giovedì 26 novembre 2009

Vedute

Tra tanti generi di pittura, esiste anche la 'veduta'.
Uno dei maggiori vedutisti è Giovanni Antonio Canal, più noto come Canaletto (Venezia, 1697-1768). I suoi dipinti mostrano grande cura nella resa della natura, del paesaggio, della topografia, con attenzione particolare alle connotazioni architettoniche. All'inizio le vedute sono 1)'vedute ideate' e 2)'capricci': 1)elementi architettonici presentati con cura ma estratti da contesti propri e reinterpretati in scene immaginarie, 2)l'altra tipologia sono paesaggi immaginari con rovine e monumenti.
Ma Venezia del Settecento riunisce l'estetica della veduta e lo spirito illuministico. Il diffondersi delle idee illuministiche e razionalistiche fanno sì che Canaletto adoperi, ad un certo punto, per le sue vedute, un'idea scientifica dell'immagine, realizzata mediante studi sulla prospettiva e sulle capacità dell'occhio, sulle teorie del punto di vista. Si serve infatti anche della camera ottica.
Lo strumento è in realtà molto più antico, ma se ne fa grande uso in quest'epoca che richiede una visione analitica, capace di una veridicità inedita. Sull'immagine dal vero proiettata dallo strumento l'artista realizza sì uno schizzo, ma alla fine la calibratura dei volumi, le coloriture ricche rimangono artistiche e personali, non solo 'copiate' dall'immagine riflessa.
Di seguito la sua "S.Cristoforo, S.Michele e Murano", precisa, ma ugualmente vibrante, immersa in un'atmosfera dorata:




Anche il genere della veduta nasce in precedenza: alla fine del '500 a Roma, nel '600 come rappresentazioni di ruderi e antichità, solo alla fine del '600 si caratterizza come veduta realistica. E' diffusa anche nel Seicento al Nord, ha successo in Olanda e tutta Europa, a volte per mostrare a chi non poteva viaggiare quali sarebbero stati gli scenari d'arte e città del Grand Tour: chiaramente in Italia dove gli scorci architettonici sono sempre stati più numerosi e ricchi, trova terreno fertile nella rappresentazione delle grandi città d'arte, ora con taglio fotografico-realistico, ora con effetto quinta architettonica-scenografia.



Ma ci sono numerose e precisissime vedute del Canaletto anche di città estere. In realtà Canaletto ricrea il genere della veduta trasformandolo quasi in 'paesaggio razionale', superando, con le sue aggiunte stilistiche personali, il precedente olandese Gaspar van Wittel. Per affrontare il genere della veduta, il fruitore può ammirare la precisione della pittura, ma col tempo all'interno dei canoni del genere, può rendersi conto che non si tratta solo di "maniera" (anche se di una splendida maniera) o di ritratto oleografico di città, ma una forte personalità nel tratto, nella resa, è comunque presente.

Altro grande vedutista è Bernardo Bellotto (Venezia, 1721-Varsavia 1780).



Nipote di Canaletto (e a volte confuso con lo zio) dopo l'apprendistato presso le maggiori città italiane, e ovviamente Venezia, sarà di casa presso grandi Capitali europee. Rispetto alla pittura del precedente, Bellotto sottolinea maggiormente i dettagli architettonici, accentua rese veristiche quasi fotografiche, ma aggiunge una sorta di drammaturgia della visione: i cieli sono profondi, spesso in movimento, il gioco chiaroscurale sottolinea una sensibilità più drammatica e meno olimpica.



Si trasferisce a Dresda sotto il patrocinio di Augusto III nel 1747. Sarà ancora a Vienna, a Monaco, prima degli ultimi anni di vita a Varsavia (la precisione delle sue vedute di Varsavia sarà utile anche per la ricostruzione della città dopo la II Guerra Mondiale).
Il suo modo di rappresentare Dresda è particolarmente interessante, come parte della storia della città stessa che assume un valore paradigmatico.



