lunedì 29 settembre 2008

Amico Aspertini, Orbis Pictus

Tra i maggiori esponenti della scuola bolognese, Amico Aspertini, (1474-1552)
ottimo pittore non conosciutissimo, è attivo in epoca Rinascimentale, ma si distingue
grazie a uno stile personale ed eclettico:
nel suo repertorio entrano opere originali assai varie tra loro e talora un po' eccentriche.
Nasce a Bologna in una famiglia di pittori, è noto specialmente per pale d'altare, affreschi e decorazioni di facciate,
e non va dimenticato che fu per una ventina d'anni direttore artistico e architetto decoratore della Basilica bolognese.
Giorgio Vasari nelle 'Vite' ricorda l'incredibile rapidità tecnico-esecutiva di Amico, e la sua realizzazione del chiaroscuro
adoperando entrambe le mani contemporaneamente, con toni chiari in una mano e toni scuri nell'altra, e lo definisce 'uomo capriccioso e di bizzarro cervello'.


(Volta della Cappella della Croce nella Basilica di S. Frediano a Lucca)












Per l'eccessiva originalità di Amico, e l'infrazione delle norme del bello Quattrocentesco,
il Vasari non comprese appieno il talento del pittore, e dice anche di Amico:
"Costui, venuto finalmente in vecchiezza di 70 anni,
fra per l'arte e la stranezza della vita, bestialissimamente impazzò
."
Sarebbe stato un piacere vederlo dipingere, in quella furia compositiva, magari condita con il caratter, già tipico del luogo.
Carlo Cesare Malvasia, nel suo "Felsina pittrice" ne parla
come di un artista irrequieto che mentre girava per tutta Italia "disegnava in certe vacchettine di carta pecora": si tratta di un primo riconoscimento nel 1678.
In realtà si deve attendere il grande critico Roberto Longhi negli anni '30 per avere una rivalutazione appassionata del pittore e dell'opera, che il geniale studioso inquadra in un'ottica antirinascimentale.
E il lavoro critico di Francesco Arcangeli, che vede Aspertini come protagonista
in una lunga linea diacronica di pittura geniale e 'dissidente' che parte da Vitale, poi il nostro, fino a Ludovico Carracci e Giuseppe Maria Crespi -
tappe di un'arte che spesso ha rifiutato la norma, per un primato dell'espressività.
Le figure di Amico possono essere non sempre "belle" secondo il Verbo Quattrocentesco,
prive di quella bellezza ultramundana, iperuranica e neoplatonica, ma di grande efficacia e carica espressiva, spesso nascondono a loro volta un simbolismo e più significati riposti.
L'Umanesimo e la classicità sono ancora presenti, ma in forma dissonante, più emotiva,
in un'epoca in cui l'Umanesimo e il Classicismo si avviavano al tramonto e il Manierismo stava per essere superato:
infatti l'Antico è presente, ma come in forma decadente (le rovine) e malinconica.
Tra i punti di riferimento ideali e i modelli di Amico ci sono elementi molto disparati:
l'eredità di Albrecht Dürer Bologna nel primo decennio del 1500)
le rovine romane, le antichità, la scuola 'concreta' bolognese,
la scena romana di pittori come Filippino Lippi
e Pinturicchio , contatti con Raffaello, Michelangelo, e
la suggestione a lui derivata dalle prime esplorazioni delle grotte della Domus Aurea.

Qui sopra:

- Santa Lucia pala Madonna con il Bambino e i Santi Lucia, Nicola di Bari e Agostino, tempera su tavola cm 273 x 226, Bologna Chiesa di San Martino Maggiore (notare a sinistra il personaggio di Santa Lucia, patrona della vista che ha in un piattino...gli occhi, oggetto del suo martirio) -





Con la maturità, i toni si fanno progressivamente più accesi, colorati, volutamente dissonanti,
la visione drammatica, fantastica e quasi espressionista.
Già ai primi del 1500 sperimenta forme di raffigurazione che possono rientrare nell'anticlassico,
quasi estreme per l'epoca: su tutte basti notare la sua Pietà del 1517
(tempera su tela cm 181 x 266, Cappella Garganelli in San Petronio, Bologna), eseguita con criteri visionari e in parte deformanti (dipinto sottostante)















