mercoledì 26 dicembre 2012

Un Santo per i nostri tempi

 
Andrea Barbiani, San Pier Damiani 1776 (particolare) - Dal sito Il Sussidiario.net  

Un saggio di Tiziano Terzani sulla disgregazione dell'Unione Sovietica, avvenuta nel '91, mi aveva ispirato un post su Siberia e fiumi ghiacciati, ma appena letto il post di Josh sull'Abbazia di Pomposa, è bastato quel semplice accenno a San Pier Damiani per scatenarmi il blocco dei pensieri, blocco che mi ha impedito di proseguire nella stesura del post. La mia mente ha così vagato sulla vita del Santo faentino, che spese l'esitenza per combattere contro sprechi, lussi e privilegi di gran parte di monaci, nonchè alcuni ecclesiastici del suo tempo. Son passati 1000 anni da allora, ma pare che la situazione da questo punto di vista non sia mutata: da un lato c'è chi vive in miseria, dall'altro c'è chi, abusando di posizioni di potere, intrattiene comportamenti di vita poco consoni al grado rivestito, concedendosi agi non dovuti e privilegi a spese dei contribuenti. Con i soldi sottratti ad agi e privilegi di politici e amministratori locali, lo stato potrebbe alleviare ristrettezze in cui vivono miseri diseredati, senza aumentare ulteriormente le tasse.

San Pier Damiani, di famiglia un tempo agiata, a un certo punto della sua esistenza avrebbe voluto sciegliere di vivere da eremita, immerso nella contemplazione, ma circostanze avverse del suo tempo glielo impedirono: c'era da combattere contro sprechi, lussi e privilegi del clero; sprechi, sperperi, lussi e privilegi che andavano a detrimento dei meno abbienti, cozzando col loro grave stato di miseria. Si fece monaco, e poi cardinale, ma sempre in movimento in lungo e in largo per l'Italia settentrionale, giungendo perfino in Germania, per assolvere al suo ministero.

 
Eremo di San Pier Damiani - dal sito: Vultus Christi
 
Da quel che oggi si sente accadere, ciò che avveniva ai tempi di San Pier Damiani, 1000 anni fa, pare non sia molto dissimile da quanto succede ai nostri giorni; cambia solo l'autore dei misfatti, là erano monaci e preti indegni, qua indegni lo sono certi politici, certi amministratori locali, certa gente di potere. Da anni, ma oserei dire da sempre, l'Italia ha assistito ad un susseguirsi di governi incapaci o non aventi la benchè minima volontà di risolvere il problema degli sprechi  e dei privilegi di cui gode la classe politica/dirigenziale del paese. Lo si è visto chiaramente anche in questa circostanza: prima di pensare al voto, i parlamentari avrebbero dovuto ridursi di numero e di stipendi; ne parlano da anni, ma non l'hanno concretizzato nemmeno stavolta. Questo loro lassismo non fa altro che aggravare la già molto precaria situazione economica generale. Incapaci di risolvere la questione, si accaniscono sui cittadini esasperandoli con nuove tasse. L'ultima scempiaggine è stata la reintroduzione della tassa sulle case dove la gente vive, tassa resa ancor più odiosa da quel fattore di rettifica delle rendite catastali, rivalutate del 60% in un solo botto. Una tassa assurda e odiosa anche perchè non tiene conto della capacità reddittuale di ciascun contribuente, e perchè viene applicata alla cieca, senza tener conto di eventuali ipoteche gravanti sugli immobili.   

A condurmi su questo tema è stato anche un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 19 dicembre scorso, secondo il quale un italiano su tre è a rischio povertà.

Del santo che fece battaglie contro sprechi e lussi, avevo già parlato nel 2007, in tempi relativamente non sospetti, quanto a percentuali così alte sui rischi povertà; e un'altra volta ne parlai quando scrissi in ricordo per la morte di Marcello, alias Sarcastycon. Oggi, anche nelle chiese sento parlare poco o niente di questo Santo, eppure si addice molto a questo tempo fatto di scandali dovuti a ruberie, sprechi e privilegi di certi politici, e se non fosse per la Divina Commedia penso che in molti ignorerebbero persino che il Santo sia esistito. Nel poema dantesco il ricordo di San Pier Damiani occupa una delle pagine più belle. Io stesso, che fui tra coloro che ne ignorarono l'esistenza, quando sentii declamare quei versi che dicono:

Tra' due liti d'Italia surgon sassi
e non molto distanti a la tua patria,
tanto, chè troni assai sonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria"

 
Abbazia di Fonte Avellana (nocciole) alle pendici del Monte Catria - foto dal blog Butterfly 400
 
... non li scordai più.

Oggi poco nominato, ai tempi di Dante San Pier Damiani deve essere stato molto seguito dai suoi contemporanei. Il Sommo  lo colloca infatti in un cielo molto prossimo alla Grazia Divina, il Cielo di Saturno, il settimo di nove, nel XXI Canto del Paradiso, più in alto quindi di quel canto XI nel quale troviamo San Tommaso d'Aquino declamare il toccante panegirico di San Francesco d'Assisi. 
 

La denuncia di sprechi, sperperi, privilegi compiuti e goduti dalla classe politico/dirigenziale del paese viene oggi svolta egregiamente da certi programmi radiofonici e televisivi. Tra quelli radiofonici si segnala il programma mattutino di Radio Padania, nel corso del quale chiunque può telefonare in diretta e senza filtri per esprimere opinioni o denunciare casi di sprechi, sperperi, privilegi. Fra i programmi televisivi si distingue l'ultimo nato in casa Mediaset, Quinta Colonna. Va in onda i lunedì sera alle 21,10 su Rete4, condotto da Paolo Del Debbio. La tecnica è quella di mettere a confronto gente comune con personaggi della cosiddette caste dei privilegiati.   Anche per evitare la possibilità di impreviste scaramucce, lo scontro non avviene per contatto diretto in studio, ma tramite maxischermi collegati con luoghi del nord, centro e sud Italia. In studio siedono il personaggio che fa parte dei privilegiati, rappresentanti dell'Unione  Consumatori, del mondo della politica, dell'economia, del giornalismo. Tra la categoria dei personaggi incriminati delle ultime due puntate, a turno si sono viste Irene Pivetti e Ilona Staller. La prima perchè essendo stata presidente della Camera durante il primo Governo Berlusconi, maturò fin d'allora il diritto ad avere vita natural durante un ufficio con tanto di personale, il tutto a spese dello Stato; la seconda, per aver fatto la parlamentare nel gruppo dei Radicali nel periodo 87/92, da oltre un anno ha maturato il diritto ad un vitalizio di circa 3000 euro al mese.      
 
 
(Gente che rovista tra i bidoni della spazzatura per sopravvivere. Foto di repertorio da Santegidio.org)
 
La prima usufruisce del locale e del personale pagati dallo Stato, per fare - come dice lei - beneficenza. Anche l'altra dice di usare parte di quel denaro del vitalizio per fare beneficenza. 