La città si trova sul Fiume Elba, è oggi patrimonio dell'Unesco, era chiamata "Firenze sull'Elba". Dresda conta, nel corso della sua storia, numerose distruzioni: nel 1491 a causa delle fiamme; poi ad opera dei bombardamenti prussiani nel 1790; durante le rivolte per la richiesta della Costituzione nel 1849, stagione dei moti; è stata quasi completamente rasa al suolo nei bombardamenti americani del 1945 (a febbraio, marzo e aprile). Dunque Dresda può rientrare nel novero delle città dolenti, e più volte cadute nella polvere,
d'Europa.
La Dresda rappresentata da Bellotto è, storicamente, quella del bombardamento del 1760: mostra una città colpita nel suo cuore simbolico più autentico, e anche il quadro rappresenta uno shock rispetto alla continuità della sua figurazione abituale. "I resti della Kreuskirche":




Il periodo, per esattezza, è la Guerra dei 7 anni. L'alleanza austro-russa si accinge ad attaccare Federico II di Prussia. Federico riesce a far breccia preventivamente in Sassonia e attacca violentemente Dresda.
La distruzione è epocale, la città subisce un grave bombardamento. Anche la dimora dell'artista è distrutta, con quanto di prezioso conteneva.
Bellotto nella rappresentazione della città violata continua ad adoperare il suo stile vedutista con influsso illuminista, ma nel quadro, pur dipinto secondo i canoni consueti, trapela una grande drammaticità.
La scena mostra la Piazza, i resti della grande Chiesa di Santa Croce, con il centro della città sullo sfondo morto: pare di cogliere, della distruzione, le pietre staccatesi dagli architravi, l'impressione è di respirare la polvere in maniera tangibile, sembra lo scenario di una grande Caduta.
Il quadro è chiaramente un altro capolavoro, anche se in memoria di un fatto tragico.
La storia poi accatasta distruzione su distruzione. L'emozione negli occhi di chi guarda aumenta se ci si ricollega alla successiva distruzione di Dresda che conosciamo più da vicino, quella americana del 1945. In quest'ottica il dipinto sembra profetizzare in maniera simbolica un destino sinistro.

Nella successiva DDR Dresda diviene uno tra i più importanti centri industriali. La potenza industriale dell'altra parte di Germania, lo stile di vita, le possibilità di libertà non eguagliano le condizioni degli altri paesi europei, e nemmeno l'altra metà del paese. Per i tedeschi dell'Est si tratta ancora di una nuova ferita. Visti oggi, sanno che non si stava meglio quando si stava peggio, eppure la risalita è lenta e faticosa, e lo si ricorda ora che da poco si è celebrata la caduta del Muro.
Si ritrovano consegnata una democrazia recente e un capitalismo che li può divorare, come fatti dall'esterno, liberati sì ma lasciati anche soli. La ricostruzione di Dresda dopo i bombardamenti USA incominciò negli anni del socialismo, proprio grazie ai dipinti dettagliati di Bellotto, usati come una guida, una pianta, una memoria. Ma anche il regime DDR cancella a Dresda altre tracce di memoria e d'arte, Vie storiche, per operare la consueta tabula rasa iconoclastica. Prima, nel bombardamento USA, era rimasta distrutta anche la Frauenkirche, chiesa barocca importantissima per la città (oggi ricostruita).

Di nuovo il fruitore può sobbalzare, davanti al quadro di Bellotto, SE ha consapevolezza del presente,
pensando alle chiese profanate di recente in Kossovo.
Il dipinto di Bellotto su Dresda caduta ha tanto da insegnare ancora oggi, assume purtroppo valori metaforici sempre nuovi nella contemporaneità. Anche in visione di tante iniziative, fatte passare come "magnifiche sorti e progressive", della "nuova" idea d'Europa, spersonalizzante e sradicata.


