sabato 31 gennaio 2009

René Magritte, il tranquillo sabotatore




Bello e casuale come l'incontro tra un ombrello e una macchina da cucire su un tavolo di sezione anatomica. Era questo il motto dei surrealisti raccolto e fatto proprio con toni poetici da René Magritte, detto il tranquillo sabotatore. Universi onirici, stupefacenti, spostamenti di significati e di significanti, Magritte svolge un tipico illusionismo onirico; illustra, ad esempio, oggetti e realtà assurde, come un paio di scarpe che si tramutano nelle dita di un piede o un paesaggio simultaneamente nella parte inferiore notturno e in quella superiore diurno, ricorrendo a tonalità fredde, ambigue, antisentimentali, quali quelle del sogno. Nei suoi enigmatici quadri crea nell'osservatore una sorta di "cortocircuito", già a partire dagli arcani e criptici titoli dei suoi dipinti. Sfida le leggi di gravità, con pietre in cielo che levitano come nuvole e nuvole che scendono per entrare in una coppa come panna e gelato. Accentua il carattere grigio della pioggia di città con una...pioggia di omini con ombrelli, bombetta in testa e impermeabili. Ma nonostante i suoi rivoluzionarismi visivi resta comunque un poeta. Certamente deve a De Chirico, padre della Pittura Metafisica, la sua ispirazione. Ma poi è una lezione che prosegue fino a trovare una sua cifra personalissima a suo modo ingenua e smaliziata, incantata e disincantata. Insieme a Paul Delvaux (un altro pittore che amo) è considerato esponente di grande spicco del surrealismo belga.








Tra senso e nonsenso

Nel senso di esistere è imperniata la condizione umana, trovare un senso logico, concreto, corrispondente al vero, al trascendente è bisogno primario dell’uomo. La continua ricerca di un equilibrio tra il sé e l’esternazione del sé, si configura in una parabola tra etica e utopia, come quintessenza del pensiero per scorrere tra la linfa del mondo. Ma dietro l’apparente tranquillità delle cose c’è il sogno, il presagio, lo spirito, il surrealismo con il suo spostamento del senso.
Il surrealismo non nega la realtà, la trasfigura, crea sconcerto e inquietudini, induce al mistero, all’enigma assai più della pittura astratta. Fondamentalmente i principi basilari sono due: gli accostamenti inconsueti e le deformazioni irreali. I primi, già spiegati da Max Ernst come “accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse" (il famoso motto dell'ombrello e della macchina da cucire).
Per libera associazione di idee si uniscono oggetti e spazi che non hanno niente in comune, distanti fra loro e appartenenti a contesti diversi. Ne risulta una visione di bellezza inedita, assurda, al limite del concepibile quasi, a voler frantumare le nostre certezze. Le seconde nascono dalla metamorfosi. Corpi, oggetti, forme rivelano la nature delle cose nella loro trasformazione in qualcos’altro. Caducità di uno stato transitorio che suggestiona la mente con inganni visivi, suscita sensazioni sospese tra l’apparenza della realtà e il suo profondo, e induce a riflettere sul divenire comprensibile e l’onirico, il mistero, l’impenetrabile.

Oggi forse questi "effetti speciali" ante litteram non ci stupiscono più di tanto, poiché il cinema di finzione con l'avvento delle tecniche computerizzate li ha fatti propri, così come il mondo della pubblicità che se ne è impossessato e li ha banalmente replicati. Ma è certo che vanno riconosciuti e conferiti l'onore delle armi e il diritto di primogenitura a questi grandi e visionari maestri dell'avanguardia surrealista. Anche perché da sempre l'arte precede scienze e tecniche e ne è in qualche senso la suggeritrice e l'ispiratrice inconsapevole.







Magritte è sonnambolico, abbandonato al sogno e alla mentalità infantile, quella che scorge mostri favolosi nelle nuvole spostate dal vento. Ma la sua pittura ci aiuta ancor oggi a osservare la realtà con occhio fatato, trasfigurandola. E allora due finestre luminose e un lampione acceso di una casa attorniata da uno specchio d'acqua in mezzo al bosco, ne fanno un maniero incantato dove tutti noi, moderni Pollicini, ci perdiamo e ci ritroviamo, tra il diurno del cielo e il notturno del lago e del bosco. Una scrittura visiva, la sua, così fortemente personalizzata, che afferma come in un urlo la sua inconfondibile individualità. Magritte è un pittore che si colloca "al di là della pittura". La attraversa e in un certo senso, la supera. Ma forse è proprio quanto voleva.







