mercoledì 27 febbraio 2008

Ontologia del giardino










Da sempre simbolo della femminilità, il giardino è luogo di sentimenti, di segreti, di care memorie. Vi è nell'infanzia di ogni individuo il lontano ricordo di un giardino da cui non si vorrebbe uscire, poiché varcare i suoi confini rassicuranti vuole dire diventare dolorosamente adulti. La cognizione del dolore e l'esodo verso un mondo che avrebbe riservato all'uomo un'esistenza di fatica e alla donna le doglie del parto, inizia con la cacciata dall'Eden di Adamo ed Eva. Ma la mitologia e ontologia del giardino ha radici ancor più lontane nel tempo.I Campi Elisi degli antichi Greci, contrapposti al Tartaro, rappresentano il luogo ideale nel quale vivere beati senza affanno. Nel Giardino delle Esperidi le mele sono d'oro come nelle fiabe. Più di recente, è con il Cristianesimo che sboccia la grande metafora per cui l'anima umana è un giardino, soggetto a intima cura da parte di Dio. Molti sono i poeti e gli scrittori con il culto del giardino - culto che ben si sposa con le humanae litterae. Goethe piantò, seminò e realizzò giardini e parchi, e realizzandoli li visse poeticamente nel profondo del suo cuore. Ci offre la sua testimonianza di esperto agrimensore ne "Le affinità elettive". Il poeta Robert Browining e sua moglie Elizabeth Barrett selezionarono bulbi di stupendi narcisi e giacinti , che prendono a tuttoggi il loro nome. Hermann Hesse ha scritto un trattatello dal titolo "In giardino". Friedrich Schiller fu il teorico del giardinaggio come arte che chiamò "educazione estetica che dà libertà per mezzo della libertà". E' interessante a questo proposito la tesi di Rosario Assunto (il primo filosofo estetologo che ha approfondito nella nostra epoca le tematiche del giardino) e il concetto di libertà libertaria da lui avversato. A proposito di ciò scrisse "la libertà libertaria pretende chi vuole siano i frequentatori di giardini autorizzati a comportarsi come loro aggrada, senza riguardo per gli altri: perchè la libertà libertaria apre la strada al totalitarismo, conducendo essa alla sopraffazione, nel migliore caso, dei più numerosi o più forti nei confronti delle minoranza..." ("Ontologia e teleologia del Giardino") . Ecco perchè il parco aperto a chiunque e senza alcun discernimento circa orari e sorveglianza finisce per essere area di bivacco, con aiuole calpestate, cartacce, lattine, siringhe ecc. e si colloca oggettivamente "lontano dal giardino". Ed ecco perchè nel nostro paese che è ricco di giardini e ville, prevale sempre più l'idea dei fondi-ambiente sullo stile del National Trust britannico, con un ingresso a pagamento per la manutenzione degli stessi. E a proposito di National Trust, a Sissinghurst , nel cuore del Kent è possibile visitare "il giardino bianco" di Vita Sackville-West (foto a sinistra). La torre del Castello di Sissinghurst divenne lo studio della scrittrice, amica di Virginia Wolf, mentre il White Garden, inaugurato secondo la moda monocromatica da molti imitata, divenne meta di memorabili garden party (Da Winston Churchill alla regina Madre; ai poeti Auden, Yeats e Ivy Compton-Burnett). Incuranti dei bombardamenti della II Guerra mondiale, Vita e il marito Harold intensificarono le architetture del giardino; si procedette ad alberare il viale dei Tigli, le rose antiche (rigorosamente bianche ) e rampicanti vennero usate come elementi ornamentali ai piedi degli alberi da frutta (meli, mandorli, ciliegi). Come bianchi furono gli asfodeli, i gladioli, i gigli, i biancospini e i filadelfi. Il Castello con il torrione e il "white garden" continuano ad essere mèta di numerosi visitatori.
E il nostro paese?
A Ravello ci sono incantevoli ville e giardini prospicenti il mare da alti dirupi (Villa Cimbrone, Villa Rufolo, Villa Sangro ) che furono già mete e pellegrinaggi di artisti (Wagner, Toscanini, Verdi), principi, aristocratici e personalità del modo politico e del cinema. Le ville della Lucchesia, invece, non godono della manutenzione che dovrebbero. Poi ci sono le ville venete sul Brenta che sono curatissime, e i giardini e parchi del Lago Maggiore, tra cui il giardino botanico dell' Isola Bella, proprietà dei Borromeo (foto piccola a destra).
Manca però in Italia una cultura del giardino come nei paesi nordici (in particolare tedeschi e anglosassoni) . Ma anche figure professionali (già presenti nella vicina Svizzera) come l'architetto dei giardini (a metà strada tra l'architetto e l'agronomo) .
Il giardino fu rifugio degli ordini monastici durante le invasioni barbariche (hortus conclusus medievale). L'hortus conclusus è il giardino segreto e fantastico all'interno del chiostro che offre riparo e preclude il male. Bernardo di Chiaravalle commentando il Cantico dei Cantici descrive il giardino come un continuo gioco tra amante e amato, tra creatura e creatore. Il romanzo "Candide" di Voltaire si conclude coi due protagonisti (Candido e Pangloss) che di fronte al caos del mondo, ai massacri alle varie peripezie subite e alle guerre civili, concludono con " noi bisogna che lavoriamo il nostro orto".


