« [...] ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera. [...]
Ho voluto scoprirne la ragione, ho scoperto che ce n'è una effettiva, che consiste nella infelicità naturale della nostra condizione, debole, mortale e così miserabile che nulla ci può consolare quando la consideriamo seriamente. » (Blaise Pascal, Pensieri, 139)
Concordo,
con un'aggiunta ("nulla ci può consolare,"....tranne la fede, come capirà poi Pascal stesso). Frattanto, si fa strada nella mente questa immagine carica di valenze della camera, quindi della "stanza".
(San Girolamo nell'eremo, visitato dagli Angeli, di Bartolomeo Cavarozzi, inizi XVII)
Un'idea della stanza come luogo...in cui possono accadere molte cose, anche salvifiche, è antica, la proponeva Gesù Cristo stesso nei Vangeli, cfr. S. Matteo 6, 6
"Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
Spesso il mistico (nella cella, per es. nel caso del monachesimo), e diversamente anche il poeta, non ha alcun timore di incontrare l'Assoluto, o anche solamente se stesso nella stanza.
In alcuni casi gli artisti in genere, ed i poeti in special modo, avevano una parte di sè assolutamente connaturata alla stanza, che implica studio, meditazione, ma anche vivere appartati, a volte anche separati dal mondo,
ma vivi e creatori, se pure all'interno di una stanza, che è un mondo chiuso solo in apparenza.
Allo stesso tempo i codici espressivi si accavallano,
e "stanza" in poesia oltre al luogo che tutti conosciamo, è anche una forma del comporre che si intende nella sua accezione metrica, come strofa (in tempi recenti), mentre in passato s'intendeva un'ampia parte di un poema; così come il termine s'incontra ancora per designare sezioni di musica sacra e inni.
(Camera di S.Paolo o Camera della Badessa, per Giovanna Piacenza, affreschi di Correggio, Monastero di S. Paolo, 1519, Parma)
Con Dante si comincia a intendere, per "stanza", anche una strofa di otto versi che rappresenta l'unità ritmica della rima finale. Anche i sonetti, pur unitari, possono essere suddivisi in stanze.
In metrica, si definisce "stanza" sia la strofa di una canzone (cioè una struttura di più versi cui è associato un determinato schema di rime), sia un testo poetico di una sola strofa.
Dante nella "Vita Nuova" (cap. XIII) presenta un esempio:
"Misimi ne la mia camera, là ov'io potea lamentarmi sanza essere udito;"
"e anzi ch'io uscisse di questa camera propuosi di fare una ballata";
"mi ritornai nella camera delle lagrime"
"E in questo pianto stando, propuosi di dire parole, ne le quali, parlando di lei, significasse la cagione del mio trasfiguramento".
La stanza per il poeta è un luogo in cui raccogliersi, riflettere, e reperire i vocaboli per le poesie. E' un topos outopos, spazio-non spazio, dove il poeta si isola per trovare una condizione in grado di farlo interagire con il mondo delle idee.
Luogo di solitudine, ma anche luogo di creazione, di elaborazione.
Per Giorgio Agamben la stanza in questi casi contiene tre dimensioni: l'ambiente in cui il poeta si ritira per creare, lo spazio della dinamica interiore da cui la parola poetica scaturisce, e la forma che essa assume traducendosi in scrittura.
Quindi nella 'stanza' si possono cogliere l'unità di un'esperienza che si presenta come esistenziale, visionaria e verbale, come reciproca implicazione e reversibilità di realtà, fantasma e parola nell'atto creativo.
(Wunderkammer siciliana, XVII sec.)
Diversamente, la stanza ha anche la valenza di specola del mondo, o diversamente di Wunderkammer o Cabinet of curiosities.
La specola altro non era/è che un osservatorio astronomico: famosa quella Vaticana
ma anche quelle di Brera o di Capodimonte. L'idea di stanza come specola del mondo (in senso lato, osservatorio non solo astronomico) è sottile, perchè implica un luogo circoscritto e chiuso (la stanza) ma anche strategicamente aperto, che rende possibile la contemplazione da un punto di vista privilegiato.
Per quanto riguarda la Wunderkammer, invece, va intesa come camera delle meraviglie, (anche Kunstkammer, camera dell’arte) un'idea d'ambiente ove i collezionisti, specie tra il XVI e il XVIII secolo, conservavano oggetti ritenuti straordinari.
Il fenomeno caratterizza il 1500, ma manifesta radici precedenti: l'idea della raccolta, degli exempla, della prima catalogazione delle stranezze o meraviglie, della collezione e dell'enciclopedismo in cui tentare di razionalizzare il mondo, nasce in evo ancora medievale.
Nel Seicento vi si aggiunge la grandeur barocca e un altro tipo d'amore per il bizzarro, nel Settecento si declina secondo criteri più razionali e scientifici.
