martedì 24 giugno 2008

La leggenda del polpo di Tellaro

Si racconta che in una notte di tempesta a Tellaro (un piccolo borgo di pescatori sopra Lerici, nel Golfo di La Spezia) i suoi abitanti dormissero tranquilli, perché rassicurati dal fatto che i saraceni non potevano sbarcare per depredare e saccheggiare il villaggio. Invece, mimetizzati forse dalla tempesta, cercarono comunque di approdare. Ma non fecero i conti con un polpo sullo scoglio che li vide e lanciò i suoi tentacoli verso il cielo e raggiunta la corda della campana della Chiesetta di S. Giorgio si mise a suonare, avvertendo gli abitanti. I quali, dopo aspra lotta respinsero gli invasori. Questo per indicare come furono sempre aspri gli scontri tra la Croce e la Mezzaluna sul Mediterraneo fin da quei tempi. Oggi gli abitanti se la spiegano così con questa deliziosa leggenda da cui è rimasta la sagra del polpo che si festeggia in settembre.
Saraceni Mare Nostrum infestantes sunt noctu profligati. Quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat.

E' la scritta dell'epigrafe datata 1664 che è posta sulla Chiesetta rosa di S. Giorgio perennemente flagellata dai venti e dai flutti, che potete vedere anche nella foto, lì come una navicella pronta al varo. Su Tellaro scrisse una poesia anche Eugenio Montale, il quale era di stanza, invece, nella non lontana
Monterosso.


Cupole di fogliame da cui sprizza
una polifonia di limoni e di arance
e il velo evanescente di una spuma...

Ed è un piccolo luogo di sogno, rinserrata com'è tra colli coltivati ad argentei uliveti, e il mare dove all'orizzonte si profilano in lontananza la punta del promontorio di Portovenere con la chiesetta gotica di S. Pietro e le isole Palmaria, Tino e Tinetto. Le scogliere di Tellaro, non sono mai troppo frequentate (nemmeno in piena estate) e vi si si può trovare ancora qualche lembo appartato per godersi in contemplazione le azzurrità e per ascoltare il respiro del mare tra le fragranze dei pitospori e delle zagare. Mentre nelle sere di settembre, la scogliera s' illumina di fiammelle a cera, poste negli anfratti degli scogli, per festeggiare la leggenda del polpo-sentinella. Magari dopo una buona scorpacciata di insalata marinara ...del medesimo, durante la sagra nell'antico borgo marinaro. Ottimo infatti, il polpo in insalata con patate, aglio e prezzemolo. A tutti gli ospiti e visitatori cortesi di questo Giardino, buone vacanze!

Hesperia (pubblicato il 28/6)
















lunedì 23 giugno 2008

The long walk

Ieri la PBS, televisione "pubblica" americana, ha trasmesso un bel documentario sulla deportazione degli indiani Navajo, (lo si puo' comperare e cosi' contribuire al finanziamento della PBS) e mi ha fornito l'idea di parlare di questo Popolo antico e straordinario.

Nel 1864, migliaia di indiani Navajo, gli "Uomini", furono deportati dalla loro terra, la magnifica Monument Valley e il Canyon de Chelley, fino in New Mexico in una postazione chiamata Bosque Redondo dove sarebbero stati tenuti insieme ad altri indiani, gli Apache.

Nella loro terra, i Navajo, coltivavano il grano e allevavano le pecore e vivevano pacificamente all'ombra dei picchi rocciosi. La Madre Terra é sacra per loro e sono devoti allo Spirit of the Land.

Fu il generale Kit Carson ad occuparsi della deportazione e non risparmio' metodi violenti, anche se le intenzioni degli americani non erano del tutto cattive. Volevano infatti anche sottrarli ai messicani che, appena potevano li riducevano in schiavitu'.

I soldati americani bruciarono le coltivazioni, distrussero le loro abitazioni ( le sacre hogans) , uccisero le greggi e constrinsero alla fame la popolazione per convincerla a partire.
Il Popolo Navajo dovette camminare giorni e giorni al freddo degli altipiani, con la neve e con poco da mangiare. Molti morirono annegati nell'attraversare i fiumi perché non sapevano nuotare e molte furono le donne incinte che non riuscirono a sopportare il viaggio.

