montaggio, l'incidente...un film, "L'Amante"/Les Choses de la Vie di Claude Sautet del 1970, con Romy Schneider, quanto il finale tra le fiamme e i rottami "Rebecca la prima moglie" di Hitchcock). In realtà il pezzo è dedicato al fidanzato di Lana, scomparso prematuramente un paio d'anni fa.

parte del testo

Feet don't fail me now
Take me to the finish line
Oh my heart, it breaks every step that I take
But I'm hoping at the gates,
They'll tell me that you're mine

Walking through the city streets
Is it by mistake or design?
I feel so alone on the Friday nights
Can you make it feel like home, if I tell you you're mine
It's like I told you honey

Don't make me sad, don't make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets tough
I don't know why
Keep making me laugh,
Let's go get high
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime

Come and take a walk on the wild side
Let me kiss you hard in the pouring rain
You like your girls insane
Choose your last words
This is the last time
Cause you and I, we were born to die...

Ancora dall'album è estratta la cadenzata "Blue Jeans":


Poi ancora  "Video Games""Radio",  la malinconica "Carmen", la dolceamara "Million Dollar Man" che è un'altra storia di degradazione e perdita di sè:

"It isn't that hard boy, to like you or even love you
I will follow you down down down,....
You're screwed up, you're brilliant,
You look like a million dollar man,
So why is my heart broke?"

L'abisso sembra essere sempre a un passo...
Le brevi storie di vite bruciate nei suoi pezzi sono rese con pennellate, gesti, brevi frammenti che raccontano un'esistenza spesso a rischio.
Lei stessa -dice- affrontò l'alcolismo da adolescente e un bagaglio di esperienze e considerazioni elaborò anche dopo, quando vivendo in una roulotte si occupò di servizi sociali, affiancando senza tetto, tossicodipendenti e alcolisti in riabilitazione.
Qui Lucky Ones


Lo scorso autunno esce la "Paradise Edition" dell'album campione di vendite, con 8 pezzi in più, a mio avviso ben riusciti e che comprendono anche una cover della mitica "Blue Velvet" (che era già stata adoperata anche da David Lynch nell'omonimo film, in origine classico pezzo da Tony Bennett).

Qui la sua Blue Velvet

Lynchiano è talvolta anche il mondo di Lana del Rey,
uno strano connubio di innocenza e perversione, glam e introspezione. A volte invece sembra quasi essere la figlia, o la nipote.... del mondo dipinto da film critici e nostalgici insieme, come "Il Grande Freddo" di Lawrence Kasdan, "Il Declino dell'Impero Americano" di Denys Arcand, o "L'Ultimo Spettacolo" di Peter Bogdanovich, "Cinque Pezzi Facili" di Bob Rafelson, senza tralasciare "Lolita", ovviamente.

Ancora sono presenti influenze leggibili da Nancy Sinatra, alle chitarre tremolanti di certo culto dell'America underground degli anni che furono, condito dai testi (insieme alle musiche, in linea di massima scritti dalla stessa Del Rey) che mostrano un'identità autoriale piuttosto tormentata.

Ride


"Ride" rappresenta un'America libera a cavallo tra anni '60 e '70, ancora in parte ingenua, un altrove, un locus amoenus del loro immaginario. E' anche la grande frontiera americana, una vita "free" che si risolve inevitabilmente in non-costruzione, il sogno di un tempo che ora non sembra bastare nè esistere più.
Musica ariosa, da viaggio, da road movie. Un po' "Easy Rider", ma anche la rilettura recente di quel mondo per esempio mitizzato dalla recente serie tv "Sons of Anarchy". C'è sempre un'impostazione vocale personale e il consueto recitare sottolineando le parole, fino all'esplosione finale del pezzo.

I hear the birds on the summer breeze, I drive fast
I am alone in the night
Been trying hard not to get in trouble, but I
I've got a war in my mind
I just ride.....

 
Per l'irresolutezza interiore, si corre, e ci si illude di sfuggire a se stessi...così il viaggio di transfughi nei luoghi di un'America mitizzata e in fondo non più esistente diventa metafora dell'anima in cerca di un nuovo mondo che forse è un altrove,
non è più un luogo, non può più esserlo, rimane, forse, una conquista interiore.
L'ideale e la sua morte, insieme.

Ancora American, o la provocatoria e trascinante Cola (..."my pussy tastes like Pepsi Cola, my eyes are wide like cherry pies/ I got a taste for men who're older, It's always been so it's no surprise/ Ah he's in the sky with diamonds And it's making me crazy/ All he wants to do is party with his pretty baby ....Come on baby, let's ride ...We can escape to the great sunshine...")

 
La prima cosa che salta agli occhi, ma non è questo il motivo per cui le dedichiamo un post....è una ...sventola! senza dubbio, la cui priorità artistica sono (diversamente da ciò che si potrebbe pensare) i ...testi!


