Il luogo è semplicemente magico, per ciò che semplicemente si vede e per i significati riposti che gli si annodano intorno.
L'Abbazia in questione è una delle più importanti d'Italia e presenta alcune particolarità. Situata a
Codigoro (Ferrara), è datata intorno al IX secolo, o per lo meno risulta già nel IX secolo l'insediamento di un'abbazia benedettina più piccola del complesso successivo, mentre la comunità monastica era presente ancor prima,
tra VI e VII secolo, quando i monaci di S. Colombano eressero un primo edificio religioso, probabilmente una cappella.
La presenza del cenobio è testimoniata da un documento datato 874 in cui Papa Giovanni VII arrogava al papato la giurisdizione sul complesso, in contrasto con la diocesi di Ravenna.
Dedicata a
Santa Maria è la parte più antica, del VII-IX secolo, allungata in seguito con due campate e atrio nell'XI; le particolarità dell'atrio sono gli ornamenti in cotto e la presenza di elementi di maiolica.
L'interno della Chiesa è a tre navate, ripartito in una successione di colonne bizantine e romane. Il pavimento in marmo (antichissimo, risalente al VII secolo) presenta una lavorazione in
opus sectile di grande pregio. La tecnica antica di decorazione è citata anche in
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libro XXXVI, VI_IX, a proposito del
Mausoleo di Alicarnasso (IV a.C.).
Ancora la Chiesa presenta sulle pareti affreschi di scuola bolognese trecentesca di storie dell'AT, NT e Apocalisse, mentre sulla controfacciata spicca un Giudizio Universale.
Sull'abside, affreschi di
Vitale da Bologna, con Cristo con Angeli e Santi, Dottori della Chiesa, e gli Evangelisti.
Il campanile risale al 1063 e misura 48 metri. Ancora parte del complesso il Monastero, con la Sala Capitolare affrescata nel trecento, il Refettorio preziosamente affrescato, e il Palazzo della Ragione in cui l'abate esercitava potere amministrativo e giuridico.
In origine, primo elemento di bellezza naturale e architettonica, era circondata dal Po di Goro e di Volano e dal mare stesso, che isolavano il complesso nella "insula pomposiana", era cioè completamente circondata e lambita dall'acqua, immagine di fiabesco e mistico locus amoenus medievale.
L'abbazia che vediamo oggi fu consacrata nel 1026, ma si tratta comunque di un complesso attivo da parecchio tempo addietro, come risulta dalle numerose tracce precedenti.
L'abbazia raggiunse il suo culmine nell'XI secolo, ebbe vita fiorente fino al XIV secolo circa, perchè godeva della proprietà di una salina a Comacchio, e in seguito a donazioni di varie proprietà terriere nei dintorni e per tutta Italia; seguì una fase di declino dovuta alla malaria prima, e all'impaludamento dell'area dovuto alla rottura degli argini del Po a Ficarolo nel 1152 che mutarono le condizioni climatiche, ambientali.
Il complesso è noto:
per la struttura, all'originaria Basilica, il magister Mazulo aggiunse un nartece con 3 arcate;
per l'opera dei monaci amanuensi, quindi per la diffusione e conservazione di testi e cultura;
per la presenza di figure storiche, come
San Pier Damiani e Guido d'Arezzo, a cui è dovuta la moderna notazione musicale (fissò anche il sistema moderno delle note).
Nell'XI secolo l'abbazia contava la presenza di una comunità di oltre 100 monaci; ma nel 1423 è trasformata in commenda; già nel 1496 è annoverata tra i beni del Monastero di S. Benedetto a Ferrara (aveva cioè smarrito la sua autonomia).
Nel 1653 papa Innocenzo X soppresse il monastero, anche se gli ultimi monaci ne escono solo verso la fine del secolo. Gli edifici rimasti disabitati ed esposti all'incuria iniziano a danneggiarsi, tanto che quando il complesso viene acquistato nel 1802 dalla famiglia dei Marchesi Guiccioli di Ravenna, i locali vengono usati come magazzini, stalle e fienili annessi all'azienda agricola. Tra 1910 e 1914 lo Stato espropria gran parte del complesso, e viene dato inizio tra 1925 e 1930 ad un ciclo di restauro per restituire il complesso all'antico splendore.
