lunedì 29 marzo 2010

Leptis Magna, una città romana visibile nella sua (quasi) integrità

Nel corso di più viaggi ho potuto visitare molti siti archeologici romani, da quelli italici ad altri situati in Europa Africa e Asia minore, ma di nessuno di essi conservo l’impressione profonda, preziosa e incantevole ricevuta da Leptis Magna, città romana situata sulla costa libica a una manciata di chilometri da Tripoli. Ricordo che, appena la vidi ergersi dal candore delle sabbie sahariane, un complesso urbano imponente e solenne nettamente disegnato dall’invadenza della luce desertica eppure stupefacente e illusionistico come un miraggio, mi apparve quale la materializzazione d’un sogno sempre accarezzato e mai ritenuto possibile, quello, struggente, della visione complessiva della città romana originale, restituita una volta tanto non dai pezzi e dai bocconi ritagliati qua e là all’interno o a ridosso di tessuti cittadini d’epoche posteriori, ma nell’interezza e nell’organicità della sua struttura urbana e in tutta la sapienza e finezza delle sue articolazioni architettoniche. Una volta penetrati al suo interno, non sembrava possibile che la vita vi fosse finita per sempre; alcune strade ed edifici e finanche pezzi interi di quartieri apparivano così ben conservati nella loro funzionalità e compiutezza da suggerire l’illusione che da un momento all’altro dovesse riprendere il vocio degli abitanti e lo strepito delle loro attività, quasi che la vita nella città taciturna fosse solo momentaneamente interrotta a causa d’un sortilegio misterioso e crudele. Percorrevo attonito le vie rese surreali dalla quiete assoluta, calcando pavimenti di pietra o di marmo astrattamente echeggianti, passando sotto archi e frontoni meticolosamente sfarzosi e tra colonnati maestosi, in piazze nitidamente riconoscibili benché ingombri di colonne capitelli frammenti di statue e di fregi, evocando ad ogni passo, con la fantasia eccitata, i fantasmi d’un passato fulgido già tanto lontano eppure là, in quella città paradossale e, se così posso dire, metafisicamente consistente, stranamente vicino, quasi tangibile.

Ecco, più di ogni altro a proposito, l’arco di Settimio Severo, il monumento eretto per celebrare le gesta di colui che, divenuto, da generale al comando di valorose legioni, imperatore di Roma dopo aver posto fine a un periodo di torbidi e di anarchia in cui l’autorità imperiale era temporaneamente inciampata, conferì a Leptis, dov’egli era nato, il suo aspetto straordinario, possente e magnifico. Settimio Severo era un uomo dei confini dell’impero, un esponente di quelle etnie assoggettate a Roma e poi assimilate; scuro di pelle e afflitto da un forte accento punico-libico di cui non riuscì mai a liberarsi (originariamente Leptis era un insediamento cartaginese), ascese al rango di imperatore non solo per le sue notevoli qualità di stratega militare, ma precisamente per la sua totale e starei per dire viscerale romanizzazione. Se, com’è logico ritenere, a quei tempi i meccanismi psicologici non differivano da quelli attuali, la conversione dell’uomo alla romanità fu tanto più piena e convinta in quanto egli non era cittadino romano per diritto di nascita, ma per volontà di identificazione. Va da sé che, proprio per questo, volle, da imperatore, fare del proprio luogo nativo (che prima della sua ascesa al potere supremo era solo una colonia ancora soggetta al versamento del tributo alla Madre Patria), una delle città romane più belle e sfarzose di tutto l’impero.

Con tutto ciò, il quadrifronte arco a lui dedicato è forse uno dei monumenti più singolari dell’architettura romana, audace e, per l’epoca in cui sorse (203 d. C.), nuovissimo, anzi rivoluzionario, tanto che, a proposito della sua lussureggiante decorazione marmorea, qualcuno ha parlato di “barocco” romano, mentre altri, per via della posizione frontale delle sue sculture, d’un presagio o d’un annuncio dell’arte bizantina; accostamento, questo, a mio avviso francamente incongruo e dove, per inciso, si svela in modo clamoroso lo spiazzamento di taluni storici dell’arte europei di fronte ad un “manufatto” indubbiamente troppo complesso per essere giudicato con metri di riferimento esclusivamente occidentali e nel quale per la verità, e con ogni evidenza, confluiscono e si mescolano tradizione figurativa classica e rappresentazione orientale, forse d’ispirazione egizio-siriaca (la cui scultura obbediva, tanto per intenderci, a criteri rigorosamente frontali). Certamente fu opera di architetti e scultori attivi nel bacino mediorientale, meno legati all’ortodossia artistica romana di quanto accadesse a chi operava in Roma e dintorni. Tutta la città, d’altronde, non solo la parte voluta da Settimio Severo, ma anche il teatro e il mercato d’età augustea, fitti di colonne e decorazioni, trasudavano, come potei osservare, lo stesso gusto “esotico” pur nel legame estetico-strutturale strettissimo e inequivocabile mantenuto con la classicità latina. Va detto, tuttavia, che all’esotismo dell’insieme contribuiva non poco la pietra locale, un materiale dal tono fulvo, intensamente caldo, capace di suscitare lancinanti suggestioni estetiche proprio nell’accostamento sonoro al candore lustrale dei marmi provenienti dalle cave greche e italiche.