Segnalo la mostra (e il sito apposito) a lui dedicata
a Bologna, Pinacoteca, 27 sett 2008-11 genn 2009.
Sono presenti 120 opere, che ricostruiscono anche il contesto culturale, l'humus,
e le varie direttrici ideali pittoriche dell'epoca,
con prestiti da musei americani ed europei;
itinerari organizzati (per gli affreschi) alla Chiesa di Santa Cecilia,
di San Giacomo Maggiore, di San Petronio, Collezioni Comunali d'Arte,
Chiesa di San Martino, Chiesa di San Domenico, Chiesa di Santa Maria della Vita,
e Rocca Isolani di Minerbio (3 sale affrescate). Visitare sito:
http://www.amicoaspertini.it/

Josh

lunedì 22 settembre 2008

Un libro buono come le ciliegie…l’ultimo dono di Oriana


Il 15 settembre è stato il secondo anniversario della morte di Oriana Fallaci, lei se n’è andata, l’alieno ha avuto la meglio sul suo fragile corpo e sulla sua indomita volontà.
Oriana ci ha lasciato un ultimo dono, un libro a cui ha dedicato gli ultimi anni della sua vita: “Un cappello pieno di ciliegie” la straordinari saga della famiglia Fallaci che attraversa regioni d'Italia, nazioni e secoli, quello che lei chiamava il suo 'bambino'.
Lo sto leggendo, una pagina tira l’altra proprio come le ciliegie, ci si immedesima a tal punto che vorresti quasi che quelli fossero i tuoi antenati, vorresti aver avuto anche tu una cassapanca da cui estrarre preziosi ricordi, vorresti aver conosciuto Caterina, vorresti aver carezzato il volto sfigurato di Giobatta.
Sullo sfondo la storia della nostra patria, una storia quasi dimenticata, travolta dai titanici cambiamenti mondiali di questi ultimi anni, che stanno cancellando la nostra memoria, le nostre radici.
Nell’immaginario collettivo Oriana è quella della trilogia uscita dopo l’11 settembre, attraverso la quale denuncia la decadenza della civiltà occidentale che, pavida e imbelle, è incapace di difendersi dal fondamentalismo islamico.
Questa forte presa di posizione provocò beceri attacchi che addolorarono molto Oriana. Si ritrovò sola a difendersi dal “fondamentalismo” nostrano, quello dei finti-pacifisti.
Franca Rame la definì una “terrorista”, ma quella che toccò il fondo dell’abiezione fu Sabina Guzzanti, in un’indegna caricatura trasmessa in televisione : “Voi non conoscete la fatica di vivere a Manhattan al 38esimo piano, mentre, voi smidollati non avete avuto neppure il coraggio di sfasciare un bancomat. Amo la pace e l'amo tanto che sarei disposta a radere al suolo una città e a non fare prigionieri. Amo la guerra perché mi fa sentire viva”.
Dal pubblico si levò la frase: «Ti venisse un cancro». E la Guzzanti: “Ce l'ho già e ti venisse anche a te e alla tu' mamma”.
Oriana rispose all’oca crudele (come lei stessa definì la Guzzanti) così: “Giovanotta, essendo una persona civile io le auguro che il cancro non le venga mai. Così non ha bisogno di quell'esperienza per capire che sul cancro non si può scherzare. Quanto alla guerra che lei ha visto soltanto al cinematografo, per odiarla non ho certo bisogno del suo presunto pacifismo. Infatti la conosco fin da ragazzina quando insieme ai miei genitori combattevo per dare a lei e ai suoi compari la libertà di cui vi approfittate”.