Hesperia

sabato 23 febbraio 2008

Heavy listening (la "musica degenerata")


Dopo aver ascoltato l'esempio musicale del post precedente si ascolti ora questo pezzo di A. Schoenberg e si dica onestamente se pare di ascoltare ancora la stessa musica. Eppure gli strumenti impiegati sono simili, la voce umana e' identica, ma non si ha piu' la stessa sensazione di "diletto" che l'opera di Bach procurava. Direi invece che la sensazione e' di disorientamento, se non di orrore procurato da un'apparente, e sostanziale, disarmonia. L'ascoltatore "non colto" lo percepisce sempre allo stesso modo. Un orrore che, naturalmente si attenua mano a mano che cresce nell'ascoltatore la convinzione indotta dall'educazione, di ascoltare una musica di pari livello. Si dice comunemente che si tratta di stili diversi, di epoche diverse. Nella mia opinione, si tratta invece di un'opera ideologica, meglio, di ideologia messa in musica. L'elaborazione formale non si impianta piu' sulle comuni 7 note della tonalita', ma sulle 12 della serialita' e dell'atonalita'. Il compositore pensa di poter fare a meno della Natura. E' ovvio che questo e' un approdo ideologico, prima che stilistico. Si tratta di un esperimento teso a dimostrare che la percezione umana e' fallace e che, come ci si e' assuefatti alla musica tonale (es quella di Bach), ci si puo' abituare ad una musica atonale che rinuncia alle ferree leggi gravitazionali dell'armonia presenti in tutta la musica precedente, anche ove l'armonia stessa non era del tutto consapevolmente impiegata. Ebbene, questo esperimento e' ormai divenuto la regola che governa la nostra produzione musicale "colta" da almeno cent'anni. Si nota da qualche tempo un apparente ritorno al metodo tonale, ma l'impressione che se ne trae e' che la continuita' storica sia stata consapevolmente ed irrimediabilmente spezzata. Fino la musica greca, del II° secolo aC, della quale ci sono rimasti pochissimi frammenti dalla assai opinabile interpretazione, mostra maggior parentela con la musica di Bach che non con quella di Schoenberg. Qui siamo ormai in pieno relativismo. Si aboliscono scientemente le leggi di natura per cercare nuove vie espressive. Non ci si accontenta dell'assoluto espresso con l'armonia musicale, scimmia dell'armonia universale, si ricerca un assoluto ancora piu' totale e si finisce inevitabilmente per incontrare il nulla. Un nulla che chiunque non sia avvezzo ad una lettura ideologica, percepisce fino dall'incipit del pezzo. La disperazione evocata non ha solo a che vedere con la rappresentativita' del testo (nella fattispecie un dramma), ma con una concezione dell'umanita' che, ormai perse le sue radici, si getta negli abissi dell'inconscio freudiano (l'opera e' del 1909 e il testo e' concepito in chiave psicanalitica). La consapevole rinuncia di compositori come A. Schoenberg e A. Berg, ad utilizzare gli strumenti della tradizione fu, nella loro epoca bollata come "degenerazione" che, per gli Stati Etici nei quali la sentenza venne formulata, significava piu' o meno "musica diseducativa", o inadatta a "servire la nazione". Ma il termine, ora considerato offensivo, era quanto mai preciso, infatti, la rinuncia consapevole ad accettare la propria eredita' storica equivale alla rinuncia della Paternita'. Ai nostri tempi l'antico anatema e' stato alfine rimosso dalla "democrazia" e dalla "cultura liberale". Ora sappiamo che questa musica ha pari dignita' con tutta quella che l'ha preceduta. Ma non ne traiamo comunque lo stesso diletto.