Mostra a Milano a Palazzo Reale dal 22 novembre al 29 marzo . Per INFO qui


Hesperia







venerdì 23 gennaio 2009

Fabrizio De Andrè, poeta, menestrello e anarchico


“Non credo che sapesse quanto era amato: è stata una sorpresa per tutti; molti l’hanno scoperto dopo la sua assenza. I suoi testi esistono, la sua voce la ascoltiamo, ma la voce che conosco, quando mi parlava, mi manca tanto. Il suo mondo l’aveva dentro di sé.”
Le bellissime parole di Dori Grezzi sono il modo migliore per iniziare questo modesto tributo a Fabrizio De Andrè, poeta, menestrello e anarchico, che dieci anni fa ha salutato per sempre questo mondo, tanto bello quanto crudele, un mondo che amava profondamente e che ha raccontato nelle sue indimenticabili canzoni. Dissacratore del potere, dell’ordine costituito, delle ipocrisie, dell’arroganza, cantore appassionato e pietoso dell’umanità emarginata e sofferente: ladri per fame, assassini per amore, malati di cuore, matti, donne dai facili costumi, innamorati abbandonati, soldati morti in guerra.
Nei nostri cuori e nelle nostre menti danzano sulle note tristi della sua chitarra personaggi memorabili:
Miché assassino per gelosia che “s'è impiccato ad un chiodo perché non voleva restare vent’anni in galera lontano da te"
Bocca di Rosa donnina allegra che “portava l’amore sopra ogni cosa”.
Piero soldato altruista e sfortunato che dorme "sepolto in un campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall’ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi”.
Marinella “che sei volata in cielo su una stella e come tutte le più belle cose vivesti solo un giorno come le rose” e il suo principe “che non ti volle creder morta bussò cent’anni ancora alla tua porta”.

Lui è morto, ma ci ha lasciato un dono prezioso, la sua grande umanità, nessuno come lui è riuscito a trovare parole tanto intense e commoventi per raccontare storie di dolore, di morte, di disperazione, di degradazione, sondando tutti i sentimenti dell’animo umano, tutte le sue sfaccettature , dalle più sublimi alle più riprovevoli.
Per tutti però non c’è condanna, ma umana pietà, che è anche amore.
“Nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore” (Testamento di Tito)
Questa è la grandezza di Fabrizio De Andrè che nessun cantautore, per quanto bravo è riuscito ad eguagliare e che amo fin da quando adolescente, sognavo un mondo migliore ascoltando la sua dolcissima voce.
Fabrizio è stato più cristiano di molti frequentatori assidui di Chiese e sagrestie, lui non credeva in Dio ma amava la figura del Nazzareno, un Dio “capellone” che parlava con prostitute e peccatori, perché erano “gli ultimi” e avevano quindi, più bisogno della luce della fede. Così lui, ha dedicato agli stessi, la sua opera perché erano quelli che più avevano bisogno della luce della poesia. Una luce che non cambia il mondo, ma rende sopportabile il dolore, lo sublima e fa si che l’uomo l'accetti, come parte indivisibile della vita. L'altra faccia della felicità.
C’è una canzone in cui Fabrizio racconta se stesso, quella del suonatore Jones:
"In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità, a me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa.
Sentivo la mia terra vibrare di suoni, era il mio cuore e allora perché coltivarla ancora, come pensarla migliore.
Libertà l'ho vista dormire nei campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato.
Libertà l'ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato per un fruscio di ragazze a un ballo, per un compagno ubriaco.
E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare.
Finii con i campi alle ortiche finii con un flauto spezzato e un ridere rauco ricordi tanti e nemmeno un rimpianto".
No, non credo avesse rimpianti Fabrizio De Andrè, la sua vita l’ha vissuta appieno, facendo ciò che desiderava; come Jones capace di vedere oltre le apparenze, libero dal “filo spinato” del cielo e del denaro e con tanti ricordi e nessun rimpianto.
Infine un cenno per ricordate la sua vena dissacratoria, ironica e scanzonata, quella del “Gorilla”, “Il Testamento”, S'i' Fosse Foco (Sonetto Di Cecco Angiolieri), “Carlo Martello Ritorna Dalla Battaglia Di Poitiers”, e le canzoni in dialetto da “Creuza de ma’” a “ A Dumenega”, che però sono le uniche che non mi piacciono, della vasta opera del cantautore genovese.
Fabrizio ci ha lasciato, troppo presto, un cancro se l’è portato via, Dori Grezzi, dice che quando ha appreso la terribile sentenza, non ha battuto ciglio, forse era conscio che non sarebbe morto totalmente, una parte di lui sarebbe sopravvissuta, la migliore, quella che ci avrebbe lasciato una “goccia di splendore” e la consolazione che "è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati” mentre lo ricordiamo lontano in un "vortice di polvere" a suonare, cantare, scrivere e a sfiorare il cielo "con il suo dito più corto".
Aretusa

