mercoledì 18 dicembre 2013

Difendere l'Italia (e gli Italiani)

L'ultimo saggio di Ida Magli "Difendere l'Italia", è senz'altro il più propositivo e pragmatico di quelli fin qui pubblicati. Non si limita infatti a insistere sulla denuncia dei misfatti fin qui perpetrati dall'eurocrazia di Bruxelles (si veda "La dittatura europea"). Non si limita ad analizzare i disvalori dell'Occidente che ci hanno reso così passivi, fragili e deboli nel respingere i nostri oppressori con i quali tacitamente collaboriamo ("Dopo l'Occidente"). Addirittura, l'ultima parte del saggio è dedicata alle prospettive per una nuova rinascita della Patria. A come si potrebbe ricostruire il Bel Paese, dopo le rovine perpetrate dai banchieri e da tutta la classe politica che ha chinato il capo, permettendo il disastro che  è sotto i nostri occhi. Insomma, la Magli ad un Laboratorio per la Distruzione (Lpd, per chi ama le sigle), centro operativo degli oligarchi mondialisti ed euromondialisti, contrappone un Contro Laboratorio per la Ricostruzione  per la difesa di un nazione ridiventata sovrana o in via di poterlo ridiventare.
Utopie? Può darsi, ma lei che è una famosa antropologa, sa benissimo che se è vero che le civiltà possono estinguersi a causa di invasioni demografiche, cataclismi, guerre, stragi, genocidi,  è altrettanto vero, che i sedimenti di antichi saperi, di esperienze, di una cultura e un' identità (le due cose coincidono) non sono fattori così facili da cancellare, nemmeno per il  tramite della più pervicace volontà distruttiva. Ma procediamo con ordine.

Terza Guerra Mondiale. La prof. Magli sa benissimo che la guerra che i banchieri hanno scatenato contro i popoli, non abbisogna di carri armati, di corazzate, di fregate militari, né di bombardamenti strategici a tappeto: bastano i mezzi finanziari, in primis la dittatura dello spread.  ("Forse non ci siamo accorti di essere nelle mani dei banchieri fino a quando non abbiamo visto le corde con le quali ci stavano impiccando"). Aver in mano una potente arma di distruzione di massa come la creazione del denaro dal nulla, significa usarla con spietatezza: distruzione dei prodotti particolari e specifici di un Paese, distruzione dei popoli ("così come le mucche e le arance, anche i popoli dovevano essere omologati e distrutti").
Chiamandola perciò con questo nome (III GM), la Magli spera che qualcuno vi si opponga, facendo scattare un naturale istinto di conservazione.

Egualitarismo repressivo
Lo sgomento di tanti Italiani nasce dal fatto che ci troviamo a vivere in democrazia, il più "perfetto" (o il meno imperfetto,  secondo il pensiero di Churchill) di tutti i regimi. E allora come capire che in nome dell'Egualitarismo non possiamo criticare chi fomenta sbarchi su sbarchi sulla Penisola esponendo il nostro Paese a migrazioni selvagge da ogni angolo del mondo? Come possiamo criticare coloro i quali mettono sullo stesso piano il matrimonio naturale coi matrimoni omosessuali? Come possiamo confutare chi favorisce trapianti ed espianti d'organi per offrire a tutti le stesse funzioni? Chi mai denuncia il fatto che durante questi trapianti molti ci lasciano la pelle o possono prendere altre malattie? Non si può, perché è il Progresso, bellezza -  un altro mito "democratico" inconfutabile. Ida Magli mette alla berlina il concetto di "democrazia" con tutta la ridda di mistificazioni che comporta. Tra i fenomeni sgomentevoli che rendono perplessi i lavoratori esiste anche il fatto che la sinistra  (storicamente nata a tutela delle fasce più deboli) è la più zelante nel voler massacrare il popolo di tasse, di espropri, di Equitalia... e che tra tutte le forze politiche si mostra la più supina e prona ai diktat delle cancellerie europee. Insomma l'Egualitarismo è la nuova feroce ghigliottina livellatrice della nostra epoca. 
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Omicidi-suicidi . Come in ogni guerra non mancano le vittime, spesso indotte da questo Laboratorio mondiale per la Distruzione. Ecco allora Equitalia, strumento di tortura moderna, nuova Inquisizione fiscale, organizzata per la distruzione dei "nuovi eretici": gli evasori.  (8000  suicidi solo alla fine del 2012, per non citare i suicidi pregressi). Ma questi suicidi, non hanno nulla di eroico, nulla di spartano, di stoico. Sono morti meste, silenziose, basate sull'impotenza. Chi si uccide non sa nemmeno cosa gli è crollato in testa, non sa dare un nome alla tragedia che sta vivendo, è incapace di difendersi. Per questo si suicida. Ci si uccide nel Nord Italia dove esiste una coscienza del "debito-colpa" In tedesco Schuld, significa sia l'una che l'altra parola. Ci si toglie un bene prezioso come la vita, sperando di salvare i proprio cari, sperando che mors omnia solvit.  Ma non è vero nemmeno questo: i nostri feroci nemici fanno ricadere la "colpa-debito" anche sui familiari.
"Ce l'abbiamo fatta!" esclama Letta, perché le autorità finanziarie il 5 luglio 2013 avevano cancellato la procedura di condanna nei confronti del debito pubblico.  Sì, ma le migliaia di vittime? di cittadini disoccupati? di industrie fallite? di esercizi commerciali ed artigianali costretti a "chiudere bottega"? E i giovani senza futuro? E la Nazione ferma e bloccata in un tunnel senza fine?
Grande è la responsabilità dei nostri governanti, anche più grande dei loro infami mandanti, poiché essi POTEVANO, ma hanno espressamente tradito il loro stesso popolo.

