venerdì 27 marzo 2009

E' Primavera svegliatevi bambine...

Ogni anno davanti ai nostri occhi indifferenti si ripete il miracolo della vita che torna a sbocciare dopo il lungo e tedioso inverno.
Le giornate si allungano, un sole tiepido scalda il viso e il cuore di chi ancora è capace di apprezzare il lento susseguirsi delle stagioni.
Via i cappotti e le sciarpe, le finestre si spalancano, il freddo finalmente se n’è andato.
E’ primavera, svegliatevi bambine… canterebbe Rabagliati.

Ed infatti è come svegliarsi dopo un lungo sonno e per incanto vedere la natura che si appresta a rigenerarsi opulenta, gli alberi coperti di gemme color smeraldo, che presto saranno foglie, i boccioli preludio di un' esplosione di profumi e colori e in campagna peschi e ciliegi si ricoprono di fiori rosa e bianchi, così delicati e belli che, come in certe liriche giapponesi, vien da pensare “Spezzarti, per portarti via, sarebbe troppo doloroso, o fior di ciliegio: piuttosto sotto i tuoi petali rosa starò ad ammirarti fino al tuo appassire”. Niente di più bello potendolo fare!
Non sono solo gli occhi a godere di tanta armonia rinata, ma anche le orecchie: la primavera è anche una stagione piena di “voci” per chi sa ascoltare, la tortora che lancia il suo richiamo sempre uguale, gli uccelli che cinguettano sui rami con rinnovata energia e gli insetti che ronzano e trillano nei prati nella loro industriosa ricerca di polline e cibo.
E’ il ciclo della vita che si ripete, un miracolo così potente e coinvolgente che da sempre ha ispirato poeti e pittori, musicisti e scultori.
Parlando di Primavera è d’obbligo menzionare il celeberrimo quadro di Sandro Botticelli, uno dei più illustri maestri del Rinascimento.
L’opera fu commissionata da Lorenzo Di PierFrancesco De’ Medici, cugino del più noto Lorenzo il Magnifico. La natura allegorica del dipinto è stata oggetto d’infinite e controverse congetture anche se le figure sono facilmente identificabili: a destra Zefiro insegue la Ninfa Cloris, che produce fiori dalla bocca, accanto Flora che unica del gruppo guarda direttamente l'osservatore e sembra intenta a spargere i suoi fiori all'esterno della scena a sinistra le Tre Grazie danzano allacciate mentre Mercurio disperde le nubi con il suo bastone alato, al centro Venere e Cupido osservano attenti. Una più attenta analisi di questo capolavoro la potete leggere qui.
Dopo Botticelli un altro immortale artista italiano rese omaggio alla Primavera: Antonio Vivaldi con tre movimenti del concerto in Mi maggiore per violino, archi e clavicembalo intitolato appunto La Primavera e descritto in un sonetto che lo stesso Vivaldi compose:
Giunt' è la Primavera e festosetti
La Salutan gl' Augei con lieto canto,
E i fonti allo Spirar de' Zeffiretti
Con dolce mormorio Scorrono intanto:
Vengon' coprendo l'aer di nero amanto
E Lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti
Indi tacendo questi, gl' Augelletti;
Tornan' di nuovo al lor canoro incanto:
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme 'l Caprar col fido can' à lato.