Proseguendo la visita, ecco le Terme di Adriano (del 126 d. C., queste) le quali, oltre ad indicarci come la città, anche prima dell’intervento severiano, fosse tutt’altro che una colonia di poco conto, senza dubbio perché la sua posizione mercantile eminentemente strategica le garantiva la gestione d’una ingente ricchezza (porto di grande movimento collocato al termine d’una importantissima carovaniera attraverso la quale pervenivano i prodotti esclusivi dei mercati dell’Africa nera, essa alimentava costantemente i gusti raffinati ed “esotici” della Madre Patria), ci introducono, quasi didatticamente, alla funzione delle terme, ricordandoci come la civiltà romana riuscisse sempre a coniugare l’efficienza politico-amministrativa e le virtù militari con una spiccata propensione alla piacevolezza del vivere. All’interno delle terme, la natatio precedeva le stanze del frigidarium, del tepidarium e del calidarium, nomi da cui indoviniamo facilmente la destinazione d’uso degli ambienti. Nei sudatorii erano ancora visibili – e forse, volendo, funzionanti – i tubi attraverso i quali era destinato a passare il vapore bollente alimentato alla fonte da un fuoco incessante: un sistema idrico sorprendentemente evoluto che, dopo due millenni, ispira per molti aspetti tecniche e soluzioni ancora adottate nel nostro mondo ipertecnologicizzato. E qui non posso rinunciare a formulare una piccola ma necessaria puntualizzazione. Ormai la maggioranza di noi ignora, perché nessuno ce lo ricorda più da tanto tempo, che la civiltà da cui nasciamo aveva già scoperto tutto (o quasi) ciò che occorre per rendere facile e gradita l’esistenza e che essa si riflette sui nostri giorni non certo unicamente come testimonianza archeologica o come motivo di ricerche erudite, ma soprattutto quale eredità tangibile e ancora attiva nel mondo in cui viviamo, e beninteso non solo nel campo della tecnica e della meccanica ma anche in quello, fondamentale, delle scienze sociali, prima fra tutte l’arte del Diritto.

D’altronde, il piacere del vivere, inteso come vero e proprio gusto estetico dell’ambiente dove l’esistenza si svolge (da considerarsi all’opposto del gusto di coloro che hanno voluto misurare gli ambienti costruiti dall’uomo, da un certo momento in poi della nostra storia, esclusivamente col metro della cosiddetta funzionalità, quella funzionalità coniugata fatalmente alla bruttezza e allo squallore che l’avvento dell’estetica modernista ha portato con sé), si respirava a Leptis a profusione e continuava a riversarsi su di me ovunque guardassi e dirigessi i miei passi. Anzi, per meglio dire, la città stessa, con le sue soluzioni urbanistiche e architettoniche spesso ardite, fantasiose e sempre sospette di concedersi al puro piacere dell’apparire – da cui l’effetto scenografico di gusto teatrale che poteva suggerire ma dal quale la riscattava continuamente il virtuosismo dello stile architettonico e l’intelligenza e nobiltà della concezione urbanistica – si configurava come un autentico sogno estetico, un sogno autorevole di pura bellezza. Sull’orlo di quel sogno, era facile per me immaginare quale piacere e vorrei dire genuina e ininterrotta voluttà dovesse essere per gli abitanti vivere in un luogo simile, specialmente se paragonavo, com’era inevitabile, la loro esistenza a quella che è costretta a condurre buona parte di noi negli abominevoli insediamenti costruiti a ridosso e in parte anche dentro le incantevoli città che a quel modello classico avevano ispirato il loro divenire fino a non molto tempo fa.

