Le mille e una Notte è un labirinto narrativo dove ogni racconto si
biforca in altri racconti, dando origine a infinite metamorfosi di situazioni,
di generi, di personaggi; la realtà si confonde spesso col sogno, ogni cosa è
quella cosa ma anche, prima o poi, il suo contrario. Dalle spoglie di un
uccello si materializza un principe, ogni animale può nascondere un uomo, ogni
uomo può rivelarsi quello che non ci si aspetta. Un povero vestito di stracci
nasconde un califfo o un guerriero. Un barbiere sembra un perditempo e uno
sciocco ma poi si palesa per un sapiente. Un’isola dove i naviganti scendono
per riposarsi si trasforma in una balena che s’immerge, trascinando nell’abisso
gli incauti che l’hanno scambiata per una terraferma. Personaggio paradigmatico
di tutta l’opera è Harùn el Rashìd, il califfo che, per scoprire come vivono e
cosa pensano i suoi sudditi, si traveste da popolano e si mescola alla folla,
divenendo al tempo stesso monarca e popolano e sperimentando così la vertigine
di essere se stesso e l’altro da sé. L’autore, o meglio gli autori di questa
macchina prodigiosa non hanno letto Aristotele e non conoscono il suo principio
di non contraddizione, secondo il quale un uomo è un uomo e non può essere
anche una trireme o un muro: nozione che ha guidato per lungo tempo il cammino
di noi occidentali.
La stessa cornice di questo
immenso contenitore di novelle si presenta come un’affermazione dei contrari:
il tradimento sostituisce la lealtà, la maestà e la bellezza esigono il
coniugio col plebeo e col laido. All’origine del meccanismo narrativo c’è un
adulterio, quindi, apparentemente, l’evento più comune e banale, ma quello che
più d’ogni altro sfrena la lingua e, in quanto causa di disordine e conflitto
da cui scaturisce la tragedia o la commedia, il motore stesso della narrazione.
Ma il tradimento viene consumato sempre all’insegna dell’affermazione dei
contrari: le mogli dei due sultani traditi commettono l’adulterio affinché si
verifichi la congiunzione del bianco col nero, del regale col servile, della
bellezza con la deformità, del luminoso col tenebroso; una regola che si
perpetuerà per tutta la durata delle Notti.
Dunque, c’è un adulterio, anzi due adulteri, perché i mariti traditi sono due,
i fratelli sultani, i quali, alla scoperta del tradimento, reagiscono entrambi
decretando la morte immediata delle mogli e degli amanti infedeli. Ma uno dei
due, sia per scongiurare il ripetersi dell’onta subita, sia per vendicarsi del
genere femminile, giudicato ormai non degno d’alcuna fiducia, adotta una
singolare e crudele abitudine: quella d’impalmare ogni giorno una nuova
fanciulla, facendola giustiziare allo spirare della prima notte nuziale
trascorsa con lei. E’ a questo punto che entra in scena Sharazade, la
giovinetta dotata d’un dono di narratrice così cattivante da far rimandare ogni
volta la sua esecuzione al re che non può fare a meno d’ascoltare, notte dopo
notte, i suoi infiniti e seducenti racconti.
Da quando, tre secoli orsono, il
francese Antoine Galland tradusse e pubblicò i suoi Contes arabe, (non importa se, come fu affermato in seguito, alcune
novelle le tradusse, altre le inventò, tutte le riscrisse nel suo stile
squisito e incantatore), l’Europa fu sedotta e irretita da questo lussuoso ginepraio
abitato copiosamente dall’errore e dall’equivoco, da questo viaggio notturno
dove la realtà e il meraviglioso si scambiano incessantemente le parti e dove
si transita con estrema disinvoltura dalla soglia dell’essere a quella
dell’apparire. Come per un’ubriacatura o
per una vertigine, la coscienza europea fu pervasa dall’impressione che il
sovrannaturale abitasse in mezzo agli uomini e che la frivolezza andasse a
braccetto della tragedia, che il reale fosse alleato dell’inverosimile e che il
miracolo fosse un attributo del gioco. La sua immaginazione cominciò a nutrirsi
di questo equivoco e a percorrere con leggerezza i deliri evocati dalla magia
ambigua e illusionistica delle Notti
Arabe. Nessuno ha mai indagato veramente il significato che ha avuto per la
cultura europea la lettura delle Mille e
una notte, specialmente nei domini dell’arte, in quella letteraria
naturalmente ma anche, e in modo sensibile, in quella figurativa e in quella
musicale. Qui ma, com’è ovvio, non solo qui, la saldezza del principio