Di pastoral Zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all' apparir brillante.
Ciascuna parte del Sonetto corrisponde a uno dei tre movimenti del concerto e quindi momenti della stagione: il canto degli uccelli (allegro), il riposo del pastore con il suo cane (largo) e la danza finale (allegro). "Il violino solista rappresenta un pastore addormentato, le viole il latrato del suo fido cane mentre i restanti violini le foglie fruscianti".
I poeti furono molto prolifici nel cantare la Primavera, non credo ne esista uno che non si sia cimentato nel canto di questa meravigliosa stagione.
Io amo in particolar modo Emily Dickinson perchè tutta la sua opera é un inno alla natura. Recentemente é stato pubblicato in Italia il suo "Herbarium", ossia un album dalla copertina rigida, di colore verde, composto da sessantasei pagine, in cui la poetessa con mano esperta ha disposto 424 esemplari essiccati di fiori e piante da giardino, da prato o da interno, appartenenti a specie autoctone o naturalizzate nelle vicinanze di Amherst, Massachusetts. La disposizione dei fiori, le combinazioni di foglie e gambi e corolle, le etichette con i nomi propri, per lo più in latino, sono incantevoli. La Dickinson incominciò a raccogliere foglie, petali, steli quando aveva quattordici anni, incollandoli su grandi fogli accompagnandoli con una didascalia, e gettando così, i "semi" per la sua futura opera poetica.


Un sepalo ed un petalo e una spina
in un comune mattino d’estate,
un fiasco di rugiada, un’ape o due,
una brezza,
un frullo in mezzo agli alberi
ed io sono una rosa!









Fiorire - è il fine - chi passa un fiore
con uno sguardo distratto
stenterà a sospettar
le minime circostanze
coinvolte in quel luminoso
fenomeno
costruito in modo così intricato
poi offerto come una farfalla
al mezzogiorno
Colmare il bocciolo
combattere il verme
ottenere quanta rugiada gli spetta
regolare il calore - eludere il vento
sfuggire all’ape ladruncola
non deludere la natura grande
che l’attende proprio quel giorno
essere un fiore, è profonda
responsabilità.
Aretusa

giovedì 19 marzo 2009

Emile Bernard e la scuola di Pont-Aven

C'è un momento suggestivo della storia dell'arte, inestricabilmente legato alla magia di un luogo, per cui è d'obbligo la visita a questo breve sito per farsi un'idea almeno della splendida regione francese della Bretagna. In questa terra, sospinta dal fascino originario locale, ebbe origine una rivoluzione pittorica, il Sintetismo (o Cloisonnisme) della Scuola di Pont-Aven: ci si distacca dall'Impressionismo e da una forma più antiquata di Naturalismo, accentuando l'astrazione della forma pittorica, rinunciando alla rappresentazione prospettica (aboliti la piramide rovesciata, il senso di profondità, gli effetti ombreggiati) per forme piatte, realizzate con colore puro e non mescolato; si accentua la rappresentazione non del reale, ma dell'eco interiore del dato osservato, compaiono elementi culturali non solo contemporanei ma arcaici e originari, quando non tratti primitivi. Il Sintetismo costituirà così uno dei rivoli del Simbolismo, che si rivela non solo decadenza, non solo consunzione lussureggiante e spirali di eros-lusso-morte. Emile Bernard (1868-1941) è la figura di svolta, l'inventore della nuova concezione delle forme appena ventenne, nel 1888, anche se la comunità di pittori si andava formando in paese fin dagli anni '60.Nel 1888 i maestri dell'arte moderna sono all'opera, ma non da loro stanno arrivando le ultime novità: Paul Cezanne (1839-1906) e' nel sud della Francia, Vincent Van Gogh (1853-1890) è ad Arles dove lo raggiungera' Paul Gauguin (1848-1903), proveniente da Pont-Aven. Nel villaggio di pescatori c'è il giovane Emile Bernard che mostra a Gauguin l'opera rivoluzionaria.