   
 
"The world needs poetry now more than ever.
It's the only thing that can keep music from copying itself and sounding the same"
 
Vero...e in questo passaggio fanno capolino gli studi letterari-filosofici della Del Rey, e la sua intenzione di lavorare con le parole come compositrice e sceneggiatrice. Anche la sua musica è in fondo un mettere in scena, allestire e interpretare storie.

Insolito lo stato d'animo che generano le sue composizioni...felicità, ansia di liberazione e un'angoscia sottile, uno stato d'animo che pare sempre dire Le passé m'effraie, l'avenir me fait peur...

La fragilità interiore, un senso di rischio e di perdita che spazia fino all'aldilà davanti a un presente esploso è forse il modo per capire il mondo della Del Rey, ma anche il perchè del suo cantato imbronciato, caratterizzato da un vellutato registro medio-basso.


Gli arrangiamenti sono a volte jazzati, retrò, la malinconia serpeggia nei ritmi rallentati e languidi sotto uno sfondo dorato e patinato, che non riesce a nascondere il culto di ciò che è perduto, un'infinita nostalgia...spesso questi sono i leitmotiv delle narrazioni anche metricamente ricercate (piene di enjambement, per esempio) di Lana del Rey.

Se le vocalists e autrici mitiche del mondo gotico tra pop e rock underground sono e sono state Siouxsie, Monica Richards, Eva O, Gitane Demone , X Mal Deutschland (e molte altre),
a cui di recente si sono aggiunte le giovani Chelsea Wolfe, gli Esben + the Witch, le  AustraFever Ray,
una verità sul presente l'ha colta Zola Jesus:  "...Everyone is goth now. It blows my mind...."

Lana del Rey non fa parte stilisticamente del mondo 'gotico', nè di produzioni indipendenti o sperimentali dalle sonorità estreme come lei stessa ammette,
ma ha un immaginario in cui amore e morte sono presenti a piene mani, a volte esibiti in maniera bruciante, a volte a contrasto sotto la patina lussuosa hollywoodiana.
L'idea sulla contemporanea sostenuta da Zola Jesus è che parte dell'eredità gotica in origine proveniente dalla musica alternativa del postpunk-darkwave dai fine '70 finora, sia stata introiettata come consapevolezza comune anche da chi non ne faceva parte.
In questa accezione in qualche modo è vero, "Everyone is goth now".
C'è un senso di oscurità, angoscia ed esistenzialismo che pervade le arti degli ultimi decenni. Non potrebbe essere altrimenti dato le trasformazioni in nero del mondo contemporaneo. A parte le ...mode.

E' sempre più difficile creare arte o anche uno spettacolo di pura evasione in un mondo frantumato e percepito senza avvenire (o dall'avvenire sinistro come quello del NWO) come quello di oggi.
Cosa poteva nascere in periodi come questi, in cui l'umanità si percepisce senza futuro?
Il genere di Lana del Rey, tutt'uno tra forma e contenuto, è stato denominato Hollywood Sadcore ...aura estetizzante e preziosa, pop patinato e cantautorato confessionale, unito ai miti di cartapesta di Hollywood, per testi poetici dallo spessore esistenziale alquanto disillusi e a contrasto. 
Si è cioè oltrepassato il fondale del teatro, rotta la scena, cadute le maschere dei miti di cartapesta e celluloide. Ma sopravvive ancora una fiamma, una passione a guidare un'anima.


Per chi si ostina ad affermare che tutta l'operazione trasformazione della ragazzina Lizzy Grant nella diva Lana del Rey sia studiata solo a tavolino, i probabili ritocchi dal chirurgo, e che sia una cantante di plastica ...rispondono però i brani stessi, che componeva anche prima dell'arrivo dello showbiz, con contenuti, melodie, metrica di qualche valore: non pochi pezzi dell'allora Lizzy erano già ben realizzati ed eseguiti live, come il dettato frastagliato della complicata "Yayo"  nel 2008; invece qui sotto, riedita nella Paradise Edition (uno dei suoi brani migliori in assoluto) in cui ha solo una produzione e pulizia del suono più azzeccata:


Sotto "Born to die" live acoustic (una delle versioni più conturbanti)


Qui "Blue Jeans" live a Radio Monte Carlo

Qui live ITunes Festival

Sul web, su di lei, si assiste a commenti di folle adoranti, come a stroncature ricolme di un odio viscerale e gratuito abbastanza incomprensibile, in fondo è pop di qualche qualità, un genere in parte nuovo che unisce contemporaneità e argute citazioni memoriali, con riguardo particolare alla composizione e alle parole, rispetto alle pessime uscite di pop ancora più riciclato che sono in giro.

