L'amico Marcello, del blog Aquaeductus, si complimenta spesso con autori di questo blog; dimostrazione di stima che effettua mediante la ripubblicazione, da lui, di nostri post. Oggi, gli rendo la cortesia, ripubblicando il suo ultimo: Natale toscano.
"In Toscana è molto sentita la tradizione del presepe, la “capannuccia”, come solitamente si usa dire nel linguaggio comune, una sineddoche più che giustificata dato che, la parte più importante del presepe, è proprio la capanna della Natività, con tutta la sua simbologia religiosa e spirituale. L’ambiente circostante è solo un panorama complementare, quasi sempre avulso dalla realtà storico-geografica mediorientale. Il paesaggio è quello tipico dell’ appennino toscano, con molto verde, rappresentato dall’immancabile borraccina e dal muschio, con piccoli casolari, intagliati nel legno, nei colori caratteristici e nelle forme architettoniche peculiari della regione. Sulle aie animali da cortile in gesso ed i classici pagliai, oggi del tutto scomparsi dal panorama toscano, che, insieme ad ampie scorze di corteccia di sughero, a piccoli ruscelli, in carta stagnola ed a laghetti di specchi, completavano il presepe domestico o delle chiese più povere. Modesti doni portati dal Bambinello, quasi sempre dolciumi per i più piccoli, venivano posti alla base del presepe, quasi a simboleggiare l'innocenza. Un abete, con addobbi molto semplici, rispondenti all’antica tradizione nordica, frutta al posto delle insignificanti palle, fievoli e tremanti fiammelle delle candeline di cera al posto delle odierne sfavillanti e multicolori lampadine, allietava il soggiorno. Il prevalere, pertanto, della semplicità, del simbolismo e dell’atmosfera gioiosa e nello stesso tempo spirituale della Natività, sul materialismo della vita quotidiana. Poi venne il progresso, il boom economico, babbo Natale e la festa divenne occasione per dimostrare lo status symbol, il raggiunto benessere, i regali divennero costosi, appariscenti, quasi sempre inutili ed elargiti a tutti i conoscenti, col preciso scopo di farsi notare. Nei presepi comparvero le statuette di pregio, gli effetti luminosi speciali, gli alberi di natale furono addobbati riccamente, le tavole imbandite per novelli Pantagruel, in pratica un ritorno ai pagani saturnali, che, nell'antica Roma, si celebravano proprio in questo periodo. La vuota esteriorità prese, e continua ad avere, il sopravvento sul significato più profondo della Natività che è la redenzione dell’uomo."
Dopo averlo letto, la "tentazione" di parlare del Natale della mia infanzia, è stata forte. Un'infanzia trascorsa nelle campagne del cremonese, negli anni '50, quando i doni venivano portati da Santa Lucia, in groppa al suo somarello, perchè cieca, nella notte tra il 12 e 13 dicembre -, o di quello di mia moglie - cresciuta in un paesino della Sicilia Sud-Orientale, là dove, negli anni della sua infanzia, e ancora per parecchio tempo dopo, "la parola mafia era solo un vago aggettivo..." e dove era "ancora possibile cogliere qualche reliquia della serenità del vivere, del toccare a momenti - fuggevolmente, con tenerezza e rimpianto - il giusto della vita...", come ha scritto Gesualdo Bufalino -, là dove, per l'appunto, i doni ai bambini venivano portati da parenti defunti, per lo più i nonni, nella notte tra l'1 e il 2 novembre. Ma la frase conclusiva del post di Marcello - "La vuota esteriorità prese, e continua ad avere, il sopravvento sul significato più profondo della Natività che è la redenzione dell’uomo" - ha sviato la mia mente dal proposito iniziale, deviandomi a scrivere di un passaggio cruciale della mia vita. Il blog è, infatti, anche diario personale, e la parola redenzione, evocata da Marcello, ha agito su di me, facendo riemergere i ricordi di una mia rinascita, annullando così quel proponimento iniziale.
Gli anni '70 furono per me un periodo abbastanza burrascoso e tormentato: avrei anche potuto perdermi. Ebbi la fortuna, in quegli anni, di avere tra i clienti la Editrice Letture, Rassegna del Libro e dello Spettacolo. Essa è un'emanazione diretta dei Padri Gesuiti di San Fedele a Milano. A dirigere la rivista, era, in quegli anni, padre Alessandro Scurani. Io, venditore di carta da stampa, ebbi così la possibilità di poter intrattenere con lui un periodo di breve, ma intensa e proficua amicizia. Le mie visite di routine si prolungavano oltre misura, per parlare unicamente di Gesù e dei Vangeli. In quegli anni aveva curato la messa in stampa di una mirabile edizione dei Vangeli, quella, appunto, edita dai Padri Gesuiti, che è il massimo, in tema di Vangeli, che si possa avere. Ne acquistai da lui una copia, con dedica ad personam: "in segno d'amicizia".
Padre Alessandro Scurani è venuto a mancare negli anni '90, ma è ancor oggi ricordato dai giornalisti più attempati, per gli accesi contrasti avuti con l'agnostico e mangiapreti per eccellenza, Indro Montanelli, su questioni inerenti la fede.
Lessi e rilessi il testo dei quattro evangelisti, abbastanza avidamente, ripromettendomi di rileggerli unitamente a commenti, note e storiografia, che sono la parte più corpulenta ed interessante dell'opera. Un'operazione, questa, che richiede tempo, passione, attenzione e forte coinvolgimento; ciò che è possibile fare solo per gradi e su lunghi lassi di tempo, come in effetti è stato, e continua ad essere.
Comunque, e per chiudere il cerchio, la scoperta e lettura di quello, e di quel Vangelo, coincise con una mia prima rinascita - quella che Marcello ha inteso chiamare come redenzione - a cui, poi, ne sono succedute altre. Sul finire degli anni '70, forse anche grazie alla scoperta "consapevole, consenziente e ragionata" dei Vangeli, la mia vita "ingranò una marcia giusta" e le cose cominciarono a "funzionare" indubbiamente meglio.