mercoledì 26 settembre 2012

Alan Watt, la distopia e i padroni dell'universo

Questo filmato da visionare e ascoltare attentamente,  affronta temi cruciali di vario tipo relativo al Nuovo Ordine Mondiale (NWO) e ai suoi pianificatori. Temi scottanti come la crisi delle democrazie occidentali, la democrazia intesa come scontro tra interessi di lobby e  di corporation, il ruolo dei canali mainstream quale fabbrica del consenso, l'incremento indotto della popolazione, lo spostamento di masse migratorie da un continente all'altro e in particolare da Asia e Africa al mondo detto occidentale, la deindustrializzazione voluta e provocata ad hoc nell'occidente. E non solo. Il ruolo delle rivoluzioni indotte e ideate dalla Cia, le pandemie provocate ad hoc.  Il ruolo delle grandi corporation e come insinuano  i loro uomini nella politica per tutelare i loro interessi, attraverso un sofisticato meccanismo di porte girevoli (sliding doors).
Alan Watt, mostra di padroneggiare con grande sicurezza la materia e ce la mostra con semplicità, pacatezza ed efficacia oratoria, come un racconto di fantascienza; meglio di fanta-horror, un racconto che è insieme un incubo dal quale vorremmo svegliarci. Del resto Watt, parte proprio da Orwell e da Huxley, i quali ebbero a che fare con società segrete. Spesso si parla di linguaggio "orwelliano" di "bipensiero" e di racconti e romanzi della distopia totalitaria, ma vale la pena di virgolettare queste parole prese dal saggio di Ida Magli
"La dittatura europea", la quale esprime concetti non estranei alla requisitoria di Alan Watt nel filmato, per approfondire questa faccenda della "neolingua": "Trasformano la realtà capovolgendone il significato anche soltanto cambiando il termine con il quale si è soliti identificarla". 

 Ecco un esempio corrente al limite della banalità, circa il linguaggio orwelliano da noi ascoltato quasi quotidianamente: se si vuole la decrescita  e la recessione si dirà che si lavora per la crescita del nostro Paese come predica con voce mestamente atona da androide telecomandato,  Mario Monti.

"E il sistema per abituarsi a quello che Orwell chiama "il bipensiero". Si raggiunge lo scopo con la "ripetizione" costante, onnipresente a tutti i livelli, di quel certo nome, di quel certo aggettivo, di quel certo giudizio".

"Orwell ne descrive con precisione il meccanismo nel suo 1984 (...) . Non è un romanzo infatti e neanche una previsione profetica, come è stato detto dai molti che amano credere nelle magie, ma sotto le vesti della fantasia, la messa in guardia per noi, su ciò che ci attende e che lui conosceva molto bene, perché era un iniziato alla massoneria" (op. cit. pag. 36) .


Vale la pena di citare anche un altro grande autore della distopia: Ray Bradbury, il cui "Fahrenheit 451" dal quale Truffaut trasse un bel film, potrebbe trovare oggi infinite varianti sul tema censura e autocensura. Intanto perché oggi vi è una revisione censoria dei grandi testi letterari alla luce del politicamente corretto (l'esempio della Divina Commedia attaccata dall'organizzazione Onusiana Gerush 92, e Dante chiamato in causa per omofobia, islamofobia e antisemitismo, è solo uno fra i tanti). Poi perché  la proibizione di tenere del contante, a favore della tracciabilità coatta  per il tramite  delle carte prepagate con la solita scusa dell'evasione fiscale, imposta dall'attuale governo, ci rimanda alla memoria i segugi pompieri del romanzo come Guy Montag e compagni,  i quali identificavano le case che contenevano libri nascosti per poi darli crudelmente alle fiamme.  Togliete i libri e metteteci il  denaro contante, e resta comunque la proibizione di vivere come ci pare e piace e  di restringere le nostre legittime libertà. A quando i prossimi pompieri eliminatori di banconote? Dopotutto, sempre di carta si tratta.






Inoltre, per rimanere in questo ambito narrativo, non si può omettere di citare  H.B Wells fondatore ed esponente della Round Table e  forte assertore di uno Stato Mondiale (nihil sub sole novi, evidentemente),  già noto per il suo romanzo "La guerra dei mondi" da cui il grande e quasi omonimo nel cognome,  Orson Welles, trasse spunto per quella famosa trasmissione radiofonica che spaventò gli Usa.

E' il caso di dire che oggi la realtà supera  di gran lunga la distopia degli autori testé citati.
Buona visione del filmato di Alan Watt!



Hesperia

mercoledì 19 settembre 2012

Mastro Martino


 Illustrazione tratta da Wikipedia, intitolata: "Janvier, Très Riches Heures du Duc de Berry" (1410-1416).