Arnold Schoenberg

Erwartung (Attesa)

mercoledì 20 febbraio 2008

Viaggiare

Una volta gli inglesi, i tedeschi, gli americani venivano a completare la loro educazione classica in Italia. Si chiamava il "Grand voyage" e ci son rimaste testimonianze nei loro libri, dipinti, memorie.
Ci hanno lasciato anche giardini come gli Hambury in Liguria o ville come la S.Michele fatta costruire da Axel Munthe ad Anacapri
L'Italia resta ancora oggi una meta agognata e oggi che vivo all'estero ne apprezzo ancor piu' le bellezze e se mi rendo conto che ne ho conosciuto solo una minima parte.

Ma non volevo parlare dell'Italia, volevo parlare di viaggio, del viaggiare, del conoscere e crescere interiormente durante il viaggio.

Certo, ai tempi di Goethe, si gustava il tempo e la lunghezza del viaggio. Si facevano schizzi ed acquerelli per fissare nella memoria le ore e i paesaggi, e si scriveva, si pensava..Viaggiavano praticamente solo i ricchi.

Oggi no. In genere la gente consuma i viaggi come i salami. Si chiamano pacchetti viaggio e ti infilano di tutto un po'. Un po' di cultura, molto cibo, shopping, danze e, possibilmente, sesso.
É il fast travel, come il fast food. Ingrassi e non ti resta niente.

A questo modo di spostarsi velocemente, al cardiopalmo, c'é un'eccezione: é tutta americana e si chiama il road trip.
Anche sul road trip si son fatti centinaia di film, perché il viaggio é la metafora della vita, e durante il viaggio tu cresci e riesci a scoprire prima di tutto te stesso.

In America, Canada compreso, tu prendi la macchina, il treno quasi mai, qualche volta l'autobus come il mitico Greyhound, oppure il motorhome, e vai sulla strada.

La strada é accogliente per tutti.
Mentre viaggi ad una velocità massima di cento km all'ora o anche meno, hai riconquistato il tempo del viaggio. E guardi le praterie e i tramonti, e il cielo che é bellissimo qui, un cielo mutante. E hai tempo di fermarti dove ti pare e magari cominciare una nuova vita.

Egle

sabato 16 febbraio 2008

Cinema e letteratura: un legame indissolubile

Cinema, letteratura: teatro d’ombre, simulacri di fronte ai quali l’uomo di cultura non può nulla… Se non conoscerne il funzionamento. Gilles Thérien, “Revue des sciences humaines”

Così questa scrittura reca un senso sottilee dona agli occhi più concentrazione. Ibn At-TubiNon si tratta unicamente di fotogrammi e parole, di voce ed immagine, di racconto scritto e mostrato, si tratta di due linguaggi diversi, ma complementari, che al
lettore o allo spettatore, sembrano "semplici macchine” per raccontare storie,
Cinema e letteratura.
Ne parlo perché sta per uscire un film tratto da uno dei libri che più mi hanno emozionato e commosso ultimamente, “Il cacciatore di Aquiloni” di Khaled Hosseini.
Il libro racconta la storia di due bambini afgani Hassan e Amir di etnia ed estrazione sociale diverse, il primo hazara, il secondo pashtun e di come si snoderanno le loro vite, dopo che una terribile violenza li vede protagonisti: lo stupro di Hassan, a cui Amir assiste senza intervenire. Questa è la chiave di tutto il romanzo, che diventa metafora per narrare le tragedie di quella terra straziata, da guerre fratricide, invasioni e regimi dusumani.
Lo stesso Hosseini considera il suo libro una potente metafora: “Hassan lo stuprato rappresenta l’Afghanistan; Amir che guarda e non interviene, la comunità internazionale, che è sempre rimasta alla finestra mentre il mio paese veniva brutalizzato da un regime dopo l’altro”.
Un libro, quindi pieno di pathos e significati profondi , che coinvolge in modo straordinario il lettore.