JOSH

venerdì 20 novembre 2009

Venezia per tutti, tutti per Venezia

"Sono i cittadini a fare la città": frase
coniata da un ex contadino, mio conoscente, a cui piace inserirla nei discorsi, quando gli vien chiesto se sia meglio viveve in città o in campagna. Frase enunciato valido per Venezia, che, al diminuire incessante del suo numero di cittadini, potrebbe perdere il diritto di chiamarsi città. Ipotesi assurda, ma non tanto. Dal 1600 in poi, Venezia è andata progressivamente spopolandosi, perdendo il ruolo di seconda metropoli più popolata d'Europa; dopo Londra, che invece ha mantenuto e consolidato il primato costantemente nel tempo. Con i suoi 200.000 abitanti, Venezia era la seconda città del mondo occidentale, per numero di abitanti, durante il Rinascimento. Un numero molto elevato, se consideriamo che Roma, all'inizio del '500, aveva appena 85.000 abitanti, e 100.000 un secolo più tardi.
Per sensibilizzare l'opinione pubblica sul decremento demografico di Venezia, dovuto al deflusso progressivo e inarrestabile dei suoi residenti, sabato 14 novembre è stato inscenato il Funerale di Venezia. Una bara addobbata di tutto puntino, racchiusa in un manto color fucsia, incoronata di fiori e con la scritta"I Cittadini Veneziani", contenente simbolicamente il "cadavere" della città di Venezia, è stata trasportata da una "balotina", con quattro vogatori che le hanno fatto percorrere tutto il Canal Grande, passando sotto il Ponte di Rialto con arrivo alla sede del Municipio Cà Farsetti. La cerimonia è descritta da Fausto nel suo blog, con dovizia di particolari. Dati inoppugnabili testimoniano il progressivo spopolamento della città, che, alla lunga, potrebbe causarne la "morte". Nell'immediato dopoguerra Venezia aveva ancora 150.000 abitanti. Ridotti a metà negli anni '80, secondo dati da verificare ci sarebbero attualmente (ottobre 2009) 60.020 abitanti residenti. Di questo passo Venezia è destinata a diventare una sorta di Disneyland, frequentata solo da pendolari addetti alle varie attività e servizi turistici, e dai turisti stessi.
Fausto, veneziano da tante generazioni, forse tra i pochi appartenenti a questa sorta di specie in via d'estinzione (nella quale possiamo sicuramente includere l'attore veneziano Lino Toffolo), rimasto fedelmente a risiedere in città - dove gestisce un albergo economico - ne conosce assai bene storia e vita, abitudini e modo di vivere dei suoi concittadini. A suo parere, l'esodo dalla città lagunare per andare a risiedere sulla terra ferma, è dovuta agli affitti troppo elevati. E ad ogni trasloco, cui ha modo di assistere, vede scomparire una parte viva della città, rammentandogli la lenta agonia e la morte cui è destinata, se non si riuscirà a bloccarne l'emorragia.
Confidando nella Divina Provvidenza, affinchè risparmi al mondo la catastrofe che prevedono si verifichi, causata dall'effetto serra, per rivitalizzare Venezia c'è un unica strada percorribile, le cui idee verranno esposte nell'altro blog: ecopolfinanza .
Ma le cause dell'esodo sono forse anche altre. Nell'epoca degli agi e dei confort portati dalla motorizzazione di massa, Venezia, pur mantenendo integro il suo fascino unico al mondo, non può dare quel genere di confort che invece potrebbe essere fornito mediante un uso intelligente delle automobili. Col progresso, Venezia è quindi diventata città difficile da vivere, soprattutto per i non più giovani o per chi è affetto da patologie o da postumi di incidenti invalidanti. La fitta presenza di canali (ve ne sono circa 200 nel centro storico) e relativi ponti per poterli attraversare (ve ne sono oltre 400 in tutta Venezia), costituisce un forte deterrente per le famiglie che volessero andare a vivere a Venezia, e una barriera reale al libero movimento di persone con handicap motori. Vorrei sbagliare, ma credo che nelle valutazioni di chi intende lasciare Venezia per andarsi a stabilire sulla terraferma, vengono prese in considerazione anche tali infauste eventualità. A completare il quadro sui motivi che sconsiglierebbero di "metter su casa a Venezia" vi sarebbe poi il catastrofismo messo in piedi dai teorici del global warming. In assenza di adeguate politiche globali, volte a salvaguardare le condozioni di vita sulla terra, potremmo assistere all'innalzamento del livello del mare fino a sei metri, con la conseguente andata sott'acqua di Venezia. Sarebbe una tragedia di portata biblica, forse paragonabile a quella del Diluvio Universale, che priverebbe l'Umanità di una delle sue Perle più belle: Venezia.
