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Il ratto d'Europa - Tiziano |
Vorrei parlare della Grecia per quello che è stata e non per come la stanno attualmente riducendo. La
Grecia dei
miti, della
grande scultura e architettura, di
Omero e dei suoi poemi, delle
tragedie teatrali,
della radici culturali occidentali che si stanno perdendo per un manipolo di rapaci quanto ottusi economisti e finanzieri incapaci di esprimere bellezza, ordine e armonia e che mettono in ginocchio il mondo con la loro avidità priva di scrupoli.
Il mio primo approccio con la cultura greca avvenne da bambina (facevo la prima media) su un libro dal titolo "
Cento racconti di mitologia classica" di Le Monnier (Firenze), vecchio libro che conservo ancora. E ovviamente divorai quei miti come fossero fiabe e favole. Mi resi però conto che a differenza delle fiabe, dove l'Eroe, nonostante le dure prove a cui è sottoposto, è artefice della sua salvezza e il lieto fine della sua vicenda umana è assicurato, nei miti greci, eroi, dei, semidei, mortali e immortali dovevano sottostare al
Fato, una sorta di divinità del Destino alla quale (o al quale) non ci si poteva sottrarre. Nemmeno gli stessi dei, benché immortali, potevano sottrarsi alla forza trascendente del Fato e ai suoi disegni.
Gli attuali Greci hanno ragione di dire che l'Europa (a partire dal nome) l'hanno creata e personificata loro nel mito. E a rifletterci sopra non nasce poi così bene, visto che Europa è una ninfa rapita da Zeus, il quale si trasforma in un toro, la porta lontano sfidando perfino i perigli dei flutti per poi accoppiarsi con lei. Non sarà la sua Bellezza a salvarla. Anche a tutti noi hanno "rapito" la vera anima ed essenza dell'Europa.
Non sono pochi gli artisti, i pittori, i poeti che si sono ispirati ai miti greci. Lo stesso Dante nella Commedia. Per non parlare della psicoanalisi che ha costruito molta della sua speculazione traendo origine dai miti (Jung in particolare e la sua Teoria degli Archetipi, ma anche lo stesso Freud). Prima della scienza, prima della religione, c'è il mito. Modo ingenuo - ci dicono - modo fantasioso, spregiudicato e prescientifico, di spiegare l'origine delle cose e degli uomini, gli usi i costumi e le leggi. Filologia, etnografia, antropologia hanno lacerato il velo del mito, evidenziandone le radici ideologiche, il retroterra di superstizione e di magia. Ma i miti, così dissezionati, ci vengono restituiti alla stregua di freddi reperti anatomici, buoni tuttalpiù per qualche museo.
Robert Graves nel suo saggio
"I miti greci" è riuscito a rianimare questa materia ormai inerte, restituendocela con tutto il suo splendore, il suo sense of
wonder e (anche) of
humour.
Molti sono i miti che ci hanno suggestionato nel corso del tempo e della nostra educazione cultural-sentimentale: Il Ratto di Persefone, Apollo e Dafne, Orfeo ed Euridice, il mito di Narciso e il mito di Giacinto e Zefiro (narrati da Ovidio nelle Metamofosi), Dedalo ed Icaro, il mito di Fetonte e il carro del Sole, Teseo e il Minotauro, il Vello d'oro di Giasone, e numerosi altri che sarebbe troppo lungo elencare.
Il mito di Orfeo è forse quello che più d'ogni altro è carico di simbolismo, attorno al quale ruota una letteratura abbondantissima, arrivando a esercitare una sicura influenza sulla formazione del Cristianesimo primitivo e attestato nell'iconografia cristiana. Figlio di Eagro e di Calliope (la più importante delle 9 muse), Orfeo è di origine tracia. Viene rappresentato vicino all'Olimpo in procinto di cantare e suonare con la lira e la cetra. Cantava canzoni così soavi che le belve feroci lo seguivano ammansite, mentre piante ed alberi si piegavano verso di lui.