Cinema e letteratura, pur essendo due arti distinte, hanno un rapporto di osmosi, di compenetrazione e a volte di contrapposizione, non fosse altro, perché la maggior parte dell’opera cinematografica s’ispira o è tratta dall’opera letteraria. Le connessioni e le contaminazioni e gli esempi sono innumerevoli nella storia del cinema e si potrebbe andare avanti all’infinto a parlarne.
Il legame fra le due arti è così stretto che spesso non si può fare a meno di fare confronti.

A chiunque è capitato di vedere film brutti tratti da romanzi bellissimi e viceversa, scoprire bellissimi libri attraverso capolavori cinematografici.

Recentemente mi è successo con “La ragazza con l’orecchino di perla” film mediocre sulla “genesi” dell’omonima opera di Jan Veermer, che mi ha fatto scoprire il libro, un piccolo “gioiello” di Maurice Chevalier.

Altre volte l’immagine rende più della parola scritta, perché oltre a riprodurne perfettamente lo spirito, si veste del “contatto visivo”, regalandoci quei capolavori che hanno fatto la storia del cinema.
Dal film più amato “Via col vento” tratto dall’omonimo romanzo di M. Mitchell, sontuoso melodramma in costume e capodopera del grande cinema hollywoodiano, ormai scomparso, a “Il grande sonno” di Howard Hawks, tratto anche questo dall’omonimo romanzo di Raimond Chandler, dove, al di là della trasposizione cinematografica un po’ smorzata dalla censura di quegli anni, Humphrey Bogart ci regala un Philippe Marlow che è meglio di quello uscito dalla penna di Chandler.

Da “Ombre Rosse” (dal racconto Stage to Lordsburg di Ernest Haycox) capostipite del western classico, diretto da John Ford a “La donna che visse due volte” (Vertigo) di Alfred Hitchcock (dal romanzo “Entre les morts” di Pierre Boileau) ossessione di un grande regista che già dagli splendidi titoli di testa trasporta lo spettatore in una parabola noir di straordinario impatto visivo.
I grandi capolavori nati dal “matrimonio” fra cinema e letteratura sono talmente numerosi che lascio a voi il piacere di ricordarne ancora ( altrimenti fareste notte a leggere questo post…)

Io mi limito a segnalare alcuni dei mie libri/film preferiti in ordine sparso, come mi vengono in mente: “Eva contro Eva” (Mankievich/The Wisdom of Eve-Mary Orr) per le battute perfide e l’humor sarcastico e lo scontro immortale di Bette Davis e Anne Baxter.
“Gli uomini preferiscono le bionde”(Howard Hawks/Anita Loos) ironica e travolgente commedia e secondo me un’irresistibile Marylin.
“ Shining ( Stanley Kubrick/Sthephen King), prima impietosa metafora sulla crisi della famiglia contemporanea in chiave horror. Magistrale.
Blade Runner (Ridley Scott/Philip K.Dick) la fantascienza sposa il poliziesco e ci regala una delle più angoscianti e realistiche visioni di un possibile futuro oltre ad una delle più famose frasi del cinema. “ Io ne o visto cose…).
E qui mi fermo…
Are

