giovedì 28 gennaio 2010

L'Accademia dei Pugni


Il quadro, della collezione Sormani Andreani, è opera del pittore Antonio Perego. Nella scena sono rappresentati i soci dell' Accademia dei Pugni durante una delle solite sedute di lavoro e svago, che si tenevano ogni sera all'interno di una stanza, la stanza dalla stufa bianca, della lussuosa dimora cittadina dei conti Verri, nobile famiglia milanese. Gabriele Verri , giureconsulto, è il padre di due dei personaggi raffigurati; è anche presunto nonno naturale di Alessandro Manzoni. Siamo in contrada del Monte di Santa Teresa (ora via Monte Napoleone ), nell'anno 1762; Milano, all'epoca, contava 120.000 abitanti. I personaggi del quadro, abbigliati e con parrucca secondo la moda del tempo, sono tutti immersi in qualche attività: c'è chi legge, chi scrive o discorre mentre gioca seduto al tavolino. Alle loro spalle c'è la famosa stufa bianca, citata negli scritti dei Verri. Una scena simile potrebbe essere avvenuta il 6 aprile 1762. Quella sera Pietro Verri annotava: "si va formando da me una scelta compagnia di giovani di talento...". L'anno prima, il 14 gennaio, costoro avevano fondato l'Accademia dei Pugni , all'interno della quale, annota ancora Pietro Verri, vi è Cesare Beccaria "...profondo algebrista, buon poeta, testa fatta per tentare strade nuove se l'inerzia e l'avvilimento non lo soffocano". I personaggi del quadro sono: Alfonso Longo , l'abate per forza, in piedi e di spalle perchè il pittore Antonio Perego non l'aveva mai conosciuto (Longo era entrato nell'Accademia l'anno dopo, il 1763, quando Giambattista Biffi ne era già uscito da tempo); seduti al tavolino di sinistra vediamo Alessandro Verri , intento a scrivere, e Cesare Beccaria mentre sta leggendo; alle spalle dei due, in piedi, è il cremonese Giambattista Biffi (uscito dal gruppo ai primi del 1763) ; i due personaggi al tavolino di destra, intenti a giocare a tric-trac, sono Luigi Lambertenghi e Pietro Verri ; alle loro spalle, Giuseppe Visconti di Saliceto sta camminando avanti e indietro mentre legge. Se si esclude Pietro Verri, che nel '62 ha già 34 anni, il gruppo degli altri ha un'età media di 25 anni. Ai sette si aggiunse in seguito il prete barnabita Paolo Frisi , matematico e illustre scienziato idraulico. Le sue intuizioni e invenzioni resero possibile di completare la costruzione del Naviglio Pavese (lavori compiuti sotto Napoleone). I lavori erano stati interrotti da oltre un secolo perchè non si trovava una soluzione soddisfacente per rendere navigabile il progettato Naviglio Pavese. L'invenzione della conca con le chiuse mobili risolse il problema, e il Naviglio Pavese, costruito per essere navigabile da natanti mercantili, fu poi adibito a tale funzione per parecchi decenni: il naviglio Pavese era navigabile in tutto il suo percorso, dalla Darsena di Milano allo sbocco nel Ticino, dopo aver superato l'ostacolo frapposto in località Conca Fallata.

Sembra che le riunioni finissero quasi sempre a suon di pugni, tanto che un loro vicino di casa, il pettegolo maestro di musica Carlo Monzino, mise in giro la voce che "quando discutono di filosofia, quei ragazzi si accendono al punto da venire alle mani". Gli otto erano il drappello d'avanguardia degli Illuministi lombardi. Dopo tre anni di riunioni, nel 1764 decisero di dar vita ad una rivista: Il Caffè . Composta di quattro fogli, veniva fatta stampare a Brescia - allora nel territorio della Repubblica di Venezia - per aggirare la censura austriaca. Il I°giugno 1764 esce il I° numero. Nella presentazione, scritta col tocco burlesco e ironico che aveva contraddistinto la rivista, vi si narra di Demetrio, un greco nativo dell'isola di Citera, il quale, stanco dell'oppressione degli ottomani, nuovi padroni dell'isola, fugge e s'imbarca per il Levante. La nave fa scalo a Moka, in Arabia Saudita, dove acquista un carico di caffè, da cui si ricava una nuova bevanda che sta prendendo largo piede in Inghilterra. Ad essa sono attribuite grandi virtù salutari e la capacità di scuotere le menti addormentate e intorpidite. Intrapreso il lungo viaggio di ritorno, medita di impiantare un'attività legata alla somministrazione della nuova bevanda. Pensa a Milano, che decide di raggiungere col suo carico di caffè, dopo essere sbarcato a Livorno. Apre quindi una bottega di primordine dove "si beve un caffè che merita veramente il nome di caffè" e "chiunque lo prova, quand'anche fosse l'uomo più grave, l'uomo più plombeo della terra bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz'ora diventi uomo ragionevole". Scopo della rivista è quindi chiaro: svegliare i milanesi dall'imbalsamazione e intorpidimento cui si sono rassegnati fin da quando han chiamato gli spagnoli a dirimere le loro beghe interne.