Gutemberg o Castaldi, chi è l'inventore della stampa? Dal momento che a Feltre, dove Panfilo Castaldi era nato, gli era stata dedicata una statua, con una scritta sul piedistallo, che avrebbe poi ingenerato tale dubbio (leggi questo post). La scritta non fu più corretta, nemmeno quando si appurò, in via praticamente definitiva, che il vero inventore della stampa, essendo stato il primo ad aver pubblicato un'opera stampata con caratteri mobili - la famosa Bibbia latina delle 42 linee, della quale parla approfonditamente Josh, nel post sulla Biblioteca Vaticana e Bodleiana - è stato Gutemberg. Insomma, la questione avrebbe tutti i contorni di un giallo, che autorevoli commentatori del blog Giò Fuga Type hanno recentemente contribuito a ravvivare. Comunque si sia snodata la questione,  a Panfilo Castaldi va il merito di essere stato il primo tipografo di Milano. Ciò avvenne dopo che Galeazzo Maria Sforza gli aveva concesso il privilegio, e nel 1471 dalla sua tipografia uscirà il primo libro stampato in questa città. 
Feltre, monumento a Panfilo Castaldi - dal sito Digilander.Libero.it
Ma se rimane qualche dubbio circa la paternità dell'invenzione della stampa, non ce n'è, invece, per quanto riguarda la primogenitura che la città di Venezia ha dato a svariati settori della stampa. In primis l'invenzione del libro "tascabile", con l'innovazione portata da Manuzio. Prima di lui per poter leggere i libri occorreva dotarsi di leggii, dato le ampie dimensioni degli stessi. Il formato ridotto, "tascabile", quello ancor oggi in voga, consentiva di trasportare i libri durante il passeggio, in viaggio, in pellegrinaggio, in guerra, o in qualsiasi altra occasione. Per questo e altri motivi Aldo Manuzio fu un grande innovatore della stampa, che era appena nata, e per questo merita un post tutto per se.
Tabella sulle lunghezze minime del pesce, esposta al mercato del pesce di Rialto - dal blog Alloggi Barbaria
Ma veniamo ai primati di Venezia in questo campo.
Se la stampa fu inventata altrove, è a Venezia che si è sviluppata e ha preso il volo. Venezia a quel tempo era già ambita meta turistica e la riva destra del Canal Grande, tra il Ponte di Rialto e Piazza San Marco, più nota come "Mercerie", era già la strada dello shopping "internazionale". E' passata agli annali della storia la visita del 2 maggio 1442 del maturo Francesco Sforza in compagnia della giovane moglie Bianca Maria Visconti (vedi post Dai Visconti agli Sforza) per quel supplemento di vacanza. "Il corteo sfilava lungo il Canal Grande". All'indomani dell'invenzione della stampa, gli avveduti veneziani si erano buttati a capofitto nel nuovo business, bruciando sul nascere tutte le altre città europee. Esempio di grande avvedutezza, trasformarono in fretta quella riva del Canal Grande in un vasto emporio, praticamente a cielo aperto - perchè le vetrine di allora non erano certo come quelle di oggi - di stampe e libri di ogni genere: quelli che al momento di quella storica visita erano negozi di altro genere, si erano in fretta convertiti in librerie con annessa tipografia nel retrobottega; nel corso di quel tragitto se ne sarebbero potute contare almeno quindici.
Venezia, Archivio di Stato - da questo post di Alloggi Barbaria
E' lungo l'elenco dei primati in campo editoriale di quel periodo in cui Venezia fece leggere il mondo. Periodo di leadership durato almeno 100 anni, e tramontato anche per colpa della Sacra Inquisizione, dapprima blanda, e poi vieppiù sempre più guardinga, tanto da costringere autori a cercarsi tipografie nel nord Europa, località dove la censura era meno invadente o addirittura inesistente (come è stato il caso di Copernico col suo libro De Revolutionibus, censurabile per l'epoca, pubblicato il 24 maggio 1543, giorno della morte dell'autore, fatto stampare in Nord Europa).

Tralasciando di parlare degli altri primati di Venezia in campo "editoriale", ve n'è uno che "stuzzica" gli appetiti: a Venezia è stato stampato il primo ricettario di cucina al mondo. E non era un semplice ricettario in cui si davano le dosi dei vari ingredienti, conteneva pure consigli dietetici. E oggigiorno, in cui non v'è testata giornalistica o radiotelevisiva che non abbia al suo interno la sua bella rubrica di ricette culinarie, la cultura di un cuoco che si rispetti non può prescindere dal conoscere questo fatto.