mercoledì 13 febbraio 2008

Incanti e disincanti dell'amore


Nella nostra cultura (sacra e profana che sia) cantare è d'amore, suonare è d'amore, recitare è d'amore (il Lied e l' arte trobadorica). Ma anche scrivere (lettere, romanzi e poesie), rappresentare (cinema e teatro); dipingere e scolpire (si pensi a Il bacio di Hayez o ad Amore e Psiche di Canova o agli Amanti di Rodin ). Perciò, tralasciando la festa di S. Valentino, che cade il 14 febbraio e che viene proibita nei paesi islamici (paesi dalle culture notoriamente anaffettive e iconoclaste), buona parte della nostra produzione artistica è legata ai sentimenti e alla cultura del "sensibile". Per tutti gli anni e secoli a venire l'Occidente nasce in un certo senso sanvalentiniano ante litteram. E del resto, chi è mai questo santo del calendario gregoriano se non un lontano discendente (giunto a noi oggi sotto forma di santo patrono di una festa commerciale in cui si regalano dolci, bigliettini e cioccolatini), di Eros - l'alato dio fanciullo munito di arco e frecce? Ho suddiviso questa breve rassegna in due categorie: incanti (parola che proviene proprio dal cantare dentro) e disincanti. Vale la pena di soffermarsi su altre etimologie di parole-chiave di natura amorosa: seduzione " da seducere" (ovvero, distogliere, sviare). Charme (fascino, in lingua francese) che deriva dal latino carmen carminis (canto, poesia), affetto"= dal latino ad facere e cioè "fare qualcosa per...".


Incanti e disincanti congiunti. "Sogno di una notte di mezza estate" di W. Shakespeare. - Titania (regina degli Elfi e delle fate) stregata dal folletto Puck che gli mette il succo di un fiore magico negli occhi su ordine di Oberon re degli Elfi, si innamora di un mostro con la testa d'asino e vede in lui cose che esistono solo nella sua fantasia.
Vieni qui, siedi su questo letto di fiori
Ch'io carezzi le tue gotine leggiadre;
coronarti la fronte voglio - alta e liscia, di rose muschiate,
Baciarti
queste belle orecchione prolisse, allegria del mio cuore.

Oberon, in seguito allarmato da questa follia di Titania, fa sciogliere il sortilegio dallo stesso Puck, passato il quale, e la sua sposa si sveglia :" Oberon - caro - che strano sogno ho fatto! Ho sognato d'essermi innamorata d'un asino!".

Incanti - John Donne "Il Sogno"
Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.
Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.
Sei stata saggia a svegliarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e storia le favole.
Entra tra queste braccia. Se ti sembrò
più giusto per me non sognare tutto il sogno,
ora viviamo il resto.


Come un lampo o un bagliore di candela
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Così (poichè tu ami il vero)
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno, sapendo
che la troppa gioia mi avrebbe destato
e venesti, devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.


Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora che ti allontani
dubito che tu non sia più tu.
Debole quell'amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce
sono prima accese e poi spente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire. E io
sognerò nuovamente
quella speranza, ma per non morire.

Incanti : Stendhal "Nelle miniere di sale di Salisburgo si usa gettare nelle profondità abbandonate della miniera un ramo sfogliato dal gelo, due o tre mesi dopo lo si ritrova coperto di fulgide cristallizzazioni; i più minuti ramoscelli sono fioriti di una infinità di diamanti mobili e scintillanti; è impossibile riconoscere il ramo primitivo. Quella che io chiamo "cristallizzazione" è l'opera della mente, che da qualunque occasione trae la scoperta di nuove perfezioni dell'oggetto amato.(..) Uno dei vostri amici si rompe un braccio a caccia: che dolcezza ricevere le cure della donna amata!...ci fa quasi benedire il dolore". (da "De L'Amour").

Disincanti: Oscar Wilde -

1) Quando si è innamorati si comincia sempre per ingannare sé stessi e si finisce per ingannare gli altri.
2) Le donne insignificanti sono sempre gelose dei propri mariti. Le belle, non lo sono mai. Sono sempre occupate a essere gelose dei mariti delle altre.
3) La felicità di un uomo ammogliato ...dipende dalle donne che non ha sposato. (da Aforismi)


Incanti : Rainer Maria Rilke

E quasi una fanciulla era, sgorgata
da questa unanime felicità di canto e lira;

splendeva tra i suoi veli primaverili, chiara

e s'adagiò nel letto del mio orecchio.