I soci dell'Accademia dei Pugni passano le sere nella stessa "stanza dalla stufa bianca", tutti travagliando. Alessandro Verri lavora alla stesura della Storia d'Italia, Pietro Verri è intento alla stesura dei trattati di economia e politica, altri leggono. Annota Pietro Verri: "Beccaria si annoiava e annoiava gli altri. Per disperazione mi chiese un tema, io gli suggerii questo conoscendo che per un uomo eloquente e di immagini vivacissime era adatto appunto". "Questo" è il Dei delitti e delle pene , opera di tema umanitario senza dubbio la più importante uscita da quelle mura. Scritto tra il marzo 1763 e il gennaio 1764, non ebbe però vita facile. Appena pubblicato, il Sant'Uffizio lo aveva incluso nell'indice dei libri proibiti. Il mondo non era preparato ai cambiamenti traumatici suggeriti nel libro, in merito a crudeltà e inutilità di torture e pena capitale per certi effimeri reati (la pena di morte, ai tempi dell'Accademia, veniva comminata a Milano per una trentina di reati, incluso il furto e l' "azione venerea con un'ebrea"). Il conte Pietro Verri, a cui il libro viene dedicato, si vanta di aver dato lui l'argomento al "Marchese Beccaria" e "la maggior parte dei pensieri è il risultato delle conversazioni che giornalmente si tenevano fra Beccaria, Alessandro, Lambertenghi e me", come annota lo stesso Verri. Esaltato a Parigi dagli Illuministi francesi, lo stesso autore del Dei delitti e delle pene non ebbe vita facile in Milano, tanto che strascichi ostracistici nei suoi confronti si ebbero ancora nel 1818, a 54 anni dalla sua pubblicazione. Scrive infatti il De Breme nel 1818: "mostratosi in un Circolo di Milano, il Beccaria, quel vindice della straziata e conculcata umanità, tosto i nobili, uomini e donne, i benemeriti del governo, i devoti, s'alzarono, e, senza neppur salutarlo, pigliavano congedo dai padroni di casa".

Nel maggio del 1766 il gruppo si sfalda, e con esso la rivista cessa le pubblicazioni. Nei soli due anni di vita la rivista uscì 74 volte (una ogni 10 giorni) con 118 articoli firmati, ben 53 dei quali a firma di Pietro Verri e 31 di Alessandro Verri. Allo scioglimento ogni componente prese la sua strada. Milano non era ancora pronta a sostenere i giovani geni. Per il risveglio totale dal lungo letargo, in cui Milano era sprofondata, bisognerà attendere l'avvento dei nipoti di quei geni o lumi, al vertice dei quali ritroviamo Alessandro Manzoni , nipote di Cesare Beccaria.

Aggiornamento
Nel penultimo capoverso De Breme riferisce di un atto increscioso accaduto a Cesare Beccaria tanti anni prima, e non nel 1818. Beccaria quell'anno non era più in vita, essendo morto nel 1794 all'età di 56 anni.