Ma il pensiero di ciò che abbiamo fatto dei luoghi in cui molti trascorrono oggi la vita era presente in me, in quel momento, solo come un ricordo sconveniente e molesto, non nella veste del monito aspro e pressante in cui può apparire come l’ho appena riferito, giacché la bellezza di Leptis Magna mi sovrastava e possedeva con tale forza ch’io badavo unicamente a identificarmi con coloro che avevano avuto il privilegio di farne la sede della loro esistenza, così da indovinare e recuperare lo stesso gusto che doveva trasmetter loro la contiguità e familiarità con una città di tale fascino e suggestione. Infatti, quanto più mi inoltravo dentro di essa e ne scoprivo ad ogni passo aspetti sempre più inattesi e seducenti, come l’imponente via fiancheggiata da un duplice colonnato diretta al bacino del porto, riassaporavo pari pari il senso di soddisfazione e pienezza estetica che doveva pervadere, come son certo, gli antichi abitanti allorché li immaginavo compiere lungo quella strada di veemente bellezza la loro passeggiata serale, quella che già al tempo dei romani, e fino a ieri in tutto il bacino mediterraneo, la gente si concedeva prima di recarsi a cena.

Toccavo insomma con mano come la città romana, per chi vi abitava, dovesse rappresentare, oltre al luogo dove si lavora ci si diverte e si sogna ad occhi chiusi o aperti, una perenne educazione alla bellezza, una consuetudine a nutrirsi di ciò che di più sublime e confortevole offre l’ingegno e il talento dell’uomo posti al servizio della comunità; ed io ritrovavo per l’appunto a Leptis le radici della mia cultura e l’essenza stessa del gusto di vivere trasmessomi in dote da quei miei magnifici antenati e dalle generazioni delle età successive che non hanno mai smesso di richiamarsi ad esso: quel gusto che neppure la barbarie del secolo appena trascorso ha potuto offuscare del tutto e che forse potremo ancora recuperare, se saremo capaci di tornare ad esercitare quell’intelligenza alleata al buon senso da troppo tempo negletta o smarrita nel decidere il modo e il come configurare la nostra esistenza.

Percorrendo l’ampia e solenne via colonnata, esempio d’un virtuosismo architettonico e monumentale stupefacente, raggiunsi il porto, il grandioso Porto Nuovo fatto costruire anch’esso da Settimio Severo in sostituzione di uno precedente, al quale attraccavano le grandi navi nelle cui stive venivano ammassati, oltre al grano e all’olio ricavato dagli ulivi coltivati nella piana stessa di Leptis, all’epoca verde e feconda, l’oro e l’avorio destinati a rifornire i banchi degli artigiani romani e gli animali feroci – leoni, leopardi, rinoceronti – diretti verso le arene dell’impero per essere impiegati nei giochi riservati al divertimento dei cittadini romani. Il porto severiano ormai si mostrava semisommerso dalla sabbia; il mare che anticamente lo lambiva era stato respinto lontano; solo qua e là la pietra corrosa e scheggiata della banchina conservava il supporto d’aggancio dell’anello di ferro al quale un tempo venivano assicurate le cime delle navi imponenti. L’intera insenatura destinata ad ospitare le imbarcazioni appariva interrata, come d’altronde sepolta e occultata da migliaia di metri cubi di sabbia era rimasta tutta la città fino a quando i preziosi scavi realizzati da archeologi italiani nel periodo della nostra occupazione della Libia non la riportarono alla luce, riscattandola finalmente da quella sabbia tuttora presente ai suoi piedi e il cui riflesso, anche dall’interno della città liberata, non mancava di ferire gli occhi.

Per spiegare la scomparsa della vita a Leptis Magna e il suo insabbiamento, che ne ha permesso la conservazione in gran parte integrale fino ai nostri giorni, è stata avanzata, accanto alle cause più generali della decadenza e della fine dell’impero romano, prime fra tutte le invasioni barbariche e i disordini e le distruzioni che ne scaturirono, un’ipotesi naturalistica di indubbia suggestione. Secondo questa ipotesi, la grande prosperità della città finì per provocare un eccessivo aumento dei suoi abitanti, saliti, al culmine del processo di inurbamento, oltre le centomila unità, un conglomerato umano enorme per i tempi di cui parliamo. La necessità di disporre di sempre nuovo terreno agricolo per garantire il nutrimento alla popolazione crescente indusse i governanti di Leptis al progressivo abbattimento delle cospicue foreste che una volta la circondavano, fino alla loro completa estinzione. Il suolo fertile, senza più radici vegetali capaci di trattenerlo, finì per essere trascinato via dal vento e dalla pioggia. Ed ecco dove, massimamente, andò a riversarsi: in quel mare che consentiva alle navi di approdare al suo scalo. Con l’insabbiamento del bacino del porto cessarono i floridi commerci da cui derivava la ricchezza della città e il terreno, desertificato, smise di produrre il grano e ogni altro frutto necessario all’alimentazione degli abitanti. Così cessò lentamente la vita a Leptis Magna; e quella che fu una delle città più splendide dell’impero romano decadde e fu gradualmente abbandonata, per essere poi ricoperta col tempo dalla sabbia del deserto accumulatale addosso ogni giorno dal soffio tenace dei venti.