E in me dormì. E tutto era il suo sonno.

Gli alberi ovunque che ammirai e questa


lontananza tangibile, questi toccati prati


e ogni stupore che mi colse.

La dormì, il mondo. Come l'hai tu compiuta

che non desiderò prima esser desta,

o dio del canto?


Nacque e entrò nel sonno.

La sua morte dov'è?

Ne inventerai la melodia

tu, prima che il tuo canto si consumi?-

Ove scompare se da me si perde?... una fanciulla quasi… ( da Sonetti ad Orfeo)


Buona lettura ! Se qualcuno dei visitatori e frequentatori, vuole aggiungere altre massime, sonetti, aforismi, poesie sul tema, può farlo a proprio piacimento .

sabato 9 febbraio 2008

Easy listening (ma non troppo)



Magnificat in re magg. BWV 243 di Johann Sebastian Bach (1° numero) Probabilmente registrato a Vienna nel 2006, in una versione piu' adatta ad una compagine numerosa che ad una filologica. Direttore N. Harnoncourt: uno dei pionieri della auffuerungspraxis, ora dedito ad una direzione a tutto campo.

Perche' la musica barocca e' la "musica classica" che anche i neofiti apprezzano di piu'? Perche' da un'idea di semplicita' alla quale non si e' ormai piu' abituati. Con "semplicita'" s'intende l'illusione di capirne il "discorso", di una logica armonica, ma anche contrappuntistica, ferrea; caratteristiche a cui la produzione musicale posteriore ci ha gradualmente disabituato, complice la descolarizzazione musicale. Questa "semplicita'" trova nella descrizione che J.S. Bach - e la maggior parte dei teorici coevi - dava della musica (dilettevole arte dei suoni), una degna ratifica. Null'altro che questo: un diletto, non il tormento a cui ci ha abituato la cosiddetta "musica colta" oggigiorno. Eppure Bach veniva considerato un compositore particolarmente involuto e fuori moda; famoso solo per la sua prodigiosa conoscenza dell'organo: la macchina in assoluto piu' complessa della sua epoca. Certo non si tratta di una "semplicita'" assoluta - un concerto di A. Vivaldi e' molto piu' semplice da un punto di vista strutturale, e cosi' molta produzione di G. F. Haendel - ma della cifra "barocca" che caratterizza la maturazione della musica polifonica rinascimentale, nella quale la dimensione verticale viene splendidamente bilanciata con quella orizzontale. E a questo proposito, l'opera di Bach e' sicuramente la migliore della sua epoca in quanto a vette e profondita' raggiunte. Questa cifra e' facilmente riconoscibile da tutti senza alcuna necessita' di conoscere la storia della musica. E' quasi un fatto epidermico, perche' la logica che sottende anche alla piu' complessa composizione sta nella natura. La gratificazione che l'orecchio trae dall'ascolto viene da un meccanismo il cui funzionamento tutti possiamo percepire anche senza conoscerne la complessita'. A questo va aggiunto che il mondo dell'epoca, nonostante la rivoluzione copernicana, aveva ancora una percezione unitaria di mondo materiale e mondo spirituale. E questa unitarieta' la si intuisce ancora nell'arte dell'epoca, ma nella musica soprattutto, in quanto la disposizione dell'armonia fisica corrisponde mirabilmente con quella metafisica di boeziana memoria. Ovviamente cio' che univa i due mondi era la Religione, nonostante Riforma e Controriforma (Bach era luterano), il cambiamento, in Europa, iniziasse a manifestarsi pienamente solo dopo la Rivoluzione francese e questo cambiamento veda il suo epilogo proprio ai nostri giorni. Sara' forse per questo che la "semplicita'" percepita somiglia molto ad una "verita'" a lungo rimossa dalle coscienze.


J.S.Bach
Magnificat nella tradizione liturgica cattolica
N. Harnoncourt

mercoledì 6 febbraio 2008

Un giretto tra le gallerie d'arte del Québec

La prima volta che venni qui, in Canada, fui accompagnata a un vernissage.
Era stato organizzato in una casa-museo di una cittadina qui vicino.