Tralasciata questa molto malaugurata ipotesi, soffermiamoci per ora su quanto l'Amministrazione Comunale di Venezia ha fatto, con mio grande stupore, negli anni appena trascorsi, e quanto ancora sembra determinata a fare proprio in favore dei disabili e degli anziani, siano essi turisti che residenti. Le passerelle allestite per agevolare e rendere meno faticoso l'attraversamento dei 13 ponti - di cui 6 in Fondamenta delle Zattere (vedere http://www.alloggibarbaria.blogspot.com/2008/11/fondamenta-delle-zattere.html ) e 7 in Riva degli Schiavoni - da parte dei circa 7000 atleti che il 25 ottobre scorso hanno partecipato alla Venice Marathon 2009 - la maratona di Venezia giunta alla 24a edizione - resteranno montate e funzionali fino all'11 febbraio 2010, data di chiusura del Carnevale di Venezia. Alla maratona ha partecipato anche un gruppo di disabili, partiti con 15 minuti d'anticipo rispetto ai concorrenti normodotati, capeggiato da Alex Zanardi, lo sfortunato pilota di Formula 1, che ha perso l'uso delle gambe nel noto incidente di gara. Sono chiari segnali d'attenzione dell'amministrazione comunale veneziana verso i portatori di handicap motorio, ai quali stanno cercando di rendere il più accessibile possibile, e quindi godibili, le bellezze di Venezia anche per loro. Almeno una volta nella vita, fare un giro per Venezia, godere della sua magia, passeggiare lungo i canali, magari passando sui ponti alla maniera di Indiana Jones, in compagnia della bella professoressa Elsa Schneider e di Marcus Brody, nel film Indiana Jones e l'ultima Crociata, con l'attraversamento del Ponte dei Pugni, per andare verso la bliblioteca, che in realtà è una chiesa, situata nell'omonimo Campo San Barnaba, la quale ospita da qualche anno la mostra dedicata alle "Macchine di Leonardo da Vinci".
Andare per calli e calletti, campi e campielli, attraversando i numerosi sottoportici sparsi per la città, deve essere un piacere unico, che l'amministrazione comunale, con queste iniziative, sembra voler far provare anche ai meno fortunati.
Con queste ed altre iniziative, descritte con precisione da Fausto nel suo corposo blog, e in modo particolare nel post Venezia per i disabili , la Città si prepara a diventare sempre più accessibile anche ad anziani e disabili con problemi di deambulazione.
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-A lato: Ponte Ognissanti - allestito per disabili.
Da notare il lungo percorso fatto dalla pedana, per darle una giusta pendenza, tale da rendere il meno faticoso possibile il suo attraversamento. Esso non fa parte dei 13 ponti allestiti per lo svolgimento della Venice Marathon. Si presume sia quindi in servizio permanente.
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-Sopra, a destra: concorrenti della Venice Marathon 2009 al passaggio di Ponte Lungo
in Fondamenta Zattere al Ponte Longo, prospicienti il Canale della Giudecca
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-In mezzo: servoscala per disabili al Ponte Manin
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Si ringrazia il sig. Fausto, dal cui blog sono stati desunti buona parte dei dati menzionati in questo post. Si ringrazia, inoltre, per l'autorizzazione concessa alla pubblicazione delle tre foto di cui sopra. Il blog di Fausto è il seguente: http://www.alloggibarbaria.blogspot.com/ - Venezia.
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Sopra a sinistra: Cà Farsetti e Cà Loredan, sede del Municipio di Venezia - da Wikipedia
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Al centro, in alto: Riva degli Schiavoni (Canaletto) - da Wikipedia: luogo di conclusione (in Riva dei Sette Martiri) della Maratona di Venezia.

