martedì 25 ottobre 2011

Dinastie millenarie

Castiglion Fiorentino, panorama - da Wikipedia

Quando Marcello - l'amico blogger cui è stato dedicato il blog aggregante Il Castello 1 - mi raccontò della durata millenaria della dinastia dei conti di Mammi - da cui volle prendere la sua nick name, facendosi chiamare Marcello di Mammi - fui alquanto scettico nel credere si sia potuti risalire ad origini così remote: in mille anni possono succedersi trenta, quaranta, o anche cinquanta generazioni, e non è facile seguire il filo certo che le unisce, anche tenuto conto che nel frattempo si è passati dal Medioevo, all'Evo Moderno, con tutti gli accadimenti avvenuti.  Della contea e dei Conti di Mammi - mi raccontò Marcello (vedi qui al commento n.4) - si conoscevano le origini, risalenti agli anni 960 o 962, al tempo degli Ottoniani, imperatori del Sacro Romano Impero. Il Granconte Ugo, dei Conti Lambardi, aveva loro dato ospitalità, unitamente a tutto il loro seguito e alle scorte armate,  durante le discese a Roma per le investiture. Li avranno poi anche ospitati quando furono diretti nella città eterna con l'esercito per sedare i disordini scoppiati per motivi legati al papato, e quando poi Ottone II fu diretto a Stilo per combattere contro i saraceni. Per tali servigi il Granconte Ugo era stato nominato Conte della neocostituita contea di Mammi, da Ottone I o Ottone II, negli anni 960, o 962. Il loro castello, posto in posizione strategica, su un'altura nei pressi di Castiglion Fiorentino, era inespugnabile, garantendo così incolumità e sicurezza ai preziosi ospiti (vedere anche il post Adelaide e gli Ottoniani). Come sappiamo da quel commento, la dinastia si estinse nel 1953 per mancanza di eredi maschi.

Battaglia di Cortenova (1237). I reduci di quella battaglia, combattuta e persa dalla II Lega Lombarda contro Federico II, trovano ospitalità e rifugio presso Pagano Della Torre, signore della Valsassina (dal sito *). 

Tale scetticismo si è poi dileguato allorquando ho avuto modo di approfondire la storia di altri casati dalla storia millenaria, come quella dei Della Torre, o Torriani, originari della Valsassina, e quella dei Seccoborella di Vimercate, la Vicus Mercatus Romana, uno dei centri più ricchi di storia della cosìddetta Lombardia minore, oggi trascurato o dimenticato.
Ai Della Torre, o Torriani, ci sono numerosi richiami e riferimenti storici anche nel romanzo di fine Ottocento Lasco il bandito della Valsassina, testè recensito. Sia pur con licenza poetica, i Torriani irrompono nel romanzo attraverso la descrizione del loro simbolo araldico e il ricordo di un loro avo che partecipò alla Prima Crociata: "La porta principale che guardava in faccia a Taceno, terra di cinque o sei case e altrettante stalle addossate, accosto a una chiesa sul ciglio della montagna, portava sotto l'insegna di una mezzaluna turca una iscrizione in latino che ricordava la gloria d'un antico abitatore del castello, il quale aveva combattuto sotto le scorte dei Torriani conti della Valsassina, in terra di Palestina a liberare il sepolcro di Cristo".  


Stemma della famiglia Della Torre - da Wikipedia

E in effetti un Martino Torriani, conte della Val Sassina, combattè nella Prima Crociata, trovando la morte nel 1148 sotto le mura di Damasco. Questo fatto conferirà perenne lustro al casato. Lustro ancor maggiore venuto loro dal ruolo che i Della Torre ebbero nella Milano rinascente dalle oscurità del Medioevo. I Della Torre furono reggitori della Milano medievale, in compagnia e in competizione continua con i Visconti. I due gruppi si fronteggiarono spesso, finchè nella decisiva Battaglia di Desio, del 21 gennaio 1277, i Visconti ebbero la meglio, e la numerosa famiglia dei Torriani dovette fuggire disperdendosi nei suoi tanti rami, diretti e collaterali. Un ramo dei Torriani si ritirò sulla sponda occidentale del lago di Como, creando un feudo a Rezzonico, un borgo dal quale presero il secondo nome. Suoi membri si trasferirono a Venezia, dando origine al ramo dei Rezzonico veneziani, con dimora a Ca' Rezzonico, oggi diventata sede del Museo del Settecento Veneziano (gli interni sono stati illustrati nei giorni scorsi, sabato 15 e sabato 22, nel corso del programma Il Loggione). Il ramo dei Torriani Rezzonico di Venezia nel 1758 ha dato al mondo un papa, papa Rezzonico, Papa Clemente XIII.
Ponte romano di san Rocco, Vimercate - da Panoramio

