Come da titolo, la dubbia stagione altro non può ispirare se non un breve percorso legato a queste sensazioni, a questo immaginario.
"Les Feuilles Mortes" ha una sua storia affascinante che in minima parte percorreremo.
In principio, si trattava di un componimento di Jacques Prévert.
Joseph Kosma nel 1945 ne compone la musica.
Più in dettaglio, in origine, le note di Kosma dovevano essere solo un tema per il balletto di Roland Petit "Rendez Vous" (1945).
Su quel tema Prévert, autore anche dell'argomento del balletto, compose le parole su suggerimento di Marcel Carnè, che desiderava il soggetto del balletto per trarne un film dal titolo "Les Portes De La Nuit" con Yves Montand, di cui il brano divenne colonna sonora. Il film non fu un successo, a differenza di altri film straordinari di Carnè, ma il brano esplose,
come si può vedere ed ascoltare qui. Dello stesso Montand, ne esistono numerose versioni successive, incise quando era più maturo, in cui anche nella vocalità compare un'interpretazione ancora più consapevole.
Ben presto il pezzo circola in francese, diventando un classico interpretato anche da Edith Piaf, e si diffonde in tutto il mondo anche nella traduzione inglese del 1949 di Johnny Mercer (traduzione un po' limata del recitativo iniziale e meno tragica), specialmente in ambito jazz col nome di "Autumn Leaves".
Qui la versione, come si dice oggi "iconica", di Juliette Gréco (dal vivo a Berlino, 1967), con una parte di recitativo, teatrale e in fondo "esistenzialista":
Moltissime sono le versioni del brano nei vari decenni, in varie lingue e da parecchie nazioni, di cui alcune memorabili, perchè di volta in volta il pezzo stesso permette di concentrarsi sulla recitazione, sull'interpretazione, sulla capacità introspettiva dell'interprete, o su un'aura affascinante in generale e sulla musicalità.
D'altro canto, il contrasto "sentimenti che finiscono-tempo che passa" è un topos prima che canoro, letterario e poetico.
E' stata suonata dai grandi del jazz, da Miles Davis, Bill Evans, Duke Ellington, cantata da Sarah Vaughan, da Nat King Cole, da Frank Sinatra nella traduzione di Johnny Mercer.
Anche se, per le versioni vocali maschili, il duello tra Yves Montand, Frank Sinatra e Nat King Cole è un po'...all'ultimo sangue, molto difficile dire una parola definitiva sul migliore.
Di seguito la versione strumentale (tra le più riuscite in assoluto) di Miles Davis e Julian Cannonball Adderley (alto sax), 1958, dall'album-pietra miliare Blue Note "Somethin' Else":
Qui di seguito invece la versione completamente trasformata, vocalese, ironica e velocissima di Sarah Vaughan con Wynton Marsalis alla tromba:
Il brano è noto anche in versione italiana, nella performance di Patty Pravo,
ma anche nell'ennesima variante quasi ballabile e glamour in tempi più recenti da Grace Jones e Patricia Kaas.
Patty Pravo "Le Foglie Morte" (dall'album "Di Vero In Fondo", primo della trilogia Philips, con Orchestra di Giampiero Reverberi, 1973)
Per chiudere, la versione levigata, pop e insieme memoriale, ma più spensierata,
dell'elegante Patricia Kaas.
buon ascolto
Josh
lunedì 28 novembre 2011
Les Feuilles Mortes
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Josh
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venerdì 18 novembre 2011
Il don Rodrigo vimercatese
"...Taluni però di quei fatti, certi costumi descritti dal nostro autore, c'eran sembrati così nuovi, così strani, per non dir peggio, che, prima di prestargli fede, abbiam voluto interrogare altri testimoni; e ci siam messi a frugar nelle memorie di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo camminasse allora in quel modo..." (I Promessi Sposi - introduzione)
La strada che da Ornago va a Bellusco, al tempo dei "Promessi Sposi" era immersa in un fitto bosco che rendeva difficilmente individuabile una costruzione che vi fosse immersa. Ornago e Bellusco sono due comuni del Vimercatese, ad est dell'omonima città. Ornago oggi conta circa 5000 abitanti, ma a quell'epoca contava forse appena qualche centinaio d'abitanti. Questi, stando agli indizi forniti dalla lettura del verbale di cui sotto, pare vivessero in condizioni assai disagiate, soggetti a prevaricazioni, angherie e soprusi di ogni genere da parte del signore locale, Francesco Seccoborella. Costui apparteneva all'omonimo casato dei Seccoborella di Vimercate, del quale s'è trattato nel post precedente. Francesco Seccoborella, la pecora nera di quella dinastia millenaria, era stato artefice e mandante in un fattaccio di cronaca, che avrebbe potuto ispirare la figura del don Rodrigo manzoniano: rapimento, segregazione, violenza carnale prolungata e continuata per anni verso una giovane donna coniugata; violenza e minacce di morte al marito della vittima, tanto da costringerlo a fuggire lontano da casa per non rischiare di venire assassinato. Nonostante le continue denunce e suppliche da parte della madre, le autorità non riuscirono o non vollero por fine alle angherie e ai tormenti della famiglia del giovane ornaghese. Insomma, il Seccoborella spavaldamente non si curava della legge. Uccise poi anche suo padre, per impossessarsi anzi tempo dei beni di famiglia, al che la giustizia si mosse in forza, riuscendo a stanarlo e catturarlo.