sabato 17 gennaio 2009

La Dark Lady nel secondo Novecento tra cinema e musica



Terza e ultima puntata. Innumerevoli sono le incarnazioni della Dark Lady nella cultura e nelle arti del Secondo Novecento, grazie alla diffusione di nuove ondate di artisti (e) nel cinema, e dell'ampliarsi di questo stilema declinato con nuove sfumature: nella musica, nella moda, fin di recente, ai videoclip e alle performance artistiche più varie. Smarrita l'aura di irraggiungibilità divistica delle grandi signore del cinema muto, dissolto l'alone in bianco e nero del noir americano classico anni '40, dal cinema USA, abbiamo l'epitaffio davvero magistrale di un vecchio modo di fare cinema nero, che comprende una critica pesante alle falsità del cinema stesso nella prova sui generis di Bette Davis e Joan Crawford in "Che fine ha fatto Baby Jane?" di Robert Aldrich, un viaggio nel grottesco, nella follia, nel dramma della colpa e del ritorno del rimosso del 1962, un familienroman terribilmente perturbato con tratti gotici, eccessivi, grand-guignoleschi e crudeli.Un' incarnazione del tutto bonaria del tipo è invece Carolyn Jones (nel ruolo di Morticia) (foto in alto al centro) nella famosissima serie 'La Famiglia Addams' (di cui, anche un remake con Angelica Huston) con all'interno un po' d'ironia gentile sul topos della dark lady goticheggiante, nel suo mondo bizzarro e simpaticamente head over heels. Sempre negli Usa, gli anni 70 offrono film coloratissimi, introspettivi, di crisi, con una morale dura e amara, in cui la dark lady se presente, è meno fulgida, ed è solo una parte di un racconto corale, una tra i protagonisti; non tutto è incentrato su di lei e sulla sua fascinazione come nel caso di "Marlowe, il poliziotto privato" di Dick Richards del 1975 (da Raymond Chandler, con Charlotte Rampling). Il film stesso è un omaggio nostalgico e retrò ad un cinema anni '40 (a una letteratura, e a un tipo di donna) ormai sepolti nel mito delle origini del cinema; sulla stessa linea si può porre il bellissimo e disperato "Chinatown" (1974) di Roman Polanski con Faye Dunaway, "Il lungo addio" di Robert Altman del 1973, sempre da Raymond Chandler, all'insegna della disillusione, della perdita di senso e di valori dell'esistenza nella modernità. Tra le ancor più recenti generazioni, la fascinazione di un certo mondo, contaminato con il presente, riemerge anche in David Lynch, pur con gli opportuni spostamenti simbolici, principalmente in "Blue Velvet" (Velluto blu) (1985), interpretato da Dennis Hopper e Isabella Rossellini (qui nella foto a sinistra).



Riletture della Dark Lady sono dovute al mondo cinematografico francese: per la Nouvelle Vague un omaggio speciale è dovuto alla grande attrice Jeanne Moreau (foto a destra) nei ruoli di "Ascensore per il patibolo" del 1957 di Louis Malle (con la colonna sonora di Miles Davis), e nei bellissimi "Jules et Jim" e "La sposa in nero" di Francois Truffaut (1967), tratto da un racconto di William Irish.