Che poi..., per fare beneficenza?
 
Sappiamo in molti come andarono le cose in questo campo fino al 1997, quando vennero istituite le ONLUS. Era un modo furbesco per eludere il fisco. Correva voce sul trucchetto, poi scoperto e si suppone annientato, che era questo: Tizio versava a Caio una data somma a titolo di beneficenza. Caio non pagava tasse perchè ente benefico. Tizio non ne pagava per la cifra sborsata a titolo di beneficenza. Tizio si faceva restituire in nero da Caio la parte che avrebbe dovuto versare allo stato come tasse. Tizio faceva così della beneficenza gratis, Caio riceveva così una bella somma insperata. L'unico a perderci era lo stato che veniva raggirato. I soldi che una ONLUS oggi riceve per beneficenza, crediamo vengano ripartiti di norma in questo modo: prima vengono pagate le spese per la raccolta dei fondi e per pagare il personale dipendente della ONLUS, quel che rimane viene effettivamente devoluto. A volte, dopo avere spesato tutto, non rimane nulla per beneficenza vera. E chi ha dato, ha dato.
 
 
Gente che vive in macchina. Foto di repertorio, da Imolaoggi.it
 
Video correlato: http://youtu.be/zh-bTOWwHPA (un anno di lacrime e sangue)

Aggiornamento:
questa invece è la casta dei giornalisti "moralizzatori", guardate quanto guadagnano, e speriamo che qualcuno rattoppi la pezza. E' un vero scandalo, anzi peggiore di uno scandalo. Costoro predicano, predicano, ma razzolano male, alquanto male, specie quando si mettono dalla parte dei poveri. A meno che anche loro si trincerano dietro al fatto che con quei soldi fanno beneficenza. Ma quanta gente che fa beneficenza! Non dovrebbero più esserci poveri in giro.

Ecco il link, fornito da GL  http://www.liberaopinione.net/wp/?p=4416

sabato 22 dicembre 2012

Presepe

 
 
 
La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso,
ai Magi in adorazione.
Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po' tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di 'vetro.
Lungi nel tempo, e vicino,
nel sogno (pianto e mistero)
c'è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero.

Guido Gozzano

Questa poesia proviene dalla raccolta Poesie di Natale di Guido Gozzano -  .  Ricordo con affetto
 La notte santa che ci facevano studiare a memoria alle scuole elementari quando si era piccoli, durante le recite di Natale. Gozzano si conferma il cantore delle piccole cose quotidiane, anche in queste ricorrenze.

L'occasione ci è propizia per augurare a tutti i lettori e internauti di questo blog, Buon Natale.

martedì 11 dicembre 2012

L'Abbazia di Pomposa e Guido d'Arezzo



Il luogo è semplicemente magico, per ciò che semplicemente si vede e per i significati riposti che gli si annodano intorno.
L'Abbazia in questione è una delle più importanti d'Italia e presenta alcune particolarità. Situata a Codigoro (Ferrara), è datata intorno al IX secolo, o per lo meno risulta già nel IX secolo l'insediamento di un'abbazia benedettina più piccola del complesso successivo, mentre la comunità monastica era presente ancor prima, tra VI e VII secolo, quando i monaci di S. Colombano eressero un primo edificio religioso, probabilmente una cappella.


La presenza del cenobio è testimoniata da un documento datato 874 in cui Papa Giovanni VII arrogava al papato la giurisdizione sul complesso, in contrasto con la diocesi di Ravenna.


Dedicata a Santa Maria è la parte più antica, del VII-IX secolo, allungata in seguito con due campate e atrio nell'XI; le particolarità dell'atrio sono gli ornamenti in cotto e la presenza di elementi di maiolica.
L'interno della Chiesa è a tre navate, ripartito in una successione di colonne bizantine e romane. Il pavimento in marmo (antichissimo, risalente al VII secolo) presenta una lavorazione in opus sectile di grande pregio. La tecnica antica di decorazione è citata anche in Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVI, VI_IX, a proposito del Mausoleo di Alicarnasso (IV a.C.).


Ancora la Chiesa presenta sulle pareti affreschi di scuola bolognese trecentesca di storie dell'AT, NT e Apocalisse, mentre sulla controfacciata spicca un Giudizio Universale.


Sull'abside, affreschi di Vitale da Bologna, con Cristo con Angeli e Santi, Dottori della Chiesa, e gli Evangelisti.
Il campanile risale al 1063 e misura 48 metri. Ancora parte del complesso il Monastero, con la Sala Capitolare affrescata nel trecento, il Refettorio preziosamente affrescato, e il Palazzo della Ragione in cui l'abate esercitava potere amministrativo e giuridico.


In origine, primo elemento di bellezza naturale e architettonica, era circondata dal Po di Goro e di Volano e dal mare stesso, che isolavano il complesso nella "insula pomposiana", era cioè completamente circondata e lambita dall'acqua, immagine di fiabesco e mistico locus amoenus medievale.
L'abbazia che vediamo oggi fu consacrata nel 1026, ma si tratta comunque di un complesso attivo da parecchio tempo addietro, come risulta dalle numerose tracce precedenti.
L'abbazia raggiunse il suo culmine nell'XI secolo, ebbe vita fiorente fino al XIV secolo circa, perchè godeva della proprietà di una salina a Comacchio, e in seguito a donazioni di varie proprietà terriere nei dintorni e per tutta Italia; seguì una fase di declino dovuta alla malaria prima, e all'impaludamento dell'area dovuto alla rottura degli argini del Po a Ficarolo nel 1152 che mutarono le condizioni climatiche, ambientali.


Il complesso è noto:
per la struttura, all'originaria Basilica, il magister Mazulo aggiunse un nartece con 3 arcate;
per l'opera dei monaci amanuensi, quindi per la diffusione e conservazione di testi e cultura;
per la presenza di figure storiche, come San Pier Damiani e Guido d'Arezzo, a cui è dovuta la moderna notazione musicale (fissò anche il sistema moderno delle note).


Nell'XI secolo l'abbazia contava la presenza di una comunità di oltre 100 monaci; ma nel 1423 è trasformata in commenda; già nel 1496 è annoverata tra i beni del Monastero di S. Benedetto a Ferrara (aveva cioè smarrito la sua autonomia).
Nel 1653 papa Innocenzo X soppresse il monastero, anche se gli ultimi monaci ne escono solo verso la fine del secolo. Gli edifici rimasti disabitati ed esposti all'incuria iniziano a danneggiarsi, tanto che quando il complesso viene acquistato nel 1802 dalla famiglia dei Marchesi Guiccioli di Ravenna, i locali vengono usati come magazzini, stalle e fienili annessi all'azienda agricola. Tra 1910 e 1914 lo Stato espropria gran parte del complesso, e viene dato inizio tra 1925 e 1930 ad un ciclo di restauro per restituire il complesso all'antico splendore.