Fu cosi' che venni a sapere che in Québec ci sono miriadi di "artisti".
Oddìo, noi italiani diamo alla parola artista un significato piu'..compiuto, ma qui anche il dilettante viene definito un artista.
I quadri raffigurano la realtà circostante, dunque graziose casette, fiori, fiori e gli alberi rossi dell'autunno.
Per me che sono un'amante dei toni sfumati alla Turner, era un pugno in un occhio, ma a poco a poco mi sono abituata ed ho cominciato anche a selezionare tra le centinaia di quadri "naïf" o "impressionisti", come quello di André Philibert della foto accanto.

Nelle sale di attesa dei medici, nelle caffeterie, nei centri commerciali, nelle fiere di paese, dappertutto trovi un'esposizione di pitture, per non parlare delle giornate estive di portes ouvertes negli atelier dei pittori.

Molti villaggi sul fiume St. Laurent, piu' a nord, si sono riempiti di pittori e artisti vari, come Baie St.Paul, piena di gallerie d'arte

Sono poi venuta a conoscenza di alcuni grandi pittori canadesi come Riopelle
e, andando piu' indietro nel tempo,Lawren Harris ( autore del quadro nella foto in alto) o James Edward McDonald.

Lungi da me fare la storia della pittura canadese, ma ne ho parlato perché sovente i profani in Italia, sottovalutano la pittura americana. Esistono invece delle vere sacche
di geniali personaggi che sperimentano, osano, studiano, riproducono antiche tecniche.

Un'idea la si puo' avere con la rivista "American artist" che ogni tanto mi piace comprare.

Un'altra rivista, ma diretta ai canadesi e particolarmente ai quebecchesi, é "Magazin Art".
In quest'ultima specialmente , non si troveranno certamente i Burri e i Fontana, ma il modo di vedere la realtà che circonda i pittori del posto.

Egle

sabato 2 febbraio 2008

Tim Burton: "Il mio musical è un omaggio al genio di Fellini"