Il tempo inafferrabile - Molto interessante in questo volumetto di 250 pagine è il concetto di tempo che ne emerge. Da quando il calendario è cambiato, da quando dal Novecento siamo passati al Duemila (XXI secolo), il tempo sembra essersi fermato: viviamo l'eterno presente senza più un passato da ricordare (non vogliono che ce ne ricordiamo) né un futuro da scrutare in lontananza, come si fa con la linea dell'orizzonte. Un futuro da poter sognare.
Qualcuno ricorda questo ultimi tredici anni? Questo decennio? No, perché il tempo sequestrato dai banchieri, è in realtà un eterno presente, impossibile da padroneggiare, da storicizzare.  "Un silenzio quasi vuoto ,"un'orrida attesa di un nemico sconosciuto, misterioso, invisibile"...

Il crollo del Papato -  Il 5 marzo 2013 è stata un'altra data cruciale con le dimissioni del Papa Benedetto XVI. E dato che Ida Magli sa perfettamente che le dimissioni  (termine burocratico) può darle un capo di stato, un primo ministro, ma non il Papa, constata in questo avvicendamento della chiesa,  tutta la tragedia della "perdita del Sacro". "Il Parlamento e il Papato possono continuare a fingere di esistere, come nei fatti sembra che facciano, ma la forza del Sacro, l'hanno persa per sempre". L'ascesa alla sede vacante è stata come è noto rimpiazzata da un gesuita, il cui Ordine, un tempo era addetto alla guardia del Papa. Nessuno ha creduto ai motivi di stanchezza e di vecchiaia ("ingravescentem aetatem") di Benedetto XVI. Buon senso vuole che se la decisione è stata così repentina è perché altrettanto traumatici e repentini sono stati i fatti che hanno costretto Ratzinger alle "dimissioni". E ora da chi è stato sostituito il vecchio Papa divenuto "emerito"? Mica da un giovincello! Da un 77enne, proveniente dal Nuovo Continente ("la fine del mondo") con la sua finta familiarità di finto parroco di campagna. Su questo strano anomalo "colpo di stato" all'interno di una millenaria istituzione  religiosa, si dovrà ancora fare piena luce.
Di grande interesse il capitoletto intitolato al gesuita Ignazio di Loyola e le donne, che ben disvela come gesuitismo e ipocrisia siano  in pratica, la stessa cosa.

