Lo giorno se n'andava e l'aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / da le fatiche loro; e io sol uno / m'apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, / che ritrarrà la mente che non erra.
I lettori assidui di questi blog sapranno della mia passione per la Divina Commedia, ma, come detto, rimando ad altra data il riparlarne.
Per riprendermi dal malumore suscitatomi per quella stravagante idea, non c'è di meglio che parlare di Gianfranco Jannuzzo e del suo esilarante spettacolo, Girgenti amore mio, messo in scena nei teatri. Potrà sembrare un argomento e una questione sciocca, ma, chiarito che per me è stato un evento, si capirà appunto che non lo è. Devo pertanto precisare, che, da almeno dieci anni, anche per causa di un impedimento fisico, non ho più varcato la soglia di un vero teatro, mentre da giovane facevo addirittura parte di un gruppo di applauditori che giravano per i teatri milanesi. C'è voluta la verve trascinante di Gianfranco Jannuzzo, per farmi vincere la pigrizia e l'apatia per i teatri. La sera del 17 ottobre 2008, facendo zapping col telecomando, vidi casualmente su Rai 2 il suddetto mentre stava declamando il monologo Nord e Sud , registrato al Teatro Manzoni di Milano. Pensavo fosse uno dei soliti attori umoristi che mi ero ormai stancato di vedere in quei programmi di pseudo approfondimento che abbondano sui canali Rai. Anche per via dell'ora tarda di messa in onda (erano passate le 23), avrei spento il televisore. Ma, con vivo interesse, m'avvidi che non era come uno dei soliti umoristi bazzicanti in quelle reti. E, d'altronde, di Gianfranco Jannuzzo sapevo ben poco, e quindi, il semplice fatto che a recitare fosse lui, non era ancora per me garanzia di qualità. Avevo ancora solo una vaga conoscenza, soprattutto legata al fatto che era stato sposato con Gabriella Carlucci, la conduttrice di uno dei miei programmi preferiti, Mela Verde, un programma qualitativamente valido. Alla Carlucci, e al suo programma, avevo perfino dedicato il post d'inaugurazione del mio blog. Quella sera, con quelle scenette che sembravano squisite improvvisazioni sulle evidenti contrapposizioni tra Nord e Sud, Sud e Nord, Gianfranco Jannuzzo conquistò sul campo la mia simpatia, considerandolo da quel momento uno dei migliori attori viventi italiani. Saputo della sua venuta a Monza, nei giorni dal 18 al 21 febbraio scorso, mi sono premurato subito per andare a vederlo recitare dal vivo. E ne sono rimasto affascinato. Lo dicevano anche i vicini di post0: gli spettacoli di Jannuzzo hanno la particolarità che non si sente mai una volgarità, una parolaccia: sa anche far ridere senza mai usare tali riprovevoli mezzi. Oltre a non sparlare mai di politica, o di politici, di qualunque colore essi siano, nè di religione o di religiosi, non ne fa mai il benchè minimo accenno, neanche la più lieve scalfitura. Mentre tutti sappiamo che oggi, soprattutto in questo periodo, ci sarebbero argomenti a iosa per impostare un qualunque spettacolo umoristico satirico, soprattutto se si va a pescare nel torbido di tali argomenti. Ma chi va a teatro credo cerchi argomenti inediti o cose diverse da quanto viene propinato giornalmente dai programmi Tv; per i quali si è anche obbligati a pagare un canone. Gianfranco Jannuzzo l'ha capito meglio di altri, che la gente è stufa di tale andamento, e che è stanca di vedersi propinare in Tv comici/umoristi/satiri che si atteggiano a grandi moralisti, o che predicano le buone regole del vivere in comune. Scherza anche lui su questioni di mala creanza, sulla carenza d'acqua nella sua Agrigento, con la gente costretta far la coda per un bidoncino d'acqua e pagarla; sul pizzo, sulle opere publiche che servirebbero, o su quelle mai terminate, ecc., ma lo fa con grazia e senza mai offendere o tirare in ballo nessuno. Soprattutto, mai con i modi di fare del moralizzatore. Ci scherza sopra e basta; facendo ridere di vero gusto la gente; e non a comando, come invece avviene in certi programmi Tv.