Quanto vediamo oggi è comunque solo una parte del vasto convento benedettino, composto di altri edifici tra i quali la massiccia Torre dell’Abate, un secondo Chiostro dedicato a San Guido, la chiesetta di San Michele e la Biblioteca, famosa in età umanistica per la vastissima raccolta di manoscritti  classici e religiosi.


Guido d'Arezzo, altrimenti noto come Guido Monaco, o Guido Pomposiano, (992-1050), è famoso per esser stato monaco, letterato, teorico della musica, figura della cultura medievale. Non ci sono dati troppo certi sulla sua nascita, anche se più che sui manoscritti guidoniani, nelle sue epistole, dice di sè "Pomposiano Agro exhortus". Entrato in monastero a 22 anni, si formò sotto la direzione dell'abate Guido di Ravenna.


Come teorico musicale, Guido Monaco è noto come l'ideatore della moderna notazione, per l'adozione del tetragramma, che sostituisce la precedente notazione adiastematica. A quel tempo non si considerava un sistema scritto di notazione musicale, ed il canto era eseguito ad orecchio.
Il suo sistema scritto fu rivoluzionario, ma trovò resistenze all'interno del convento di Pomposa, che preferì abbandonare nel 1052; Guido comunque si propose di risolvere i problemi del memorizzare e fissare sistematicamente per iscritto il canto gregoriano.
Ad Arezzo (da cui il suo nome più noto) fu accolto benevolmente dal Vescovo Teodaldo, che lo autorizzò alla predicazione sacra e gli affidò il ruolo di maestro. Adottò il nuovo metodo scritto, e sotto impulso del vescovo illuminato scrisse il "Micrologus" , titolo del suo famoso Trattato musicale, una sorta di best seller o meglio, uno dei testi più diffusi del medioevo, dopo l'onnipresente "De Consolatione Philosophiae" e i trattati di Severino Boezio. Il trattato riscosse fama e Guido fu invitato da papa Giovanni XIX a Roma per illustragli la nuova sistemazione scritta delle note.

Come aiuto ai cantori, Guido scelse le sillabe iniziali dei versi dell'Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono, per gli intervalli dell'esacordo.

« Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes »

(Affinché possano con libere
voci cantare
le meraviglie delle azioni
tue i (tuoi) servi,
cancella del contaminato
labbro il peccato,
o san Giovanni)

Da qui le basi della solmisazione (la forma in nuce del solfeggio). L'invenzione della notazione scritta di Guido rese possibile a cantori e a musicisti intonare ed eseguire a prima vista i canti e le melodie senza doverli imparare a memoria ascoltandoli dagli altri. La musica ed il canto teorizzati da Guido d'Arezzo sono in realtà l'unico linguaggio comune dell'umanità che non ha necessità di traduzioni per tutti i popoli del mondo.
In principio, il sistema guidoniano non era usato per indicare l'altezza dei suoni, denotati ancora dal sistema alfabetico, ma solo per collocare il semitono mi-fa nella melodia. Ut dunque non era un Do. Sarà nel 1600 che i nomi tratti dal sistema guidoniano saranno abbinati anche alle altezze assolute delle note, dopo che alla fine del XVI era stato aggiunto il Si (da Sancte Iohannes), mentre Ut diverrà definitivamente Do grazie a Giovanni Battista Doni.
Guido codificò anche la posizione e i significati delle note sulle righe e negli spazi del rigo musicale, proponendo un codice unificato per la loro scrittura ed interpretazione.
Nella modernità si usa il pentagramma (dopo l'aggiunta del Si), Guido introdusse il tetragramma, e anche un sistema mnemonico facilitato (la "mano guidoniana")


per l'esatta intonazione dei gradi della scala.
Sue anche l'epistola "ad Michelem de ignoto cantu", "Prologus in Antiphonarium" e "Regulae Rithmicae"
Pare che dal 1040 al 1050 Guido fu priore di nuovo a Pomposa nel suo vecchio monastero, e volle con sè l'amico San Pier Damiani.

E' annoverato tra i Beati, qui una sua breve monografia sacra.

 

(parte delle informazioni sono estratte da Wikipedia, altre dal portale Beni Culturali su linkato)

Josh

martedì 4 dicembre 2012

Fitzgerald, il jazz e il grande crac


Corsi e ricorsi. Si torna a leggere (o a rileggere) Fitzgerald, perchè? Perché ora come allora la macchina della storia si è inceppata e i sogni che tanto avevano animato il nostro Paese e la nostra Europa, "sono già alle spalle" (cito un'espressione dello scrittore). Francis Scott Fitzgerald che per comodità abbrevierò con FSF, fu il cantore dell'età del jazz. Letteratura del presente, la sua. Un presente che è già consapevolezza del suo farsi storico. Ma soprattutto, letteratura dell'azione. FSF fu attento testimone e protagonista dei Folli anni '20, dei suoi costumi rilassati, dell'alcol che scorreva a fiumi, delle corse in automobili lussuose in funzione di comode alcove a quattro ruote, del Dixieland, delle feste in giardino di splendide ville sull'Oceano, delle grandi orchestre, delle maschiette (le flappers) dalle gonne corte e con le gambe bene in vista che si agitavano in scatenatissimi charleston e shimmy, dei loro copricapi eccentrici fatti a cuffiette con frange e  lustrini, di lunghe collane di perle, di abiti frangiati, di sigarette allungate da eleganti bocchini, di sigari per uomini e di cappelli a falda larga. Tuttavia sarebbe errato vederlo come un superficiale esponente di quella Gioventù dorata di cui celebrò tanto i fasti. Scott vide prima d'ogni altro il denaro come veleno senza possibilità di antidoti, come strumento di pressione e di manipolazione esercitata soprattutto su quelli che non lo posseggono, spesso causandone la rovina psichica e la disintegrazione morale.