Un caso singolare è quello dei Seccoborella da Vimercate. Nella loro villa dalle origini millenarie -divenuta proprietà e sede del comune di Vimercate, dopo l'estinzione del casato allargato ai Conti Trotti - "nella sala di attesa del palazzo comunale, che immette nell’ampia aula consiliare, si scorge un grande albero genealogico della famiglia: da Guiffredus Sicus, vissuto verso il 1100, alle sorelle Maria, Caterina e Giulia, che furono le ultime persone della famiglia".“Alla base del dipinto - scrive Antonio Bandini Buti  in due medaglioni, indipendenti, sono nominati due personaggi, da cui la nobile famiglia si vantava di trarre la propria discendenza: un conte Ricimer Siccus, patrizio romano di sangue gotico, nominato dall’ imperatore Severo (II e III secolo d.C.) vicario imperiale di tutta Italia; e il pontefice Giovanni XVI (considerato da alcuni storici il XVII della serie), eletto papa il 9 giugno 1003 (l'epoca degli imperatori Ottoniani si è conclusa l'anno precedente) e morto il 31 ottobre dello stesso anno.
 Avendo retto la chiesa per così breve tempo (meno di cinque mesi), egli non lasciò quasi traccia del suo pontificato, così come scarsissime sono le notizie biografiche che se ne hanno. Da una pietra scoperta nel marzo 1750 nella pieve di Santa Maria in Ripagnano, in diocesi di Fermo, e illustrata dal card. Cesare Borgia, risulta che questo papa era nato a Ripagnano da un Giovanni della nobile famiglia Sicco o Siccone e da una Colomba di cui non è detto il casato. Vi si apprende pure che, recatosi a Bologna, vi era stato solennemente ricevuto da Petronio Console.               

Dall'epoca di quell'albero genealogico al 1400 non sono molte le notizie riguardanti questa famiglia.
Nel 1450, nella casa dei Seccoborella fu firmata la pace tra i milanesi e Francesco Sforza, avvenuta dopo tre anni di assedio alla città di Milano, la quale lo aveva esautorato, approfittando di una sua momentanea assenza per impegni militareschi nelle Marche (vedi anche il post Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza) . Nel 1467, un Giorgio Secco è capitano della Martesana. Nel 1475 Vimercate fu concessa in feudo ai Seccoborella da Galeazzo Maria Sforza.

Sul finire del Cinquecento un personaggio della famiglia s’affaccia alla ribalta delle cronache mondane, ma la storia è alquanto lunga, sarà quindi oggetto di apposito post.

Lo scritto in corsivo è tratto dal cap.XXIII della Storia di Vimercate - Eugenio Cazzani - Edizioni Artegrafica Luigi Penati e figli - Vimercate - I Seccoborella pag.561.

Villa Sottocasa, sede del Museo del Territorio (MUST) di Vimercate - da Wikipedia