Quanto vediamo oggi è comunque solo una parte del vasto convento benedettino, composto di altri edifici tra i quali la massiccia Torre
dell’Abate, un secondo Chiostro dedicato a San Guido, la chiesetta di
San Michele e la Biblioteca, famosa in età umanistica per la vastissima
raccolta di manoscritti classici e religiosi.
Guido d'Arezzo, altrimenti noto come Guido Monaco, o Guido Pomposiano, (992-1050), è famoso per esser stato monaco, letterato, teorico della musica, figura della cultura medievale. Non ci sono dati troppo certi sulla sua nascita, anche se più che sui manoscritti guidoniani, nelle sue epistole, dice di sè "Pomposiano Agro exhortus". Entrato in monastero a 22 anni, si formò sotto la direzione dell'abate Guido di Ravenna.
Come teorico musicale, Guido Monaco è noto come l'ideatore della moderna notazione, per l'adozione del tetragramma, che sostituisce la precedente notazione adiastematica. A quel tempo non si considerava un sistema scritto di notazione musicale, ed il canto era eseguito ad orecchio.
Il suo sistema scritto fu rivoluzionario, ma trovò resistenze all'interno del convento di Pomposa, che preferì abbandonare nel 1052; Guido comunque si propose di risolvere i problemi del memorizzare e fissare sistematicamente per iscritto il canto gregoriano.
Ad Arezzo (da cui il suo nome più noto) fu accolto benevolmente dal Vescovo Teodaldo, che lo autorizzò alla predicazione sacra e gli affidò il ruolo di maestro. Adottò il nuovo metodo scritto, e sotto impulso del vescovo illuminato scrisse il
"Micrologus" , titolo del suo famoso Trattato musicale, una sorta di best seller o meglio, uno dei testi più diffusi del medioevo, dopo l'onnipresente "De Consolatione Philosophiae" e i trattati di Severino Boezio. Il trattato riscosse fama e Guido fu invitato da papa Giovanni XIX a Roma per illustragli la nuova sistemazione scritta delle note.
Come aiuto ai cantori, Guido scelse le sillabe iniziali dei versi dell'Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono, per gli intervalli dell'esacordo.
« Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes
»
(Affinché possano con libere
voci cantare
le meraviglie delle azioni
tue i (tuoi) servi,
cancella del contaminato
labbro il peccato,
o san Giovanni
)
Da qui le basi della solmisazione (la forma in nuce del solfeggio). L'invenzione della notazione scritta di Guido
rese possibile a cantori e a
musicisti intonare ed eseguire a prima vista i canti e
le melodie senza doverli imparare a memoria ascoltandoli dagli altri.
La musica ed il canto teorizzati da Guido d'Arezzo sono in realtà
l'unico linguaggio comune dell'umanità che non ha necessità di
traduzioni per tutti i popoli del mondo.
In principio, il sistema guidoniano non era usato per indicare l'altezza dei suoni, denotati ancora dal sistema alfabetico, ma solo per collocare il semitono mi-fa nella melodia. Ut dunque non era un Do. Sarà nel 1600 che i nomi tratti dal sistema guidoniano saranno abbinati anche alle altezze assolute delle note, dopo che alla fine del XVI era stato aggiunto il Si (da Sancte Iohannes), mentre Ut diverrà definitivamente Do grazie a Giovanni Battista Doni.
Guido codificò anche la posizione e i significati delle note sulle righe e negli spazi del rigo musicale, proponendo un codice unificato per la loro scrittura ed interpretazione.
Nella modernità si usa il pentagramma (dopo l'aggiunta del Si), Guido introdusse il tetragramma, e anche un sistema mnemonico facilitato (la
"mano guidoniana")
per l'esatta intonazione dei gradi della scala.
Sue anche l'epistola "ad Michelem de ignoto cantu", "Prologus in Antiphonarium" e "Regulae Rithmicae"
Pare che dal 1040 al 1050 Guido fu priore di nuovo a Pomposa nel suo vecchio monastero, e volle con sè l'amico
San Pier Damiani.
E' annoverato tra i Beati, qui una sua breve
monografia sacra.
(parte delle informazioni sono estratte da Wikipedia, altre dal portale Beni Culturali su linkato)
Josh