mercoledì 20 giugno 2012

Le Mille e Una Notte o il trionfo dei contrari



Le mille e una Notte è un labirinto narrativo dove ogni racconto si biforca in altri racconti, dando origine a infinite metamorfosi di situazioni, di generi, di personaggi; la realtà si confonde spesso col sogno, ogni cosa è quella cosa ma anche, prima o poi, il suo contrario. Dalle spoglie di un uccello si materializza un principe, ogni animale può nascondere un uomo, ogni uomo può rivelarsi quello che non ci si aspetta. Un povero vestito di stracci nasconde un califfo o un guerriero. Un barbiere sembra un perditempo e uno sciocco ma poi si palesa per un sapiente. Un’isola dove i naviganti scendono per riposarsi si trasforma in una balena che s’immerge, trascinando nell’abisso gli incauti che l’hanno scambiata per una terraferma. Personaggio paradigmatico di tutta l’opera è Harùn el Rashìd, il califfo che, per scoprire come vivono e cosa pensano i suoi sudditi, si traveste da popolano e si mescola alla folla, divenendo al tempo stesso monarca e popolano e sperimentando così la vertigine di essere se stesso e l’altro da sé. L’autore, o meglio gli autori di questa macchina prodigiosa non hanno letto Aristotele e non conoscono il suo principio di non contraddizione, secondo il quale un uomo è un uomo e non può essere anche una trireme o un muro: nozione che ha guidato per lungo tempo il cammino di noi occidentali.




La stessa cornice di questo immenso contenitore di novelle si presenta come un’affermazione dei contrari: il tradimento sostituisce la lealtà, la maestà e la bellezza esigono il coniugio col plebeo e col laido. All’origine del meccanismo narrativo c’è un adulterio, quindi, apparentemente, l’evento più comune e banale, ma quello che più d’ogni altro sfrena la lingua e, in quanto causa di disordine e conflitto da cui scaturisce la tragedia o la commedia, il motore stesso della narrazione. Ma il tradimento viene consumato sempre all’insegna dell’affermazione dei contrari: le mogli dei due sultani traditi commettono l’adulterio affinché si verifichi la congiunzione del bianco col nero, del regale col servile, della bellezza con la deformità, del luminoso col tenebroso; una regola che si perpetuerà per tutta la durata delle Notti. Dunque, c’è un adulterio, anzi due adulteri, perché i mariti traditi sono due, i fratelli sultani, i quali, alla scoperta del tradimento, reagiscono entrambi decretando la morte immediata delle mogli e degli amanti infedeli. Ma uno dei due, sia per scongiurare il ripetersi dell’onta subita, sia per vendicarsi del genere femminile, giudicato ormai non degno d’alcuna fiducia, adotta una singolare e crudele abitudine: quella d’impalmare ogni giorno una nuova fanciulla, facendola giustiziare allo spirare della prima notte nuziale trascorsa con lei. E’ a questo punto che entra in scena Sharazade, la giovinetta dotata d’un dono di narratrice così cattivante da far rimandare ogni volta la sua esecuzione al re che non può fare a meno d’ascoltare, notte dopo notte, i suoi infiniti e seducenti racconti.


Da quando, tre secoli orsono, il francese Antoine Galland tradusse e pubblicò i suoi Contes arabe, (non importa se, come fu affermato in seguito, alcune novelle le tradusse, altre le inventò, tutte le riscrisse nel suo stile squisito e incantatore), l’Europa fu sedotta e irretita da questo lussuoso ginepraio abitato copiosamente dall’errore e dall’equivoco, da questo viaggio notturno dove la realtà e il meraviglioso si scambiano incessantemente le parti e dove si transita con estrema disinvoltura dalla soglia dell’essere a quella dell’apparire. Come per un’ubriacatura o per una vertigine, la coscienza europea fu pervasa dall’impressione che il sovrannaturale abitasse in mezzo agli uomini e che la frivolezza andasse a braccetto della tragedia, che il reale fosse alleato dell’inverosimile e che il miracolo fosse un attributo del gioco. La sua immaginazione cominciò a nutrirsi di questo equivoco e a percorrere con leggerezza i deliri evocati dalla magia ambigua e illusionistica delle Notti Arabe. Nessuno ha mai indagato veramente il significato che ha avuto per la cultura europea la lettura delle Mille e una notte, specialmente nei domini dell’arte, in quella letteraria naturalmente ma anche, e in modo sensibile, in quella figurativa e in quella musicale. Qui ma, com’è ovvio, non solo qui, la saldezza del principio aristotelico di non contraddizione viene inquinato dall’attitudine ad attribuire ad ogni cosa un volto molteplice. Il concetto di identità diventa una nozione fluida, segreta, misteriosa, per conoscere la quale bisogna affidarsi al sogno che esplora le regioni occulte dell’essere. Montesquieu e Nerval, assieme ai più accesi spiriti romantici, sono gli alfieri di questa nuova tendenza a indagare il sotterraneo e l’arcano. Ma la schiera di coloro che hanno bevuto alla fonte esoterica e illusionistica delle Mille e una notte è diventata, col tempo, una vera e propria legione. Il grande Wolfgang Mozart vi ha attinto a grandi sorsi, come prova Il flauto magico, una delle sue opere più famose. Perfino un cultore dell’equilibrio e dell’ordine come l’altro grande Wolfgang di Germania, Goethe, ha guardato a quel modello per comporre il suo insuperabile Faust. Tra gli altri che hanno subìto fortemente l’influenza delle Notti vanno segnalati, considerando letterati, musicisti e pittori (e ci limitiamo solo ai nomi più illustri), Chautebriand, Hoffman, De Quincey, Diderot, Balzac, Flaubert, Ingres, Delacroix, Gericault, Renoir, Rimskij-Korsakov, Dickens, Stevenson, Hofmannsthal, Borges. Nemmeno Marcel Proust può dirsi esente da quell’influsso e perfino, certo senza alcun sospetto da parte dell’interessato,  Sigmund Freud, indagatore di sogni e di chimere sessuali. 