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Orfeo e Euridice di Enrico Scuri |
Orfeo partecipa, secondo altre intepretazioni del mito, anche alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, la sua funzione consistette nel cantare distraendo le Sirene dai loro propositi di sedurre gli Argonauti. Ma la vicenda mitica più celebre relativa ad
Orfeo è quello della sua discesa agli Inferi alla ricerca della giovane sposa
Euridice. Un giorno la ninfa Euridice passeggiava lungo un fiume della Tracia, ma fra l'erba calpestò una serpe che la morse uccidendola prematuramente. Orfeo sconsolato, discese agli Inferi e con gli accenti della sua lira non incantò solo Cerbero, il cane a tre teste guardiano dell'Inferno, ma anche gli dei del regno delle ombre Ade e Persefone, che acconsentirono a restituire Euridice al marito. Ad un patto. Orfeo risalito alla luce seguito dalla sposa, non doveva voltarsi per vederla; non prima di aver lasciato il loro Regno. Orfeo accetta e si mette in cammino. E' già quasi risalito alla luce del giorno, quando lo assale il terribile dubbio che la regina Persefone possa essersi fatto beffe di lui. Per sincerarsi che Euridice fosse davvero dietro di lui, si volta, ma lei sviene e muore una seconda volta. Orfeo corre a cercarla, ma questa volta Caronte è inflessibile e gli nega l'accesso al mondo infero. Sconsolato Orfeo deve far ritorno tra gli umani. Si narra che dopo questo dolore non volendo più avere rapporti con le donne, suscitò le ire delle donne trace che lo uccisero facendo a pezzi il suo cadavere, gettandolo in un fiume. Dopo la morte, la sua lira fu trasportata in cielo dove divenne una costellazione, mentre l'anima trasmigrò nei Campi Elisi, rivestita da lunga veste bianca, e allientando coi suoi canti i Beati. Molte sono le varianti, variazioni e variabili di detto mito su cui si formò una teologia detta
orfica. Orfeo resta sempre il simbolo della Poesia e dell'Arte che sconfiggono la Morte. In epoca più tardiva, il poeta Rainer Maria Rilke compone
"I sonetti ad Orfeo", una raccolta di liriche che evocano immagini di quiete e di rara bellezza.
E quasi una fanciulla era. Da questa
felicità di canto e lira nacque,
rifulse nella trasparente veste
primaverile e nel mio udito giacque.
E in me dormi. Tutto fu il suo dormire:
gli alberi che ammiravo, le distese
sensibili, le grandi praterie
presenti e lo stupore che mi prese.
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Il Ratto di Persefone di Bernini |
Un altro mito ad alta valenza simbolica è il Ratto di Persefone (Proserpina per i Romani), dea degli Inferi e moglie di Ade (Plutone per i Romani). La leggenda ci narra che Ade si innamorò di lei mentre la vide alle falde dell'Etna intenta a raccogliere dei narcisi insieme alle sue compagne. Il carro infernale tirato da cavalli neri squarciò la terra e il dio la rapì. Questo rapimento fu reso possibile. grazie alla complicità di Zeus, mentre la madre Demetra era assente. A questo punto si pongono i viaggi di Demetra per ritrovare la figliola rapita e per vendicarsi non fece più maturare le messi (era la dea dei campi e dell'agricoltura). Alla fine, visti i disastri e la carestia sulla terra, Zeus ordinò al fratello Ade di restituire la fanciulla alla madre, ma ciò non era più possibile, poiché lo sposo le fece mangiare un chicco di melagrana, con la quale intendeva legarla per sempre a sé. Per mitigare il fatto, Zeus decise ch' ella avrebbe diviso il proprio tempo tra il mondo sotterraneo e il mondo terreno. Durante i mesi la ricongiunzione di Persefone con la madre, la terra diventava florida, gli alberi fiorivano e fruttificavano , mentre nei campi le messi maturavano. Durante i mesi in cui Persefone tornava agli inferi, la terra era spoglia, fredda e senza sole e riposava. Questo era in sostanza il modo, per i Greci di interpretare l'avvicendarsi delle stagioni.
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Il Narciso del Caravaggio |
Un mito affascinante che servì di ispirazione a poeti e pittori è il mito di Narciso. La sua leggenda è riferita in modo diverso a seconda degli autori. Secondo le Metamorfosi di Ovidio, Narciso è figlio del dio fluviale Cerfiso e della ninfa Liriope. Diventato adulto fu oggetto di passione di un gran numero di ninfe e di ragazze, alle quali però restava insensibile. La ninfa Eco si innamorò di lui, ma non ottenne più delle altre. Allora disperata, si ritirò in solitudine, dove dimagrì e della sua persona non rimase che una voce lamentosa. Tutte le giovani disprezzate da Narciso, chiesero vendetta e Nemesi le sentì. Fece in modo che in un giorno di grande caldo dopo la caccia, Narciso sostasse presso uno specchio d'acqua per dissetarsi. Qui scorse il proprio volto così bello, che se ne innamorò all'istante. Insensibile , in quel momento a quanto lo attorniava si piegò verso la sua immagine e si lasciò morire annegato. Nel luogo in cui morì, spuntò un delicato fiore bianco profumato che ebbe il suo nome.