Daisy, la ragazza "dorata"e sognata da Gatsby (Mia Farrow)
Tant'è vero che leggere le sue storie ( i racconti dell'Età del Jazz e i romanzi) sono storie di declino inesorabile dei personaggi che da situazioni di rispettabilità e integrità vengono via via condotti alla disintegrazione e al disastro. In questo senso FSF si rivela attento cantore del "sogno infranto"; il tutto con una prosa poetica che rende la sua narrazione difficilmente traducibile sul piano cinematografico.
Di origine irlandese e instancabile pendolare di lusso fra l'Antico e il Nuovo Continente (lui e la moglie Zelda furono assidui frequentatori della Costa Azzurra) seppe vedere con profetica preveggenza il grande Male che affliggeva l'America: il materialismo e l'avidità. FSF fu uno scrittore la cui vita oltretutto, venne stritolata e travolta dai debiti e dall'inesorabile legge della domanda-offerta. Di qua dal paradiso, Belli e dannati,Tenera è la notte...titoli di romanzi che sono già entrati nella leggenda e nelle espressioni idiomatiche. Poi "Il Grande Gatsby", vita, sogni, successi, splendore e caduta di un'indimenticabile tycoon (magnate). Così indimenticabile che Hollywood (per la cui industria cinematografica FSF lavorò come sceneggiatore) ne fece parecchie versioni: una muta, una parlata in bianco e nero con Alan Ladd, nel 1973 quella prodotta da Coppola per la regia di Jack Clayton con Robert Redford (Gatsby) e Mia Farrow (Daisy), film calligrafico con splendidi costumi, ma un po' rallentato nei ritmi. Ora è attesa la versione spettacolare di Baz Luhrmann con Leonardo Di Caprio in programmazione nelle sale per Natale. Insomma Jay Gatsby intriga e seduce ancora forse perché è la personificazione dell'America stessa, sempre sospesa tra romanticismo (l'American Dream), e materialismo (il Denaro che spalaca tutte le porte), tra veloci ascese e brutali cadute.


E sempre a proposito di tycoons occorre citare la figura di Monroe Stahr nell'ultimo romanzo incompiuto "Gli ultimi fuochi", ispirato al produttore Irving Talberg capo della MGM, per il quale FSF lavorò. Elia Kazan ne fece un'elegante versione cinematografica , dalle atmosfere sospese con Robert De Niro nel ruolo di Monroe Stahr (alter ego di Talberg) .  Il film fu sceneggiato dallo scrittore Harold Pinter.
Ma non vorrei soffermarmi troppo sugli elementi biografici di FSF e di sua moglie Zelda, del loro tempestoso matrimonio fatto di fughe, tradimenti e gelosie, e della drammatica morte di lei, avvenuta in un ospedale psichiatrico durante un devastante incendio (che potrete sempre leggere nei links), quanto  invece, voler dare voce in "presa diretta",  attraverso i suoi spezzoni di romanzi intercalati da vari pezzi di jazz, allo scopo di ricreare le atmosfere e l'aria di quel tempo.
Da "Belli e dannati"
Più tardi andarono da un bagarino e ottenero per un certo prezzo, due posti per una nuova commedia musicale intitolata High Jinks. Nel vestibolo del teatro si fermarono un momenti a guardare l'arrivo del pubblico alla prima. Vi erano mantelli da sera ornati da ogni genere di pellicce; vi erano gioielli che gocciolavano da braccia e gole e orecchie di bambole rosa: vi erano innumerevoli frange lucenti tra innumerevoli cappellli di seta; vi erano scarpe d'oro e di bronzo e rosse e di un nero lucente; vi erano le acconciature alte, serrate di molte donne, e i capelli lucidi e bagnati, di uomini ben ravviati; soprattutto c'era l'impressione dell'alzarsi, fluire, chioccolare, ridacchiare, spumeggiare, di un'ondata lenta di questo mare giocondo di gente che riversava quella sera il suo torrente scintillante nel lago artificiale del riso....


Musica consigliata: questa versione di Rhapsody in blue del 1924


Da Tenera è la notte:
L'albergo e quel luminoso pezzetto di stuoia che era la spiaggia, erano una cosa sola. La mattina presto l'immagine lontana di Cannes, il rosa e il crema delle vecchie fortificazioni, le Alpi purpuree che cingevano l'Italia, venivano gettate nell'acqua e giacevano tremolanti nei gorghi e negli anelli spinti alla superficie delle piante marine attraverso la limpida acqua bassa. Prima delle otto un uomo scendeva sulla spiaggia in un accapatoio azzurro, e dopo molte applicazioni di acqua fredda sul corpo, e molti brotolii e molti sospiri, si agitava in un minuto in mare. Quando se ne era andato, spiaggia e baia restavano in pace per un'ora.

Beh, godetevi questa splendida descrizione di Cap d' Antibes al ritmo nostalgico di Georgia on Mind nella versione di Bix Beiderbecke.
Erano tempi di feste, garden party con grandi orchestre, "giardini azzurri dove uomini e donne andavano e venivano come falene tra bisbigli, champagne e stelle". Così osservava Nick Carraway, il vicino di casa di Gatsby, che è come un terz'occhio narrante conradiano alla Marlow. Figura di apparente basso profilo, in realtà è totalmente utile alla trama del romanzo, tenuto conto che la vita scintillante di Gatsby è raccontata da lui.
Alle sette è arrivata l'orchestra, non una cosetta di cinque elementi ma un intero mucchio di oboe e tromboni e sassofoni e viole e cornette e flauti e tamburi e grandi e piccoli. Gli ultimi bagnanti sono ritornati dalla spiaggia e stanno vestendosi disopra: le macchine arrivate da New York sono disposte su cinque file lungo il viale: già le sale, i saloni, le verande sono sgargianti e di pettinature nuove e strane e scialli che superano i sogni di un castigliano. Il bar è in piena attività, e le ronde fluttuanti di cocktails permeano il giardino, finché l'aria risuona di cicaleggi e risa e frasi di convenienza...

Ancora Beiderbecke in Davenport Blues 
 
Eppure Gatsby, alla fine realizza  il suo Sogno americano, quello di poter arricchire in fretta, troppo in fretta, lasciando morti sul campo con la sua automobile color crema con  lucide cromature, simbolo del suo status raggiunto, pur di conquistarsi una rispettabilità. Così dopo la rapida ascesa, arriva fatale, la caduta. Uno sparo, un ultimo tuffo nella sua piscina che è già un tonfo mortale. L'ultima meditazione sulla sua brillante meteora fu affidata a Nick, il vicino di casa:

E mentre meditavo sull'antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'é sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia ... e una bella mattina...
Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

Francis Scott Fitzgerald

Affidiamo all'Orchestra di Fletcher Henderson la chiusura del pezzo su FSF in questo Shanghai Shuffle.


Hesperia

martedì 27 novembre 2012

Napoli sorprendente

 
Campanile della Chiesa di San Gregorio Armeno che sovrasta l'omonima via - da Wikipedia
 
Nella trasmissione Sereno-Variabile di sabato 17 novembre Osvaldo Bevilacqua è andato a curiosare nelle botteghe degli artigiani del presepe del quartiere Armeno di Napoli. Ma cosa ha a che fare Napoli con l'omonimo stato del Medio Oriente? In realtà nulla perchè la storia del nome è legata a fatti avvenuti in maniera del tutto casuale nei primi tempi del cristianesimo; fatti legati alla conversione di Costantino. A quella chiesa, nata secoli dopo, in seguito a quei fatti, nel centro di Napoli, fu dato il nome chiesa di San Gregorio Armeno, perchè custode di importanti reliquie del santo armeno. La strada che conduce alla chiesa, leggermente in salita, ha preso il nome del Santo a cui la stessa è dedicata: via San Gregorio Armeno. La strada, che in realtà è un vicolo pedonale, ha assunto ormai da secoli la prerogativa di essere la strada delle botteghe "artistiche" degli artigiani napoletani del presepe. E' conosciuta in tutto il mondo, tanto che non mi stupirei affatto di vederla un giorno inserita nell'elenco dei siti Patrimonio mondiale dell'Umanità.    
 