Bernard aveva dipinto "Donne bretoni su prato verde"(1888) (olio su tela, Germain-en-Laye, coll.privata), con parziale assenza di prospettiva, tinte essenziali e contorno nero marcato intorno alle figure: modelli ideali le vetrate delle chiese, le xilografie popolari, gli smalti (il cloisonné). Era la svolta che Gauguin cercava, una modalità astratta per allontanarsi dal Naturalismo e dall'Impressionismo. Gauguin adotta il nuovo stile mostrato dal giovane Bernard, addentrandosi in seguito nel primitivismo magico che lo rendera' famoso, soprattutto per le visioni tahitiane. Il ventenne Bernard reclamerà inutilmente il merito della scoperta, mentre, secondo Pissarro, Gauguin "ha rubacchiato tutto ai giapponesi". Saranno comunque sia Paul Gauguin sia Emile Bernard a mettere a punto il nuovo stile, e da Gauguin ne verranno gli sviluppi maggiori. Frequentano il gruppo anche Paul Serusier, futuro capostipite dei Nabis, ma anche Emile Schuffenecker, Jacob Meyer De Haan, Charles Laval, ne subiscono influenza anche le trasfigurazioni mistiche e misteriosofiche successive del poetico Maurice Denis.

Il termine 'Sintetismo' è impiegato per la prima volta nel 1889, in occasione della mostra organizzata al Café Volpini di Parigi dagli artisti raccolti attorno a Gauguin e Bernard. Il termine 'sintetismo' pensato da Bernard vuole indicare la semplificazione del disegno, la riduzione della complessità cromatica del reale a pochi colori-base, il ritorno alla plasticità, e l'idea di figurazione di sintesi.

"La visione dopo il Sermone", 1888 (olio su tela, Edimburgo, National Gallery of Scotland)è il primo dipinto sintetista di Gauguin, che riprende le cuffie delle donne bretoni di Bernard del dipinto precedente. Le donne, il mondo reale a sinistra vengono separate dall'albero trasversale; nella metà a destra vediamo raffigurata la Lotta di Giacobbe con l'Angelo (appunto, il soggetto della predica, cfr. Genesi 32:22-32): reale e immaginario si confondono nel quadro...in perfetto stile sintetista. Il Sintetismo di Gauguin condensa in un'unica immagine dati reali e elementi visionari, con forti valenze simboliche. C'è anche un dipinto di Van Gogh della stessa epoca che rientra in questo 'ciclo bretone': "donne bretoni", 1888 (tempera e acquerello su carta, Milano Civica galleria d'Arte Moderna), è una copia del dipinto di Bernard che Van Gogh eseguì per intendere al meglio la nuova pittura (Van Gogh e Bernard erano in rapporto epistolare).

I quadri sintetisti, pur risentendo chiaramente di un paesaggio, sono realizzati in studio in base all'immagine impressa nell'interiorità, e non dal vero. Tra i contorni fortemente marcati delle figure, la scomparsa di microdettagli, la pittura sintetista dà il primato a una visione interiorizzata del mondo, con la ricorrenza di alcuni simboli. Tra le influenze vanno citate le stampe giapponesi e il loro metodo di uso del colore, spunti primitivisti (in seguito si possono rinvenire nei Nabis, o nella carriera successiva di Gauguin, per es. nel "Cristo verde"), un impiego di tecniche di raffigurazioni mutuate dalle vetrate delle cattedrali medioevali.

L'elemento ricorrente del paesaggio bretone è inteso come oasi di autenticità, con le affascinanti figure di donne in costume tradizionale bianco e nero, dalle caratteristiche cuffie: il costume tipico richiama a un'ideale arcaico in cui la Tradizione si mescola ad un Cristianesimo incontaminato delle origini, in una terra spettacolare densa di arte e storia, ma anche di vita semplice contrapposta alla sofisticazione della vita cittadina e delle malattie fin de siècle.La vicenda di questo momento dell'arte ci dice di più: già allora i costumi culturali e tipici erano conservati in un piccolo incantato paese, che, come fuori del tempo, manteneva intatte tracce ancestrali e lontanissime di storia e stili di vita. In seguito, la scomparsa dell'originario e delle antiche identità è stata velocizzata non tanto dal 'progresso' ma dalla Rivoluzione Industriale, con le sue peculiari mire, e dalle Rivoluzioni Tecnologica e Informatica. La scomparsa dei costumi popolari tipici, depositari di una parte emotiva della memoria, (come la scomparsa di lingue minoritarie, dialetti, prodotti artigianali) e la scomparsa forzata oggi del 'tipico, del 'locale', sono un passo ulteriore verso il suicidio culturale dell'Europa.