Di nuovo in uscita, non contenuti nei lavori suddetti del 2011 e 2012,
"Young and Beautiful" per la colonna sonora del "Grande Gatsby" secondo Baz Luhrmann,
e "Chelsea Hotel n.2" cover illustre da Leonard Cohen.


Più delle signorine da superclassifica dance, diversamente dal revival soul tragico di Amy Winehouse, diversa ancora dalla drammaturgia travolgente di Adele, se il web ci ha consegnato le false rivoluzioni, sinistri indirizzi mentali e taroccherie varie,
almeno ci ha fatto anche conoscere la sensibilità dell'animo e perchè no, l'avvenenza e fragilità di Lana del Rey.

Speriamo che il suo 'Born to Die' non suoni come l'epitaffio, l'ultimo flebile canto riflessivo e autoreferenziale dell'agonizzante Civiltà Occidentale, attaccata ormai su tutti fronti. Se letta in questa chiave, è ancora più inquietante.

Feet don't fail me now
Take me to the finish line
Oh my heart, it breaks every step that I take
But I'm hoping at the gates,
They'll tell me that you're mine...

il suo sito

Josh

martedì 21 maggio 2013

Un Ricordo di Rossella Falk


Rossella Falk (Rosa Antonia Falzacappa) è stata una delle maggiori attrici teatrali (e non solo) italiane. Scomparsa in questi giorni, nel quasi silenzio televisivo....
non si poteva non ricordarla con qualche immagine e pensiero, per quanto ha regalato all'arte e al nostro paese,
mentre il web qua e là pubblica comunicati su di lei mettendo immagini della pur brava (e vivente) Barbara Steele (!!!) al posto di quelle di Rossella.

La cultura non si fa solo da e sul web, anzi tutt'altro....internet è senza passato e senza memoria, senza vissuto.....o almeno ha la memoria sbagliata, tarata male....
lo ripetiamo sempre...e si vede anche da questo megaerrore web dello scambio di foto (Barbara al posto di Rossella) che si è allargato a macchia d'olio, come l'errore congiuntivo nei manoscritti secondo il metodo di Lachmann, nonostante anime pie teatranti e cinematografare abbiano scritto a tutte le redazioni dicendo di mettere le foto giuste.....


Nata a Roma il 10 Novembre 1926, entrò all'Accademia d'Arte Drammatica negli anni '40, e già alla fine del decennio inizia a ricevere premi internazionali.
Ha dalla sua una notevole statura, uno sguardo magnetico, che la trovano spesso adatta a ruoli alteri, mentre Rossella è in realtà spigliata, ironica e allegra molto più dei ruoli che interpreta con grande passione.


Sembra una signora superba e inaccessibile, un'icona da ammirare da lontano quando invece Rossella è una donna alla mano, simpatica e affabile.
Negli anni '50 fa parte della Compagnia Morelli-Stoppa, poi al Piccolo Teatro di Milano, poi nella Compagnia dei Giovani con Giorgio de Lullo.


La parte più solida del suo lavoro a teatro va da Tennessee Williams di "Un tram che si chiama desiderio" a "Improvvisamente l'estate scorsa", agli "Spettri" di Ibsen, a Pirandello, di cui rimane una delle interpreti principali.

Riteneva più importante il teatro del cinema, perchè le piaceva cogliere la realtà dell'arte dal vivo (quindi quel senso di happening continuo è naturalmente più nel teatro e non nella ripetitività del "già inciso" del cinema), ma ci sono suoi film di valore:
la partecipazione a 8 e 1/2 di Fellini, il mitico "Quando muore una stella" di Robert Aldrich (68), "La signora delle Camelie" di Cottafavi per la Rai (71),
ma il suo viso enigmatico è adatto anche per il delirio estetico di alcuni neri italiani degli anni 70 come "La tarantola dal ventre nero" di Paolo Cavara (1971) o "Sette orchidee macchiate di rosso" di Umberto Lenzi (1972).
E ancora la miniserie "Il segno del comando" di Daniele D'Anza, e svariati altri.


A teatro è diretta dai maggiori registi italiani: Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Orazio Costa,  Giuseppe Patroni Griffi e Giorgio De Lullo a cui deve parte del suo successo avendola resa protagonista di molti dei lavori teatrali dall'epoca della Compagnia dei Giovani. Nel 1964 vince il premio San Genesio quale migliore attrice teatrale per l'opera "Sei personaggi in cerca d'autore".



Diceva:
 "Il fatto di essere così alta, un metro e 76 - ai miei tempi era davvero molto - mi ha impedito di recitare certi ruoli femminili tradizionali: Ofelia, Giulietta,....le fanciulle vulnerabili e palpitanti. 
Sono stata subito chiamata a impersonare donne di grande carattere, remote, inavvicinabili, ma io non sono così."