 

Via San Gregorio Armeno - dal sito Portanapoli.com

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Tunnel Borbonico - foto dal sito Tunnelborbonico.info

Nella stessa puntata Osvaldo Bevilacqua è sceso nelle viscere della città vesuviana per visitare il Tunnel Borbonico, riaperto al pubblico recentemente. L'ingresso è posto in vicolo del Grottone, 4, un percorso situato alle spalle del celebre Colonnato di Piazza Plebiscito (foto sotto), l'uscita si trova in Riviera di Chiaia, nei pressi del lungomare.

 
Piazza Plebiscito - foto di De Maio Agostino - dal sito Fotoeweb.Napoli

L'imponente opera sotterranea, un tunnel lungo quasi 500 metri (che secondo il progetto iniziale avrebbe dovuto essere di almeno 800 metri, da Palazzo Reale al mare), largo e alto quasi 30 metri in quasi tutta la sua estensione, è stata realizzata in soli tre anni, con inizio dal 1853, scavando a colpi di piccone nel tufo del sottosuolo. L'idea del tunnel era venuta a Ferdinando II di Borbone in seguito ai moti rivoluzionari del '48, che avevano coinvolto varie città italiane, tra cui Milano, Venezia e la stessa  Napoli. Qualora si fosse ripresentato il pericolo di rivolte, Ferdinando II aveva così pensato ad una veloce via di fuga che da Palazzo Reale lo avrebbe portato in tutta sicurezza verso il mare, dove si sarebbe posto in salvo. La galleria doveva essere in grado di far passare contemporaneamente cavallerie affiancate nei due sensi di marcia. Pur se non ancora completato, per ragioni prettamente tecniche, il tunnel venne inaugurato nel 1858 alla presenza del re. L'Unità d'Italia, arrivata tre anni dopo, nel 1861, sancì l'inutilità dell'opera, che non fu più portata a compimento. 
 
 
Nel giugno scorso restai stupito nell'apprendere che una signora italo-inglese, con marito statunitense, estemporanea lettrice di questo blog, sarebbe venuta in vacanza a Napoli nel mese di agosto; e lo stupore fu ancor maggiore quando disse che sarebbe venuta a Napoli per la terza volta, approfittando del fatto che i figli erano ormai diventati grandicelli. Da notare che la signora non ha alcun parente a Napoli, essendo di origini pugliesi da parte di entrambi i genitori; inoltre sua madre vive da tempo qui in Lombardia.
 
 
Allora mi chiesi cos'avesse visto di bello in Napoli, per averla preferita a tante altre località, dal momento che in tutti questi anni i nostri mass-media han fatto di tutto per creare lo stereotipo di una città di fannulloni e incivili, sommersa dai rifiuti, in preda a bande di camorristi, rapinatori, delinquenti, malavitosi? Io che, per tali motivi, e che pure in gioventù avrei avuto molte opportunità per visitare Napoli senza avere un grosso aggravio di spese - poichè sarei sceso lì dalla vicina Ciociaria - non sono mai stato a Napoli città. Dopo aver fatto ricerche per questo post, m'accorgo ora d'aver perso inutilmente un grande treno: Napoli, città dal clima migliore che non quello di Milano, e dalle bellezze architettoniche, culturali, paesaggistiche, ambientali e naturali invidiabili. Il tutto per non parlare poi della Reggia di Capodimonte, l'incombenza del cui tema lascio a Josh, blogger di questo gruppo, poichè è un vero appassionato d'arte e ha molta più competenza di me in questo campo, essendo materia a lui molto congeniale, e classica per il suo repertorio di post sull'arte.
La "lingua", poi, che tempo addietro classificavo come rozza, mi è diventata estremamente gradevole e aggraziante, soprattutto dopo avere più volte ascoltato il brano Cu' mmé, impregnato com'è di fraseggi piacevolmente poetici (ascoltare il brano cliccando qui), magicamente interpretato dalle inimitabili voci di Roberto Murolo e Mia Martini, con voce di accompagnamento e accompagnamento ritmico musicale diretto da Enzo Gragnaniello.

 
Zampognari - foto dal sito Centumcellae.it

Napoli, città oltretutto accogliente e generosa, almeno fino al 1990, e cioè fino a quando mi sono giunte notizie dei gruppi di zampognari ciociari che calavano in massa verso Napoli nel periodo natalizio. Quante volte dai miei ho sentito raccontare di questi zampognari. Gente che ho talvolta anche conosciuto di persona. Gente dedita a tutt'altro genere di lavoro durante l'anno. A Natale s'improvvisavano musicanti per andare a raggranellare qualche soldo, suonando per le strade di Napoli. Negli anni '50 e '60 il fenomeno era molto fiorente. Allora, dal paese dei miei, in Ciociaria, partivano gruppi numerosi di almeno dieci persone. E se tanto mi dà tanto, solo  dalla Ciociaria scendevano a Napoli qualche centinaio di zampognari. E c'era lavoro per tutti. I gruppi alla fine del periodo natalizio rientravano a casa con sacchetti di monete da spartire. Spartizione che avveniva equamente, indipendentemente dal ruolo da ciascuno svolto: c'era proprio un gran bello spirito di gruppo. Nei quindici/venti giorni di lontananza dalle loro case (partivano il giorno dell'Immacolata, l'8 dicembre, per rientrare dopo Natale) dalla generosa gente di Napoli  raccoglievano oboli in abbondanza, tanto da essere in grado di sostenere se stessi e le loro famiglie per mesi.

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martedì 20 novembre 2012

Da Guercino a Caravaggio con Sir Denis Mahon


(Guercino, Saul contro Davide, 1646)

A Milano, a Palazzo Reale, si tiene la Mostra, una delle più importanti della stagione (dal 18 Settembre fino al 20 gennaio 2013), che spazia appunto da Guercino (nativo di Cento, Fe) a Caravaggio, con la presenza di altri Artisti, dando un'immagine potente del nostro 1600.
Sir Denis Mahon aveva ideato questa iniziativa per il suo centesimo compleanno. Si augurava di festeggiarlo presentando i suoi amati dipinti, in ossequio ad un senso del mecenatismo e della cura per la diffusione del bello, con un'etica che sembra appartenere ad altri tempi.