Omosessualità e inculturazione femminile
La sfrenatezza sessuale legata all'omosessualità ha purtroppo invaso la società in tutte le  sue diramazioni. Essa viene incoraggiata, blandita, coccolata dai media, dalla pubblicità, dal cinema, perfino dalle fiction televisive. Guai a dissentirne, ora che anche grazie al M5S (criticato dalla Magli, la quale all'inizio mostrò un'apertura di credito verso Grillo)  è passata la legge sul reato di omofobia.
La stessa Chiesa  è stata ferita a morte dal fenomeno interno dei preti omosessuali, come già si è visto durante le repentine dimissioni di Ratzinger, quando è venuta alla luce la questione di "una potente lobby gay" in Vaticano che vorrebbe cambiare la dottrina teologica e morale relativa all'omosessualità. Ma  anche il problema dell'eccessiva femminilizzazione dei ruoli politici, occupata proditoriamente dalle donne (quote rosa), viene stigmatizzata dall'autrice. Poiché è vero,  che gli Eurocommissari, ben vedono l'occupazione di donne nei posti chiave, più conformiste e assai meno critiche nei confronti del Potere (da cui ne sono state escluse da secoli) degli stessi maschi. Si vedano gli esempi deleteri di Cecilia Malmstrom, di Laura Boldrini, Bonino, della Kyenge.

Breve itinerario di un sogno ad occhi aperti
L'ultimo capitolo del libro è dedicato a come lavorare su più fronti, ben sapendo  che sul tema "identità e cultura"  sono state erette barriere, paletti e trabocchetti d'ogni genere. "Più estesa è l'informazione, meno si agisce". Non è certamente il mondo del web e l'eccesso di informazione nella quale siamo tutti quanti immersi che farà deviare il percorso della Troika. Quando si parla di "identità" occorre tener presente che non è lo Stato che crea un popolo, ma il popolo che crea lo Stato. Anche la lingua è frutto di una lunga sedimentazione culturale. E nessuna lingua al mondo,  è pervasa da musicalità come quella italiana.  Amante della musica nonché studiosa e musicista, Ida Magli, dedica un capitoletto a come dovrebbe essere formulata una legislazione speciale riguardante le scuole d'arte e i conservatori di musica, da sempre nostri punti forti.
"Lo Stato curerà, fornendo tutti i mezzi economici necessari, la formazione di orchestre italiane, con professori e direttori esclusivamente italiani"  (...) "Il Teatro alla Scala di Milano sarà per legge diretto da musicisti italiani. La serata di apertura sarà sempre dedicato a un musicista italiano e diretto da un maestro italiano".
Altri importanti paragrafi sono riservati alla scuola e all' istruzione universitaria,  all'ambiente e alla sua salvaguardia, alla demografia, al territorio e all'immigrazione massiva. Al rapporto tra densità demografica e natalità (siamo a un pericoloso rapporto di 198 abitanti per km quadrato, dati allarmanti che dovrebbero far riflettere). La Magli si spinge anche più in là: elabora una nuova organizzazione del potere che vada nell'ottica della salvaguardia dell'identità-cultura dell'Italia e degli Italiani. Non aggiungo altro,  per non rovinare le sorprese che certamente non mancano in questo prezioso volumetto. Forse non tutto è ancora perduto:  "Non siamo ancora morti e abbiamo intenzioni  di NON farci impiccare dai banchieri". Da leggere durante le festività natalizie.

 
A tutti i visitatori   e lettori del Giardino, auguro Buon Natale e serene feste.



Hesperia

lunedì 9 dicembre 2013

Un po' di numeri del Comunismo




Questo blog non si occupa direttamente di politica, anche se come chiave di lettura è costretto ad accorgersene quando scoviamo pesanti strumentalizzazioni in ambito artistico, letterario, cinematografico, vulgata generale e simili, o in storture  nella lettura del presente o della Storia.

Stavolta mi sento obbligato a soffermarmi e fare il punto brevemente su qualcosa di basilare che davo per assodato almeno nella formazione storica e memoriale di tutti, 
ma che dopo i dialoghi con un amico che non vedevo da un po', che comunque nel suo ambito è uno studioso, anche se non in questi ambiti, ho inteso che così scontato non è.