Ornago - Il palazzotto di Francesco Seccoborella trasformato in cascina agricola (foto di Gabriele Solcia - da Panoramio)
Nel 1595 “havanti il Signor Giudice Suarez compare Angela di Solari, figlia quondam Agostino, habitante in Vimercato, et con grave querela espone in questo modo; e che havendo essa esponente un solo figliolo per nome Rugier Berna, giovane de circa 18 anni, esso figliolo si maritò che sono forse tre anni, in Caterina Spresegia, giovina di buon aspetto, allevata de buoni costumi nel monastero de Orsoline, (S. Gerolamo) in Vimercato; et vivendo quietamente nella casa loro in detto loco de Vimercato, dove è feudatario il Conte Ludovico (Francesco) Secco, giovane molto dissoluto et fatto formidabile et insoportabile per le sue male qualità non solo a suoi sudditi ma abboritto ancora da ogniuno che la (lo ha) praticato.
Dappoi che detto Conte hebbe in casa sua detta Caterina sua suddita et tratenedola al dispetto del marito, qual non osava parlare né lamentarsi di tal opressione, occorse che l’anno passato in tempo del carnovale facendosi una festa in casa de Vitorio Galarato speciaro in Vimercato, detto Rugiero hauto notizia che detto Conte voleva condure a detta festa mascherata detta Caterina sua moglie, andò alla detta festa et pigliata in ballo una maschera chredendo fosse sua moglie, detto Conte subito sfodrò il pugnale, tirò molti colpi ad detto Rugiero et lo feritte malamente sopra la testa; ma in questo non fu fatto altro processo perchè il pover homo non osava comparere, anci bisogna andasse nascosto hor qua hor là perché detto Conte lo perseguitava per farlo amazzare, del che ne havea grande paura, si per essere esso Conte molto diabolico e bestiale come che era fomentato de alcuni malviventi e banditi paurosi che teneva in casa continuamente in detto loco de Vimercato suo feudo; fra questi David Legniano da Gropello bandito per homicidio d’animo deliberato proditoriamente comesso, delli quali esso Rugiero non ne poteva pretendere ignoranza perché sino l’anno 1593 che detto Rugiero praticava familiarmente in casa di detto Conte, vedeva, trattava et praticava con essi banditi non sapendo che fosero come hanno fatto molti altri de Vicomercato, dei quali esso Conte si serviva per dare et oltraggiare hor ferite hor bastonate a questo et quello in Vimercato, conducendoli ancora seco di notte palesemente con harchibusi da roda ancora sopra le feste con un puocco scandello de popolo ridotto a termine (che) se ben ricevevano offese et oltraggi non osavano favellare.
(Per) le predette cose si potriano esaminare Giuliano Sovatino et suo figliolo maggior, che altre volte praticavano in casa del detto Conte, Margarita da Galbiate fantesca già del detto Conte che ora è in cassa della Contessa sua Madre, Gio Ambrosio Canturino che di presente è in cassa di detta Contessa, Girolamo servitor del detto Conte, il Fascinetto servitor di detto Conte, Cesare ucelatore desso Conte, il Moretto già servo del detto Conte hora servo a Nicola Antone Oratio Aizurij detto Gambasino suo prestinaio in Vimercato, ma per haver la verità da sudetti bissognia de in proviso farli retenere et usarli delligentia altriamente non si troverà conto alcuno per la paura chano del Conte suddetto":
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marshall
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martedì 8 novembre 2011
Dall'Inizio alla Fine
Hesperia
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Hesperia
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martedì 1 novembre 2011
Il Faro
(Edvard Hopper, "Lighthouse Hill", 1927)
L'immagine, l'idea del faro è un elemento che ritorna numerose volte in svariati ambiti.
Ne abbiamo esempi in letteratura, in funzione reale o simbolica, e ovviamente in pittura.
(Claude Monet, "Molo di Le Havre", 1868)
Per la vita, e per la battaglia intellettuale, abbiamo bisogno di "fatti che lampeggino", e di autori che mettano gli oggetti in luce serena", scriveva Ezra Pound.
Di questi fari di verità oggi avremmo più che mai bisogno, ma a quanto pare non è il periodo storico azzeccato.
