Andare in centro è in qualche modo quindi anche andare al centro delle cose, incontrare la verità di un luogo, un frammento della propria personale verità, e una verità collettiva, o almeno così era fino qualche tempo fa.
I nuovi quartieri che germogliano intorno alle industrie, periferici in mano all'edilizia da dormitorio e alla speculazione fin dagli anni '60, quasi nuove città senza anima, spesso sono privi di centro. Oppure presentano nuovi centri fittizi, senza significati: non ci sono edifici storici, non ci sono più sculture-simbolo e vincolo all'ideale, oppure c'è una strana fontana-vasca con installazione metallica che, più che astratta è una specie di trespolo, appunto un non-segno.
In pratica non ci sono simboli di identificazione. C'è un'ipermercato che ripete lo stile dei palazzi o viceversa, il che la dice lunga su ciò che sia 'centro' (anche di di valori) oggi: cioè unicamente un certo tipo di 'mercato'.
Oppure ci sono edifici o stili d'importazione, che non appartengono alla realtà storica del posto, all'insegna dell'espropriazione della memoria e della neutralizzazione simbolica dei segni.
Milano, (Quarto Oggiaro, pru Certosa, Arch. Armstrong Bell)
Come dire, le nuove pseudo-piazze non ci appartengono. E' dal 1400-1500 che la piazza monumentale, spesso la piazza grande, la piazza maggiore, diventa il luogo simbolico della città, rielaborando alcuni concetti greco-romani e adattandoli all'epoca.
Al di là di un intero sentire dell'epoca che si muoveva in questa direzione, molto è dovuto al "De re aedificatoria" di Leon Battista Alberti, del 1450, considerato ovviamente un trattato di architettura che verte anche intorno all'idea di come una civiltà si specchi in una città, in termini umanistici, con osservazione delle problematiche culturali, sociali, economiche e simboliche. Il centro, perciò la piazza, doveva essere luogo rappresentativo, di dignità, era valore di radice, e d' identificazione di ciò che quella città è, per cui era anche l'oggettivazione di un ideale, di un passato che continua a produrre realtà nel presente. Anche questo, oggi sembra un valore perduto.
("
LA CITTA' IDEALE" , significativo dipinto 400centesco, conservato nel Palazzo Ducale di Urbino, sintesi del classicismo rinascimentale dell'urbanistica, un tempo attribuito a
Piero della Francesca, oggi si è in dubbio se considerarlo di
Leon Battista Alberti (per un disegno sottostante che presenta molte affinitàcon l'opera di LBA) il quale interpreta anche un dato reale nella vita italiana negli usi delle nostre città: esortava a costruire artisticamente nel centro storico le dimore nobiliari, le Chiese, tutti gli edifici di pubblica utilità.
Nel 1600
Tommaso Campanella pone al centro del tempio della sua Città del Sole 2 mappamondi, uno che rappresenta il cielo e l'altro la terra. Ideale e Reale sono inestricabilmente congiunti nel centro. Anche se la sua visione utopica finisce per annullare le libertà individuali.
Ma la piazza era anche luogo di apprendimento di regole civili, e del bisogno dei cittadini di scambiarsi nozioni, notizie, lavoro, incontro. La nobiltà italiana ha sempre posto la sua dimora nel centro delle città (e non in campagna come spesso nel resto d'Europa) e a questo si deve la conformazione artistica delle nostre città.
La piazza è sempre stata anche luogo di tutte le classi sociali, dove poteva avvenire un incontro, uno scambio: in tante delle nostre commedie la piazza è come il teatro della vita pubblica, fino ad essere un centro 'polisemico' e luogo di ogni virtuale, luogo di incroci del possibile.
Ciò che è difficile invece oggi è definire una città attuale; coglierne lo spirito di città odierna come luogo simbolico culturale, poichè la città moderna sembra un
non-luogo.
Prima, di una città erano evidenti addirittura
una maschera (la caratterizzazione della Commedia dell'Arte, il cogliere tratti salienti nella tipizzazione),
una coscienza, un modo di sentire, uno stile, usi e costumi: un popolo insomma.
Gozzi, Ritratto di Carlo Goldoni tra le Maschere della Commedia dell'Arte, prima metà 1800, Bergamo, San Giovanni Bianco, Casa Parrocchiale)
La città odierna invece possiede elementi non omogenei e spesso non coordinati tra loro da un senso.
Si può vedere, all'interno dell'attuale insieme di cose che formano una città, l'assenza delle coordinate che caratterizzano i luoghi familiari, propri, antropologici...Marc Augé insegna che i luoghi antropologici per essere tali dovrebbero possedere:
_caratteri comuni riconoscibili come identitari,
_caratteri comuni relazionali,
_caratteri comuni storici.
Queste 3 categorie sono tutte violate nelle città contemporanee. (cfr.
Marc Augé, "Nonluoghi", Eléuthera, Milano 1993, ora
Nonluoghi. (Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eléuthera, Milano 2005).
La città odierna allora è (
forse volutamente?) all'insegna della
discontinuità, della
rottura, dall'
espropriazione dei valori di radici locali, formata da parecchi
non-luoghi. L'insieme di luoghi, sottoluoghi, non-luoghi che la formano, continuano a segnalare la
perdita del centro originario, sia fisica sia ideale.
In più la città attuale non è davvero più coercibile in confini: le città sono in continua espansione, grazie all'immissione di continua nuova popolazione, da città si passa a metropoli, a megalopoli.
La città della modernità è progressivamente
labirintica, anche una città media è espropriata del centro perchè ormai la si considera metropoli se legata a un'intera 'area metropolitana' estesa che comprende numerosi comuni limitrofi, un'intera fascia di costruzioni quasi senza limite in cui i cartelli che dovrebbero delimitare un nuovo Comune, non corrispondono in realtà a nessuna interruzione alla continuità del paesaggio costruito.
Pare in contemporanea sempre più l'oggettivazione della città dei romanzi gialli o dei
film noir, una città in cui perdersi e poter essere fagocitati non possedendo più criteri di riconoscibilità
della città-madre; si trasforma nella città fredda-maligna degli
horror, nella città surrealista in cui vige il criterio dell'assurdo, la città la cui periferia potrebbe essere ovunque nel mondo data la sua irriconoscibilità modulare, la città innaturale che divora i suoi figli come nella
fantascienza. Aiutati in questo da un'architettura impersonale, privata di ogni aggancio al nostro passato culturale, scevra di segni, di simboli originari
. (foto a colori:
dal film Il deserto rosso di Antonioni)
autore: Josh