domenica 16 ottobre 2011

La breve ma intensa meteora di Boris Vian


Quando si parla di Boris Vian e della sua breve ma intensa meteora, non si può ignorare la difficoltà di trovarsi davanti un poliedro dalle troppe facce, poiché dalla matematica, alla narrativa, dal teatro alla poesia dalla musica alla regia e all'impresariato, Vian si è proiettato lungo le direzioni più bizzarre, con un gusto della novità che sempre diventava una febbre. E alle prese con un fenomeno del genere, era fatale che gli stessi interpreti più volenterosi, fossero costantemente esposti al rischio di confondere nella sua dimensione operativa il superfluo con i motivi profondi ed essenziali. Si aggiunga il gusto della beffa che l'induceva ad abusare della sua vena creativa per allontanare il fantasma inquietante che ogni tanto si affacciava nella sua fantasia lanciandolo in avventure mozzafiato: Vian era malato di cuore sin dalla nascita e visse tutta la vita con la consapevolezza che la morte potesse arrivare da un momento all'altro. Un destino da poeta maledetto, ma è un destino sempre rifiutato in cui il dramma finisce sempre con un sorriso, una burla, una beffa. Beffa che Vian cerca di istituzionalizzare con un certificato dove c'era scritto "Membro d'onore dell'Accademia di Patafisica", in omaggio ad Alfred Jarry. La Patafisica per quest'ultimo era una parodia della Scienza.
Nato casualmente il 10 marzo 1920 a Ville d'Avray sulla porta di una clinica ostetrica che era chiusa per uno sciopero contro il calo delle nascite, nacque piuttosto con la camicia. A scuola “va benino ma neppure benissimo”, prende il diploma superiore con una votazione media, ma decide di iscriversi alla scuola superiore per le arti e i mestieri che in realtà equivale alla nostra facoltà di ingegneria meccanica, ed è così che si reca poco più che diciottenne a Parigi, dove in poco tempo esplodono tutti i suoi vari talenti: in tutte le cose in cui Vian si tuffa con tutto sé stesso, riesce ad ottenere un successo strabiliante.
Nel 1938 cominciò a studiare la trombetta a rosolio, “raggiungendo immediatamente il livello di Luis Armstrong, ma la abbandonò subito per non privare il poveretto della pagnotta”, avvantaggiato dai soliti pregiudizi razziali. Assieme al fratello Alain che suona che suona in una banda di jazz piuttosto importante, inizia ad occuparsi della programmazione musicale del Tabou, un locale notturno di St. Germain dove si suona ovviamente musica jazz e dove Vian inventa spettacoli di cabaret, serate a tema e ben presto diventa un punto di incontro di diversi esponenti dell'esistenzialismo francese e degli intellettuali bohémiens dell'epoca. Su questo periodo intenso e frenetico scrive un libro che verrà pubblicato postumo "Manuale di St. Germain des Près", dove lui e la sua tromba che chiamerà scherzosamente "Trompinette" (in francese tromper significa ingannare)  sono i numi tutelari.
L'incontro tra il filosofo e la “locomotiva dei divertimenti di Saint-Germain” ebbe luogo nella primavera del 1946.
Boris Vian viene presentato a Simone de Beauvoir il 12 marzo assieme alla moglie Michelle, mentre Sartre è in America: trova che Boris si ascolta, è una persona interessante e in più coltiva con troppa compiacenza i paradossi; al mattino Simone, parla già di amicizia eterna.
Quando Sartre ritorna, considera Boris enigmatico mentre la moglie Michelle di una bellezza così evidente che ne diventerà l'amante. Da allora Vian, trascina tutti i suoi amici a coagularsi attorno a Sartre nelle notti di Saint-Germain, divenendo il “monaco sulfureo del Jazz e Saint-Germain des-Prés è il suo profeta” recita una poesia di Prevért dedicata a Boris Vian.
L'Esistenzialismo delle “ caves ” nella sua essenza, era una sorta di deformazione selvaggia dei costumi primitivi estratti dalla ganga millenaria in cui essi sonnecchiavano fino all'avvenimento del Tabou, che li liberò per un uso privato e fu superato dagli avvenimenti.
Boris Vian e la sua trompinette
Il Tabou diventa il regno di Vian e del jazz , e la più celebre delle “ caves ” di Saint-Germain che meglio si adattava, alla nuova filosofia alla moda. Diventa il luogo dove festeggiare i riti dionisiaci dell'euforia della Liberazione dalla guerra con vino, danze, amore e Coca-Cola, una bevanda allora rara e clandestina.
Fu proprio l'amicizia tra Vian e Sartre a trasformare la Rive Gauche in Saint-Germain , conferendo al quartiere dell'intelligenza l'aspetto dei continuati baccanali della Liberazione.