Suoi amici ancora sono Maria Callas, Jean Cocteau e Dirk Bogarde.

Dal 1981 al '97 la Falk è il direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma insieme a Giuseppe Battista e Umberto Orsini.



Dal 2004 al 2006 porta in tournée in tutto il mondo lo spettacolo "Vissi d'arte, vissi d'amore", un recital in cui racconta ed interpreta ricordi personali, interviste e scritti su Maria Callas.

L'ultimo passaggio al cinema è nel film "Non ho sonno", di Dario Argento (2000).
La carriera teatrale giunge fino al 2009, in cui prende parte all'ultima piéce "Est Ovest", diretta da Cristina Comencini.

Al link una divertente intervista abbastanza recente, per conoscerla più da vicino...

E l'Italia sembra vivere ormai solo di sottrazioni...

Josh


martedì 14 maggio 2013

Casa Missoni

Questo blog ha iniziato la sua attività proprio con un post sulla moda: "Aforismi per una demoiselle" dedicato all'indimenticabile Coco Chanel. Parlai anche di Valentino. Perché la moda? Perché è il lascia-passare di una nazione, il suo marchio di fabbrica, il suo stile, il suo indossare.  Non so se sarà colpa  del Terzo Millenio che spazza via inesorabilmente e fatalmente quanto di bello e buono ha lasciato il Novecento, ma mi sembra ultimamente di dovermi occupare più di morti che di vivi. Come tutti sapranno il 9 maggio scorso è morto Ottavio Missoni e le sue esequie si sono tenute ieri a Gallarate. Caso vuole che insegnassi a Sumirago (Va) proprio negli anni '80 quando la moda italiana e l'Italian Style erano all'apice del successo internazionale. Non conobbi personalmente Ottavio e Rosita Missoni, una







Ottavio ai tempi della sua vittoria olimpionica nel 1948 







coppia di ferro davvero salda, operosa e  fattiva. Incontrai in una sola occasione uno dei  figli, Luca,

ad un centro di cultura, persona mite, alla mano e sempre sorridente come i suoi genitori.Mamolte madri dei miei alunni lavoravano alla Missoni spa, azienda di famiglia sita nella località citata, ed era quella, una realtà produttiva feconda e in espansione secondo il tipico stile italiano della casa e dell'atelier-capannone lì  attiguo. Gli alunni a scuola avevano le copertine dei quaderni disegnate coi suoi colori, come pure gli astucci. Quelle trame che Missoni attinse dalla natura, osservando gli intarsi, le scanalature e zigrinature, gli arabeschi dei  tronchi d'albero nei boschi di Sumirago, i licheni, i muschi e altri elementi naturalistici che poi traduceva in cromatismi per i suoi filati. Nacquero così arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno nonché il famoso 'put together', espressione con cui Ottavio spiegò agli americani che si trattava di 'mettere insieme' fantasie, punti e colori che mai nessuno avrebbe osato accostare.
"Una vita sul filo di lana"  (RCS)  è infatti  la sua autobiografia di novantenne ex atleta olimpionico, esule dalla Dalmazia della quale si porta dietro i colori dei tramonti in ocra, giallo, rosso e viola, sul blu cobalto del mare e gli azzurri dalle più svariate sfumature,  quando intraprende negli anni '50 la professione di imprenditore tessile insieme alla moglie Rosita  in quel di Gallarate, e successivamente di stilista a Sumirago. 



Molti "coccodrilli" sono stati scritti in questi giorni in morte del patriarca novantaduenne Ottavio chiamato familiarmente e alla veneta Tai. Certo ha fatto la sua bella e lunga vita avventurosa di sportivo-atleta e di couturier-tessitore. Ha saputo coniugare con estro e intelligenza laboriosità, creatività secondo quell'imprenditorìa familiare che è la nostra grande  vera ricchezza. Una bella e numerosa famiglia di tre generazioni tra figli e nipoti, di quelle sane e robuste che oggi non esistono più, ma che tutti invidiano, quella dei Missoni. Un'armonia  invidiabile, purtroppo interrotta dalla sventura del primogenito Vittorio scomparso nella rotta di Los Roques in Venezuela, durante una vacanza. Perdere un figlio ed essere ancora robusto, sano e  longevo come una quercia è  quasi contro natura. Questo deve aver pensato il vecchio Tai nella notte tra l'8 e il 9 maggio quando si è addormentato dolcemente per non svegliarsi mai più. Tra le tante cose lette, mi ha colpito  il bell'articolo comparso sulla Stampa del suo conterraneo Enzo Bettiza, sensibile scrittore e giornalista a cui dedicai questo post, un dalmata nato nella sua stessa città: Ragusa Adriatica oggi Dubrovnik che riporto testualmente.