Quelli che sopravvissero e arrivarono a destinazione furono ammassati con gli Apache in un campo e continuarono a patire fino a che, infine, visto il fallimento dell'operazione, e con l'elezione di un nuovo Presidente, furono riportati indietro.

Il Popolo Navajo é un popolo saggio e fiero ed é abituato a vivere in uno dei posti piu' suggestivi del mondo. La Monument Valley é infatti un luogo che impressiona e toglie il respiro. Si ha la sensazione che, veramente, il Grande Spirito abiti là, nel vento, tra le aquile.

In seguito, durante la II seconda guerra mondiale, molti Navajo parteciparono e furono decorati e utilizzati per codificare i messaggi, a causa del loro linguaggio.

In questi ultimi tempi si cerca di porre rimedio ai tanti soprusi che gli Europei hanno fatto agli indiani d'America. Una decina di giorni fa il Premier del Canada ha ufficialmente chiesto scusa per le sofferenze inferte agli autoctoni.
In questo caso ci si scusava per aver strappato moltissimi bambini indiani alle loro famiglie per inviarli in pensionati, veri orfanotrofi, dove si pensava di fornire loro una migliore educazione

Nel video la Long walk






Cliccare qui per un altro bel filmato esplicativo.

Qui una Ghost Dance

Ed ora il filmato col canto che preferisco:





Egle

mercoledì 18 giugno 2008

Cane e uomo nella vita e nell'arte


L'abbaiare lontano di un cane che ci riporta con il pensiero a luoghi cari e ben noti fornisce la più bella prova dell'immortalità dell'anima
Søren Kierkegaard

Guardando i miei quattro bassotti, che considero componenti a tutti gli effetti della mia famiglia, ho pensato che cane e uomo sono complementari fin dai tempi più remoti. Non per nulla il cane è considerato il “miglior amico dell’uomo” e l’uomo ha ricambiato questo grande “amore” attraverso i secoli, anche in campo artistico.
Giustamente, perché nessun essere vivente è più fedele al proprio compagno di vita di un cane. Lo sguardo appassionato dei miei cagnetti, la loro allegria, la loro gioia nel vedermi, mi ripagano ampiamente dei pochi sacrifici che faccio per loro.
Questo legame intenso, che si crea fra uomo e cane ha fatto si, che quest’ultimo fosse spesso protagonista di miti e leggende, che sono giunti fino a noi, dall'archeologia e dalle arti. Le rappresentazioni dei cani spaziano dalle scene di vita quotidiana all'incarnazione di personaggi simbolici ed allegorici, come Anubi e Cerbero diventati i traghettatori ed i custodi delle anime dei defunti nell'aldilà, in alternativa figure di cani incarnano le classiche virtù della fedeltà e del coraggio, ma anche i vizi e le passioni umane. Sia nella cultura egiziana che in quella greco-romana spesso i cani, simbolo di estrema fedeltà, erano destinati a perire con i padroni oppure venivano sacrificati nei riti di fondazione delle città per propiziarne la prosperità e l'inattaccabilità, così che, spesso si trovano immagini di cani (in alternativa a leoni e grifoni) sulle mura di cinta delle cittadine, sulle porte di case e palazzi, all’entrata di templi e tombe.
L’argomento è molto vasto mi limiterò a sintetizzare due epoche, per me molto prolifiche, l’antico Egitto e il Rinascimento.
Il cane nell’arte Egizia