Forse non tutti lo sanno ma Tim Burton per disegnare i suoi scheletri s’ispira all’opera di Edward Burra.
Ed è proprio con questa “curiosità” che inizio il mio omaggio ad un grande cineasta, enfant prodige di Hollywood, icona dark di un cinema fatato e visionario che racconta le struggenti solitudini di esclusi e reietti con una vena di sublime, folle ironia.
La figura dell’emarginato, dell’incompreso, dell'escluso dal consorzio umano, non perché malvagio ma semplicemente perchè diverso, torna ossessivamente nella sua cinematografia.
Dal Pinguino di Batman, ripudiato dai genitori a causa del suo orrido aspetto, al patetico Ed Wood, "il peggior regista del mondo" innamorato dei golfini d'angora e del trash di Bela Lugosi, i “diversi”
sono il “leif-motiv” della sua opera a partire dal protagonista più autobiografico del suo cinema, il commovente Edward mani di forbice che distrugge tutto ciò che tocca con le lame che ha al posto delle dita, nonostante l'animo mite perchè, il suo creatore, Vincente Price, è morto prima di donargli un paio di mani vere.
Un così appassionato cantore della diversità, altri non poteva scegliere, come protagonista del suo prossimo musical (in arrivo sugli schermi il 22 febbraio), che "Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street". Il musical si rifà ad una storia vera, pare infatti che Todd sia realmente esistito e sia stato responsabile di 160 omicidi nella Londra del XVIII° secolo.
Todd era un eccelso barbiere dell'elegante londinese Fleet Street che elaborò un’ atroce ritorsione per vendicarsi di un'ingiustizia subita da un magistrato che lo aveva condannato per portargli via la bella moglie e la giovane figlia. Scontata la pena, Sweeney riapre la bottega sotto falso nome e comincia a tagliare le gole dei clienti, in attesa di arrivare finalmente a quella dell'odiato giudice che ha ancora in custodia sua figlia Johanna . Al piano di sotto, nel suo negozio una fornaia vedova, compagna di Sweeney, mette i cadaveri nel tritacarne per farcire pasticci che vanno a ruba e, innamorata del barbiere, gli mente sulla sorte della moglie raccontando che è morta mentre in realtà vaga, folle, per la città. La fornaia è interpretata Helena Bonham Carter (moglie di Burton) e il barbiere sanguinario dal suo attore feticcio Johnny Depp.
Burton confeziona con questo musical il suo horror più cupo e gotico, con sgozzamenti in primo piano e cadaveri triturati, ciò nonostante i critici sono concordi nell’affermare che riesce a pervadere di poesia anche questo “splatter” a tinte forti.
Sweeney Todd ha già all’attivo ben tre nomination agli Oscar: per le scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (che hanno ricostruito mirabilmente la livida Londra ottocentesca), per i costumi e per il migliore attore protagonista, Johnny Depp.
E’ lo stesso Tim Burton a Roma per presentare il film, a dichiarare che “Sweeney Todd” è un omaggio al genio di Fellini (anche in Big Fish Burton omaggiava il nostro grande regista) e a parlare della sua ultima fatica: “L'horror è espressionismo e sfogo emotivo. Il sangue che scorre nel film non è realistico, ma catartico e espressionista. Tra le mie fonti di ispirazione c'è anche il cinema di Mario Bava, un autore capace di creare un proprio universo fantastico. E c'è, soprattutto, il celebre musical che nei paesi anglosassoni, tra Broadway e Londra, va in scena da anni: un mix tra horror, umorismo e musica che negli anni '40 era arricchito dallo stile francese del melodramma Grand Guignol. Io l'ho sfrondato di balli e cori, con personaggi chiusi in se stessi e introversi, tanto che raccontano i loro sentimenti cantando. Per Johnny Depp cantare per la prima volta sullo schermo è stata una bella sfida, la cosa che mi piace di lui è che vuole mettersi continuamente alla prova. La gente viene sgozzata nel film come oggi in Iraq in questi tempi ci si mangia l'un l'altro, e la mia favola ha molti elementi di attualità, attinti alle immutabili emozioni umane. Anche nella Hollywood di oggi "mangiare o essere mangiati" come "homo homini lupus", sono espressioni molto in voga. A Hollywood ci vado solo per lavorare, non vivo più a Los Angeles, la mondanità non mi piace, mi sento vicino ai miei personaggi poco integrati e in conflitto con la società: anch'io tendo a interiorizzare tutto, sono chiuso, solitario e arrabbiato. Con il passare degli anni prevale il senso di perdita, persino quando tutto va bene e sei vincente. Dopo la notizia delle nomination, ho mandato una mail a Depp, è felice ma timido e già in ansia all'idea di partire per Hollywood. Ferretti ormai è abituato agli Oscar: l'ho scelto perchè ho visto quello che ha fatto nei capolavori di Fellini, il mio film è un omaggio a Fellini e Dante conserva in sè lo spirito felliniano che poi riesce a trasfondere nelle scene”.
Come si può dedurre dalle sue parole anche un musical-horror ambientato nella Londra ottocentesca può esser di spunto a numerose riflessioni a cominciare, proprio da “"homo homini lupus", che testimonia come l’animo umano non conosca “progresso” e come sotto le spoglie della modernità si celino i lupi, oggi come allora.


Ipse Dixit
La morte è un'esperienza che tutti dobbiamo fare. Nella zona dove sono cresciuto si tratta ancora di un tabù, mentre in altre culture viene considerato un evento festoso. Perché non prendere la morte in maniera positiva, anziché considerarla semplicemente come un qualcosa da sotterrare?

Le scelte artistiche debbano rimanere tali per non perdere anche quell'ultimo briciolo di purezza che è necessario quando si fa questo lavoro.

Mi interessa la contrapposizione tra realtà e fantasia. Sono attratto dai confini molto sottili tra le due cose: spesso quello che viene percepito come realtà è fantasia, mentre quello che può sembrare fantasia è la realtà. La fantasia è un'esperienza che fai ogni giorno ma a me, interessa molto di più la linea di confine tra le due percezioni.Il vero realismo è quello che nasce sulla linea di confine. Credo che la realtà per sua natura stessa sia molto elusiva...Sono sempre stato attratto dal potere della percezione.

Aretusa