Non immaginavo di dover inviare, proprio di giovedì, quest'ultimo tristissimo saluto a Tai, come usavamo chiamare Ottavio Missoni. Al conviviale e, nonostante gli anni, ancora vigoroso Tai, che non rivedrò più al solito tavolo d'angolo del ristorante «Boeucc» di Milano.
Quando non era in giro per il mondo, oppure in barca a vela nella nativa Dalmazia, Tai, era solito riunire il giovedì sera nel vecchio ritrovo milanese sotto la sua divertita ala patriarcale un ristretto gruppo di amici.
Scendeva a Milano dalla villa-fattoria di Sumirago in una macchina grande e modesta insieme, che continuò a guidare di persona anche in notti burrascose fin quasi al limite delle forze vitali; mollò il volante solo alla soglia dei novanta, cedendolo a un cognato più giovane, col dispiacere ironico e un po' amaro dell'olimpionico assuefatto a tendere i muscoli e lo spirito contro l'usura del tempo.
Ma non usava compiangersi; usava anzi rimproverarsi: «Noi dalmati siamo tutti un po' matti. Ci ostiniamo a confutare la realtà della morte, cantando e bevendo come se i malanni e i guasti degli anni non ci riguardassero».

A prescindere dal cantare alto e dal bere forte, che lo accompagnarono e sostennero di successo in successo in una vita piena, ardita, una vita artistica, più da pittore che da tessitore, egli si compiaceva dello sfondo biografico e dinastico da cui proveniva. Le sue barche erano barche vere, illiriche, uscocche, non ferri da stiro miliardari, ma strumenti basati sulla vela e la manualità del timone: atti a misurarsi con la forza della natura, con i brutti scherzi del mare, degni insomma del figlio d'un capitano dalmata di lungo corso che s'era fatto le ossa nella marina austroungarica.
sandali Missoni con zeppe colorate

La moda, le sfilate, i guadagni che gli procuravano? Non ne parlava mai, assolutamente mai, come se la cosa concernesse i talenti e le inclinazioni naturali delle donne di famiglia. Lui, che era un falso naif, preferiva passare le sue ore a leggere libri, anche astrusi, piuttosto che sperperarle in clangori mondani.
Figlio autentico della propria terra, nel fisico atletico, nei lineamenti bellissimi e marcati, nel bilinguismo in cui il veneto coloniale si univa a nostalgiche e temerarie battute in croato: amava sottolineare il cognome della madre, una Vidovich, nobildonna di Sebenico, che lo esortava a non dimenticare la lingua slava che egli infatti parlava correntemente. Usava non a caso definirsi così: «Sono un mediterraneo multiforme, nel quale si rimescolano le acque dell'Adriatico e del Danubio».
Ancora bello, sempre generoso, sempre sorridente, sempre pronto alla battuta scettica e inattesa, il colpo di grazia che doveva portare lui, novantenne intrepido, a una fine per così dire precoce fu la scomparsa misteriosa del primogenito Vittorio nei marosi del Venezuela.
L'enigmatico e tragico abisso che aveva inghiottito Vittorio doveva inghiottire, ripeto precocemente, anche il «grande Tai», come lo chiamavamo, la cui sana allegria era diventata alla fine quella che Ungaretti chiamava «l'allegria del naufrago». Si direbbe quasi che il mare non perdoni nulla proprio a chi l'ha vissuto e amato troppo. Hvala za sve, dragi Taj.




Ottavio Missoni testimonial della sua maglieria

Ecco... ho cercato la traduzione dal croato di questa frase finale di Bettiza, ma non l'ho trovata. Che cosa vorrà dire? Forse ha voluto lasciare l'ultimo commiato al suo amico,  avvolto nel mistero.
Un mio personale augurio affinché casa Missoni vada avanti. Con tanti imprenditori in difficoltà in questi tempi bui (penso ai numerosi suicidi nel Nord Italia) c'è davvero bisogno di credere che la leggenda dei  Missoni possa continuare, anche dopo la morte del loro grande indimenticabile Patriarca.


Un defilé della Missoni spa
Qui un'importante Foto Gallery sulla sua rivoluzione nello stile di maglieria

Hesperia

martedì 7 maggio 2013

Il Vittoriale degli Italiani e il suo Vate




Il mese di maggio è di solito (tempo permettendo) anche mese di gite e visite guidate nei luoghi ameni della nostra Penisola. Uno degli itinerari più frequenti è il Vittoriale di D'Annunzio a Gardone Riviera, detto da lui Il Vittoriale degli Italiani, dopo averrne espressamente per sua volontà fatto dono allo stato.
Il Vittoriale degli Italiani fu la villa-museo dove Gabriele D'Annunzio trascorse gli ultimi anni della sua vita e che successivamente donò al popolo italiano. Il Poeta morì il primo marzo 1938, ultimo giorno di Carnevale. Era un martedì e pioveva. Aveva vissuto a Gardone Riviera per 17 anni, giungendovi nel 1921.