L’arte egizia, in particolare offre molte rappresentazioni di cani sui monumento funerari.
Come la stela trovato ad Abydos che deriva dal Regno Medio (c. 2040 -1640).
Si può osservare il piccolo cane sotto la sedia del defunto. Il cane ha un corpo lungo, tarchiato e gambe corte, tipico della razza bassotto. I proprietari di Dachshund (bassotto tedesco), credono che la razza abbia origini egiziane ed antiche, e è probabile che questa stele sia la prova.
D’altronde Anubi divinità funeraria e guardiano fedele delle tombe e del sonno dei defunti, rappresentato in forma di canide nero, è passato alla storia come il nobile progenitore dell'attuale Cane dei Faraoni, venerato dagli egizi quattromila anni or sono, tanto che il ritratto di un cane elegante, dalle orecchie grandi e dalla forme ugualmente armoniose, è stato ritrovato all'interno delle piramidi. Nella grande necropoli ad ovest della piramide di Cheope nel 1935 è stato rinvenuto un cane pressochè identico al Cane dei Faraoni, imbalsamato e tumulato in un sarcofago fatto su misura.
Il cane nell’arte Rinascimentale
Tra il cinquecento ed il seicento il cane comincia ad essere inserito nella composizioni pittoriche come interprete delle passioni e dei caratteri dell’uomo. Il grande incisore tedesco Albrecht Durer nel 1514 incide la Melanconia come una figura femminile alata dal viso scuro, con la testa reclinata ad indicare le sofferenze patite, accucciato e raggomitolato su sé stesso ai suoi, piedi il suo cane, forse un levriero, in un atteggiamento così triste e sconsolato da toccare il cuore.
Nel celebre dipinto dei coniugi Arnolfini del pittore fiammingo Jan Van Eyck, il cane un Cairn Terrier (o forse uno spitz o un griffoncino), messo in primo piano simboleggia la virtù più importante del matrimonio, la fedeltà coniugale. Ma tutto il quadro è un concentrato di simboli. Il dipinto mostra Giovanni Arnolfini e la sua sposa Giovanna Cenami, ma in realtà costituisce, l’allegoria di un’unione felice di cui sono testimoni le figure che si intravedono nello specchio (tra cui il pittore nell’atto di dipingere la coppia) coronato dall’abbondanza e dalla prosperità. L’unica candela accesa nel lampadario allude alla fede mentre le arance sparse alla fertilità. Il cagnolino come già detto, alla fedeltà.
Altre volte il cane è simbolo della passione, dell’irruenza, o anche dell’impudenza amorosa. Il cane rappresenta il desiderio carnale nei giardini dell’amore cortese, desiderio più o meno intenso a seconda dell’atteggiamento assunto dal cane nel dipinto. Il giardino cortese di Michel de Renaud de Montauban è il luogo dove l’amore viene coltivato e rivelato attraverso le conversazioni, la musica e le danze: il cane stilizzato è attento ma calmo, segno di un amore più spirituale che passionale. (simb. 252)Michel de Renaud de Montauban, Il giardino cortese, metà del XV secolo.
Concludo questo testimonianza d'amore ai nostri amici a quattro zampe, con una denuncia, perchè l'uomo, può essere anche il peggior carnefice del cane.
L'arte contemporanea, é diventata troppo spesso una ricerca del clamore, dell'effetto fine a se' stesso, che di artistico ha ben poco e di bello ancora meno, l'importante é sbalordire, scioccare e far parlare di se'.
In quest'ottica s'inquadra la vicenda di Natividad, cane randagio sacrificato in nome di uno scempio, che qualcuno ha cercato di far passare per arte.
Il barbaro assassinio di una povera bestia, ma anche dell'arte.
Aretusa

venerdì 13 giugno 2008

Io veggio il mondo tutto arretrosito

Io veggio il mondo tutto arretrosito è di Domenico di Giovanni, più noto come il Burchiello, nato a Firenze nel 1404. Subì l'esilio a Siena a causa delle sue posizioni antimedicee, e alterne vicende, tra cui carcere, trasferimenti, problemi di ogni genere. Manca una raccolta ufficiale da lui approvata, per cui talvolta i sonetti presentano problemi di attribuzione con quelli degli imitatori. I suoi sonetti bizzarri e satirici furono detti "alla burchia", da cui il soprannome. Tra le edizioni, vanno ricordate quella del Doni, veneziana, del 1553; di recente i Sonetti Inediti ordinati da M. Messina negli anni '50. Il critico Giuseppe De Robertis parlò addirittura nel suo caso di pop art ante litteram. La particolarità di questo componimento è...l'attualità! La presentazione di una sorta di mondo alla rovescia, un sonetto morale e di protesta che racconta la realtà mediante iperboli. Il mondo alla rovescia, in generale, è una figura impiegata molte volte in campo artistico, con svariate sfumature: è il tema del Carnevale, della fiera, in cui i ruoli vengono messi sottosopra, demistificati o resi caricaturali. In storia dell'arte, nella pittura, i contrappassi terribili di Bosch sono una sorta di mondo capovolto dove si mostrano le punizioni immaginate nell'aldilà contro i disonesti e i viziosi. In questo breve componimento invece l'autore non figura un mondo rovesciato per raccontare "altro", ma descrive un quotidiano reale e tangibile in cui il mondo di tutti i giorni, nella sua decadenza, è, di fatto, esso stesso, diventato un universo capovolto. In realtà molto è stato scritto sul Burchiello, ma ancora che fosse un profeta dell'attuale modo di vita non era stato sostenuto. - CCLXVI -