Nota: posseggo una conoscenza molto limitata di Venezia, per cui, per rispondere a specifici commenti a riguardo, mi avvarrò della consulenza professionale del sig. Fausto, che ringrazio fin d'ora per la preziosa collaborazione offerta.

venerdì 13 novembre 2009

Un trans chiamato desiderio...

Il fenomeno del transessualismo, venuto attualmente alla ribalta con l’affaire Marrazzo, ha origini antiche e abbraccia differenti culture.
Nella mitologia e nella storia classica, nel Rinascimento e nella storia dell'Ottocento, vi sono abbondanti testimonianze che dimostrano l'estesa area di penetrazione del fenomeno transessuale; anche se il suddetto termine è relativamente recente, nella storia dell’umanità i riferimenti a tale fenomeno sono ampi e svariati.
Si hanno attestazioni di uomini desiderosi di cambiar sesso fin dall’epoca dell’antica Grecia e di Roma, Filone, il filosofo di Alessandria, scrisse: “Riservando ogni possibile cura al loro adornamento esterno, costoro non hanno neppur vergogna di ricorrere a qualsiasi espediente per mutare artificialmente in femminile la loro natura d’uomini… Alcuni di loro… bramando una completa trasformazione in donne, hanno amputato i propri organi della generazione”.
Ci sono anche nelle storie di imperatori romani delle notizie di casi di “cambiamento di sesso”. Una delle prime operazioni di cambiamento di sesso sarebbe stata eseguita per ordine del truce Nerone. A quanto pare, Nerone, durante un accesso di rabbia, tirò un calcio all’addome della moglie incinta, uccidendola. In preda al rimorso, cercò di trovare qualcuno il cui volto somigliasse a quello della moglie assassinata. Quello che meglio si adattava all’esecuzione dell’ordine dato era un giovane liberto di sesso maschile, Sporo. Si narra dunque che Nerone abbia ordinato ai suoi chirurghi di trasformare il liberto in donna. A seguito della “conversione”, i due contrassero nozze formali.
C’è poi la storia di Eliogabalo, che avrebbe impalmato un poderoso schiavo, e poi avrebbe assunto le funzioni di moglie dopo il matrimonio. Si descrive Eliogabalo “deliziato a sentirsi chiamare la signora, la sposa, la regina di Ierocle” e si dice che avrebbe offerto la metà dell’Impero Romano al medico che l’avesse potuti dotare di genitali femminili. Qui altri interessanti esempi di transessuali nella storia.
Il fenomeno quindi non è nuovo e il numero sempre crescente dei trans in Italia, la dicono lunga su quanti italiani apparentemente etero, si dilettano, con queste “donne” ben dotate di genitali maschili.
L’affaire Marrazzo ha solo portato alla luce, una realtà clandestina, che ha scatenato una vera e propria trans-mania: giornali, trasmissioni più o meno impegnate, reality,contenitori pomeridiani e talk show sono tutti sommersi da trans di ogni genere e ce n’è per tutti i gusti: uomini con “davanzali” e gambe da fare invidia alle “bonazze d’antan, donne con barba e pizzetto e pancione, padri diventati madri e viceversa. E’ come se, tutt’a un tratto, i mass media italiani si siano resi conto di fenomeno antico quanto la prostituzione, ma che ora come non mai è legato alla vita di tutti i giorni. Un marito esce per andar in ufficio e durante la pausa pranzo si fa una “ sveltina” con Efe, il trans più desiderato d’Italia. Oppure si concede il “peccato” per festeggiare il suo compleanno!
A sentire parlare Efe sembra più una manager agguerrita che una "peripatetica" dotata di "appendice",
ha una media di 120 clienti al mese e guadagna una montagna di soldi, basti pensare che ha una casa di 280 mq in centro a Milano. Nessuno meglio di lei dovrebbe saper spiegare perché un uomo normale va a trans (gli omosessuali infatti non ci vanno). Ma non lo sa: "Sono stata con tanti e non li ho ancora capiti, questi uomini. Sono annoiati della vita, il trans è adrenalina ed è femmina e maschio. Hanno poca fantasia, mi dicono tutti la stessa cosa: “Sai, ho una fidanzata, ho una moglie… per me è la prima volta…”. Balle! Ne hanno due per nascita e mille in testa”.
Io credo che quando la società si svuota di tutti i valori immateriali e li sostituisce con quelli materiali, la ricerca del pacere personale e fisico diventa parossistica, e i limiti si spostano sempre più avanti. Privé, trans, orge, pornografia e cocaina diventano "terre promesse" di piaceri inesauribili, ma la noia é sempre dietro l'angolo, quando la vita é vuota e nemmeno la bella Efe (per altro simpatica e arguta) può dare più di qualche attimo di effimero piacere fisico. Lo stesso effetto di una buona tavoletta di cioccolato;-)
Aretusa

venerdì 6 novembre 2009

Land of Plenty e la fine del sogno americano


Ho visto in dvd, un film che mi era sfuggito : Land of Plenty (La terra dell'Abbondanza) di Wim Wenders (2004), ispirato nel titolo ad una ballata di Leonard Cohen. Non l'ho trovato cinematograficamente convincente e condivido questa recensione.  Tuttavia il dvd contiene un' interessante intervista interna dell'autore che merita attenzione. Premetto che Wenders non è un Michael Moore qualsiasi, ma al contrario, è innamorato di questo grande e contradditorio paese. Si trovano tracce evidenti  di cinema americano ( in particolare, dei road movie) nei suoi film  "L'amico americano", "Alice nella città" e soprattutto "Paris Texas".