Saint-Germani des Prés a volo d'uccello, era un posto come tutti gli altri, qualche albero e dei davanzali dove le zitelle e gli innamorati disponevano le briciole dell'ultimo pasto. Era un posto in cui, se i primi cristiani si limitavano a cantare le lodi del Signore, a Saint-Germain des Prés invece le si danzavano.
Pur diventandone amico, Vian si prende beffe di Sartre e de Beauvoir, dei loro atteggiamenti e degli esistenzialisti: fu proprio la coppia di filosofi ad ispirargli “ La schiuma dei giorni ” il romanzo che ancora oggi viene considerato come il suo capolavoro, scritto tra il 1944 e il 1945. È un romanzo carico di surrealismo, con una gioia di vivere e di musica, che traboccano e vengon fuori sin dalla breve premessa in cui Vian enuncia una sorta di dettame estetico ed esistenziale nel quale afferma che “l'essenziale nella vita è dare giudizi a priori su tutto, poiché sembra che le masse stiano sempre dalla parte del torto, mentre gli individui hanno sempre ragione”.
Boris Vian e Juliette Gréco ai tempi del Tabou
È un romanzo dolce e pirotecnico colmo di invenzioni che fanno ridere e piangere, ma allo stesso tempo è una feroce denuncia del conformismo dell'epoca. Il più "arrachecoeurant" (letteralmente: strappacuorente) di tutti i romanzi" lo definirà Queneau.
La storia parte da questa Parigi in cui Vian si muove con gran disinvoltura, una Parigi magica e che contribuisce a far sentire tale.
Protagonista del romanzo è Colin, un giovane riccastro colto e annoiato, innamorato perdutamente di una ragazza tenera di nome Chloé e con un amico Chick, a cui presta un pozzo di soldi o meglio di dobloncioni per collezionare tutte le opere del filosofo Jean Sol Partre.
Ma La schiuma dei giorni (L'Ecume des jours) anche se sostenuto da Raymond Queneau che lo candida al prestigioso premio della Pleiade non si rivelò un successo come da Vian sperato, e non riuscì a vendere più di 1500 copie.
A pochi mesi dall'uscita de La schiuma dei giorni, si presenta a Vian la sua grande occasione: incontra Jean d'Hallouin un piccolo editore tutt'altro che ricco, titolare dell'Edition du Scorpion, il quale gli parla del suo ambiziosissimo progetto: metter su una collana dedicata alla letteratura noir americana che in Francia aveva ottenuto un enorme successo, ma il problema è che non sa come fare per pagare i diritti di quei grandi autori. Del resto Vian fu egregio traduttore di Raymond Chandler.
Vian propone di scrivergli lui stesso, in soli quindici giorni un libro scabroso, dalle tinte forti e in più gli promette che sarebbe stato migliore di un vero romanzo americano.
Gli venne la brillante idea di inventarsi un falso nome e di travestirsi in uno scrittore di noir americano: nacque Vernon Sullivan scrittore negro censurato in America a causa del razzismo e della violenza hard boiled ed il romanzo “ Sputerò sulle vostre tombe ” (J'irai cracher sur vos tombes) , – un libro che si legge tutto d'un fiato e che coniuga molto bene la critica sociale alle mode e costumi del tempo – che ha come protagonista Lee Anderson “un negro dalla pelle bianca” che vuol vendicare l'assassinio del fratello, ebbe un successo clamoroso e suscitò enorme scandalo poiché presentava una trama con una miscela esplosiva fatta di auto veloci, alcol fino alla nausea, sesso facile senza limiti e musica di chitarre, una musica giunta alle soglie del rock . Per dirla alla Vian, “la storia è interamente vera, perché l'ho immaginata dall'inizio alla fine”.
Nel giro di pochi giorni Sputerò sulle vostre tombe divenne un best seller ma il sorriso sul volto del nuovo talento non durò per molto perché il romanzo venne censurato e Vian condannato per offesa alla morale. Venne distrutto dalla critica per essersi rifugiato dietro lo pseudonimo di Vernon Sullivan, critica che non aveva esitato a formulare paragoni con la violenza di Henry Miller e a identificare gli esistenzialisti – speculando sulla narrativa erotica – come persone perverse e il sesso come epigono del credo esistenzialista, coprendo di ridicolo il movimento che tante fatiche aveva fatto.
Il romanzo nonostante gli entusiasmi, mosse le acque torbide dello scandalo e un certo Daniel Parker iniziò una crociata morale contro, azionando la rugginosa macchina della giustizia, che a quattro anni dall'apparizione del romanzo ritenuto veicolo di arditezza pornografica, condannò l'autore in maschera di traduttore e l'editore Jean d'Halluin a centomila franchi di multa.