Consulenza grafica (la foto del quadro) e di contenuto: www storia di Milano - Repertorio (Verri)
Bibligrafia: Milano l'avventura di una città - Marta Boneschi - Edizione Oscar Mondadori

Allegati (link): da Wikipedia
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Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene: testo integrale. 

giovedì 21 gennaio 2010

Giuseppe De Nittis: “meridionale al sud, francese a Parigi, londinese a Londra”

Così amava definirsi Giuseppe De Nittis “meridionale al sud, francese a Parigi, londinese a Londra” e la sua poliedricità d’artista lo conferma. A lungo sottovalutato, De Nittis è stato uno degli artisti più originali dell’Ottocento, impressionista, per la pittura en-plen-air, il taglio fotografico, l’influenza giapponese, ma anche verista e macchiaiolo. Senza mai limitarsi in una categoria.

Di nascita pugliese (Barletta 1846) fu uno dei pochi pittori italiani che entrarono a far parte degli impressionisti internazionali, a pieno titolo, perché seppe amalgamare con maestria il suo passato regionale italiano con gli stilemi artistici acquisiti nei suoi soggiorni all’estero. Nel 1864 conobbe Adriano Cecioni e, insieme a Marco De Gregorio e a Federico Rossano, fondarono la “Scuola di Resina” nota anche come “Repubblica di Portici”. Nel 1867 si recò prima a Roma e poi a Torino, per trasferirsi, dopo una parentesi fiorentina, a Parigi dove nel 1869 espose per la prima volta, unico italiano, al Salon parigino, cui partecipò anche nel 1873 e nel 1874 (con le opere “Che freddo”, “Guidando al Bois” e “Le spighe del grano”). Nel 1870 arrivò nella capitale francese anche Adriano Cecioni, inizialmente ospite dei De Nittis nella casa frequentata da molti artisti fra i quali c'era Edgar Degas. (QUI prosegue la biografia)

A Parigi De Nittis ottenne fama e fortuna, ma non dimenticò mai l’Italia di cui ebbe sempre nostalgia, con la tela “Al Bois de Boulogne” inaugurò quella pittura che lo identifica come sensibilissimo cronista della vita moderna della capitale francese.

La “Ville Lumière” era prodiga, in quegli anni di belle donne, mondanità, cultura ed arte, e il pittore pugliese le dedicò numerose opere, quali “Place de la Piramide” e “Lungo la Senna”. De Nittis riuscì a cogliere la città in divenire, nelle sue ricostruzioni moderne. Come moderne sono le corse dei cavalli, nuovo passatempo della nobiltà, che egli ritrasse con dovizia di particolari e gusto per le atmosfere impalpabili. Le bellezze parigine sono il soggetto di molti ritratti femminili, e gli fanno meritare l’appellativo di “peintre des parisiennes”. Le sue donne, sempre “à la page”, si muovono in grandi parchi, lungo le passeggiate, alle corse, nei salotti, nelle stanze delle ricche dimore borghesi. Dedicò una cura particolare ai dettagli dell’abbigliamento, che rivela i segni di una femminilità percepita e rappresentata attraverso una raffinata indagine psicologica. La modella preferita fu la moglie Leontine Gruvelle, sposata a 23 anni, che ritrasse negli ambienti domestici, en “plein air”, in vettura, sull’amaca…Tra queste tele, sono presenti veri capolavori quali “Passeggiata invernale”, “Figura di Donna” e “Giornata d'inverno”

Nel 1876 ricevette la medaglia d’onore d’oro assieme al titolo di Cavaliere della Legion d’Onore. La sua casa diventò luogo d’incontro dell’élite culturale franco-britannica, frequentata, tra gli altri, da Manet, Edgar Degas, Tissot, Zola, Maupassant. Pur continuando a frequentare Napoli e Barletta con ricorrenti soggiorni, fu Parigi la sua città d’adozione. Intorno alla metà degli anni Settanta, anticipando Degas e Manet, sperimentò la tecnica del pastello in grandi composizioni. Fra il 1883 e il 1884 realizzò alcune delle opere più famose, Il salotto della principessa Mathilde e Colazione in giardino. Morì a 38 anni, nel 1884.

Come epitaffio, Dumas figlio scrisse “Qui giace il pittore Giuseppe De Nittis morto a trentotto anni. In piena giovinezza. In pieno amore. In piena gloria. Come gli eroi e i semidei”.