L'autore del ricettario era stato il cuoco Martino da Como, più noto come mastro Martino. Egli non si limitò a rifare le ricette di altri, ne elaborò di sue, trascrivendole su fogli. Tali fogli finirono nelle mani di Bartolomeo Sacchi  di Piadena, detto il Platina, che all'occasione le mandò in stampa come sue. Un plagio vero e proprio, andato avanti per oltre 5 secoli, e scoperto solo di recente, confrontando il testo dell'opera del Platina con i manoscritti di Mastro Martino, conservati nella Library of Congress, a Washington.

La scrittrice Ketty Magni, di Desio, sulla vita di Mastro Martino ha recentemente pubblicato il suo terzo romanzo storico, dall'emblematico titolo Il principe dei cuochi. (gli altri due sono incentrati sulle figure della Regina Teodolinda e dell'imperatrice Adelaide, delle quali s'è parlato in questo blog). Mastro Martino lavorò a Milano, alla corte di Francesco Sforza, per poi trasferirsi nella Città Santa al servizio di quel «cardinal Lucullo» – questo il soprannome del camerlengo Ludovico Scarampi Mezzarota, patriarca di Aquileia – noto per la consuetudine di dare banchetti di rara sontuosità, dei cui costi - si vociferava - pare avesse investito non meno degli attuali 500 euro al giorno.   
Copertina del libro di Maria Cristiana Magni, alias Ketty Magni
Bibliografia: Alessandro Marzo Magno, L'alba dei libri

martedì 11 settembre 2012

Ombre e Luci


Continua fino a fine ottobre la mostra “Ombre e luci (1920 – 1960) Volti del cinema nei ritratti di Manlio Villoresi”, a cura di Anita Margiotta e Alessandra Grella.
Si tratta di un'esposizione fotografica, di circa 90 fotografie di attori teatrali e cinematografici italiani, e alcuni cantanti dal 1925 al 1960.
La particolarità della mostra è l'arco di tempo coperto che evidenzia sia alcune personalità dello spettacolo italiano del passato, sia la moda del tempo e lo stile dei ritratti di Villoresi.

Presenti ritratti di  Eleonora Duse, Emma Grammatica, Ruggero Ruggeri, Antonio Gandusio e Mario Del Monaco, compresi Annibale Ninchi (protagonista di "Scipione l'Africano", primo vero Kolossal italiano, del 1937 per la regia di Carmine Gallone, foto sotto) e attori dei telefoni bianchi come Elsa Merlini, Nino Besozzi e Doris Duranti (foto in alto).


Con Anna Magnani (sotto), Raf Vallone e Massimo Girotti, si passa al Neorealismo, fino ai film più popolari con Ave Ninchi, Isa Barzizza e Franca Faldini (sotto).



Per la Dolce Vita non potevano non comparire Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman,  Gabriele Ferzetti, John Derek, Isa Pola, Anna Maria Ferrero (sotto), Maria Mercader e Domenico Modugno, e attori di sceneggiati come Paolo Carlini e Alberto Lupo.


Le foto sono selezionate da circa 1500 negativi su lastra in vetro alla gelatina bromuro d'argento del fotografo Manlio Villoresi (Città di Castello 1891 – Roma 1976), conservate dal 1978 presso l’Archivio Fotografico del Museo di Roma. Sarà possibile visitare la mostra al Museo di Roma Palazzo Braschi dal 27 giugno al 28 ottobre.

Dopo aver appreso la professione con il padre Aristide, Manlio Villoresi si trasferisce a Roma aprendo il famoso studio fotografico in via Veneto n. 96, frequentato da personalità della cultura, dello sport, della vita politica, musicisti, e attori cinematografici.
I ritratti della fine degli anni ’20 si caratterizzano per l’uso studiato delle luci, gli effetti flou, un'impostazione molto studiata, preparata e decorativa della visione.
I primi piani del periodo successivo appaiono invece meno costruiti e pittorici, mossi da una maggiore attenzione al ritratto psicologico-caratteriale e a notazioni realistiche.

Presente oltre ai ritratti una selezione di abiti di scena, costumi cinematografici (alcuni provenienti dalla Fondazione Annamode) per contestualizzare le immagini nelle rispettive epoche e film, generi e settori dello spettacolo.
Lo spirito della mostra in realtà, oltre all'omaggio a Villoresi e alla sua fotografia, vuole evidenziare uno spaccato dell'Italia anche storico e documentale, attraverso protagonisti simbolici e miti dell'immaginario d'allora.


Info
Ombre e Luci (1920 – 1960)
Volti del cinema nei ritratti di Manlio Villoresi

Museo di Roma Palazzo Braschi - sale espositive del piano terra
ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10
Apertura al pubblico dal 27 giugno al 28 ottobre 2012
Orari Martedì-Domenica ore 10.00-20.00, chiuso lunedì, 1 maggio
Biglietteria: Integrato Museo + Mostra: Intero € 9,00; Ridotto € 7,00
060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)
www.museodiroma.it