Vian affrontò la giustizia degli umani e accettò il tutto con la sua solita ironia, si divertì anche a sottolineare la banalità di certe critiche che contro, gli erano state mosse. La critica militante, da allora manifestò nei suoi confronti un'attenzione distratta vicina al rigore punitivo, ma Vian restò abilmente nell'ombra così da poter sfruttare “il privilegio di non esser preso sul serio”.
Nel frattempo, era divenuto Satrapo del collegio di Patafisica , la scienza delle soluzioni immaginarie, una farneticazione di Alfred Jarry secondo il quale, basta una piroetta verbale, perché il paesaggio cambi improvvisamente e ci si trovi in tutt'altra terra. Secondo Vian “ la Patafisica spiega il rifiuto di ciò che è serio e di ciò che non lo è perché per essa sono esattamente la stessa cosa”. Boris Vian prenderà da questo serissimo divertimento che è la Patafisica i tratti salienti, le sembianze e il genio del primo patafisico per vocazione e autonoma decisione, il dottor Faustroll, alias Alfred Jarry, e proprio Jarry diventa il metro di paragone per comprendere il “rigore dell'assurdo” di Vian.
Scrisse nel 1951 Lo strappacuore (L'Arrachecoeur) a cui aveva dedicato quattro anni, un romanzo diverso, difficile, raffinato ma a causa dello snobismo nei suoi confronti da parte della critica, non vendette molto. La trama del romanzo spiega, è la storia di un amore materno spinto all'eccesso. È il modo tutto personale di Vian, di fare i conti con il suo passato, nel quale vorrebbe sbarazzarsi di un'infanzia oppressa da una madre asfissiante. E a lui parlare di queste cose fa molto bene: gli consente altresì di fare il punto sulle proprie idee in materia di educazione. Sapeva che si trattava di un testo difficile e che lo sfondo potesse sembrare “costruito”, ma tiene a sottolineare di come sia buffo delle volte, che quando si scrivono fandonie si è credibili, mentre quando si fa sul serio, la gente pensa che la si stia prendendo in giro.
Subito dopo decide di smettere di scrivere ma non prima di aver dato alla luce capolavori come Le formiche il più termitante fra i racconti di guerra e Autunno a Pechino . Di libri ne scrive 10 in tutto.
Da quel momento si getta a capofitto sulle canzoni e ne diviene autore-compositore e cantante,  e sull'attività musicale in genere.
Diventa direttore della compagnia filarmonica Philips, della Fontana e della Barclay, si occupa della colonna sonora di diversi film di successo e collabora alle riviste musicali più importanti come Jazz Hot. Cede poi i diritti cinematografici di Sputerò sulle vostre tombe , ma gli viene negata la possibilità di scrivere lui stesso la sceneggiatura del film.
In Italia molti scoprono l'esistenza di Boris Vian con notevole ritardo, grazie ad una canzone cantata da Ivano Fossati, Il disertore, (Le Déserteur) una canzone che mette i brividi ogni volta che la si ascolta e che riesce a raccontare con semplicità l'orrore della guerra e il punto di vista razionale di lui,   contro la sua irrazionalità.
La scrisse durante la guerra francese in Algeria, e fu ovviamente censurata provocandogli non pochi problemi: il nome di Boris Vian ancora una volta fa scandalo.  La copertina del disco riportava il divieto di trasmissione; successivamente fu anche interpretata da Joan Baez, ma diventa una versione melensa e "pacifista"; meglio quella dell'autore, assai più graffiante. Ma non fu l'unica canzone. Amava scherzare con le parole, e abbandonarsi a calembours e a giochi allitterativi, insieme all'amico Queneau, autore di "Zazie dans le métro". Ecco dunque la graziosa  e divertente "J'suis snob", nella quale dice che da morto vuole essere vestito da Dior.
L'epilogo della sua vita, tra una burla e l'altra, ha un risvolto  simile a quello di  Mercuzio, il giocherellone di Romeo e Giulietta di Shakespeare  che muore scherzando.
Muore la mattina in cui viene proiettata l'anteprima di Sputerò sulle vostre tombe , stroncato da un attacco cardiaco il 23 giugno 1959 all'età di 39 anni. Stando alle indiscrezioni, Vian era indeciso se far apparire sugli schermi il suo nome, e per questo motivo aveva chiesto di vederlo. Enorme sarà stata la sofferenza patita nei minuti in cui ha visto il suo discusso romanzo tradotto in immagini non aderenti al suo pensiero e tagliuzzato dalla censura. Quel suo libro, gli aveva spalancato la porta della sua vita pubblica ed è stato lo stesso che bruscamente gliel'ha richiusa. Dell'America, Boris ebbe una visione romantica e letteraria (importò in Francia molta della letteratura pulp) e quando i produttori americani del suo film censurarono spietatamente numerose scene ebbe a chiedersi "Ma questi tizi sarebbero Americani?".