(Sir Denis Mahon)

Considerava l'Italia la culla del Barocco, ed era interessato principalmente al primo periodo di questo stile, già da quando nei decenni scorsi la critica ufficiale osteggiava le produzioni del periodo.
La sua azione, oltre a studi svolti in prima persona per una riscoperta, ha previsto anche un importante lascito (stimato del valore di oltre 50 milioni di euro) alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.



(Caravaggio, i Bari,1594)

In effetti Sir Denis già dagli anni '50 organizzò la sua prima importante Mostra sui Carracci proprio a Bologna, e in pratica per 50 anni ha collaborato con Francesco Arcangeli e Andrea Emiliani, in un continuo andirivieni tra Londra e il capoluogo emiliano, contribuendo alla rinascita dell'interesse per questa fase della nostra arte. Sir Denis dedicò ricerche anche al grande Guido Reni.


(Guido Reni, Il Ratto d'Europa, 1630-1640)

"La sua era la collezione privata più pubblica che esista" affermava Nicholas Penny, Direttore della National Gallery di Londra. Tutte le opere di proprietà di Sir Denis sono infatti state donate da lui ad istituzioni pubbliche affinchè tutti potessero usufruirne.
Oltre ai generosi lasciti fatti a noi, parte della collezione privata è stata acquisita dal Regno Unito, ma il mecenate ha vincolato il lascito delle tele in madrepatria esclusivamente ai musei gratuiti.
Radicalmente di classe fino all'ultimo.


(Guercino, Madonna del Passero, 1615-16)

Scomparso Sir Denis l'anno scorso, la Mostra milanese ha luogo ugualmente secondo i piani, ad opera della società gestita da Roberto Celli, a cui Sir Denis aveva affidato la realizzazione delle mostre degli ultimi anni, in collaborazione con la Fondazione Mahon, e naturalmente con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e del Ministero degli Affari Esteri.


(Guido Reni, Una Sibilla, 1635-36)

La rassegna è ubicata al piano nobile di Palazzo Reale, curata da Mina Gregori e Daniele Benati, stesso luogo della mostra su Guercino di Sir Denis del 2003. Se la predilezione di Sir Denis andava a Guercino, lo considerò un punto di partenza per le ricerche intorno all'opera di Caravaggio, fino a Poussin, nell'intento di mettere in evidenze percorsi, scoperte, notazioni.
Alla Mostra sono presenti anche i Guercino e Caravaggio provenienti da San Pietroburgo, che sono stati oggetto di studio ed analisi da parte di Sir Denis.
Il tutto in una seconda fase si trasferirà a San Pietroburgo sotto la direzione del Prof. Piotrovsky, direttore dell'Hermitage.

Qui una biografia più approfondita di Sir John Denis Mahon.
Un articolo dal Times.
Su Rai Arte una lezione di Sir Denis su Caravaggio.

Per info sulla Mostra:
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12 e presso Comune di Milano

Josh

martedì 13 novembre 2012

Aznavour le comédien


Forse avrei fatto meglio a titolare Aznavour le Cabotin (l'Istrione). Ma è difficile dare agli istrioni la tragica nobiltà che ha dato lui nella sua famosa canzone. Eppoi avendo recitato (per Cayatte, per Truffaut) dire che Aznavour  è un attore in fondo è la verità. Il pretesto per parlare di lui me lo ha offerto Marshall col suo post sottostante "Gli Armeni a Venezia".  Così, per associazione di idee, non potevo esimermi dal parlare del cantante franco-armeno più famoso nel mondo. Qui nel video che ho scelto in apertura del post, canta inoltre "Les Comédiens" insieme ad una simpaticissima e vitale Liza Minnelli che  si arrampica col suo strano francese americanizzato in un duetto indimenticabile, non prima di aver cercato di scappar via quando lui le dice che ha in serbo una bella sorpresa per lei: "Chiudi gli occhi, canteremo in francese". Liza ha una venerazione speciale per Aznavour e disse di essersi ispirata più  volte a lui per voler diventare "un'attrice che canta", più che una vera e propria cantante nel senso classico.
Charles Aznavour nasce a Parigi il 22 maggio 1922 da immigrati di lingua e origine armena, e canta in sette lingue. La  carriera d'Aznavour conosce il suo primo risveglio nel 1946, allorché vennne scoperto da Edith Piaf.
Si è esibito in molte parti del mondo. Ha dato lustro alla Francia ed è stato insignito della Legion d'Onore. È ambasciatore d'Armenia dal 12 febbraio 2009 e  rappresentante permanente di questo paese, presso l'ONU. Vive in pianta stabile a Ginevra (Svizzera romanda) dopo che ebbe nel 1972,  la brutta avventura col fisco francese di pagare, oltre a una salatissima amenda di centomila franchi e , anche l'umiliazione  di finire in carcere per un anno con il governo di Giscard d'Estaing. Fu una ferita atroce per lui che  aspramente risentito ebbe a scrivere una lettera sotto forma di poema che diceva :
 Per aver servito la mia patria e la mia cultura, dieci milioni e un anno di prigione.
Dopo il terribile terremoto del 1988 che ha colpito l'Armenia, Charles Aznavour non finisce di dare il suo sostegno al suo paese d'origine, grazie alla sua fondazione da lui stesso attivata,  Aznavour per l'Armenia.

Gli anni sessanta sono quelli che gli fanno spiccare il grande volo che poi manterrà per i 70, 80, 90: Je m'voyais déjà (canzone picaresca di un dilettante agli esordi artistici) Tu t’laisses aller (1960 - inserita da Godard nel film "La donna è donna" che parla di una donna che si mostra sciatta coi bigodini, mezza truccata e mezza no, con le calze arrotolate all'ingiù ), Il faut savoir (1961), Les comédiens (1962), Donne tes seize ans, La mamma (1963) sul ritmo di un flamenco, Et pourtant (1963), Hier encore (1964), For Me Formidable (1964), Que c'est triste Venise (Come è triste Venezia) (1964),La Bohème (1965), Emmenez-moi (1967) et Désormais (Oramai) (1969). Canzoni d'amore, legate al tempo che passa, legate alla nostalgia di una giovinezza irrecuperabile (Hier Encore, La Bohème, Come è triste Venezia). Atmosfere sospese , descrizioni di quel banale quotidiano, di cui i francesi sono maestri insuperabili come in "Bon Anniversaire" dove una cerniera lampo di un abito da sera di lei, s' inceppa e  si spacca, e la serata d' anniversario si trasforma un'amara serata dove tutto è andato a monte, simbolo di un matrimonio ormai agli sgoccioli. 
"Et  moi dans mon coin" (E io tra di voi), è stata reinterpretata anche da cantanti come Mina e Battiato. Inutilmente, però, poiché senza nulla togliere a questi cantanti e in particolare alla grande Mina,   le canzoni di Aznavour può farle solo Aznavour.  Così come L'Istrione rifatto da Renato Zero e Massimo Ranieri. Nessuno di questi "istrioni" nostrani però, riesce a eguagliarlo, anche se ce la mettono tutta. E qui mi urge aprire una parentesi, sul perché i cantautori italiani (parlo  in particolare della scuola genovese, che più hanno risentito della vicinanza con la Francia) non riescono ad uguagliare quelli francesi. Il problema è che i Brel, i Ferré, i Brassens, gli Aznavour, hanno fatto percorsi e studi teatrali. E questo è un valore aggiunto nelle capacità interpretative dell'arte dello stare in scena, per un artista canoro.