La celebre Isotta Fraschini
Al suo interno si trovano la Prioria (la casa del Poeta ) il Museo della Guerra, l’Auditorium, lo SVA 10 del volo su Vienna, la Nave Puglia, il Museo di Bordo, il Mas 96, il Mausoleo, le auto ( Isotta Fraschini e Fiat Tipo 4), il tutto in una cornice di parchi e giardini di rilevante significato storico-ambientale nonché botanico. Colpiscono i motti dannunziani posti bene in vista all'ingresso della cittadella:  "Io ho quel che ho donato" in riferimento al Vittoriale stesso, una delle frasi predilette dal d'Annunzio che la fece incidere sui sigilli dorati con cui chiudeva le buste e sugli oggetti che usava.
E "né   più fermo né più fedele" con un araldico levriero posto all'ingresso della Prioria.
Il Vittoriale custodisce migliaia e migliaia di oggetti, statue, ceramiche, vetri, tappeti, cimeli, arazzi, vestiario che ricordano i momenti eroici della sua vita; sono raccolti in stanze dai nomi simbolici. Spesso si sente dire che noi siamo ciò che mangiamo. Ma nel caso di D'Annunzio sarebbe il caso di dire che l'essere e l'abitare erano un tutt'uno inscindibile. Il Vittoriale è da considerarsi l'estensione fisica della poetica ed estetica dannunziana. Perfino gli arredi e le suppellettili così stipati fanno pensare non poco ad una sorta di horror vacui da parte sua. Trasformata e arredata dallo stesso Gabriele d'Annunzio, rappresenta una rara testimonianza di un personaggio eccentrico e di un’epoca: gli originali arredi, le collezioni di oggetti preziosi riflettono la personalità ed il “vivere inimitabile” del poeta. Elegante, raffinato, colto ed estroso Gabriele D'Annunzio ammette di essersi cimentato nel corso della sua vita nella ricerca costante  del "superfluo", e  pertanto rassomiglia al personaggio di Des Esseintes, il protagonista del celebre "A' rebours" (tradotto Controcorrente o A ritroso) di Huysmans.  La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata poi dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli.
Stanza del Mascheraio
La stanza è così denominata dai versi sopra lo specchio del camino, composti in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925: Al visitatore / Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio.
Questa anticamera fungeva da sala d’attesa per le visite ufficiali. Al suo interno sono collocati circa novecento volumi, fra cui anche spartiti musicali ed una ricca collezione di dischi, una radio ed un grammofono. Da segnalare il lampadario in vetro di Murano raffigurante quattro cornucopie, il cavallo in bronzo di Dario Elting presentato all'Esposizione di Arti Decorative a Parigi nel 1925 (Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne), le sedie con lo schienale a lira di Giancarlo Maroni e alcuni vasi faentini in stile déco di Pietro Melandri.

Stanza della Musica
Inizialmente intitolata a Gasparo da Salò, ritenuto l’inventore del moderno violino, è una grande sala destinata ai concerti da camera. Qui in particolari occasioni suonava il Quartetto del Vittoriale. Per favorire l'acustica e il raccoglimento le pareti sono rivestite da preziosi damaschi neri e argento della ditta Ferrari di Milano raffiguranti bestie feroci e sostenuti da fermacorde a forma di lira: è un rimando al mito di Orfeo che con la musica riesce ad ammansire le fiere. Le vetrate gialle a imitazione dell'alabastro, di Pietro Chiesa, ricordano quelle già descritte nelle prime pagine del romanzo Il Piacere. Nella sala sono conservati due pianoforti e altri strumenti musicali: un clarino, uno zufolo e un arciliuto. Sulle pareti si trovano alcuni dipinti della collezione Thode fra i quali un ritratto di Cosima Liszt Wagner, opera di Franz von Lenbach, e le maschere funerarie di Beethoven e di Liszt. L'arredamento accosta tra loro oggetti déco e statuette orientali, colonne romane sormontate da zucche policrome luminose e cesti di frutti in vetro di Murano di Napoleone Martinuzzi, calchi in gesso di sculture greche, pelli di serpenti come quella di pitone fissata al soffitto. Il gusto eclettico di d’Annunzio che mescola oggetti di diversa provenienza ed epoca trova qui la sua prima e immediata manifestazione. è dotata di un 'organo a canne.