Io veggio il Mondo tutto arretrosito, (1)
Che chi de' dar, domanda a chi de' avere,
E chi promette non vuole attenere, (2)
Colui che offende accusa poi il ferito.
Prosciolto è il ladro, e 'l giusto è poi punito,
E 'l tradimento tiensi un più sapere;
Così inganna l'un l'altro a più potere,
E chi fa peggio, ha miglior partito. (3)
Veggio che 'l padre dal figliuol si parte, (4)
E l'un fratel coll'altro si percuote
Non val senza amistà ragione, od arte. (5)
Adunque la sua parte si riscuote,
Chi me' di tradimento sa far l'arte, (6)
E mai ci nocque quel che poco puote. (7)
Ma sì torbide note
Converrà che si purghi con ragione:
Beato a chi non fia mestier sapone. (8)

Arretrosito": che va all'indietro, al contrario 2)"attenere": corrispondere 3)ha miglior partito: se la cava meglio 4) il padre abbandona il figlio per i litigi, contrario al fatto che di solito è il figlio, una volta adulto, che lascia la casa natale, o l'abbandona per divergenze che rientrano nel consueto conflitto tradizione/innovazione 5) senza l'amicizia, le "conoscenze", la protezione nascosta non sembrano servire "ragione et arte" (la solita "raccomandazione") 6)chi me' ": meglio 7)e mai ci nocque quel che poco puote: non fa del male, non nuoce unicamente chi ne è impossibilitato (solo per questo, non per dirittura morale o onestà) 8)beato a chi non fia mestier il sapone: cioè che è pulito (in coscienza, in atti).
In alto e a destra: Beato Angelico - il Giudizio Universale, 1432-35 particolari, tempera su tavola - Museo di S.Marco (FI) - Josh -

martedì 10 giugno 2008

Dino Risi: castigat ridendo mores

Con tutta la bella filmografia che Dino Risi ci ha lasciato, la RAI (azienda ormai allo sbando) non ha avuto nulla di meglio che ricordare il cineasta scomparso con due filmetti tra i meno rilevanti della sua copiosa produzione. Il primo lo ha dato sabato sera alla notizia della sua morte. Ed era "Operazione San Gennaro" : divertente certo (col grande Totò), ma non all'altezza di alcuni suoi indimenticabili. Anche "Nel segno di Venere" commediola graziosa e ben interpretata, non segna particolari passaggi della storia del nostro costume come invece accade per "Poveri ma belli " e "Il Sorpasso", tanto per fare due esempi di spicco.