Faccio un breve excursus sulla sua attività cinematografica tralasciando per un momento di parlare di musica. I francesi  non usano come noi le differenze tra cantanti e attori, come si può vedere dalla parallela carriera di Yves Montand (cantante e attore) o  di Juliette Gréco (cantante e attrice). Pertanto anche ad Aznavour toccò la sorte di venire reclutato come attore (comédien) in alcuni importanti films come "Un taxi per Tobruk" di Denys de La Patellière, "Il passaggio del Reno" di André Cayatte dove diede un'ottima prova interpretativa, e soprattutto "Tirate sul pianista" un noir atipico  di Truffaut,  forse non perfettamente riuscito, ma comunque importante. Un film che, a detta di molti critici,  stravolge i canoni del genere parodiando le figure dei gangster, ritratti come due "vecchi brontoloni" o le scene d'azione come i rapimenti e le sparatorie.

Anche il protagonista Chico (Aznavour)  è una figura atipica per il genere: un personaggio buffo e timido le cui azioni, sempre in contrasto con i suoi pensieri, sono contraddistinte da un'esitazione che risulterà fatale per le donne che ama e che hanno dato la vita per lui, prima la moglie Theresa e poi Lena.
Famosa è anche la tenera commedia sentimentale "Paris au mois d'aout", con Susan Hampshire, storia di un uomo quarantenne che rimasto solo in città con moglie e figli in vacanza al mare, si innamora di una fotomodella inglese, film  che gli ispirò la splendida canzone-colonna sonora, con ottimi arrangiamenti dell'amico Georges Garvarentz.  Canzone, che personalmente adoro e che metto tra le mie preferite.
For me formidable , in questa canzone di cui ho messo il testo in link mentre scorre la musica,  Aznavour riesce ad essere convincente anche quando fa un genere ludico e scherzoso. Come quando sovrappone e mescola l'Inglese al francese, in un simpatico gioco di calembours e di assonanze. Ha composto qualcosa come mille canzoni e pertanto è difficile fare una classifica, poiché ciascuno di noi ha nel cuore  il "suo" Aznavour.  O in "Les plaisirs démodés (Quel che non si fa più), nella quale si trova a disagio in una discoteca psichedelica  dove non si può nemmeno parlare con la persona amata e cerca di danzare un lento con lei, recuperando le atmosfere romantiche d'antan.

Buone prove anche come autore per altri, nell'ambito della musica pop. Davvero deliziosa la canzone composta con l'amico Garvarentz  per Sylvie Vartan "La plus belle pour aller danser", una canzone che conserva ancor oggi un fascino innocente e  una freschezza virginale. E pure per Johnny Hallyday "Retiens la nuit".
Il suo sodalizio col musicista e arrangiatore Georges Garvarentz (divenuto poi suo cognato per aver sposato sua sorella) armeno come lui, nato ad Atene, creerà un binomio indissolubile di successi a quattro mani firmati Aznavour-Garvarentz. Un sodalizio di  grande successo durato fino alla morte del secondo nel '93 che può paragonarsi  per fama e durata al duo Mogol-Battisti o a Lennon-Mc Cartney.
Aznavour dichiara di cantare molto volentieri in Italiano e in Spagnolo, asserendo che con le lingue latine, in fondo si sente a casa sua.  In Italia ha avuto ottimi parolieri da lui molto apprezzati. Hanno collaborato con lui Giorgio Calabrese e Sergio Bardotti. In effetti, Aznavour riesce a cantare in Italiano, preservando aura alle sue canzoni e mantendovi intatta tutta la sua particolare francesità. La disinvoltura con cui canta e parla numerose lingue è certamente un lascito che gli proviene dal suo essere un uomo dell'Est. Sappiamo che i francesi, infatti, non sono molto portati per le lingue. Eppoi che dire di quella sua voce arrocchita, così inimitabile, fatta di scatti repentini, quasi un...recitar cantando?


Concludo con una canzone che ha fatto il giro del mondo, poiché è stata la colonna sonora del film Notting Hill con Hugh Grant e Julia Roberts. Ho trovato questa versione mixata in Italiano, Tedesco, Spagnolo, Francese, Inglese da parte di un amatore che ha fatto un suo medley linguistico in rete, un pastiche,  che ben si adatta alla personalità del cantante franco-armeno: She. Riascoltiamola, perché il grande Charles ha avuto modo di dire che  questa, è una canzone che lo nutre (nel senso delle royalties) pour toujours. Beato lui!

Hesperia

martedì 6 novembre 2012

Gli Armeni a Venezia

 
Ponte dei Ferali - dal sito: Photo.net

 
Sotto - Trattoria Anima Bella - foto mia, dalla visita virtuale di Venezia effettuata col motore di ricerca Geomondo

Venezia. L'edificio ai cui piedi si trova il Ristorante Trattoria Anima Bella (quello dalla tenda rossa delle due foto) dovrebbe essere - o forse lo potrebbe anche diventare - un edificio storico per la Diaspora Armena nella città lagunare. Il motivo lo vedremo, ma avrebbe un motivo ancor più valido per diventarlo, se risulterà che in quell'edificio venne stampato il primo libro al mondo in lingua armena. La lingua armena, almeno quella antica, il cui alfabeto era formato di 36 lettere, tra cui 8 vocali, e per tale motivo molto complessa, l'aveva "inventata" il monaco Mesrob Mashtots nel V secolo, con lo scopo di divulgare la Bibbia tra quei monti nella lingua locale, la lingua armena. La Bibbia, tra quella popolazione, cristiana da sempre, fino ad allora veniva tramandata di generazione in generazione solo oralmente. Al santo monaco si deve pertanto l'invenzione dell'alfabeto armeno, ricavato dalla tramutazione in segni di tutti i possibili suoni emessi dalle labbra di un caucasico. Ne era uscito un alfabeto complesso, che però via via nel tempo si era venuto smussando e affinando, fino a diventare l'alfabeto armeno moderno, composto di un minor numero di lettere. In ogni caso restava sempre una lingua difficoltosa. Fu forse per questo motivo che a Venezia, pur essendo divenuta agli inizi del Cinquecento la patria mondiale della stampa, nella quale venivano stampati libri in qualsiasi lingua, moderna o antica, persino nell'ostico greco antico, sembra che nessun tipografo si sia voluto avventurare con l'armeno. Nel Cinquecento Venezia era talmente popolata di armeni, che vendere libri stampati nella loro lingua non avrebbe comportato rischi di invenduto. Ad affrontare le difficoltà della lingua ci pensò allora un armeno stesso, Yakob. Personaggio certamente colto, del quale non si conosce altro che il nome, è stato lui a stampare il primo libro della storia in armeno. Era il 1512, ed entro il 1514 ne stampò altri quattro, per poi svanire nel nulla, quasi inghiottito nei meandri della storia. Il suo non è stato un primato di poco conto, se si pensa che nei successivi oltre cinquant'anni in tutto il mondo, compresa la stessa Venezia, non verrà più stampato un solo libro in lingua armena, e che per trovarne uno, stampato in quella lingua, nella terra dove la stessa veniva intesa correntemente, nel Medio Oriente, e precisamente in Persia, bisognerà attendere di vederlo nel 1638, esattamente 126 anni dopo le pubblicazioni veneziane di Yakob. Da notare anche che nel 1512 è ambientata la storia narrata nel mio post precedente, storia che vede per protagonista Aldo Manuzio, giunto ormai all'apice della notorietà "mondiale" in campo editoriale.