In alto a sinistra: "La moisson" di Emile Bernard, '1888

La visione del sermone di Emile Bernard (terza a sinistra)

Donne bretoni di Van Gogh (quarta a sinistra)

"Donne bretoni su prato verde"(1888) di Emile Bernard (quinta a destra)
"Bretone sul campo di grano verde" di Paul Serusier

Autore: Josh

venerdì 13 marzo 2009

I canti religiosi tra folclore e devozione

Alcuni elementi mi hanno indotto a pensare che il Sud Italia possa vantare senz'altro un primato nei confronti del Nord: esso possiede un più vasto repertorio di canti popolari sacri.

L'impressione mi era scaturita già quando ebbi modo di assistere ad un evento religioso che si perpetua da secoli nella zona del Basso Lazio, riguardante i pellegrinaggi che si svolgono alla Madonna di Canneto. Un'altra ragione mi è stata fornita da un libro "Sulla musica e le storie di un'Italia perduta". E la conferma definitiva l'ho avuta assistendo ad un concerto dedicato agli antichi canti popolari sacri. Canneto, località amena situata all'interno del Parco Nazionale d'Abruzzo, è tradizionale meta, il 21 agosto di ogni anno, di una processione solenne e immensa che si svolge attorno alla chiesa del Santuario. Vi prendono parte pellegrini provenienti dai paesi del circondario, posti entro un raggio di 60 km. Durante la lunga processione, e la veglia notturna che vi fa seguito, è un continuo intonare canti invocativi alla Madonna. E ciò si ripete incessantemente anche durante le marce di andata e ritorno, o dei tragitti in comitiva con i pullman. Sono antichi canti mantenuti vivi e perpetuati oralmente da una generazione all'altra. Fino all'immediato dopoguerra, venivano trasmessi quasi solo oralmente, a causa dell'analfabetismo ancora abbastanza diffuso tra la popolazione più anziana. Un aiuto concreto veniva dalla discografia vinilica, ora divenuta incetta di collezionisti, che però era limitata ai brani più belli e più in voga (Madonna di Canneto - un popolo lieto...). Agli anziani, non necessariamente i più vecchi, era demandato il compito di trasmettere la tradizione canora ai giovani. I partecipanti, di qualsiasi provenienza, avevano l'onere di doverseli imparare a memoria, per non fare la figura di non saperli. Durante le prove, e poi durante i pellegrinaggi, era frequente assistere a colorite discussioni che avevano per argomento i testi e la musica dei canti. E non di rado, si sentivano rimbrotti pittoreschi a coloro che sbagliavano una parola o una tonalità. Vi era, poi, una sottile e velata gara tra coloro che ambivano ad eseguire la migliore interpretazione. A dimostrazione di quanto la tradizione fosse sentita da tutti, ogni paese partecipava col proprio gonfalone comunale. L'intuizione venutami dalla lettura del libro, la devo a Giovanna Marini, cantante folk del periodo della Contestazione, che dal 1975 ha insegnato estetica del canto popolare alla Scuola di Musica di Testaccio (Roma). Nei periodi di Quaresima, dal 1991 Giovanna Marini organizza viaggi sistematici di ricerca di brani "in via d'estinzione". Ricordi di quei viaggi sono racchiusi nel suo libro Una mattina mi son svegliata (Rizzoli, prima edizione 2005). Dei dodici viaggi descritti nel libro, ben dieci sono avvenuti in Italia meridionale; solo due in Toscana e Liguria. Vi si narra anche, in modo professionale, del modo come vengono intonati i brani tipici, che hanno resa famosa quella data località, per quella data peculiarità. Fatti in gruppo, da comitive di studenti italo-francesi, i dieci viaggi verso l'Italia meridionale sono avvenuti a: Giulianello e