Ma Oriana è ricordata e notissima all’estero per ben altri meriti, perché era prima di tutto una grandissima giornalista e cronista, nella sua lunga e fortunata carriera si è occupata di tutto, moda, cinema, dibattiti e polemiche culturali, inchieste sulla condizione femminile, politici italiani ed internazionali.
Con tutti fu se stessa, senza timore, senza ipocrita riverenza:
“Ma che diavolo sta inventando, Sig. Colby?!? Ma come si permette di falsificare così la storia? A William Colby Capo della cia 12 marzo 1976

“Lei è proprio più papista del Papa. Meno male che lei non ha fatto il prete e non è divenato Papa”
A giulio Andreotti 14 marzo 1974

“Forse non sa il francese come afferma, forse la sua vecchia mente non segue i concetti” sul negus Haile Selassie 15 giugno 1972

“ Non è seducente, così basso e tarchiato e oppresso da quel testone d’ariete” Henry Kissinger 16 novembre 1972

“Nessuno, middio, era mai stato così stupido da autoincastrarsi con un sistema elettronico di registrazione su nastro” su Richard Nuxon 29 agosto1974

"I suoi nonni, illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da 1.400 anni mi rompono le scatole” Ad Arafat 29 settembre 2001.

Questa era Oriana ironica, sincera, aggressiva, furente, esplosiva, instancabile, ma anche capace di grande tenerezza solo che preferiva rivelarla ai più intimi. Non si svendeva e nella sua vita ha avuto solo una ‘padrona’: la libertà. La vita non è vita senza libertà: “Ho sempre amato la vita. Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita… Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano”.
Grazie Oriana
Aretusa

martedì 16 settembre 2008

Come eravamo, chi siamo e quanto durerà

Nell'Italia dell'outlet e dell'iperstore, dei fast food, del malpaese sempre più in svendita, trovare piccoli villaggi, borghi marinari, realtà circoscritte dove la piazzetta è ancora il luogo d' incontro e di aggregazione è quasi un miracolo. Eppure succede e bisognerebbe incoraggiare e diffondere questi antichi stili di vita trasmettitori di antichi saperi, mediante intelligenti politiche urbanistiche a misura d'uomo, dove le vecchie generazioni convivono con le nuove, le nuove con le nuovissime. Complice ovviamente il clima mite e la bella stagione che favorisce gli incontri e che porta la gente a vivere en plein air. In alcuni villaggi liguri ad esempio, c'è la chiesetta, le case circostanti, ciascuna con piccole edicole votive di madonnine e di santi protettori. Ci sono le anziane signore che lavorano all'uncinetto, ci sono i bambini che giocano ai quattro cantoni, o a rialzo, o a rimpiattino. C'è un chiacchiericcio nelle sere d'estate mentre si spande per l'aria calma il profumo del gelsomino che arrampica sui muri.





Sui fatidici muretti del lungomare, giovani compagnie di ragazzi e ragazze, chiacchiarano e scherzano mangiando un gelato, mentre se ne stanno al fresco, le gambe a penzoloni. Ogni portone di casa ha un batacchio a forma di chimera, di medusa, di teste di leoni o serpi, quasi in funzione apotropaica. Oppure una mano con una palla di ferro. E guardandoli mi ricordo dei nostri ingenui scherzi di ragazzi quando andavamo a percuoterli con forza, per poi nasconderci se l'interessato si affacciava al balcone. "Chi è ? Chi ha suonato?". E noi rimpiattati in un angolo del portone a soffocare per le risate trattenute.

Un tempo non c'erano i campanelli elettrici e il portalettere era obbligato a suonare un tocco per chi abitava al primo piano, due tocchi per il secondo, tre per il terzo. Ogni casa, ha la sua Madonnina incastonata a mo' di tabernacolo nell'edificio, lì immobile e in funzione protettiva. Ogni peschereccio, ha la sua polena, quei mostri col corpo di donna che mettono a prua delle imbarcazioni per esorcizzare l'incontro coi veri mostri marini o con gli inevitabili pericoli delle tempeste. Ogni panchina, i suoi habitués che conversano amabilmente. E le ore si dilatavano piacevolmente, perché i ragazzini non erano fissi davanti a un monitor a smanettare in Internet o con la Play Station, e i compagni di giochi si potevano trovare facilmente lì, a portata di mano. Lontani dai cosiddetti "servizi sociali" a tempo pieno. Il villaggio natio (e non quello globale né quello virtuale) era (ed è) il miglior "servizio sociale" di cui potessero mai disporre gli esseri umani. In fondo , a pensarci e a ripensarci, la gioia e l'armonia è fatta di poche cose semplici. E un paese serve sempre, perchè - come diceva Pavese - se non altro ti fa venire voglia di andare via e di scoprire nuovi orizzonti. Però dev'esserci...come parte essenziale della più antica odissea umana, da Ulisse a oggi.
Hesperia