Due ore e mezza ininterrotte di monologo - se non per un breve intervallo - e alla fine il pubblico non era stanco di sentirlo e sembrava non se ne volesse andare, tanto che ha dovuto riprendere scenette dal suo vecchio repertorio, per accontentarlo.
Scritto con con Angelo Callipo, Girgenti amore mio "è il tentativo sincero e appassionato di dialogare con le proprie radici". E' la rappresentazione teatrale de "la più grande di tutte le esperienze, quella dell'amore per la propria terra", dove Girgenti, antico nome di Agrigento, ciascuno può sostituirlo col nome della propria città del cuore, quella dove affondano le proprie radici, e dialogare con essa.
Declama la sua Agrigento, come culla della civiltà preromana in terra di Sicilia, della quale rimane la viva testimonianza nella Valle dei Templi; declama la sua spiaggia, terra di sbarco di Greci, Romani, Arabi, Normanni, ed ora di extracomunitari in quel di Lampedusa. Declama Girgenti, città natale di Pirandello, e Girgenti, sua città natale quando già si chiamava Agrigento, e la stessa, città natale dei suoi genitori quando ancora si chiamava Girgenti; il tutto con un recitativo da attore stagionato, come per i grandi monologhi alla Giorgio Albertazzi o Vittorio Gassman.
Nello spettacolo Jannuzzo rappresenta la propria terra in tutte le sue possibili sfaccettature. Ciascuno può fare lo stesso con la propria città, come in un gioco, sostituendo a Girgenti il nome della città delle proprie radici. Si otterrebbe così, ad esempio, "Milano amore mio", "Varese amore mio", "Livorno amore mio", ecc.
Per ognuno, il luogo è quello che solitamente coincide con quello di nascita, bello o brutto che sia. E anche se poi si è stati sbalzati via, come è capitato a me; o come è capitato all'attore che da ragazzo si è dovuto trasferire a Roma, con la propria famiglia d'origine. Ma ad Agrigento, Girgenti, ha mantenuto il cuore. E' là dove, se vuole, può ancora assaporare l'essenza vera della vita.
Io, ad esempio, che sono nato in un paesino della Pianura Lombarda, a mò del gioco suggerito da Jannuzzo, potrei mettere il suo nome al posto di Girgenti e così scavare tra i ricordi delle mie origini, delle mie radici. Provo così ad immaginare quel luogo, la sua gente, le sue caratteristiche peculiari. Ci sono molto affezionato, anche se non vi trovo nulla di esteticamente bello. M'accorgo però che non lo vedo più da tanti anni, e quindi sarà molto cambiato; non conoscerò più nessuno. Ma se ci dovessi tornare, sono certo che riassaporerei, almeno per un giorno, l'essenza vera della vita. In effetti, a pensarci, tutto il mio vissuto è legato a nomi di ben altre località, ma in quel borgo dalle vecchie case e asserragliate in cascine, come quella in cui sono nato, è là che ho respirato il primo alito di vita; è là dove, come accecato da un vivido bagliore che ancora ricordo d'aver visto, da quel momento, da quel giorno è iniziata la vera esistenza, fatta di quei tenui ricordi infantili.
Nel monologo, Gianfranco Jannuzzo inscena i suoi ricordi di giovinezza, e rappresenta anche quella sorta di conflitto interiore che, come lui, ha vissuto e vive chi viene sbalzato in una nuova città, dove non ci è nato. Vive da molti anni a Roma, una città che gli ha dato molto, ma è Girgenti che ama. Ha imparato ad amarla anche grazie all'amore che ne hanno i suoi genitori. E così, recitando, racconta che vi si reca di tanto in tanto, cercando negli sguardi della gente, nelle loro movenze, nei loro tic ed abitudini, l'essenza vera della città.
Dopo due ore e mezzo ininterrotte di monologo spettacolare, la gente non se ne voleva ancora andare. Jannuzzo era però atteso per il nuovo spettacolo delle 21, e così noi delle ore 16 abbiamo dovuto giocoforza prendere la strada dell'uscita.