Sala del Mappamondo



Sala della Zambracca attigua a quella del Mappamondo
È la biblioteca principale della casa. Qui sono collocati i circa seimila libri d’arte già appartenuti al critico d’arte tedesco Henri Thode sul totale dei 33.000 complessivi raccolti da d’Annunzio nel corso della sua esistenza. Il nome della stanza deriva dalla grande sfera geografica settecentesca che troneggia sopra un tavolo. Nella nicchia al centro della sala la xilografica di Adolfo De Carolis raffigurante il Dantes Adriaticus; poco oltre la maschera funeraria di Napoleone Bonaparte e alcuni oggetti realmente appartenuti al condottiero francese durante il periodo di esilio trascorso a Sant’Elena. Sul lato opposto gessi che riproducono il busto di Michelangelo e, nella nicchia sopra il divanetto, il celebre tondo Pitti di Michelangelo il cui bassorilievo originale è conservato al Museo del Bargello di Firenze. Tra le due finestre un organo americano al quale solitamente sedeva Luisa Baccara, giovane pianista veneziana ma soprattutto compagna ufficiale di d’Annunzio a Fiume e per tutto il periodo del Vittoriale.

Stanza della Leda - Era la camera da letto del Poeta e prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. Sulla porta si legge il motto Genio et voluptati, al genio e al piacere, e dall'altro lato è appesa una piastrella proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con il motto Per un dixir, per un solo desiderio. Sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i famosi versi della canzone dantesca Tre donne intorno al cor mi son venute... Anche qui l'assortimento di oggetti è straordinario: dagli elefanti in maiolica cinese ai piatti arabo-persiani, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre e ai mobili in stile orientale. Notevoli il copriletto in seta ricamata persiana con animali selvaggi, dono a d’Annunzio della moglie Maria Hardouin di Gallese, un dipinto di Mario De Maria, il Ritratto di Dogaressa di Astolfo De Maria e il calco monumentale del Prigione morente di Michelangelo, i cui fianchi d’Annunzio cinge con un drappo a nascondere le gambe ritenute troppo corte rispetto al busto.
Veranda dell'Apollino (prima foto in alto al centro del post) - Il piccolo ambiente fu aggiunto da Maroni alla struttura originaria della villa per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda e fungeva da saletta di lettura suggestivamente affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. Il nome del vano deriva dal gesso di un kouros arcaico decorato dal Poeta con occhi azzurri, un prezioso perizoma e un fascio di spighe dorate, simbolo di abbondanza; la stanza è decorata da riproduzioni di ritratti famosi della pittura italiana del Rinascimento, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.

Il Bagno Blu





E' forse una delle stanze più suggestive ed emblematiche del complesso. Nel bagno, suddiviso alla francese in sala da toilette e ritirata, sono collocati oltre 600 oggetti i cui toni dominanti sono il blu e il verde. Per la ristrutturazione Maroni si avvalse della consulenza di Giò Ponti. Sul soffitto si legge il motto, da Pindaro, Ottima è l'acqua, e alle pareti, oltre alle riproduzioni degli Ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, troviamo a fianco della vasca da bagno una ricchissima collezione di piastrelle di ceramica da parete di produzione persiana, alcune delle quali risalenti anche ai secoli XVII e XVIII. Sul tavolo oggetti da toeletta di Buccellati in argento e pietre, vetri muranesi, collezioni di pugnali e spade. La ritirata contiene tre maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana Rosenthal del 1927. La vetrata con i coloratissimi alcioni è opera di Pietro Chiesa.

Stanza del Lebbroso

Questa stanza, chiamata anche Zambra del Misello o Cella dei Puri Sogni, fu concepita da Storia di San Francesco d'Assisi di Chavin de Malan tradotta da Cesare Guasti, pubblicata a Prato nel 1879. In questa stanza, per la veglia privata, venne esposta la salma del Vate nella notte fra l'1 e il 2 marzo 1938.
Venne concepita da d'Annunzio come luogo di meditazione ove ritirarsi negli anniversari fatidici della sua vita. Alle pareti pelli di daino e sul soffitto nei cassettoni dorati i simboli del martirio di Cristo inframmezzati da figure eteree di sante - Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta d'Ungheria, Odilla d'Alsazia e Sibilla di Fiandra - dipinte da Guido Cadorin e che il poeta disse che gli apparvero in sogno per invitarlo ad abbandonare i piaceri del mondo. Su un podio rialzato la statua lignea di San Sebastiano di scuola marchigiana e il letto chiamato dal poeta delle due età perché simile ad una bara e al tempo stesso ad una culla. Nel quadro in fondo alla parete è raffigurato invece San Francesco nell’atto di abbracciare un lebbroso che altri non è che lo stesso d’Annunzio. Di Cadorin è anche il dipinto sulla parete di fondo raffigurante Gesù Cristo nell’atto di benedire la Maddalena. Su un tavolino i ritratti fotografici della sorella Elvira, della madre Luisa e di Eleonora Duse, insieme alla splendida Coppa delle Vestali in vetro smaltato di Vittorio Zecchin. Fra tutte le stanze del Vittoriale quella del Lebbroso è forse la più densa di simboli la cui fonte principale sembra essere invece la
L'Officina