Vian ebbe una vita frenetica e movimentata, ma per dirla con le sue parole, "sarebbe pronto a ricominciare".

Autopresentazione di Boris Vian (a cura del medesimo)
Hesperia

venerdì 7 ottobre 2011

Denaro E Bellezza. I Banchieri, Botticelli e il Rogo delle Vanità.



Si tiene a Firenze, a Palazzo Strozzi, una mostra di notevole interesse, (cfr.titolo),
indirettamente e curiosamente vicina a temi incandescenti di questo periodo nei nostri blog e nell'attualità.  
(Nella foto sopra, Jean Provost, "L'avaro e la morte" 1505-1515)
Aperta dal 17 settembre fino al 22 gennaio 2012, nasce da un'idea di James M. Bradburne, curata da Ludovica Sebregondi e Tim Parks.
Dal punto di vista dell'offerta di opere di pregio, c'è stato un notevole lavoro di organizzazione con tele di Botticelli, Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, Della Robbia, Lorenzo di Credi, alcuni fiamminghi, da tutto il mondo.
In pratica, i maggiori esponenti del Rinascimento paiono narrare, attraverso un itinerario per immagini, il fiorire del sistema bancario in analogia alla loro epoca. La mostra intende anche connettere le vicende economiche e i fatti dell'arte ai mutamenti filosofici, religiosi e politici.


(Botticelli, "la Calunnia", 1497)

L'esposizione narra alcune tappe della storia del sistema bancario, approfondendo aspetti di vita ed economia europea dal Medioevo al Rinascimento. Documentate anche alcune vicende delle famiglie che ebbero il controllo del sistema bancario d'allora, nel conflitto molto avvertito in quell'epoca tra valori spirituali ed economici.

(Marinus Van Reymerswaele, "Gli Usurai" 1540)

Pur all'interno della corretta storicizzazione, nascono alcune osservazioni.
Si tratta di un'antica questione: ovviamente le banche perseguono un utile, terreno, materiale, speculativo, mundano.
Il mondo cristiano invece, cattolico in particolare, avverte, e molto di più avvertiva come peccato il prestito con interesse, la speculazione e ovviamente l'usura (inutile persino dirlo, l'episodio presente in tutti e 4 i Vangeli, con la cacciata dei mercanti e dei cambiavalute dal tempio, e numerosi altri punti);
parte del mondo protestante e calvinista classico, anglosassone specialmente, ha una visione differente dei capitali, interpretati come benedizione divina di cui godere appieno: c'è sicuramente anche questo nel cristianesimo, tutto dipende dall'equilibrio degli aspetti e dall'etica dell'uso dei beni, ma ad un certo punto l'attenzione al "Regno qui e adesso" conduce all'eresia statunitense del "vangelo della Prosperità": qui la maniera di considerare il conflitto tra utile ed etica spirituale allora è molto differente e ...brillantemente risolto.
Ciò non toglie che in filigrana a queste apparentemente minime differenze, questa diversità d'approccio ha invece segnato con stili di vita e scelte valoriali nettamente divergenti il mondo cattolico postlatino e il mondo calvinista anglosassone d'allora e di oggi, nazioni se non continenti, al di là delle forme oggi imperanti ovunque, dovute alla globalizzazione di modelli non nostri che tendono a uniformare tutto il globo.