Parti di quel dialogo vertevano sulla presunta bontà del comunismo, 
sul fatto che "chi non è comunista è -in pratica- automaticamente fascista" (gioco questo già noto nella storia italiana, i comunisti hanno bollato ottusamente con la consueta retorica come fascista a ruota sia De Gasperi, sia Craxi, sia Berlusconi, sia Bossi, e quasi chiunque, dall'aumento della benzina ad altre amenità, che "fasciste" ovviamente non sono), 
sull'idea che "il comunismo E' la libertà",
che "il comunismo qui non c'è stato"
a dire, che se ci fosse stato avrebbe fatto senz'altro sempre tanto bene....
certo che 70 anni di gabbia ideologica comunista, ateista e di pensiero obbligato, di storia e letteratura lette SOLO in chiave marxista, il finto progressismo feroce e persecutorio, e ora il Soviet EuroGulag delle sinistre unite a lobbies e banche la dicono lunga su ciò che c'è stato e ciò che non c'è stato,
ma vediamo, dove c'è stato, cosa ha causato.

da

http://www.marxists.org/italiano/reference/nero/intro.htm

"(...) Il comunismo di cui trattiamo in questa sede non si colloca nel mondo delle idee. E' un comunismo reale, che è esistito in una determinata epoca, in determinati paesi, incarnato da leader famosi: Lenin, Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Castro etc (...)

Il comunismo reale, in qualunque misura sia stato influenzato nella sua pratica dalla dottrina comunista anteriore al 1917 (...), ha comunque messo in atto una repressione sistematica, al punto da eleggere, nei momenti di parossismo, il terrore a sistema di governo. L'ideologia è, dunque, innocente?
I nostalgici e coloro che ragionano con una mentalità scolastica potranno sempre sostenere che questo comunismo reale non aveva niente a che vedere con il comunismo ideale. E sarebbe evidentemente assurdo imputare a teorie elaborate prima di Cristo, durante il Rinascimento o ancora nell'Ottocento, eventi prodottisi nel ventesimo secolo. (...)
Non a caso i socialdemocratici russi, meglio noti come «bolscevichi», nel novembre del 1917 hanno deciso di chiamarsi «comunisti». Non a caso, ancora, hanno eretto ai piedi del Cremlino un monumento in onore di coloro che consideravano i loro precursori: Moro e Campanella.

Al di là dei crimini individuali, dei singoli massacri legati a circostanze particolari, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto del crimine di massa un autentico sistema di governo.
E' vero che in un arco di tempo variabile - che va da pochi anni nell'Europa dell'Est a parecchi decenni nell'URSS e in Cina - il terrore si è a volte affievolito e i regimi si sono stabilizzati su una gestione della repressione nel quotidiano, mediante la censura di tutti i mezzi di comunicazione, il controllo delle frontiere, l'espulsione dei dissidenti.
Ma la «memoria del terrore» ha continuato ad assicurare la credibilità, e quindi l'efficacia, della minaccia repressiva. Nessuna delle esperienze comuniste che hanno conosciuto una certa popolarità in Occidente è sfuggita a questa legge: né la Cina del Grande timoniere né la Corea di Kim Il Sung né il Vietnam del «gentile zio Ho» o la Cuba del pirotecnico Fidel, affiancato da Che Guevara, senza dimenticare l'Etiopia di Menghistu, l'Angola di Neto e l'Afghanistan di Najibullah. 

I crimini del comunismo non sono mai stati sottoposti a una valutazione legittima e consueta né dal punto di vista storico né da quello morale. Questo è, forse, uno dei primi tentativi di accostarsi al comunismo, interrogandosi sulla dimensione criminale come questione fondamentale e globale al tempo stesso. Si potrà ribattere che la maggior parte dei crimini rispondeva a una «legalità» di cui erano garanti le istituzioni dei regimi in vigore, riconosciuti sul piano internazionale e i cui capi venivano ricevuti con il massimo degli onori dai nostri stessi politici.  (...)