Ma riprendiamo la narrazione che avevamo lasciato in sospeso, quella che ha come protagonista la casa sotto cui ora c'è la Trattoria dalla tenda rossa. Lì aveva visto la luce la prima casa albergo del mondo. Era nata nel 1253 per iniziativa di Marco Ziani, nipote del famoso doge veneziano Sebastiano Ziani. Persona molto ricca già di suo, ancor prima che diventasse doge, lasciò poi la ricchezza in eredità al figlio, doge pure lui, e da questi al nipote Marco; tra quell'eredità c'era anche la "famosa" casa di cui si parla.
Marco Ziani - dal sito Venezia Nascosta

In seguito ad una lunga permanenza in Armenia, Marco Ziani aveva stretto forte amicizia con abitanti di quella terra, della quale s'era innamorato, essendosi trovato molto bene. La stima e la riconoscenza verso gli abitanti di quella terra fu tale che decise di lasciar loro in eredità quella casa dei pressi del Ponte dei Ferali. Nell'atto di donazione lasciò anche una cospicua somma di denaro per sopraelevarla. Il risultato fu la casa albergo Hay Dun, nata col precipuo scopo di dare piena ospitalità per tre giorni a mercanti armeni in arrivo o in transito da Venezia. I mercanti armeni erano famosi già all'epoca per i loro commerci di tappeti e tappeti kilim. Dal Caucaso portarono anche fichi, albicocche, meloni, mandorle, melograni. Poco distante da quella casa, un isolato dopo, nacque un quartiere popolato di armeni, la famosa Calle degli Armeni (foto sotto). Ci si arriva oltrepassando il Sottoportico degli Armeni (foto sotto).

Rispetto a quei tempi, e rispetto anche al secolo scorso, il quartiere è diventato meno popolato, e pur trovandosi alle spalle di Piazza San Marco, nelle sue immediate vicinanze, a detta di Fausto Maroder, che del vivere a Venezia è un perfetto documentarista, Calle degli Armeni è diventato un quartiere tranquillo, e lo è perfino nei periodi di maggior ressa, quando c'è l'incalzare della folla per grandi manifestazioni, quali il Carnevale di Venezia. Sviluppatosi in quel secolo XIII, il quartiere si è anche dotato di una sua chiesa, la Chiesa di Santa Croce degli Armeni, dipendente dalla Chiesa Armena. Ancora oggi "vi si celebra la Santa Messa ogni ultima domenica del mese".

 
Calle dei Armeni all'incrocio con Calle Fiubera - foto mia dalla visita virtuale di Venezia effettuata col motore Geomondo
In fondo allo stretto camminamento (calle) di sinistra, è visibile il Sottoportico degli Armeni (foto sotto). Sul Calle di destra, Calle Fiubera (perchè vi si costruivano le fibbie), è visibile la tenda rossa della Trattoria Anima Bella 

 
Sottoportico degli Armeni. Foto mia - dal giro virtuale di Venezia effettuato con Geomondo
 

 
La rete commerciale e i possedimenti veneziani all'inizio del XVI secolo - da Wikipedia
 
Come detto, Yakob sparì nel nulla, ma il suo libro, pur essendo di contenuto elementare e stampato nella difficile lingua armena, ebbe molta fortuna in Venezia. Il libro del venerdì, questo il titolo, era una sorta di Zibaldone. Conteneva sì preghiere e invocazioni, ma anche pensieri e consigli disposti senza un ordine preciso. Il suo successo fu però tale che attorno ad esso era nata perfino una leggenda dal risvolto straordinario. Narra di un gruppo di mercanti imbarcati su una nave al seguito del loro prezioso carico di merci pregiate. In arrivo dal Medio Oriente, quando giungono in vista della miriade di isolette dell'attuale Croazia, vengono avvistati da un gruppo di quelle imbarcazioni pirate che infestavano la costa slava, le quali si fanno loro incontro con fare minaccioso. I mercanti, vistisi perduti, e non sapendo più a che santo votarsi, rendono l'anima a Dio e si mettono a leggere ad alta voce le invocazioni contenute nel libro. Di lì a poco si solleva una forte nebbia che rende invisibile ai pirati la loro nave.  Approfittando dell'evento inaspettato, la nave dei mercanti si allontana dalla costa slava, facendo rotta verso quella italiana, dove troveranno la sicura salvezza, per sè e per i loro preziosi carichi.

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Curiosando, dal libro di Alessandro Marzo Magno, alcuni dati sullo stato dell'editoria armena nella Venezia del tempo: "nel XVI secolo si registrano 17 titoli armeni: 8 a Venezia, 6 a Costantinopoli, 3 a Roma. Nel secolo successivo verranno pubblicati 160 titoli, in maggioranza a Venezia; mentre nella città lagunare dal 1512 al 1800 si contano 19 tipografie appartenenti ad armeni e non che stampano in armeno e pubblicano ben 249 volumi di ottima qualità, sia dal punto di vista dei contenuti sia della tecnica di impressione" .
 
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Antico e moderno oggi convivono nei calli delle mercerie. A ridosso di quel Rio delle Ferali, nei pressi di Campo San Zulian, a 10 metri dal Ponte dei Ferali e a meno di 50 metri dalla Trattoria Anima Bella, c'è un Negozio Ferrari con tanto di bolide di Formula 1 esposto in vetrina. Questa è una ulteriore conferma di quanto possa essere trafficata di turisti la Calle Fiubera.

 
Store Ferrari in Marzaria San Zulian 782 - foto mia, dalla visita virtuale effettuata a Venezia tramite Geomondo
  
Bibliografia
L'Alba dei Libri - Alessandro Marzo Magno - Garzanti
Venezia quotidiana - Carla Coco - Editori Laterza
Wikipedia