Arethusa


giovedì 14 gennaio 2010

Dopotutto domani è un altro giorno



Non sono pochi i  film che rimangono impressi per le battute lapidarie, fulminanti e per i dialoghi serrati e brillanti. Molti di questi film sono stati tratti da romanzi, come ha ricordato Aretusa in un suo vecchio post,  ma è certo che anche quelli che non si basavano su prodotti letterari, erano comunque scritti da eccellenti sceneggiatori. Chi non ricorda il ricorrente "Segua quella macchina!" che compare in numerosi film d'azione? Un tormentone, che poi divenne un libro di raccolta delle battute cinematografiche più famose.

Lauren Bacall e Humphrey Bogart ne " I mari del Sud" lanciarono il loro "Se mi vuoi fammi un fischio". E nel film Casablanca (sempre con Bogart accanto a Ingrid Bergman) ci fu il memorabile "Suonala ancora Sam" che poi sarebbe la nota canzone "As time goes by" che tutti i grandi cantanti americani  (Sinatra in testa) vollero rifare. Per non dire del celeberrimo "Francamente me ne infischio" di Rhett Butler (Clark Gable) che prese cappotto e cappello, chiudendosi la porta alle spalle e chiudendo anche il suo matrimonio con Rossella O'Hara in "Via col vento". Inutile ricordare che lei poté consolarsi con il fatidico "Dopotutto domani è un altro giorno", battuta che chiosa il film.
Ricordiamo le battute corrosive, laconiche e  un po' fumettistiche dei western-maccheroni come in "Per un pugno di dollari di Sergio Leone: "Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto". O Eli Wallach che fredda un suo antagonista logorroico che stava per vendicarsi di lui con la pistola puntata, anticipandolo con un corrosivo "Quando si parla si parla, quando si spara si spara" ne "Il buono, il brutto, il cattivo".

Orson Welles (nel ruolo del marinaio O'Hara) dopo essere uscito con sollievo dal labirinto cinese e aver assistito alla mattanza della sala degli specchi tra la perfida Elsa Bannister e suo marito, ne "La signora di Shanghai" pronunciò la memorabile battuta misogina: "C'è sempre in qualche parte del mondo una donna disposta a ingannarti e l'unico modo per evitare guai è invecchiare".
 Senza contare l'altra battuta ne "Il terzo uomo" di Carol Reed, sceneggiato dal grande Graham Greene, rimasta famosa - a detta dello stesso Greene - per essere stata inserita all'ultimo momento proprio dallo stesso Welles che vi compare come attore nei panni del diabolico Harry Lime.

"Sai che diceva quel tale? In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù".


William Holden (Joe) : Siete Norma Desmond, la famosa attrice del muto. Eravate grande.
Gloria Swanson ( Norma Desmond) Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo. (da Viale del Tramonto di Billy Wilder).

Potrei lasciare un bel ragazzo per un buon film, ma non potrei mai lasciare un buon film per un bel ragazzo" (Nathalie Baye in "Effetto notte" di Truffaut).

Ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo...come lacrime nella pioggia. Ma già è tempo di morire (Rutger Hauer ovvero il replicante Roy in Blade Runner di Ridley Scott).


Forse in quest'amaro accorato
epilogo dell'androide Roy potremmo identificare un po' la morte di un cinema basato sulla trascendenza
della parola.
Oggi i film si dimenticano perché rozzamente e malamente scritti. Forse in molti casi non si può nemmeno pensare di parlare di vera sceneggiatura. In particolare al cinema italiano, manca quella scrittura che prima i grandi maestri della regia, possedevano. Nel loro staff si avvalevano di scrittori-sceneggiatori come Ennio Flaiano, Tonino Guerra, Zavattini, Ettore Scola che divenne poi regista in proprio, e numerosi altri.
Dal canto suo,  Hollywood disponeva di grandi scrittori del calibro di Raymond Chandler, James Cain, Steinbeck, Faulkner, Fitzgerald, Pinter e altri. Oggi invece prevalgono gli effetti speciali, i maghetti volanti, il tridimensionale con alieni che si aggrappano alle liane ecc. Insomma, un cinema che deve immediatamente appagare lo sguardo, dimenticando che lo spettatore ha anche un cervello e una sensibilità per elaborare i messaggi filmici.  Putroppo l'eccesso di attenzione preventiva agli incassi presso i botteghini, prevale sul piacere dei dialoghi scritti bene in film di alta fattura artigianale. Soprattutto, dalle battute memorabili. Se il cinema perde l'uso sapiente della parola, del motteggio e delle arguzie, muore.
GIOCO PER LETTORI: Trascrivi una battuta memorabile di un film che ti è piaciuto.
Hesperia

giovedì 7 gennaio 2010

L'ostinata stagione si diffonde...