Dionisio


Le illustrazioni, nell’ordine: stampa ottocentesca con la narratrice Sharazade; due dipinti ispirati al mondo arabo di  Eugene Delacroix; ritratto d’arabo di Theodore Gericault; due scene tratte dal film “Il fiore delle Mille e una Notte” di Pier Paolo Pasolini (episodio “Storia di Alì Shar e della schiava Zumurrud ”).

5 commenti:

Hesperia ha detto...

Che bel post Dionisio! Per me poi, che sono un'appassionata di novelle, fiabe e favole!
La morale di Sherazade è che la poesia, l'arte, salvano la vita. O comunque rallentano la morte. POiché notte dopo notte la principessa si sottrae alla crudele misoginia del re che poi si innamorerà di lei.
Ne ricordo tante di queste fiabe: Il viaggio di Sinbad il marinaio, il genio nella bottiglia, il ladro di Bagdad (che è stato anche un film mirabolante), Ali Babà e i 40 ladroni, Il tappeto volante ecc.

Hesperia ha detto...

Un'altra cosa che voglio aggiungere è che le fiabe sono espressione dell'immaginario collettivo di un popolo e affondano nelle loro tradizioni e costumi. Ed è evidente che quanto scrivi sui continui rovesciamenti di verità ivi contenuti, hanno a che fare con la mentalità degli arabi. Non sempre per noi comprensibile.

johnny doe ha detto...

Fra le innumerevoli cose che si posson dire e son state dette di quest'opera,mi piace interpretarla come il trionfo della capacità seduttiva e sognante dell'animo femminile nei confronti dell'uomo,anima pesante, che non sa sognare e staccarsi dalla materialità delle cose...uomo che però alla fine é conquistato dal sogno.
Una parabola anche di come la poesia incantatrice del racconto possa sconfiggere il male.

marshall ha detto...

Dionisio,
dopo aver letto il post, mi son reso conto che affrontare "Le mille e una Notte" è un tema alquanto complesso. E per me, che ho letto solo qualche episodio, da qualche vecchia antologia, ogni volta che se ne parla è occasione per capire qualcosa della filosofia che sta alla base dell'opera. Qui apprendo di quel modo, secondo me originale, della chiave di lettura, opera da te vista come "il trionfo dei contrari". E correggimi se sbaglio, dandoti la paternità dell'affermazione.
Un collega de Il Culturista tempo fa ha parlato delle "Mille e Una Notte", ma credo per tutt'altra faccenda, forse a proposito dei film di Pasolini.
Da come vedo, per "Le Mille e Una Notte" c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare.

OT
Non era quello il libro di Vassalli, sul quale s'è comunque acceso il mio interesse.

Nessie ha detto...

Mi è piaciuta molto l'interpretazione di Johnny sulla capacità "seduttiva e sognante dell'animo femminile nei confronti dell'uomo". Sheherazade è un po' tutto questo e il suo novellare guarisce il Re dalla sua crudele misoginia.

In molte altre tradizioni il racconto e il raccontare della tradizione orale popolare era affidato alle donne. Basta pensare alle novellatrici alla corte di Re Sole in Francia. Una di queste era Madame Leprince de Beaumont e alla sua memorabile fiaba di La Bella e la Bestia.

Ma Dionisio dov'è ? :-)