La storia dei regimi e dei partiti comunisti, della loro politica, dei loro rapporti con le rispettive società nazionali e con la comunità internazionale non si riduce alla dimensione criminale e neppure a una dimensione di terrore e di repressione. Nell'URSS e nelle «democrazie popolari» dopo la morte di Stalin, in Cina dopo quella di Mao, il terrore si è attenuato, la società ha cominciato a uscire dall'appiattimento, la coesistenza pacifica - anche se era «una continuazione della lotta di classe sotto altre forme» - è diventata una costante nei rapporti internazionali. Tuttavia, gli archivi e le abbondanti testimonianze dimostrano che il terrore è stato fin dall'origine una delle dimensioni fondamentali del comunismo moderno. Bisogna abbandonare l'idea che la tal fucilazione di ostaggi, il tal massacro di operai insorti, la tal ecatombe di contadini morti di fame siano stati semplici «incidenti di percorso» propri di questa o quell'epoca. Il nostro approccio va al di là del singolo ambito e considera quella criminale come una delle dimensioni proprie del sistema comunista nel suo insieme, nell'intero arco della sua esistenza. 

Di che cosa parleremo, quindi? Di quali crimini? Il comunismo ne ha commessi moltissimi: crimini contro lo spirito innanzi tutto, ma anche crimini contro la cultura universale e contro le culture nazionali. 
Stalin ha fatto demolire decine di chiese a Mosca; Ceausescu ha sventrato il centro storico di Bucarest per costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi viali; Pol Pot ha fatto smontare pietra dopo pietra la cattedrale di Phnom Penh e ha abbandonato alla giungla i templi di Angkor; durante la Rivoluzione culturale maoista le Guardie rosse hanno distrutto e bruciato tesori inestimabili.

Eppure, per quanto gravi possano essere a lungo termine queste perdite, sia per le nazioni direttamente coinvolte sia per l'umanità intera, che importanza hanno di fronte all'assassinio in massa di uomini, donne e bambini?
Abbiamo, quindi, preso in considerazione soltanto i crimini contro le persone, che costituiscono l'essenza del fenomeno del terrore e che si possono ricondurre a uno schema comune, anche se ciascun regime ha la sua propensione per una particolare pratica: l'esecuzione capitale con vari metodi (fucilazione, impiccagione, annegamento, fustigazione e, in alcuni casi, gas chimici, veleno o incidente automobilistico); l'annientamento per fame (carestie indotte e/o non soccorse); la deportazione, dove la morte può sopravvenire durante il trasporto (marce a piedi o su carri bestiame) o sul luogo di residenza e/o di lavoro forzato (sfinimento, malattia, fame, freddo).
Più complicato è il caso dei periodi detti di «guerra civile»: non sempre, infatti, è facile distinguere ciò che rientra nella lotta fra potere e ribelli dal vero e proprio massacro della popolazione civile.

Possiamo, tuttavia, fornire un primo bilancio in cifre, che, pur essendo ancora largamente approssimativo e necessitando di lunghe precisazioni, riteniamo possa dare un'idea della portata del fenomeno, facendone toccare con mano la gravità: 

- URSS, 20 milioni di morti,
- Cina, 65 milioni di morti,
- Vietnam, un milione di morti,
- Corea del Nord, 2 milioni di morti,
- Cambogia, 2 milioni di morti,
- Europa dell'Est, un milione di morti,
- America Latina, 150 mila morti,
- Africa, un milione 700 mila morti,
- Afghanistan, un milione 500 mila morti,
- movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 mila morti. 

Il totale di morti causati dal comunismo si avvicina ai 100 milioni. 

Questo elenco di cifre nasconde situazioni molto diverse tra loro. In termini relativi, la palma va incontestabilmente alla Cambogia, dove Pol Pot, in tre anni e mezzo, è riuscito a uccidere nel modo più atroce - carestia generalizzata e tortura - circa un quarto della popolazione. L'esperienza maoista colpisce, invece, per l'ampiezza delle masse coinvolte, mentre la Russia leninista e stalinista fa gelare il sangue per il suo carattere sperimentale, ma perfettamente calcolato, logico, politico.
Questo approccio non pretende di esaurire il problema, che merita, invece, un approfondimento qualitativo, basato su una definizione di crimine precisa e fondata su criteri obiettivi e giuridici"

da  http://www.marxists.org/italiano/reference/index.htm

Gli argomenti sono poi ampliati in cartaceo nel "Libro nero del Comunismo" (Le Livre noir du communisme: Crimes, terreur, répression, 1997) a cura di Stephane Courtois,
ma trovo di acutissima lettura e documentazione tutta l'opera di Solgenitsin (ovviamente ci sarebbero migliaia di altri testi)

http://it.wikipedia.org/wiki/Il_libro_nero_del_comunismo

Il Libro nero porta a sostegno delle proprie tesi numerosi riferimenti bibliografici e fonti accettate, senza retropensieri. Inoltre, i dati riportati dal libro sono coerenti di fatto con quelli di molte altre pubblicazioni note e diffuse.
Lo stesso Norberto Bobbio ne ammetteva la veridicità.