mercoledì 10 settembre 2008

Giovanni Raboni: alcuni aspetti della contemporaneità


Rileggendo "Ogni Terzo Pensiero", di Giovanni Raboni, per Mondadori,si può notare qualcosa che auspichiamo possa valere per tutta la poesia contemporanea.
Un senso ancora autobiografico del fare poesia, fittissimi riferimenti culturali ma appena accennati, quasi cifrati, simboli,
come spesso accade nel fare poetico, uniti in questo caso a citazioni insolite:
la malattia, la vita, la matematica, lo spirituale, il fisico ormai quasi scientizzato, il biologico, la chimica, il finito e l'infinito.

Nella deromantizzazione dei linguaggi e nello scientismo del Novecento si scopre che si può ancora fare poesia, anche mescolando i piani,
ma non abdicando all'essenza, magari ottenendo un cortocircuito spazio-temporale, un tempo personale, un tempo dell'anima che si schiude ancora all'eternità.

Nel primo componimento c'è un richiamo memoriale anche al lessico Gozzaniano, delle "buone cose di pessimo gusto", ...i "rigattieri", i "feticci di fulgida latta",
ma caricate di un sovrappiù sentimentale, di un alone strettamente personale;
c'è lo scorrere del tempo mostrato dalla differenza cronologica tra le collezioni di un rigattiere e di un antiquario (già alta epoca, quindi)
a segnare il tempo che passa; espressioni 'esistenzialismo-Novecento' come "l'aria ulcerata", ("in mente dei" con Dei minuscolo, nel '900 è sintomatico)
o geniali nel loro essere retrò come "l'attonita infanta dei calendari" che dipinge un ritratto a pochi segni, ma abbiamo tutti ricevuto un'impressione visiva
efficace dell'immaginario perduto cui si riferisce.

Nel secondo componimento ci sono assonanze con "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" di Cesare Pavese,
ed è da notare l'incipit che sembra la risposta implicita a "Essere o non essere'" shakespeariano. L'essere intimi è nel cuore, ma anche nel..."midollo",
"le 206 ossa": il lessico scientista-ospedaliero-materico del '900 caduto cozza volutamente con l'espressione lirica e intensa "se è di estraneità alla vita che si muore".
Pavese vi è presente in filigrana, ricordato nell'espressione "come lasciamo una casa senza fuoco" .
Ma la poesia di Raboni, anche se come giusto si ricollega ad alcuni passaggi della nostra (e non solo nostra) tradizione, come poetica dell'attraversamento,
è originale e sa rivitalizzarla.
Spero piacciano anche a voi.Ecco due esempi significativi:


Adesso non è più dai rigattieri,
è da qualche antiquario che potrei
comprarmi l'infanzia, riavere i miei
feticci di fulgida latta ieri

derelitti, oggi preziosi, stranieri
venuti da un tempo in cui tu che sei
la mia vita eri ancora in mente dei
e che forse per questo ami. O c'eri



forse anche tu, invisibile, e nell'aria
ulcerata ti credevo magari
la famosa sorellina mai nata,

l'attonita infanta dei calendari
illustrati, muta depositaria
del bene, mite bellezza insidiata?