E' l'unica stanza della Prioria nella quale entra liberamente la luce naturale del giorno ed è l'unica arredata con mobili di rovere chiaro semplici e funzionali. Era lo studio-atelier di d'Annunzio, al quale si accede salendo tre alti scalini e passando sotto un basso architrave che costringe chi entra a inchinarsi di fronte all’arte. Leggii, scaffali inclinati e teche girevoli circondano il tavolo e lo scanno senza schienale su cui d’Annunzio scrive; a portata di mano stanno le opere di consultazione frequente, a cominciare dai vocabolari e dai repertori di cui l’autore si è sempre servito.

Su una delle due scrivanie spicca il busto velato di Eleonora Duse, la grande attrice scomparsa nel 1924, che fu per d’Annunzio compagna e musa ispiratrice; un foulard di seta ricopre il volto della donna, “testimone velata” del suo impegno ininterrotto di scrittore. Ma ad arredare la scena della scrittura sono altresì i calchi della Nike di Samotracia e delle metope equestri del Partenone, le immagini fotografiche della Cappella Sistina. Qui d’Annunzio lavorava alacremente anche per sedici ore consecutive e qui, dopo aver ultimato il Notturno compose il Libro segreto, ultima sua opera.

Corridoio del Labirinto
Il nome deriva dall'emblema del Labirinto, che si ripete sulle porte e le rilegature dei libri, ricavato da quello celebre del Palazzo Ducale di Mantova; dal motto dello stesso Labirinto, d'Annunzio aveva tratto nel 1910 il titolo del romanzo Forse che sì forse che no.

Da una stanza all'altra (sono ben 17), da un corridoio all'altro, impossibile entrare nel dettaglio di tutte e di tutti gli amenicoli che il Vate ha collezionato. Qui, potrete trovare il resto di un percorso di quanto ho volutamente tralasciato. Chi penetra in queste stanze ne esce stordito e stranito dalle atmosfere morbide che  danno l'impressione di un reliquario un po' claustrofobico, il quale ti fa assaporare la luce e l'aria come un prezioso regalo. Va detto che D'Annunzio soffriva di fotofobia ad un occhio che rimase infortunato.

Lo Schifamondo è poi l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara.
Certamente al decadentismo e simbolismo dell'artista fanno da contrappunto il suo vitalismo quasi esasperato di uomo civile, l'attivismo, il suo interventismo, il suo impegno politico, le sue imprese mirabolanti (il celebre volo su Vienna, la Beffa di Buccari sul MAS 96). D'Annunzio curò personalmente i lavori della strada panoramica lungo il Garda che doveva condurre alla sua cittadella, strada meravigliosa detta "la Gardesana". Mi fermo qui, ma  ce ne sarebbero cose da aggiungere, dato che per il Vate, una vita è troppo poco. E il suo labirintico Vittoriale ne è la testimonianza.

Oggi è Giordano Bruno Guerri ad essersi assunto l'incarico (e anche l'onore-onere)  di Presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani. Il suo ultimo libro "La mia vita carnale" (Mondadori 230 pp) é un canto d'amore assoluto a Gabriele D'Annunzio e alla sua ultima sfarzosa dimora che conta migliaia di visitatori all'anno. Il caso volle che negli ultimi anni della sua vita il Vate si firmasse con lo pseudonimo di Guerri, e anche questa coincidenza ha convinto lo storico a fare ricerche sull'artista. Ecco un'interessante ironica intervista concessa da G.B. Guerri a proposito del suo libro.

"L'intuizione di Guerri resta anche quella di avere acceso i riflettori sopra una delle più forti e accese qualità del vate: la sua capacità sciamanica di prevedere gli eventi, a parte il calcio che considerò una pratica limitata, di passaggio stagionale.
Il libro termina come l'opera che non finirà mai: Guerri ci confessa che quando un giovane uscirà da quella casa incantevole ed incantata continuando a chiedersi chi fosse d'Annunzio ma con occhi brillanti, quasi attoniti, significherà che avrà lavorato bene.
E anche di lui si potrà dire: ha quel che ha donato".

La verità è che D'Annunzio continua a intrigare e su di lui, la sua vita e la sua opera che ha spaziato dalla poesia alla narrativa al teatro,  non si finisce mai di speculare.

E non è tutto. Ora è in cartellone anche una pièce teatrale dal titolo "Gabriele D'Annunzio - Tra amori e battaglie" liberamente tratta da L'amante guerriero, sempre di G.B. Guerri, interpretata da Edoardo Sylos Labini che sta ottenendo un buon  successo.

 Hesperia