(per un panorama storiografico snello dopo "Il Libro Nero" si rimanda al modulo dei commenti)


Aggiungo che il comunismo è contestato, analizzato e condannato nella Lettera Enciclica di Pio XI (1857-1939) Divini Redemptoris, contro il comunismo ateo (del 19 marzo 1937) e sulla successiva scomunica ipso facto comminata ai comunisti e ai loro sostenitori dal Sant'uffizio con decreto del 1º luglio 1949, sotto il regno di Pio XII (1876-1958).
E' condannata dal Magistero anche l'adesione alla Massoneria nella Humanum Genus di Leone XIII.

sul web, come fonte e argomento, seriamente condotta è anche questa breve indagine:
http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo/

d'interesse:
 http://www.centrosangiorgio.com/piaghe_sociali/comunismo/pagine_articoli/ha_ancora_senso_parlare_di_comunismo.htm

Sull'origine massonico-cabalistica già della dialettica hegeliana:
http://www.centrosangiorgio.com/occultismo/articoli/la_kabbalah_e_la_filosofia_moderna.htm

link correlati:

http://esperidi.blogspot.it/2013/02/che-cosa-nasconde-la-parola-rivoluzione.html

http://svulazen.blogspot.it/2013/04/la-caritas-marx-engels-profughi-in.html

Tragicamente attuale!
http://www.volkstaat.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1248:nelson-mandela&catid=49:nelson-mandela&Itemid=67

E visto che siamo in Avvento, sarebbe saggio non cadere in altre ovvietà (eretiche) del tipo "Gesù è il primo comunista/socialista della Storia". 

I fatti descritti in Atti degli Apostoli (ripresi anche da Mordechai Levi alias Karl Marx)
in 2, 44 "... Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune";
e 4, 32  "La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune."
è nel testo sacro la brevissima descrizione della scelta di una piccolissima comunità cristiana iniziale composta da Santi osservanti, rigenerati dallo Spirito Santo, su base volontaria e sacra, che nulla ha a che fare con il "Comunismo" o ingegneria e consueta macelleria sociale espropriante.

Se proprio si vuole nominare Gesù, e non per tirarlo strumentalmente dalla propria parte politica e ridurlo a una citazione illustre,
s'impari a discernerLo come dalla Scrittura, dalla Tradizione, dal Magistero Perenne, dal Depositum Fidei come Figlio di Dio, Salvatore e Giudice, come Profeta, Sacerdote e Re, o anche come Pantocrator, con i titoli cioè che Gli spettano, applicandosi sempre prima al proprio cuore e vita personale.
Con buona pace anche dei vari Rahner, Schillebeeckx, Dossetti, Boff, Panikkar e loro epigoni più o meno eretizzanti.

 http://www.doncurzionitoglia.com/PioXII_e_scomunica_comunismo.htm

 http://www.doncurzionitoglia.com/conoscere_il_comunismo-jean_daujat.pdf

 http://www.doncurzionitoglia.com/Insidie_Neocomunismo_Neomodernismo.pdf

Josh

martedì 3 dicembre 2013

Dal pasticciaccio di Gadda all'imbroglio di Germi

Mi è capitato di avere in dono il DVD del film  "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi, primo importante esempio di poliziesco italiano. Mediaset per il tramite di  Fedele Confalonieri, che è persona assai colta, ha avuto la funzione meritoria di provvedere al restauro dei nostri capolavori cinematografici dal dopoguerra a oggi in DVD nella collana cinema forever. Avevo in mente di fare un post su Germi cineasta sui generis in quanto anche interprete e attore dei film che dirige, ma la visione di "Un maledetto imbroglio" mi ha suggerito lo spunto per un altro tema: non poter venire mai a capo di una scomoda verità. Sì, insomma, l'intrigo investigativo che non si dipana e che non fa piena luce sui delitti. Vorrei partire innanzitutto dal capolavoro di Gadda "Quer pasticciaccio brutto della via Merulana": impensabile tradurlo nello schermo, in quanto l'autore persegue nella sua intricata narrazione, dei fini linguistici. Poi dirò, nello specifico,  delle utili modifiche apportate da Germi, al soggetto gaddiano.
 