Dionisio

16 commenti:

Hesperia ha detto...

Benvenuto nel Giardino, Dionisio. Un nick che - guarda caso - si addice anche al nostro sito.

La lettura del tuo appassionante viaggio a Leptis Magna, mi ha non solo fatto venir voglia di scoprire questo luogo, ma mi ha riportato alla mente il mio recente viaggio in Terra Santa, dove i resti della romanità abbondano un po' dappertutto. Penso ad esempio a Cesarea, la città col ponte romano sul mare.
Vero poi quel che scrivi sulla capacità dell'Impero romano di saper assimilare anche altre popolazioni. Cosa oggi non più praticabile giacché, a differenza dei Romani, siamo già noi stessi privi di identità, di frontiere e di legioni per difenderle.

dionisio ha detto...

Grazie a te, Hesperia, e agli altri amici per avermi accolto in questo Giardino dove si respira la rigenerante atmosfera dell'amore per il bello e il sublime, parole ormai desuete in un mondo per lo più votato al grossolano, al deforme e all'osceno. Ricordi quando discutevamo sull'opportunità di trovar rifugio in una torre d'avorio o, almeno, in un hortus conclusus? Oggi questa possibilità ci è negata, ma questo Giardino, a modo suo, ne rappresenta un abbozzo, una sfaccettatura, uno specchio. Un asilo dove rifugiarsi, sia pure per un momento, dalla disarmonia imperante.

marshall ha detto...

Dionisio,
benvenuto tra noi. Oltretutto, esordisci con un argomento che è tra quelli che più mi affascinano: la Storia, la Storia Romana. A dopo.
Ciao.

dionisio ha detto...

Grazie Marshall per il tuo benvenuto. Se ti piacciono gli argomenti di storia antica, quella più affascinante, dall'Egitto dei faraoni alla Roma imperiale, ho qualcosa in serbo per te, per il futuro. Dal canto mio ho letto il tuo pezzo dedicato a Girgenti e alla nostalgia, su cui forse dirò anch'io qualcosa, in altra occasione. In questo momento mi piace rilevare che, da appassionato lettore e rilettore di Dante, soprattutto della sublime Commedia, mi riconosco perfettamente in quanto affermi a proposito della demenziale proposta rivolta alla Gelmini di abolire lo studio del nostro più grande poeta dalle scuole, laddove ti chiedi quale sia la ragione recondita di questa richiesta. Cito le tue parole: "L’unica risposta, per me plausibile e credo che anche Hesperia condivida il mio pensiero, è che sia un attacco della sinistra razza, intellettualmente inferiore, alla nostra cultura e alla religione cristiana, in nome di un multiculturalismo globale che si rivelerà tragicamente impraticabile. Oggi Dante, domani Leonardo da Vinci, Galilei, Leopardi etc. fino alla completa ecpirosi della cultura italiana: dal fuoco creante dei nostri geni al magma amorfo, che tutto distrugge, della sottocultura deificata". Perfetto, non avresti potuto definire meglio i connotati dell'attacco rivolto ormai da decenni, e oggi entrato nella sua fase più acuta, alle nostre radici culturali dagli alfieri della sottocultura, gli stessi che, avendo occupato grazie alla colpevole ignavia di chi avrebbe dovuto essere più attento gli strumenti della diffusione della cultura, hanno ridotto ogni forma di comunicazione, a cominciare dalle arti (pittura, scultura, architettura, letteratura, musica, cinema, ecc., laddove una volta eccellevamo, insomma), a uno spettacolo desolante di macerie (salvo eccezioni, naturalmente, ma rintracciabili solo se si ha la pazienza di avventurarsi nel regno segreto e negletto dell'underground).

Josh ha detto...

Ciao Dionisio e benarrivato! :)

Complimenti per il tuo post: un ingresso trionfale...anzi no, imperiale direi:)
Tra la storia dell'arte, la storia romana, l'idea della città e della vita, la dimensione domestica...hai toccato molti temi che mi/ci interessano molto.

sugli agglomerati obbrobriosi odierni frutto di politiche culturali volute, per far tabula rasa del passato e origini, puoi dare un'occhiata qui:

http://esperidi.blogspot.com/2008/10/la-citt-il-centro-la-piazza-significati.html

sull'ultimo stile unitario-storico, mix di classicità e modernità, appena qualche cenno qui:

http://esperidi.blogspot.com/2009/05/art-deco-arte-dimenticata.html

Hesperia ha detto...