"Una vita difficile" con un Sordi in stato di grazia e Lea Massari fu uno straordinario affresco dell'Italia del dopoguerra, dagli entusiasmi della ricostruzione alla sua rapida involuzione. Perché non replicarlo? E ancora, "I mostri", "Profumo di donna" "Anima persa". O magari il gotico italiano "Fantasma d'amore", con l' indimenticabile Romy Schneider e un intenso Mastroianni.
Dino Risi aveva quel che manca a molti registi di film comico-brillanti della nostra povera (ma non più bella) produzione cinematografica: irriverenza, un pizzico di cattiveria, di cinismo e un sarcasmo graffiante. E' stato l'artefice di quella commedia satirica che applica il "castigat ridendo mores". E cosa ancor più pregevole, comunque fosse schierato politicamente, non ci ha mai preso a ceffoni ideologici, né lanciato messaggi taumaturgici e salvifici o pistolotti moraleggianti nei suoi film. Eppure la precisione quasi sociologica dell'Italia del boom (che si fa s-boom), di cui Gassman ne "Il sorpasso" (qui in alcune scene), incarna tutti i difetti (l'euforia artificiale, la presunzione, l'arroganza, l'irreponsabilità infantile) c'è tutta, ma la si desume indirettamente. Con leggerezza casuale e senza intenti aprioristicamente didascalici. Ricordiamo che "Il sorpasso" (cliccare titolo per vedere trailer) è stato il primo road movie della storia del cinema, un genere inaugurato, non dagli Americani come si è sempre pensato, ma proprio da lui, Risi. Lo ammise lo stesso Dennis Hopper in "Easy Rider"che se ne ispirò. L'Aurelia spider in cui stavano alla guida Gassman e Trintignant mentre attraversano la Penisola in preda all'euforia è già leggenda ineguagliata. "I mostri" inaugura quel genere a episodi di cui il regista sarà maestro insuperato: 20 sketch sulle mostruosità dell'Italia in un panorama sociale grottesco e grandguignolesco. Esilarante Gassman nell'episodio "La Musa" dove fa la caricatura dell'intellettuale omosex che raccomanda un suo pupillo, per scopi non propriamente letterari. E pure Tognazzi, inchiodato davanti alla Tv nell'episodio "L'oppio dei popoli", non si accorge che la moglie riceve l'amante in casa, nella stanza attigua. In equilibrio tra il patetico e l'umorismo nero, "Profumo di donna" tratto dal romanzo di Giovanni Arpino Il buio e il miele dove il solito Gassman (suo attore di culto per le sue straordinarie capacità d' improvvisazione, al di là d'ogni pur buona sceneggiatura) nel ruolo di un capitano cieco in preda al male oscuro, riscopre l'amore per la vita grazie all'amicizia di un giovane e di una ragazza disinteressata. E sempre da Arpino anche "Anima persa" con la Deneuve, thriller psicologico non privo di tensione.La vena umbratile di Risi la si vide soprattutto nell'ultima parte della sua produzione con "Fantasma d'amore" tra parapsicologia e ambiguità spiritistiche con una misteriosa atmosfera gotica, grazie a una Pavia immersa nella nebbia. Infine "Tolgo il disturbo", per me tra i suoi più belli, dove il nostro impareggiabile Vittorio Gassman recita, sospeso tra ironia e malinconia, il ruolo di un anziano signore reduce dal manicomio che tornando a casa, trova l'ostilità di tutti , tranne che della nipotina Rosa.

Per concludere, vogliamo menzionare la fulminante battuta di questo grande Maestro quando ottenne il Leone d'Oro alla Carriera al Festival del Cinema di Venezia del 2002 allorché gli chiesero che ne pensasse dei film di Nanni Moretti. "Quando li si guarda, vien voglia di dirgli: "Spostati più in là che voglio vedere il film".
Hesperia

giovedì 5 giugno 2008

Com'é profondo il mare...





Mare nostrum.
Mare magnum.
La donna del mare.
Sapore di mare.
Il vecchio e il mare.
Guarda 'o mare quant'é bello..
Mare, amare....

Mi manca il mare. Chi viene dall'Italia é fatto di mare. Chi non ha vissuto come noi, lunghe estati in riva al mare, non capisce la smania che ci prende quando ne siamo lontani.
La luce smagliante del mattino, il riverbero del sole, il profumo del mare e delle piante mediterranee, mirto, pitosforo, ginepro..
Non c'é oceano che valga il Mediterraneo. Nessuna spiaggia tropicale che valga i nostri antichi villaggi costieri e le spiagge della Sardegna, senza squali e senza bestiacce nocive.
Ma é pur sempre mare.
Il sogno di navigarlo, controllarlo e di possederlo, come Moby Dick per il capitano Achab.

Le genti del mare si sono evolute piu' in fretta di quelle dei monti.
Andar per mare era andare verso il nulla. Era il rischio puro e assoluto.
Era l'avventura di Ulisse e della sua "compagna picciola".

Egle