(Botticelli, Madonna col Bambino e san Giovannino, 1500)

In un certo modo, il mito del mecenatismo d'arte sotteso comunque alla mostra, compare legato alla disponibilità stessa dei banchieri, che finanziarono proprio le scelte d'arte e investimento delle case regnanti:
la mostra pare un po' suggerire che fu questa convergenza, tra famiglie di potere/regnanti e banchieri, a rendere possibile finanziare i più importanti artisti rinascimentali.
Come a dire, senza le banche (strutturate però come a quel tempo) non avreste avuto il Rinascimento.
Indubbiamente la prosperità concreta aiuta ad investire nel Bello e a circondarsi di preziosi,
non sono però di questa opinione data la complessità anche teorica e ideologica dell'Umanesimo e Rinascimento, che non sono il mero frutto delle banche, e mi pare che giungere a questa conclusione meccanicamente sia una forzatura.

(Marinus Von Reymerswaele, "Il cambiavalute e sua moglie", 1540)

A mio avviso comunque molto ben pensata e organizzata, in cerca di una storicizzazione efficace intorno ad alcuni eventi, non posso personalmente fare a meno di pensare che ci sia nella mostra (sarà una malizia mia, chiedo venia) come un tentativo sotterraneo di "elevazione" della fama attuale delle banche, connettendole adesso proprio all'arte che amiamo di più,
come nel desiderio di recuperare consenso e allure presso il grande pubblico, in una fase storica come l'attuale di crisi e inaffidabilità,
in cui l'immaginario odierno non vede poi tutta questa artisticità e umanesimo nelle banche di oggi, quanto piuttosto
l'inquietudine dinanzi alla turbofinanza, agli hedge funds, ai prodotti finanziari "derivati", ad alcune scelte della BCE, alla scandalosa finanza americana, ai crolli dei più vari istituti di credito che devono poi essere salvati in extremis ricapitalizzandoli con il denaro degli Stati quindi dei cittadini, al declino del dollaro e dell'euro ormai monete irreali, alla scomparsa delle banche nazionali e della zecca per aprirsi a banche private eppure "centrali", alle pressioni dei poteri forti e della finanza internazionale sulle scelte degli Stati, in una società che ha fatto mercato anche della dignità dei cittadini.

Nel forte contrasto con il presente, sempre la malizia sicuramente mi suggerisce che ci sia un desiderio di ricerca di fiducia da parte dei banchieri, inserendo proprio lì l'istituzione banca, finanziatrice di arte e bellezza, in un tranquillizzante mitico passato dorato che sappiamo, tra le virtù di un tempo, per parere appartenerci di più e approssimarsi a noi attraverso l'arte.

(Fiorino d'oro III serie 1252-1303)

Ma proprio a questo punto, per chi volesse fare improponibili paragoni col presente, giova ricordare che il concreto successo fiorentino d'allora, il surplus e l'unicità di quel tempo, fu concretamente simboleggiato dal fiorino d'oro, moneta - segno e sostanza di ricchezza reale, di una terra effettiva e di ben definita identità, con economia vera.

Allora, nella realtà come nella filosofia del tempo, ancora la res corrispondeva ai signa.
Questa è una delle sottaciute chiavi di lettura possibili e insieme chiave di volta della mostra.
Oggi abbiamo "monete" che sono signum, inteso come parvenza stampigliata di qualcosa, ma poi non c'è la res, la sostanza, la cosa in sè.
Questa è la prima differenza che deve obbligatoriamente saltare agli occhi, se usciti dalla mostra vogliamo proprio domandarci come siamo finiti nella situazione d'oggi.

Invece fu proprio la realtà sostanziale del fiorino d'oro, moneta vera dell'economia vera della Firenze d'allora, che segnò gli scambi commerciali in tutto il mondo, a simboleggiare il fatto che da una moneta reale, espressione di una terra reale, nacque una civiltà reale, diversamente da oggi.

Da una moneta finta o virtuale invece...
Fate dunque i vostri debiti conti.

