Il quadro, della collezione Sormani Andreani, è opera del pittore Antonio Perego. Nella scena sono rappresentati i soci dell' Accademia dei Pugni durante una delle solite sedute di lavoro e svago, che si tenevano ogni sera all'interno di una stanza, la stanza dalla stufa bianca, della lussuosa dimora cittadina dei conti Verri, nobile famiglia milanese. Gabriele Verri , giureconsulto, è il padre di due dei personaggi raffigurati; è anche presunto nonno naturale di Alessandro Manzoni. Siamo in contrada del Monte di Santa Teresa (ora via Monte Napoleone ), nell'anno 1762; Milano, all'epoca, contava 120.000 abitanti. I personaggi del quadro, abbigliati e con parrucca secondo la moda del tempo, sono tutti immersi in qualche attività: c'è chi legge, chi scrive o discorre mentre gioca seduto al tavolino. Alle loro spalle c'è la famosa stufa bianca, citata negli scritti dei Verri. Una scena simile potrebbe essere avvenuta il 6 aprile 1762. Quella sera Pietro Verri annotava: "si va formando da me una scelta compagnia di giovani di talento...". L'anno prima, il 14 gennaio, costoro avevano fondato l'Accademia dei Pugni , all'interno della quale, annota ancora Pietro Verri, vi è Cesare Beccaria "...profondo algebrista, buon poeta, testa fatta per tentare strade nuove se l'inerzia e l'avvilimento non lo soffocano". I personaggi del quadro sono: Alfonso Longo , l'abate per forza, in piedi e di spalle perchè il pittore Antonio Perego non l'aveva mai conosciuto (Longo era entrato nell'Accademia l'anno dopo, il 1763, quando Giambattista Biffi ne era già uscito da tempo); seduti al tavolino di sinistra vediamo Alessandro Verri , intento a scrivere, e Cesare Beccaria mentre sta leggendo; alle spalle dei due, in piedi, è il cremonese Giambattista Biffi (uscito dal gruppo ai primi del 1763) ; i due personaggi al tavolino di destra, intenti a giocare a tric-trac, sono Luigi Lambertenghi e Pietro Verri ; alle loro spalle, Giuseppe Visconti di Saliceto sta camminando avanti e indietro mentre legge. Se si esclude Pietro Verri, che nel '62 ha già 34 anni, il gruppo degli altri ha un'età media di 25 anni. Ai sette si aggiunse in seguito il prete barnabita Paolo Frisi , matematico e illustre scienziato idraulico. Le sue intuizioni e invenzioni resero possibile di completare la costruzione del Naviglio Pavese (lavori compiuti sotto Napoleone). I lavori erano stati interrotti da oltre un secolo perchè non si trovava una soluzione soddisfacente per rendere navigabile il progettato Naviglio Pavese. L'invenzione della conca con le chiuse mobili risolse il problema, e il Naviglio Pavese, costruito per essere navigabile da natanti mercantili, fu poi adibito a tale funzione per parecchi decenni: il naviglio Pavese era navigabile in tutto il suo percorso, dalla Darsena di Milano allo sbocco nel Ticino, dopo aver superato l'ostacolo frapposto in località Conca Fallata.
Sembra che le riunioni finissero quasi sempre a suon di pugni, tanto che un loro vicino di casa, il pettegolo maestro di musica Carlo Monzino, mise in giro la voce che "quando discutono di filosofia, quei ragazzi si accendono al punto da venire alle mani". Gli otto erano il drappello d'avanguardia degli Illuministi lombardi. Dopo tre anni di riunioni, nel 1764 decisero di dar vita ad una rivista: Il Caffè . Composta di quattro fogli, veniva fatta stampare a Brescia - allora nel territorio della Repubblica di Venezia - per aggirare la censura austriaca. Il I°giugno 1764 esce il I° numero. Nella presentazione, scritta col tocco burlesco e ironico che aveva contraddistinto la rivista, vi si narra di Demetrio, un greco nativo dell'isola di Citera, il quale, stanco dell'oppressione degli ottomani, nuovi padroni dell'isola, fugge e s'imbarca per il Levante. La nave fa scalo a Moka, in Arabia Saudita, dove acquista un carico di caffè, da cui si ricava una nuova bevanda che sta prendendo largo piede in Inghilterra. Ad essa sono attribuite grandi virtù salutari e la capacità di scuotere le menti addormentate e intorpidite. Intrapreso il lungo viaggio di ritorno, medita di impiantare un'attività legata alla somministrazione della nuova bevanda. Pensa a Milano, che decide di raggiungere col suo carico di caffè, dopo essere sbarcato a Livorno. Apre quindi una bottega di primordine dove "si beve un caffè che merita veramente il nome di caffè" e "chiunque lo prova, quand'anche fosse l'uomo più grave, l'uomo più plombeo della terra bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz'ora diventi uomo ragionevole". Scopo della rivista è quindi chiaro: svegliare i milanesi dall'imbalsamazione e intorpidimento cui si sono rassegnati fin da quando han chiamato gli spagnoli a dirimere le loro beghe interne.