Film diversi tra loro, che rappresentano solo un accenno della nuova femme fatale, che vantava già prima della Nouvelle Vague un'ampia rappresentatività traendo temi dai polar, dai romanzi polizieschi e neri, della serie noire, dal realismo poetico urbano, interpretati poi al cinema con uno stile personale, in grado di distaccarsi già alla fine degli anni '50 dal condizionamento del cinema americano degli anni '40,f ino a elaborare un universo di figure, tropi, storie proprie e profondamente... francesi.Come insegna "Lo straniero" di Camus "può farsi notte anche sotto un sole accecante e ci sono colori più neri del nero". La fittissima produzione 'gialla' e non solo di Claude Chabrol, gli 'esperimenti' di Jean Luc Godard, ognuno di loro con numerose attrici-musa (Stephane Audran, Anouk Aimée, Catherine Deneuve, Anna Karina, specialmente in alcuni ruoli) rappresentano anche un ripercorrere continuo e critico di questa tipologia del femminile, oltre che di generi cinematografici ormai storici. Sempre François Truffaut girerà a sua volta un nostalgico e ironico "Finalmente Domenica!" con Fanny Ardant nel 1982, in cui la dark lady...non c'è, nonostante un bianco e nero particolarmente sgranato (Nestor Almendros alla fotografia). La donna non è affatto pericolosa e si tratta in fondo di un divertissement "anti-noir", senza morale crudele né vera fatalità. Diversamente nella contemporaneità, un'attrice come Beatrice Dalle ha per anni sottolineato queste caratteristiche della sua immagine ("Betty Blue, 37° 2 le matin" di Jean Jacques Beineix, 1986, ennesimo ed eccentrico dramma di amore e morte).


Vera icona 'di genere' presente stabilmente in numerosi noir, horror, sarà invece nel cinema italiano e internazionale Barbara Steele (a destra)








Più dell'apparizione inquietante di Clara Calamai per Dario Argento in "Profondo Rosso" del 1975, Barbara Steele, di origine inglese, è la protagonista di molti film italiani,oggi finalmente ricordati e tenuti in grande considerazione, di eccezionale fattura e ispirazione. "La maschera del demonio" di Mario Bava, del 1958, dal racconto di Gogol. Recita poi con Vincent Price, attore di culto dell'horror, ne "Il pozzo e il pendolo" tratto da Edgar Allan Poe, nel 1961, di Roger Corman. Compare anche in "8 e 1/2" di Fellini. Diventerà la musa del cinema horror italiano con i successivi "L'orribile segreto del Dr. Hitchcock" del 1962, e "Lo Spettro" del 1963, di Riccardo Freda; "Danza macabra" e "I lunghi capelli della morte" del 1964 di Antonio Margheriti. Anche dopo un rallentamento della carriera, compare nel "Demone sotto la pelle" di David Cronenberg del 1975.



Nel mondo della musica pop e rock e dello spettacolo, va segnalata Nico ( a sinistra), prima, voce femminile, oltre Lou Reed, nei Velvet Underground (per cui canta l'indimenticabile "Femme fatale"), sviluppa una carriera solista particolare da musa sepolcrale del rock, dai testi visionari e atmosfere oniriche e glaciali (album "Marble index", "Desertshore", "The end", "Camera Obscura")






Siouxsie incarna la Dark lady gotica per antonomasia, in tematiche, stile musicale. Rinascendo dalle ceneri del postpunk dalla fine degli anni '70 dà forma finora alle sue visioni apocalittiche, con testi suggestivi, riferimenti all'esoterismo, ballate ipnotiche di passione e distruzione,una delle donne più copiate nel rock degli ultimi 30 (e oltre) anni. (album "Join hands" , "Ju Ju")



ma ancora...Diamanda Galas, soprano "sperimentale", dalle incredibili doti vocali e sceniche, dedica i suoi album a fasi particolari dell'ispirazione: cfr. "The divine punishment" con stralci dal Profeta Geremia, "Saint of the Pit" con testi da Baudelaire, Tristan Corbiere....come un'indagine su tutto il nero dell'esistenza. Da segnalare anche il suo concept-album "Defixiones-Will and Testament" dedicato al massacro dei cristiani armeni, ellenici, anatolici e greci operato dai Turchi all'inizio del secolo scorso, e per decenni insabbiato con pretesti vari.

Gitane, Demone vocalist dei mitici Christian death (album "Catastrophe ballet"), ora con attività solista, ha mescolato gothic rock con accenni soul e blues (da ascoltare l'ottima "Lullaby for a troubled man"). Una menzione speciale va per la poetica voce e presenza di Rose McDowall, già collaboratrice di Current 93, Coil, e di vari progetti musicali in ambito neofolk, oltre alla sua carriera nelle Strawberry Switchblades e Sorrow. Ancora Monica Richards e Faith & The Muse....