Sessa Aurunca; Giulianello; Castelsardo e Orgosolo; Fiuggi, Blera, Verbicaro e Nocera Tirinese; Palermo, con tappa programmata da Mimmo Cuticchio ultimo valido cuntista (cantastorie) siciliano, e poi a Montedoro e Milena; Calamonaci, Agrigento, Barcellona-Pozzo di Gotto; in Salento; San Costantino Briatico, colonia albanese del Monte Pollino; e, anche se non c'entra niente con i canti sacri, nel '99 è stata anche al Cantamaggio, in Toscana, arricchendo così il libro di storie e aneddoti. Nel 2000 a Orosei, ultimo dei viaggi misti italo-frencesi. E poi, con comitive solo italiane, a Cuglieri (Sardegna); a Piana degli Albanesi (Palermo). Nel 2003 a Sessa Aurunca (Caserta) per ascoltare il Miserere di Sessa, che è per vocalità maschile, ma, di recente, è stata una donna a cantarlo, e ciò ha suscitato vivo interesse nei ricercatori, che hanno voluto andare a cercarla. Pasqua del 2004, eccezionalmente al nord, a Ceriana (Savona) per ascoltare la Lauda de la Madona de la Vila. "E' un canto polifonico costituito da un lunghissimo melisma: dura più o meno dieci minuti, con una nota di bordone bassa comune ai due accordi di tonica e dominante, quindi una quinta, su cui si articola tutto il canto: sembra veramente un alleluiatico. L'insieme è molto emozionante, perchè ci sono solo due solisti, a distanza di terze parallele, un primo con una voce dolcissima, e un secondo con voce di altro timbro, ma egualmente interessante, sui quali entrrano di spinta tutti i componenti della compagnia, tutti sulla quinta, tutti insieme, e fanno sempre la stessa nota per tutto il pezzo, ma non trovanomla cosa nè noiosa nè facile. Infatti, non lo è. Cantano appoggiati uno all'altro, spesso con la mano sull'orecchio per intonare bene la loro unica nota che va rinnovata e sostenuta, perchè se calassero - cosa probabilissima - trascinerebbero i due solisti su tonalità sbagliate." Non essendo un esperto musicologo, ho trascritto un brano integrale della Marini, per cercare di trasmettere un po' delle emozioni che ho provato io, assistendo al concerto vocale strumentale del Gruppo di Canto Popolare di Nova Milanese, di sabato 7 marzo. Anche le Sorelle Elli, direttrici del Gruppo, hanno dovuto, o voluto, attingere al repertorio meridionale, per poter allestire un programma, risultato poi di ottima fattura.Il concerto, dedicato alla Festa della Donna, e concomitante con l'inizio del periodo di quaresima, è stato quasi tutto incentrato su canti popolari sacri, tratti dal più vasto repertorio religioso meridionale. Ad ospitare l'evento è stato il Parroco di Nova Milanese, che ha concesso l'uso della Chiesa di Sant 'Antonino Martire, per fare svolgere l'evento. Festa della donna e Quaresima, non potevano che far suggerire un'esibizione di canti sacri incentrati sul dolore della Madonna, per la passione, Calvario e morte di Gesù Cristo: Mater Dolorosa. E' stato per me oltremodo curioso osservare come se la sarebbero cavata, col dialetto antico meridionale, donne del Nord abituate quindi ai dialetti di qua. La prova è stata egregiamente superata. E, in un brano da solista, su Passione e Crocefissione, Mariuccia Elli, la veterana del Gruppo, si è cimentata in un pezzo di alto virtuosismo, dimostrando così una bravura superlativa. E' stata chiesta una replica del concerto: chissà se verrà accolta...

autore : Mario (Marsh)

venerdì 6 marzo 2009

RV come Rosso Valentino



Quando inaugurai questo blog lo feci con un argomento apparentemente frivolo come la moda nel post "Aforismi per una demoiselle" dedicato a Coco Chanel.