I soci dell'Accademia dei Pugni passano le sere nella stessa "stanza dalla stufa bianca", tutti travagliando. Alessandro Verri lavora alla stesura della Storia d'Italia, Pietro Verri è intento alla stesura dei trattati di economia e politica, altri leggono. Annota Pietro Verri: "Beccaria si annoiava e annoiava gli altri. Per disperazione mi chiese un tema, io gli suggerii questo conoscendo che per un uomo eloquente e di immagini vivacissime era adatto appunto". "Questo" è il Dei delitti e delle pene , opera di tema umanitario senza dubbio la più importante uscita da quelle mura. Scritto tra il marzo 1763 e il gennaio 1764, non ebbe però vita facile. Appena pubblicato, il Sant'Uffizio lo aveva incluso nell'indice dei libri proibiti. Il mondo non era preparato ai cambiamenti traumatici suggeriti nel libro, in merito a crudeltà e inutilità di torture e pena capitale per certi effimeri reati (la pena di morte, ai tempi dell'Accademia, veniva comminata a Milano per una trentina di reati, incluso il furto e l' "azione venerea con un'ebrea"). Il conte Pietro Verri, a cui il libro viene dedicato, si vanta di aver dato lui l'argomento al "Marchese Beccaria" e "la maggior parte dei pensieri è il risultato delle conversazioni che giornalmente si tenevano fra Beccaria, Alessandro, Lambertenghi e me", come annota lo stesso Verri. Esaltato a Parigi dagli Illuministi francesi, lo stesso autore del Dei delitti e delle pene non ebbe vita facile in Milano, tanto che strascichi ostracistici nei suoi confronti si ebbero ancora nel 1818, a 54 anni dalla sua pubblicazione. Scrive infatti il De Breme nel 1818: "mostratosi in un Circolo di Milano, il Beccaria, quel vindice della straziata e conculcata umanità, tosto i nobili, uomini e donne, i benemeriti del governo, i devoti, s'alzarono, e, senza neppur salutarlo, pigliavano congedo dai padroni di casa".
Nel maggio del 1766 il gruppo si sfalda, e con esso la rivista cessa le pubblicazioni. Nei soli due anni di vita la rivista uscì 74 volte (una ogni 10 giorni) con 118 articoli firmati, ben 53 dei quali a firma di Pietro Verri e 31 di Alessandro Verri. Allo scioglimento ogni componente prese la sua strada. Milano non era ancora pronta a sostenere i giovani geni. Per il risveglio totale dal lungo letargo, in cui Milano era sprofondata, bisognerà attendere l'avvento dei nipoti di quei geni o lumi, al vertice dei quali ritroviamo Alessandro Manzoni , nipote di Cesare Beccaria.
Aggiornamento
Nel penultimo capoverso De Breme riferisce di un atto increscioso accaduto a Cesare Beccaria tanti anni prima, e non nel 1818. Beccaria quell'anno non era più in vita, essendo morto nel 1794 all'età di 56 anni.
Consulenza grafica (la foto del quadro) e di contenuto: www storia di Milano - Repertorio (Verri)
Bibligrafia: Milano l'avventura di una città - Marta Boneschi - Edizione Oscar Mondadori
Allegati (link): da Wikipedia