La Wunderkammer diviene come la prima idea di museo privato, pur senza la metodologia di raccolta e selezione del vero museo.
(Tra i primi iniziatori del museo/musaeum come lo intendiamo oggi, invece vedere anche qui)
L’origine di questa stanza corrisponde anche allo studiolo di origine italiana ed umanistica, utilizzato dal signore come luogo di studio e meditazione. Gli esempi più antichi di questi spazi sono lo studiolo del duca Federico da Montefeltro a Urbino, tra il 1473 e il 1476, quello di Isabella d’Este al Palazzo Ducale di Mantova (1497-1523) e pochi altri.
(Antonello da Messina, San Girolamo nello Studio, olio su tavola di tiglio 1474-1475)
L’intellettuale, sprofondato nella solitudine del suo studiolo, circondato da oggetti simbolici e intento a risolvere l'enigma del mondo, studia la realtà e quasi preferisce alla vita reale la sua rappresentazione cartacea.
Lo studioso è quindi visto come Homo Melancholicus (alcuni addentellati a questa condizione sono nel post: "Iperico, Male Oscuro e Spleen") che contempla gli oggetti terreni comprendendone la loro vanità.
La sua collezione è destinata al fallimento perché non potrà racchiudere in una camera la varietà delle specie del mondo, o peggio l'infinito nel finito. La wunderkammer è quindi anche espressione del senso del limite, un memento mori poiché ogni oggetto ricorda la finitudine.
(Albrecht Dürer, San Girolamo, 1521)
Gli oggetti presenti in queste stanze erano divisi in
naturalia (animali rari o sconosciuti, ortaggi o frutti insoliti) e artificialia (creati dall'uomo) particolari per tecniche complicate o segrete.
Tutti questi reperti erano considerati mirabilia.
Gli oggetti erano disposti sulle pareti in scansie lignee: barattoli di vetro con parti del corpo umano immerse in un liquido che avrebbe dovuto favorirne la conservazione, animali deformi, rocce o pietre rare, coralli, piante rare essiccate.
Agli scaffali si alternavano armadi e stipi, con cassetti di ogni misura, in cui erano raccolti gli oggetti più piccoli come perle, semi di frutti.
La wunderkammer si sviluppa in seguito in particolare in area nordica, da cui il termine tedesco. Il re o il signore attraverso la collezione di oggetti rari e preziosi, allestiti e ordinati secondo criteri variabili, esibiva sapere, ricchezza e potere.
La camera delle meraviglie come collezione di ogni tipo di oggetto assumeva lo scopo della rappresentazione totale del Theatrum Mundi attraverso suoi frammenti, quasi suoi reperti.
La wunderkammer è quindi anche il tentativo di ricreare in piccolo un microcosmo un’immagine del mondo/macrocosmo, cercando di enuclearne la sua varietà.
Il Granduca di Toscana Francesco I de' Medici, appassionato di conoscenze, studioso della pietra filosofale, voleva trasformare lo studiolo in una wunderkammer.
Nella foto sottostante è il famoso studiolo, a Palazzo Poggi: in origine era frutto dell'interazione tra vari artisti manieristi come Vincenzo Borghini sotto la direzione di Giorgio Vasari.
Francesco I amava ritirarvisi in solitudine coltivando i propri interessi scientifici e magico-alchemici. Lo studiolo doveva essere un luogo dove catalogare i materiali collezionati da Francesco, ma gli esperimenti si svolgevano nel laboratorio del Casino di San Marco. Lo stato comunque splendido in cui lo vediamo oggi è frutto di una risistemazione successiva.
Va ricordata ancora la wunderkammer nel castello di Ambras ad Innsbruck di Ferdinando II d’Asburgo e quella dell’imperatore Rodolfo II d'Asburgo, tra i maggiori collezionisti europei.
A Bologna si può ricordare lo studio (più che mera stanza o wunderkammer) del medico e naturalista Ulisse Aldrovandi (1522-1605) fondatore della moderna Storia Naturale (la cui collezione è visibile al Museo di Palazzo Poggi)
o quella del fisico gesuita Athanasius Kircher (1602 -1680) a Roma.
Gli studiosi che realizzarono queste raccolte avevano obiettivi scientifici, tentavano una classificazione, un ordine, frutto di una mentalità sistematica.
Lasciate le camere delle meraviglie e le collezioni,
tornando alla "stanza del poeta",
in età recente, per la sua importanza, non si può non segnalare la stanza di Giovanni Pascoli con le 3 scrivanie (sopra):
una per il greco, una per il latino e una per l'italiano, nella sua dimora a Castelvecchio,
segno delle nostre radici simboliche e culturali, nonchè linguistiche.
Josh