Venendo alla letteratura italiana, per esempio, Italo Svevo per simboleggiare i due momenti di costruzione del fatto letterario parlava di "Poetica del Faro e della Formica": il primo momento, del faro, sarebbe quello dell'ispirazione, dell'intuizione e sentimento. Il momento successivo, della formica, sarebbe quello della riflessione e organizzazione dei dati, per fissare gli oggetti ispirati dalla "fase-faro" nell'interiorità dello scrittore. Per cui la luce del faro, qui ispirazione dell’artista, illumina con la sua luce. La formica, poeta che riflette, approfitta del momento di intermittenza della luce per trovare la strada che porta al faro.
(Salvator Rosa, "Marina del Faro" 1640)
A parte il gioco intellettuale sveviano, un altro faro è centrale per l'immaginario, nel famoso libro di Virginia Woolf "Gita al Faro": anche qui è più che mai simbolo, di un obiettivo che pare impossibile raggiungere.
(Georges Seurat, "Ospizio e Faro di Honfleur", 1886)
Esiste poi tutta una letteratura minore, d'aura romantica su guardiani del faro e misteriose donne del faro, per esempio in ambito inglese e anche nordamericano, dallo sfondo molto diverso rispetto alla solarità del faro nei caldi paesaggi mediterranei.
Comunque sia, il faro è per sua stessa natura legato al tema del lontano, del viaggio, della "frontiera" anche se marittima stavolta; in molti casi è legato al tema dell'isola, ma in letteratura l'isola ha una sua fenomenologia ben definita che tratteremo in altra sede.
Ancora un autore vicino, questa volta spesso fisicamente, ai fari, è Hemingway, dalla sua residenza di Key West.
(Henry Perlee Parker, Grace Darling salva equipaggi nella tempesta)
Parte dell'immaginario romantizzato deriva comunque da vicende reali: la storia di Grace Darling (1815-1842) delle Isole Farne, per esempio, che visse in due "lighthouses", eroina vittoriana che salvò col padre, nel mare in tempesta con la loro barchetta, numerose persone dal naufragio della nave Forfarshire, rovinata sulla scogliera. Grace ottenne riconoscimenti internazionali ed è ricordata ufficialmente tutt'oggi.
(Martin Heemskerk, "Pharos of Alexandria")
O ancora, diversamente dai fari attuali, elettrici,
il faro era adoperato inizialmente come torre per segnalare la costa, luogo di avvistamento antico con fuoco, ma anche edificio militare per guardia, vedetta o avvistamento.
Il faro più noto del mondo antico fu appunto sull'isola di Pharos, di fronte al porto d'Alessandria in Egitto: costruito tra il 300 e il 280 a.C., rimase funzionante fino al XIV secolo.
Questo quando ancora si riteneva che la costa fosse un "confine", e si potesse essere attaccati via mare. Un tempo non è che il primo venuto potesse attraccare nelle proprie rive.
Un impatto più diretto al tema lo offre sicuramente la pittura.
Subito viene alla mente Hopper, dal momento che oltre al consueto iperrealismo urbano, come contraltare ha dipinto spesso immagini di edifici della costa, che comprendevano fari.
In Hopper il faro è talvolta raffigurato in maniera sospesa, un po' astratta. Non cade nella pittura di genere, delle "marine", ma mantiene un suo sguardo caratteristico. La stessa esistenza dei fari è in fondo mitica, per la stratificazione storica di funzioni che ha assemblato su di sè.
Si veda sopra "The Lighthouse at Two Lights" (1929).
(De Chirico, "La Nostalgia dell'Infinito", 1913)
Sulle correlazioni di questo dipinto, la studiosa Elena Pontiggia fa notare l'ispirazione vagamente metafisica, che viene accostata a "La Nostalgia dell'Infinito" di Giorgio De Chirico.
L'accostamento non è antistorico, anche perchè Lloyd Goodrich, riconosciuto come maggiore critico di Hopper, dedica proprio a De Chirico nel 1929 un articolo favorevole su "The Arts", rivista in cui anche Hopper lavorava.
Ma la storia della pittura offre numerose interpretazioni del tema, in svariate chiavi.
(Guttuso, "Il Faro", 1931)
Per terminare la breve rassegna, chiudo con un brano musicale a tema:
la misteriosa "The Lighthouse" di Siouxsie Sioux & Hector Zazou, con voci sciamaniche unite a varie influenze dal sound tipicamente nordico, e la partecipazione di Mark Isham alla tromba, Renault Pion clarino, Marc Ribot chitarre.
Tratto dall'album collettivo "Chansons Des Mer Froides", il testo del brano è un estratto dall'inquietante poemetto (ancora...la letteratura) di Wilfred Wilson Gibson "Flannan Isle",
leggibile qui.
Josh
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Josh
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