Insomma, a ben vedere la dark lady si è trasformata nel tempo, ora replicandosi, ora, contaminandosi con vari generi musicali, artistici, nelle arti visive e non ultimo anche nel fumetto d'autore.


Autore: Josh



sabato 10 gennaio 2009

La memoria storica dei Navigli a Milano e dintorni

Per chi abita fuori o lontano da Milano, i Navigli possono dire assai poco della loro carica attrattiva: per loro è come se non esistessero. E lo confesso: in parte, era stato così anche per me. Lo era stato quando scendevo a Milano e la percorrevo in lungo e in largo per adempiere alle mie funzioni di agente di commercio. Anzi, era capitato che a volte li avessi considerati come un ostacolo; come quando andavo dal cliente di via Meda, o dai clienti di Ripa Ticinese, o a quello del Buccinasco. E allora non avevo neanche granché tempo per fermarmi a rimirare le tante cose belle che ci sono a Milano. Le sto scoprendo e riscoprendo ora, man mano, da giornali, libri, guide; e ogni giorno scopro qualcosa di inedito. Così è forse anche più piacevole, per me, per la mia condizione; perchè così non devo battermi col traffico automobilistico e pedonale del centro città. Se Milano avesse mantenuto intatta almeno una parte dei Navigli interni e avesse mantenuto intatte le Mura Spagnole, oggi sarebbe una delle dieci più belle città del mondo (ma vorrei osare con tale affermazione che sarebbe la più bella città al mondo).
Sfortuna vuole che i Canali erano corsi d'acqua artificiali, e le Mura erano state edificate a difesa di una città che, nell' immaginario collettivo non esisteva quasi più. Oggi, invece, entrambe le strutture le sarebbero state molto utili! Ma purtroppo, gli uni e le altre, davano "fastidio" al nascente traffico automobilistico. Allora si pensò bene (anzi male) di smantellarli entrambe. Monza, almeno in un punto è stata più fortunata di Milano: il suo centro è attraversato da un fiume, e non dai Navigli come è stato per Milano. E a nessuno, a meno che non sia fuor di senno, verrebbe in mente di interrare un fiume, come invece hanno fatto gli amministratori di Milano, con troppa fretta, interrando la storica cerchia all'interno dei Navigli. Cominciavano a dare qualche problema e creavano intralcio al nascente processo di cementificazione. E così dal 1857, iniziarono lo smantellamento sistematico di ciò che sarebbe potuto diventare il monumento più bello e più significativo della memoria storica di Milano. L'ultimo atto di quella demolizione risale al 1981 quando fu interrrato il tratto di Martesana che passa sotto il Ponte di Leonardo, cui è legato un episodio, tra i più struggenti, dei Promessi Sposi. I monzesi, nonostante che il loro Lambro sia ridotto a un ruscello, ricordano le piene che hanno provocato gli straripamenti del 1976 e 2002. Il più disastroso fu quello del '76 quando, sotto una pioggia incessante, durata molti giorni, le acque del Lambro esondarono, creando una sorta di laghetto in quella fascia di territorio compreso fra Lambro e Lambretto. Si allagarono case e scantinati. Soltanto dopo circa un mese le acque si ritirarono completamente negli alvei del fiume. La Tipografica Sociale, che stampa e distribuisce Il Cittadino di Monza e che all'epoca aveva lo stabilimento in quel lembo di terra del centro storico, nel libro del suo centenario racconta molto dettagliatamente di quell'alluvione e dei gravi danni che lei stessa subì. La certezza e la casualità delle periodiche esondazioni pongono un sicuro freno a quanti potrebbero avere mire di manomissione sul Lambro cittadino. L'unico massiccio intervento sul percorso del Lambro, all'interno del centro storico, è stata fatto nel XIII secolo da Azzone Visconti mediante la nota biforcazione ad est del Duomo, per ragioni difensive. E' chiaro quindi che a nessun monzese di testa sana verrà mai in mente di intervenire sul corso del fiume Lambro anche se, come detto, esso ha una portata d'acqua molto bassa, soprattutto nei mesi estivi e invernali. Ciò nonostante, riesce ugualmente ad attrarre mète di turisti lungo il suo corso cittadino. E se volete farvi una pur grossolana idea di come potrebbe tornare ad essere Via Senato a Milano, qualora si ripristinassero i Navigli interni, non dovete fare altro che programmare una gita domenicale in quel di Monza, magari nella bella stagione, tra aprile e ottobre, e fare una passeggiata lungo Lambro, che dista appena cento metri dal Duomo. Mettendosi sul Ponte dei Leoni, con la faccia rivolta all'Arengario, il Lambro vi offrirà due aspetti diversi: a sinistra, ancora allo stato brado; a destra, incanalato in un manufatto cementizio. Procedendo a sinistra s'imbocca la stretta Passerella esclusivamente pedonale dei Mercanti che costeggia il fiume per circa duecento metri, potendo ammirare da vicino il fondale e le sponde. Arrivati al ponte di via Colombo, lo si scavalca passando alla riva sinistra del fiume. Percorsa via Spalto Piodo si raggiunge Via Azzone Visconti da dove si vedrà come emergere dall'acqua la Torre Viscontea, e il fiume che le scorre sotto. A destra del Ponte dei Leoni, ci si incammina per via Gerardo dei Tintori fino a raggiungere un antico e grazioso ponte settecentesco, il Ponte di San Gerardo; nei suoi pressi, il complesso immobiliare che un tempo era stato il più antico ospedale della città, l'Ospedale San Gerardino.