La prima parte del romanzo è incentrata sulla scoperta dei delitti e sulle indagini tra gli esponenti della borghesia romana, mentre la seconda sulle indagini all'interno del proletariato della periferia della città.

Il romanzo è privo di un vero e proprio protagonista, o di un punto di vista che rifletta quello dell'autore, se non a tratti il personaggio di Ingravallo, che cerca di porre ordine in una situazione caotica.

La mescolanza tra le situazioni, i personaggi, e il loro linguaggio, dà luogo a un plurilinguismo e a un intreccio tra spaccato popolare e borghese.
Rappresenta probabilmente, con La cognizione del dolore, la migliore opera dello scrittore; nel romanzo, infatti, il virtuosismo linguistico e sintattico, il "barocchismo" e l'uso di più livelli di scrittura (dal dialetto popolare alla descrizione con echi manzoniani, dai termini arcaici fino alla pura invenzione di vocaboli) rappresentano la complessità della realtà ed insieme la sua essenza fatta di "percezioni": l'affascinante "buccia delle cose". Detto "pasticciaccio", secondo l'occhio disilluso di Gadda, riflette inoltre l'agglomerato di linguaggi e comportamenti, orrori e stupidità, della società italiana. Un narrato apparentemente comico (si pensi alla scena della defecazione della gallina), quindi, non deve trarre in inganno il lettore. Questo espediente vuole mettere in luce il garbuglio di un mondo che più che comico è grottesco, e svela così una condizione drammatica cui non si può porre rimedio. Secondo  Gadda la realtà è troppo complessa e caleidoscopica per essere spiegata e ricondotta ad una logica razionalità. Per lui la vita è un caos disordinato, un "pasticciaccio" di cose, persone e linguaggi da cui non si riesce mai a trovare il bandolo dell'intricata matassa.
Pietro Germi e Carlo Emilio Gadda


Durante i primi anni del fascismo a Roma, il commissario della Squadra Mobile di Polizia Francesco Ingravallo, rude e orgoglioso molisano, è incaricato di indagare su un furto di gioielli ai danni di un'anziana donna di origini venete, la vedova Menegazzi. In seguito viene uccisa, nello stesso palazzo che era stato teatro della rapina, la moglie di un uomo piuttosto ricco, la signora Liliana Balducci. Il luogo del furto e dell'omicidio è un tetro palazzo di via Merulana 219, noto come "Palazzo degli Ori", situato poco distante dal Colosseo.

La narrazione parte con la descrizione dell'ambiente attorno alla signora Balducci e si allarga ai Castelli Romani da dove provengono le domestiche della signora e le "nipoti", ragazze che accoglieva come figlie per compensare solitudine e mancata maternità. Intorno una folla di comparse: la svenevole e avvizzita contessa Menegazzi, vittima del furto, il commendator Angeloni "prosciuttofilo", i brigadieri della questura, i carabinieri di Marino a caccia di indizi nella campagna, le figure sfocate delle domestiche e nipoti.

Il giallo non ha soluzione, non c'è un colpevole assicurato alla giustizia  come di prammatica, e non si chiude con la  scontata scoperta dell'assassino per le ragioni che ho già enunciato poc'anzi: il pessimismo di Gadda nei confronti della realtà per lui indecifrabile e  inintelligibile.
 