Oggi questo blog compie un anno. Per l'esattezza lo ha compiuto il 29 gennaio scorso, ma non mi andava di festeggiarne il compleanno nel bel mezzo di un gelido inverno, un inverno interminabile. Ora con l'aiuto di cari e bravi amici Esperidi che apprezzo e stimo il Giardino è arrivato alle soglie della sua seconda primavera. E cosa c'è di meglio che ricordare la stagione entrante (che peraltro tarda a farsi avanti) ancora con la moda?
Da mademoiselle Coco a L'Ultimo Imperatore. Ovvero Valentino Garavani in arte solo Valentino e con il logo di V in profumi, occhiali, cinture, borsette e altri accessori. Naturalmente non mi soffermo sulla biografia e sulla sua identità di gay di cui non mi importa un bel nulla.
Ma sulla genialità della sua cifra stilistica di inimitabile couturier, termine quest'ultimo, che preferisco al generico "stilista" odierno. Da coudre = cucire. Uguale= alta sartoria. Ovvero artigianalità ideata e fatta in Italia, e successivamente esportata e apprezzata nel mondo intero. Oggi la moda italiana si è conquistata sul campo la sua "legion d'onore" (Valentino ne è stato insignito in Francia) e non ha più nulla da invidiare ai cugini d'Oltralpe, i quali sono stati i padri

fondatori della haute couture in Europa e nel mondo, ma permangono a tutt'oggi forse un po' élitari. Armani, Laura Biagiotti, Ferré, Versace, Gattinoni, Romeo Gigli e molti altri nomi di Maison d'alta moda, vengono apprezzati (e imitati) in tutto il mondo. Ma trovo che Valentino abbia quel pizzico di eccentricità in più rispetto a tutti gli altri che ben si coniuga all'eleganza delle sue linee, laddove Bellezza e Bizzarria convivono egregiamente. Eppoi aggiungiamo pure che quel suo rosso Valentino è diventato un marchio di fabbrica made in Italy un po' come la Ferrari. Un rosso dai toni accesi che vanno dal cadmio, al carminio, al vermiglio, alle tonalità del cremisi dei nostri dipinti rinascimentali (in particolare Tiziano).
Valentino osa credere ancora nel divismo e nel glamour della donna che veste. E guarda caso, veste Sharon Stone, forse l'ultima delle dive dello star system hollywoodiano, creando oggi, lo stesso binomio che legò Audrey Hepburn a Hubert de Givenchy. O Jacqueline Kennedy e Oleg Cassini. Il rosso è in fondo il colore più semplice e ad un tempo più difficile da indossare. Perchè troppo "coprente" e chiassoso. Alla fine si guarda il colore e non più l'abito. Insomma rappresenta un'audacia vestire di rosso una donna. Non così per i suoi modelli che fanno del femminile un qualcosa legato a quell' 'eterno femminino della pittura e dell'arte italiana. Eppoi lui è davvero capace di osare: piume di struzzo, strass, drappeggi e chiffon. Il tutto per creare fascino e senso del mistero in un'epoca che non ha più niente di misterioso. Di fronte al Rosso Valentino è un po' come davanti al disco rosso di un semaforo: si è obbligati a fermarsi. E tanto peggio se c'è la crisi. Nulla mi è più necessario del superfluo, è una battuta di Re Lear, ripresa e copiata di sana pianta dai pubblicitari, che di tutto si impossessano e triturano, nei loro slogans. La moda, che rappresenta per antonomasia la cultura e l'industria del superfluo, andò avanti anche sotto le bombe della II guerra mondiale coi suoi preziosi défilé. Un motivo ci sarà pure...

Hesperia