Il Giardino riapre, infreddolito...
Con l'
Augurio di un Felice 2010.



Tutte le immagini del post sono di Giovanni Segantini.
Si comincia però con una poesia, già incontro di più vite e testi, in ideale seguito del precedente post dedicato al Natale.

"Cantico di Simeone" di T.S. Eliot nella trad. di E. Montale

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
e il sole d'inverno rade i colli nevicati:

l'ostinata stagione si diffonde...
La mia vita leggera attende il vento di morte
come piuma sul dorso della mano.
La polvere nel sole e il ricordo negli angoli
attendono il vento che corre freddo alla terra deserta.

Accordaci la pace.
Molti anni camminai tra queste mura,
serbai fede e digiuno, provvedetti
ai poveri, ebbi e resi onori ed agi.
Nessuno fu respinto alla mia porta.
Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli,
quando arriverà il giorno del dolore?
Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi
fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.

Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti
dacci la pace tua.
Prima che sia la sosta nei monti desolati,
prima che giunga l'ora di un materno dolore,
in quest'età di nascita e di morte
possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e impronunciato
dar la consolazione d'Israele
a un uomo che ha ottant'anni e che non ha domani.

Secondo la promessa
soffrirà chi Ti loda a ogni generazione,
tra gloria e scherno, luce sopra luce,
e la scala dei santi ascenderà.

Non martirio per me -estasi di pensiero e di preghiera-
nè la visione estrema.
Concedimi la pace.
(Ed una spada passerà il tuo cuore,
anche il tuo cuore).
Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà.
Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà.
Fa' che il tuo servo partendo
veda la tua salvezza.

Montale, oltre che enorme poeta e ...sensibile analista dell'anima, è stato anche fine traduttore. Conoscitore di Eliot (del suo immaginario pre e post conversione, del suo lessico, della poetica del 'correlativo oggettivo', paesaggio esteriore riflesso dell'interiore) offre una versione intensa e fedele della poesia originale.
Solo alcune, tra le cose da notare: La 1ma edizione della poesia di Eliot compare negli "Ariel Poems", n.16, London, Faber & Gwyer, 1928, con disegni di E. McKnight Kauffer.
Simeone anziano, di cui al testo, oltre che un transfert di Eliot stesso, e transfert possibile di ogni lettore, è in realtà figura storica, presente anche nel
Vangelo di Luca 2:25 e segg;
la situazione è la Presentazione di Cristo bambino al tempio:


"2:25 Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; 26 e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. 27 Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, 28 lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo:
29 «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; 30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31 che hai preparata dinanzi a tutti i popoli 32 per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».
33 Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui. 34 E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione 35 (e a te stessa una spada trafiggerà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati».

Tornando alla poesia: gli sfondi invernali sono particolarmente suggestivi "il sole d'inverno rade i colli nevicati...l'ostinata stagione si diffonde".
Di seguito, "serbai fede e digiuno, provvedetti ai poveri" riecheggia la più schematica normatività dell'antica Legge, in ideale contrasto con la rivoluzione spirituale nella dialettica Legge-Grazia/AT-NT portata dal Cristo, qui bambino, riconosciuto spiritualmente da Simeone con note profetiche e accenni agli eventi futuri.
La denominazione-identificazione Figliuolo/Verbo(Parola che crea e ricrea) riecheggia l'incipit del Vangelo di Giovanni.
La poesia di Eliot aggiunge un accento caratteriale a Simeone, che ha fede e speranza anche nella fragilità dei suoi 80 anni, ma manifesta un timore (e in fondo una descrizione del presente): "Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli, quando arriverà il giorno del dolore? Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi fuggendo i volti ignoti e le spade straniere" ...accento che lo rende più umano e vicino all'esperienza realistica di tutti gli uomini, preoccupati del destino dei propri cari se 'tra volti ignoti e spade straniere' , e della sorte della propria Terra, senza più punti di riferimento. Di nuovo, verso il principio della poesia "il vento che corre freddo alla terra deserta" sembra una citazione interna alla stessa storia simbolica della poesia di Eliot, la sua famosa Wasteland.