"Un maledetto imbroglio", apporta modifiche che sono state fatte oggetto di studi specifici nientemeno che dall'Edinburgh Journal of Gadda Studies detti  studi intersemiotici tra il testo gaddiano e lo script cinematografico di Germi coadiuvato dal bravo Alfredo Giannetti e da Ennio De Concini:
 
 
La Trama filmica - In  un appartamento di una vecchia casa signorile, nel centro di Roma, viene perpetrato un furto. Il commissario Ingravallo della squadra mobile (Germi stesso, indimenticabile con cappello a larga falda, occhiali scuri e sigaro tra i denti), ha appena iniziato le indagini per scoprirne l'autore, quando nello stesso edificio, nell'appartamento contiguo, viene commesso un assassinio. "Due bombe non cadono mai nello stesso posto?".
L'uccisa è Liliana Banducci (con la n invece che con la l del romanzo), una donna ancora giovane, piacente, timida e riservata, con un portamento signorile (interpretata da Eleonora Rossi Drago). Il nuovo delitto costringe il commissario ad estendere le indagini, che da principio procedono a stento, poiché gli indizi sono slegati e frammentari. Ingravallo si interessa soprattutto alle persone più vicine alla vittima: un cugino (Franco Fabrizi), sedicente medico, che l'uccisa riforniva periodicamente di denaro; il marito (Claudio Gora), uomo taciturno e schivo, ma dal comportamento ambiguo; una servetta imbarazzata e sconcertante (Claudia Cardinale) e il suo fidanzato mariuolo e poco di buono (Nino Castelnuovo). I sospetti del commissario si accentrano sui due primi personaggi e le sue indagini lo portano a scoprire che entrambi mantengono dei rapporti sessuali con Virginia (Cristina Gajoni), una ragazza alquanto squilibrata che, a suo tempo, prestò servizio in casa della signora Liliana. Attraverso pazienti indagini, alternate con astuti tranelli, il commissario s'avvicina a poco a poco alla verità, che appare in piena luce quando il ritrovamento di alcuni gioielli rubati permette di collegare il furto e l'assassinio. Il ladro  e l'assassino sono in realtà la stessa persona...
 
Come si può constatare,  il testo gaddiano resta volutamente irrisolto mentre Germi dopo i barocchismi di un'investigazione tormentata mette un finale chiuso al suo film,  come nella tradizione classica del poliziesco anglo-americano. Inoltre non rinuncia all'economia del racconto e ad un  buon ritmo  secco e sostenuto .
 
E tuttavia nonostante la sua mirabile premessa sul cinema... :
 
In generale, mi sembrerebbe un sintomo di decadenza, per il cinema, ridursi a cercare le sue storie nei romanzi. Per quanto mi riguarda, mi sentirei diminuito se risultasse che nel mio lavoro mi aggancio alla letteratura. Io credo nell’assoluta autonomia del cinema; non solo, ma credo che sia molto difficile che un film veramente importante nasca da un libro.
Pietro Germi, 1964 .
 
....mi pare che alla fin fine,  lo spirito gaddiano venga creativamente trasferito in un'amara concezione sull'umanità che si riverbera anche nel suo cinema: i personaggi su cui investiga Ingravallo,  hanno tutti quanti scheletri nell'armadio da nascondere, scheletri sui quali nulla può il bravo commissario, in quanto non direttamente legati al caso in oggetto. Pertanto, nessuno degli indagati  è personaggio veramente innocente e specchiato. "Meriteresti la galera" è infatti la frase preferita, quasi un leit motiv di Ingravallo al cospetto di questa genìa.
Possiamo dire che Ingravallo è un moralista? Certamente, anche se poi mantiene per sé le sue idee e concezioni etiche, ma si limita  con distacco e cinismo a perseguire dettaglio su dettaglio le sue investigazioni, assicurando l'omicida alla giustizia. Ce lo dimostra con l'efficace similitudine della sua inchiesta  da lui paragonata ai  sassi di un parco che appena li si sposta vi si trovano vermi e verminai al di sotto -  una concezione dell'umanità davvero pessimistica.
Non si può fare a meno di constatare che la storia di questo nostro sventurato Paese sui cui delitti di stato non si giunge mai a far definitivamente luce (Caso Mattei, caso Moro, caso Ustica ecc.), ricorda non poco il "pasticciaccio" citato. O se vogliamo, anche l'imbroglio maledetto.  Quello dal quale non se ne viene mai a capo.
 
Una nota di elogio alla colonna sonora del bravo maestro Carlo Rustichelli che con Germi seppe creare un binomio inscindibile visivo-musicale. Come Fellini con Rota, come Leone con Morricone.
La canzone "Sinnò me moro" è cantata da Alida Chelli, figlia del maestro, la quale,  come nome d'arte, ha scelto di perdere metà del suo vero cognome.

Hesperia