------------------


Essere...essere, sì, intimi nel cuore,
nel midollo, con chi è noi, con chi
d'altro noi siamo -- forse è tutto qui
il segreto, è così che si fa onore

alla vita se è solo per ardore
che le duecentosei ossa non si
dissaldano innanzi tempo, se è di
estraneità alla vita che si muore,

con minima pena, come lasciamo
una casa senza fuoco. E forse, ossa
dimenticate, una provvida mente

ci penserà, due amanti! e nuovamente
vivi traslocheremo dalla fossa
all'apparirci, all'esserci che siamo.

(Giovanni Raboni)






Josh

venerdì 5 settembre 2008

Mi ritorni in mente...Lucio

Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi

ritrovarsi a volare...

Emozioni, ecco cosa ci ha donato Lucio Battisti con le sue bellissime canzoni.

Avevo iniziato un pezzo sulla satira, ma non mi “prendeva”.
Poi navigando in internet ho letto che il 9 settembre cadrà il decimo anniversario della morte di questo mitico, inimitabile cantore dei moti dell’anima, e ho deciso di dedicargli un omaggio nel nostro "Giardino", fra edere tenaci e profumati lillà, salici piangenti e rossi aceri...
Dieci anni fa Lucio si spegneva in un letto del San Paolo di Milano, il corpo devastato dal male, ma non si è mai spento il suo ricordo, le sue canzoni per decenni hanno accompagnato i momenti magici degli italiani e continuano a farlo. Lucio non ha mai smesso di piacere ai giovani, e anche chi non ha vissuto il suo momento d’oro in prima persona, ne conosce le canzoni più famose.
Non si sono ancora spenti i riflettori sulla sua persona e non si spegneranno nemmeno in futuro, come ogni genio ha lasciato un segno indelebile nel mondo della musica.
Si dirà che si parla di “musica leggera” e i più snob storceranno il naso, ma è la musica più vicina alla vita della gente, quella che si ascolta d’estate al mare, mentre il sole si tuffa nell’acqua e il primo amore sconvolge l’anima e il corpo. E che rimane incisa nella memoria come quel primo emozionante bacio.
E’ la musica che si canta in gruppo quando l’amicizia è importante quanto l’’amore, durante le gite di classe, i picnic, le scampagnate allegre e caciarone.
Fa parte dei ricordi più belli, e quando la si risente un nodo di nostalgia stringe la gola.
Lucio Battisti ha cambiato le regole e lo stile della canzone italiana, imponendosi prepotentemente sugli acuti del “reuccio” Claudio Villa e le rime baciate, e sulle canzonette di Edoardo Vianello.
La sua voce roca e le sue canzoni piene di sentimento hanno immediatamente affascinato generazioni di giovani, e molti cantanti, da Vasco Rossi a Ligabue, lo hanno preso come punto di riferimento.
Circa vent’anni prima di morire Battisti aveva scelto un esilio volontario, lontano dal clamore, dai suoi fans, dalle esibizioni in tv. A dire il vero non è mai stato “un’animale da palcoscenico” come ricorda anche Gianni Boncompagni: “Lucio non e' mai stato un personaggio, neanche quando in tv ci veniva''.
In 'Bandiera gialla', nel '67, l'Equipe 84 lancia '29 settembre', uno dei primi hit firmati da Battisti. ''Poi ospitammo lui, molte volte - dice Boncompagni - perche' le sue canzoni ci piacevano. Lucio veniva e i brani finivano primi in classifica. E lui se ne stava li', timido, simpatico, un po' chiuso, con la sua chitarra a tracolla. Ma quando iniziava a cantare sembrava illuminarsi''.
Ed è vero così lo ricordo anch’io.
Come ricordo i pomeriggi passati a cantare a squarciagola:
“Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi le tue calzette rosse e l'innocenza sulle gote tue due arance ancor più rosse e la cantina buia dove noi, respiravamo piano e le tue corse e l'eco dei tuoi no, oh no mi stai facendo paura...

O... Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere, nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro, puro come il tuo amor...
Queste le più cantate, ma le mie preferite sono: I giardini di Marzo, Comunque Bella, L’Aquila, E penso a te…a pensarci bene quasi tutte le sue canzoni hanno un posto privilegiato nei miei ricordi.

Aretusa