(strumenti di misura, bilancia per oro e pietre preziose)

La mostra propone anche dettagliate raffigurazioni del mestiere del banchiere (per lo più di artisti fiamminghi) di valore documentario notevole, per testimoniare il periodo in cui Firenze era la riconosciuta capitale finanziaria del mondo.
L'esposizione documenta quindi anche il potere fiorentino in Europa, e i meccanismi economici che permisero ai fiorentini di dominare gli scambi commerciali e di finanziare opere rinascimentali, grazie alla realtà della loro ricchezza locale.

Si accenna ai sistemi con cui i banchieri crearono patrimoni, la gestione dei rapporti internazionali e si chiarisce che la nascita del mecenatismo moderno d'arte ha origine spesso come gesto penitenziale per trasformarsi poi in simbolo di potere.
Tutt'oggi abbiamo turbofinanzieri che fondano cosiddette società di beneficenza, con attività scalabili fiscalmente negli USA, più spesso istituti attraverso cui influenzare la percezione delle masse, centri di elaborazione di chiavi di lettura del presente pro domo sua, think tanks, persuasi così di lavarsi la coscienza e fieri di essere conosciuti come "filantropi". Ugualmente all'epoca l'affarismo bancario era addolcito e reso più accettevole a sua volta dal finanziare anche "Il Bello".

(Lorenzo di Credi, "Dama dei gelsomini", 1485-1490)

I Medici stessi sono emblema della tendenza di allora dell'usare i guadagni per farsi perdonare peccati creando bellezza. La storica dell'arte Ludovica Sebregondi ricorda l'impegno del banchiere Cosimo il Vecchio per il recupero della basilica di San Marco. I guadagni concessi dal fiorino
d'oro, divenuta moneta base dell'economia europea, concedono attraverso il mecenatismo d'arte una possibilità di riscatto all'antico peccato di usura.
La Dott.ssa Sebregondi, autrice anche della "Iconografia di Girolamo Savonarola. 1495-1998", e lo scrittore e traduttore Tim Parks autore de "La fortuna dei Medici" e di riflessioni su finanza, teologia, e arte nel 1400, fanno sì che la mostra sia un continuo dialogo tra due punti di vista, con diversi e opposti tagli d'indagine sul tema.
L’obiettivo raggiunto è comunque osservare l’arte in maniera interdisciplinare, coinvolgendo economisti, politici e diplomatici e raccontando le radici del Rinascimento fiorentino nell’ottica delle relazioni fra arte, potere e denaro d'allora.

Il campo di tensioni tra argomenti in contrasto è inevitabilmente già compreso negli argomenti stessi:
denaro-affari e talento d'arte, banche e ispirazione iperurania d'artista, Mammona e Dio, beni terreni e anima incontenibile, finitezza ed eternità, lusso estremo e richiamo ad autenticità e spoliazione, questo mondo e la santità dell'altro, moneta reale in oro di ieri e carta straccia oggi.

(Pietro Torrigiano, Busto di Lorenzo il Magnifico, 1515-1520, terracotta policroma)

Tra i consulenti della mostra: Franco Franceschi, Professore di Storia medievale all’Università degli Studi di Siena-Arezzo,
e il nutrito comitato scientifico: Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze (Presidente); Alessandro Cecchi, Direttore della Galleria Palatina e dei Giardini di Boboli; Dora Liscia, Professore di Storia delle Arti Applicate e dell'Oreficeria all’Università degli Studi di Firenze; Robert Mundell, premio Nobel per l'Economia; Beatrice Paolozzi Strozzi, Direttore del Museo Nazionale del Bargello;
...Jacob Rothschild;
Gerhard Wolf, Direttore del Kunsthistorisches Institut in Florenz-Max Planck Institut.

(Ludwig von Langenmantel, "Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità", 1881)

Il percorso è dunque molto complesso e ovviamente non esauribile per le numerose implicazioni nello spazio di un post.
Presenti anche i capolavori realizzati per le stesse famiglie di banchieri, testimonianza di arte e storia, mentre la mostra si chiude con la visione di una società in crisi, nella rappresentazione di un contrasto, con il fenomeno politico-religioso di Savonarola.
Il frate, con i “bruciamenti delle vanità”, poi arso a sua volta, rappresenta la violenta reazione antilusso e antidecadenza, moralizzatrice e apocalittica-millenarista, durante la crisi politica sfociata nella Repubblica, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico.

Josh