aristotelico di non contraddizione viene inquinato dall’attitudine ad
attribuire ad ogni cosa un volto molteplice. Il concetto di identità diventa
una nozione fluida, segreta, misteriosa, per conoscere la quale bisogna
affidarsi al sogno che esplora le regioni occulte dell’essere. Montesquieu e Nerval, assieme ai più accesi spiriti
romantici, sono gli alfieri di questa nuova tendenza a indagare il sotterraneo
e l’arcano. Ma la schiera di coloro che hanno bevuto alla fonte esoterica e
illusionistica delle Mille e una notte
è diventata, col tempo, una vera e propria legione. Il grande Wolfgang Mozart
vi ha attinto a grandi sorsi, come prova Il
flauto magico, una delle sue opere più famose. Perfino un cultore
dell’equilibrio e dell’ordine come l’altro grande Wolfgang di Germania, Goethe,
ha guardato a quel modello per comporre il suo insuperabile Faust. Tra gli altri che hanno subìto fortemente
l’influenza delle Notti vanno
segnalati, considerando letterati, musicisti e pittori (e ci limitiamo solo ai
nomi più illustri), Chautebriand, Hoffman, De Quincey, Diderot, Balzac,
Flaubert, Ingres, Delacroix, Gericault, Renoir, Rimskij-Korsakov, Dickens,
Stevenson, Hofmannsthal, Borges. Nemmeno Marcel Proust può dirsi esente da
quell’influsso e perfino, certo senza alcun sospetto da parte dell’interessato, Sigmund Freud, indagatore di sogni e di
chimere sessuali.
Dionisio
Le illustrazioni, nell’ordine:
stampa ottocentesca con la narratrice Sharazade; due dipinti ispirati al mondo
arabo di Eugene Delacroix; ritratto
d’arabo di Theodore Gericault; due scene tratte dal film “Il fiore delle Mille
e una Notte” di Pier Paolo Pasolini (episodio “Storia di Alì Shar e della schiava
Zumurrud ”).
5 commenti:
Che bel post Dionisio! Per me poi, che sono un'appassionata di novelle, fiabe e favole!
La morale di Sherazade è che la poesia, l'arte, salvano la vita. O comunque rallentano la morte. POiché notte dopo notte la principessa si sottrae alla crudele misoginia del re che poi si innamorerà di lei.
Ne ricordo tante di queste fiabe: Il viaggio di Sinbad il marinaio, il genio nella bottiglia, il ladro di Bagdad (che è stato anche un film mirabolante), Ali Babà e i 40 ladroni, Il tappeto volante ecc.
Un'altra cosa che voglio aggiungere è che le fiabe sono espressione dell'immaginario collettivo di un popolo e affondano nelle loro tradizioni e costumi. Ed è evidente che quanto scrivi sui continui rovesciamenti di verità ivi contenuti, hanno a che fare con la mentalità degli arabi. Non sempre per noi comprensibile.
Fra le innumerevoli cose che si posson dire e son state dette di quest'opera,mi piace interpretarla come il trionfo della capacità seduttiva e sognante dell'animo femminile nei confronti dell'uomo,anima pesante, che non sa sognare e staccarsi dalla materialità delle cose...uomo che però alla fine é conquistato dal sogno.
Una parabola anche di come la poesia incantatrice del racconto possa sconfiggere il male.
Dionisio,
dopo aver letto il post, mi son reso conto che affrontare "Le mille e una Notte" è un tema alquanto complesso. E per me, che ho letto solo qualche episodio, da qualche vecchia antologia, ogni volta che se ne parla è occasione per capire qualcosa della filosofia che sta alla base dell'opera. Qui apprendo di quel modo, secondo me originale, della chiave di lettura, opera da te vista come "il trionfo dei contrari". E correggimi se sbaglio, dandoti la paternità dell'affermazione.
Un collega de Il Culturista tempo fa ha parlato delle "Mille e Una Notte", ma credo per tutt'altra faccenda, forse a proposito dei film di Pasolini.
Da come vedo, per "Le Mille e Una Notte" c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare.
OT
Non era quello il libro di Vassalli, sul quale s'è comunque acceso il mio interesse.
Mi è piaciuta molto l'interpretazione di Johnny sulla capacità "seduttiva e sognante dell'animo femminile nei confronti dell'uomo". Sheherazade è un po' tutto questo e il suo novellare guarisce il Re dalla sua crudele misoginia.
In molte altre tradizioni il racconto e il raccontare della tradizione orale popolare era affidato alle donne. Basta pensare alle novellatrici alla corte di Re Sole in Francia. Una di queste era Madame Leprince de Beaumont e alla sua memorabile fiaba di La Bella e la Bestia.
Ma Dionisio dov'è ? :-)
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