Quando si parla di crisi, lo si fa in concomitanza col crollo del Sogno Americano (American Dream).  Ma che cos'è davvero questo Sogno?
 In un certo senso ha a che fare con l'essenza della loro Costituzione "The pursuit of Happiness" (il diritto per ogni uomo a perseguire la sua felicità individuale)  e secondo Wenders è un mito fondativo del XVIII e XIX secolo inventato dagli europei  che migrarono in America alla ricerca dell'Eldorado, dovendo mostrare che lasciandosi il vecchio continente alle spalle, il passaggio a  nuova vita non poteva che contenere elementi mitizzati che la rendevano particolarmente allettante. E' un mito sopravvissuto e divulgato nel grande cinema statunitense, che ha finito per esserci venduto quasi come un "prodotto" pubblicitario. "Gli americani" – dice il regista  tedesco – sono un ottimo soggetto di studio, in quanto hanno colonizzato il nostro inconscio" (intervista sul suo film Land Of Plenty). 
Lost people, li definisce lui, cioè persone smarrite, disperse e in un certo senso "scollegate dalla realtà in quanto sono abituate a credersi il centro del mondo". Ma appena viaggiano ed escono da questo epicentro, restano stupite nel constatare quante  ostilità sappiano suscitare  nel mondo e ne hanno un profondo choc.  L'America – dice Wenders – è un ricco paese, ma anche profondamente povero. E non solo per l'esercito dei senzatetto, degli homeless che sono numerosi in molte città, ma soprattutto  povero culturalmente e spiritualmente.
Non dimentichiamoci mai che in America la cultura e l'educazione di un certo livello si pagano e che non tutti vi hanno accesso.
Il patriottismo è il cibo di cui si nutre la propaganda che lo istilla agli Americani di tutti gli strati sociali. Ma lo cosa più sorprendente , è che questo patriottismo e questo sogno venga istillato in particolare alle classi meno abbienti. Sono queste, alcune delle considerazioni di Wim Wenders contenute nel dvd del suo film.
 Nei giorni più neri della crisi legata ai mutui subprime, scaturita nel 2007, erano proprio coloro i quali vivevano nelle tendopoli che avevano la bandiera americana a stelle e strisce che sventolava sulle loro tende o sulle roulotte. Questo è ad un tempo, la loro forza (poiché crea coesione)  e la loro debolezza (poiché mostra scarso spirito critico).
Si diceva  poc'anzi che il sogno americano è un prodotto che sono riusciti a vendere e che fa parte dei miti fondativi. Oggi, però,  questo sogno si è trasformato in un incubo, a causa della debt economy (l'economia a debito) le cui ingenti perdite, vengono spalmate per tutti i paesi del mondo (compreso il nostro). Epperò il sogno è stato impacchettato e diffuso attraverso le tv, Internet, i main streams e i grandi media per i paesi del Sud del mondo , paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Nel contempo, dopo la Caduta del Muro e la fine della Guerra Fredda, la nozione di America si è allargata alla nozione più generica di "Occidente" (West).  Cioè tutti noi:  americani ed europei che dir si voglia.
Ecco perché assistiamo a queste bibliche masse in spostamento dai paesi del Terzo mondo verso di noi in cerca dell'Eldorado Occidentale. E le ragioni sono le stesse che caratterizzarono gli spostamenti degli europei nel Continente nuovo: il mito della terra promessa, della terra dell'opulenza, il mito dell'opportunity, vero o falso che sia. In questo quadro, ecco che ha un senso produrre per il mercato globale, ivi compreso quello asiatico,  film come The Millionaire di Danny Boyle, dove la favola del self made man che persegue la sua felicità , ovvero il suo benessere (un piccolo indiano che vive negli slums e che poi diventa immensamente ricco, dopo aver partecipato a uno di quei quiz televisivi) si trasferisce in India, secondo i dettami della nuova globalizzazione. Ma il sogno, gira e rigira  è sempre quello. E non è un caso che fosse venduto e impacchettato  proprio   nei giorni del fallimento della Lehman & Bros.
Non ci credono nemmeno più gli Americani  al "sogno", non ci crediamo noi Europei,  ma in giro per il mondo dei "candidi" disposti a crederci ancora, si devono trovare: per amore o per forza.  

Hesperia