Nell'ultimo secolo aveva subito alterne vicende (abitazioni, caseificio, magazzini ecc.). Finchè venne restaurato ad opera del Comune, tra il 1996 e 2004, e riportato all'antico splendore di chiesa ultrasecolare con il vecchio edificio ospedaliero, ora trasformato in oratorio. Nei suoi paraggi si potrà ammirare una vera chicca, monumento di archeologia industriale, unico nel suo genere, raro e invidiato da molti: l'Antico Mulino Colombo divenuto frantoio nel 1871 e passato a proprietà comunale dal 1987. Restaurato dalla Città di Monza, è solo grazie all'estro e alla vitalità di Antonietta Colombo se è giunto integro fino a noi, tramandandoci la memoria di tre secoli di storia dell'arte molitoria. In prossimità del Ponte di San Gerardo, il Lambro mostra angoli d'inconsueta bellezza: broletti, verandine, balconcini creati sopra, a ridosso, a sbalzo o di fianco al letto del fiume. Ma essi vanno assaporati camminando con lentezza, senza fretta.Pensate quale attrazione turistica avrebbero i tre mulini del Tombone di San Marco, a Milano; oppure l'antico Forno delle Grucce, forno storico milanese ricordato già nei Promessi Sposi. E se per così poco riuscite ancora ad emozionarvi, provate ad immaginare cosa sarebbe Milano se fosse ancora circondata dalle sue possenti Mura Spagnole. Saremmo all'apoteosi della memoria storica; e Milano non avrebbe rivali al mondo, quanto a bellezza. Ma questa è un'altra storia...
Pensate invece a come è stata mal-trattata la Basilica di Sant'Eustorgio,almeno fino all'Epifania dell'anno scorso, quando Riccardo, un blogger gallaratese innamorato dell'Australia, m'aveva fatto una segnalazione che mi aveva sconcertato. In questa storica basilica sono conservate le reliquie dei Re Magi. Una piccola parte di quelle reliquie che erano state trafugate dai Germanici. Dopo secoli di insistenti trattative, ci sono state finalmente restituite, in esigue parti, dai tedeschi di Colonia (bontà loro!). Esse sono interamente conservate nella loro Cattedrale cittadina, da quando Federico Barbarossa le aveva trasferite, dopo il trafugamento da Sant'Eustorgio, prima che ordinasse di radere al suolo Milano. Era il 1162. Si disse che lo fece per salvarle da distruzione certa e sicura perdita. Essendo lui profondamente cristiano, ci teneva a salvare le reliquie di coloro che avevano assistito a quel grande evento che, 2009 anni fa, ha dato il via al lento rinnovamento del genere umano: la nascita di Gesù Cristo. La segnalazione che mi fece Riccardo, riguarda il fatto che, per arrivare al sarcofago contenente le Le relique dei Magi, ci sono, o c'erano fino alla scorsa Epifania, approssimative indicazioni scritte a penna, su foglietti di recupero pure ingialliti. Bel culto della memoria storica!In altri luoghi d'Europa si farebbero in dieci, cento, mille per segnalare e promuovere un sito di questa importanza. Mi auguro che, nel frattempo, la situazione sia migliorata.






Autore: Marshall