Gli dèi capricciosi, suggerisce Hillman, sono stati cacciati dalle nostre religioni, per trasformarsi in complessi.
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Apollo e Dafne del Bernini |
Il mito di Apollo e Dafne è, secondo Gianluca Mattarelli (sito Ripensandoci) ,la storia di un amore infelice, perché mai realizzato. Proprio il dio protettore delle arti mediche non riesce a trovare un farmaco per la ferita infertagli da Eros; proprio il nume che conosce
presente, passato e futuro, lascia che la sua mente onniveggente sia offuscata dalla tenace passione per la bellissima Dafne, figlia del fiume Peneo e di Gea.
La fanciulla, incurante dell’amore, preferisce aggirarsi per i boschi e dedicarsi alla caccia, essendo una sacerdotessa consacrata alla vergine Artemide (o alla madre Gea). Un giorno Apollo la scorge da lontano e inizia a correrle incontro. Dafne si accorge del bellissimo giovane, alto, aitante, biondo e inizia a fuggire da lui. Forse è stata colpita dalla freccia dell’odio scoccata da Eros, desideroso di fare un dispetto ad Apollo (secondo una versione del mito) o forse vuole evitare di cadere in tentazione e di recare un torto alla divinità a cui si è consacrata, promettendo castità.
Dafne per sottrarsi alla seduzione di Apollo si fa trasformare in alloro.
La fanciulla, impaurita, è costretta ad attraversare sterpaglie, graffiandosi la pelle e strappandosi le vesti, mentre Apollo continua a inseguirla accanitamente gridando il suo amore e avanzando proposte seducenti. Quando ormai sta per essere ghermita, Dafne, esausta, rivolge una preghiera al padre (o alla madre), affinché la sua forma, causa di tanto tormento, sia tramutata in qualcos’altro. In pochi istanti la giovinetta si irrigidisce, i piedi divengono radici, le braccia rami, il corpo si ricopre di una ruvida scorza: si sta trasformando in un albero di alloro (in greco antico daphne significa appunto “alloro”). Apollo la raggiunge, ma è troppo tardi; riesce appena a rubarle un bacio, prima che anche la sua bocca sia ricoperta dalla corteccia.
L’irrazionalità della passione amorosa
Viene naturale prendere le parti di Dafne, che, per mantenersi casta, fugge da un accanito e possessivo spasimante, intento a soddisfare egoisticamente la sua passione senza tener conto della volontà dell’amata, fino a rovinarle completamente la giovinezza e la vita. È opportuno, tuttavia, riflettere anche sulla sofferenza di Apollo, sul dolore di chi ama senza essere ricambiato. Il dio potrebbe avere tutte le fanciulle che vuole, ma desidera Dafne, non per un capriccio, ma perché è stato ferito dalla freccia d’amore di Eros. Non si sceglie di amare. Se potessimo scegliere razionalmente la persona di cui innamorarci, di certo non opteremmo per il dolore e per il rifiuto. Apollo può conoscere il futuro, quindi probabilmente avrebbe potuto prevedere le tragiche conseguenze della sua passione; eppure, invece di rivolgere la sua bramosia altrove, insegue Dafne. Egli è il dio dell’ordine e del raziocinio, eppure compie atti irrazionali per amore. La ragione è sconvolta sempre dal sentimento; è difficile rimanere indifferenti e calmi di fronte alla visione di colui o colei che desideriamo ardentemente.
Un dono tuttavia, Apollo lo ebbe da questa sventurata esperienza: il lauro o alloro, con cui si fece un serto ornandosene il capo nel Parnaso insieme alle nove Muse. Laureato, laurea ecc. proviene proprio dalla pianta di cui Apollo si fece ornamento, in seguito riservato a tutti i poeti e agli uomini illustri.
Non dimentichiamo inoltre che buona parte della cultura greca, ci viene tramandata attraverso l'etimologia delle nostre parole. Basta pensare alla moderna parola "ecologia", dalla
ninfa Eco che abbiamo già incontrato nel mito di Narciso. Nei periodi di cupezza e di oscurantismo della storia, i miti assumono un
carattere fondativo. Si pensi solo alla leggenda di Romolo e Remo allattati dalla lupa che danno avvio alla civiltà e cultura romana. Ma questa, ovviamente, è un'altra storia...
Hesperia