Quest'ultimo intervento chiarificatore di Josh sul concetto dell'abitare moderno che cancella e spazza via ogni vestigia del passato, e i links che ha messo di alcuni suoi importanti pezzi-chiave su questi argomenti, mi hanno indotto a introdurre Dionisio qui tra di noi dopo aver constatato che sul suo sito aveva fatto un post sullo stesso concetto urbanistico dell'abitare:

http://dionisioarte-ddf.blogspot.com/2010/02/quale-modello-di-citta.html


che mi pare molto sulle corde di Josh. E pazienza se dentro il Giardino, finora ci sono più uomini che donne. Per ora siamo tre a due per voi :-).

Buona Pasqua a tutti voi e speriamo nel bel tempo. Qui piove a dirotto!

Josh ha detto...

Leptis Magna è magnifica, e la descrizione del tuo itinerario è particolare, sembra che ci introduci nella città con tecnica registica, con una Inq. soggettiva.

La storia di Settimio Severo mostra quanto diverse siano le condizioni oggi....non c'è molto (guardando alle istituzioni terrene beninteso) cui convertirsi in senso generale, o contenuti così allettanti, icastici e forti che chicchessia possa desiderare tanto identificarsi. Forse oggi è solo per gli spiriti eletti a cui è dato vedere oltre l'apparenza.
Colpa della decadenza della nostra civiltà.

Educazione alla bellezza oggi?
Diciamo che si dev'esser persa la bussola, il principium individuationis...:)

Josh ha detto...

@Hesperia: abbiamo postato insieme...non avevo letto. Ah c'è post@ rapida per te.

Andrò a leggere volentieri il post dal blog di Dionisio che mi dici.
Mi sa che anche lui da come leggo si sia preso delle belle arrabbiature a vedere scempi vari in giro:)

Ah ci sono più uomini che donne sulle Esperidi: oh beh non fa niente, c'era Lontana, ma c'era anche Pseudosauro, tutta una rivoluzione permanente, come direbbe lui:)

Piuttosto un anticipo di Buona Pasqua a tutti!
Qui è grigiastro, ma non piove per ora. Almeno non ci sono -17° che è già qualcosa.

dionisio ha detto...

Ragazzi, la vostra accoglienza festosa mi confonde, anche perché devo imparare a riconoscere le varie identità e capire di volta in volta chi è che parla.Comunque, mi sento già tra amici,il che non mi succede spesso. A Marshall ho già detto qualcosa. Con Hesperia già ci conosciamo, tant'è vero che ha avuto la bontà di introdurmi in questo lugo di delizie (scherzo per vincere l'imbarazzo del neofita). Josh, grazie per l'apprezzamento del mio post. La visita a Leptis Magna la devo a una circostanza fortunata: mi trovavo alcuni anni fa in Libia e un funzionario dell'ambasciata, sentendo del mio desiderio di vedere il sito, non solo mi accompagnò lui stesso, ma mi evitò tutte le formalità che lì sono complicate (già nei paesi arabi ottenere permessi di qualsiasi genere è sempre complicatissimo). Se ho suscitato il vostro interesse circa una visita della città, temo che oggi si possa realizzarla solo con una comitiva che si accrediti ufficialmente. Penso in ogni caso che risulterebbe piuttosto costosa. Ma Gheddafi è un personaggio bizzarro: oggi, dopo le concessioni avute recentemente dal nostro governo, forse è tornato ad amare gli italiani e può darsi che abbia reso più facile un tour turistico nel suo paese.
Ne ho prese sì di arrabbiature andando in giro. Non solo, da un certo momento in poi, abbiamo cominciato a devastare le straordinarie città che ci avevano lasciato i nostri progenitori (e che una volta inducevano i giovani europei di belle speranze a completare la loro educazione con un tour delle più rinomate città d'Italia) ma abbiamo esportato il nostro modello anche nel resto del mondo (non solo noi ovviamente, tutto l'Occidente), soprattutto in quello che ieri si definiva Terzo Mondo,dove il modello di città era diverso dal nostro ma rispondeva sempre a quello che in quell'articolo di cui parla Hesperia ho chiamato bisogno di creare una dimora allettante per gli déi, così da indurli ad abitare tra gli uomini e quindi ad assisterli e proteggerli). I risultati sono spesso orripilanti; tanto che mi guardo bene dal tornare in luoghi visti tanti anni fa per non sottopormi a una inevitabile delusione. Ma per ora mi fermo qui. Avremo altre occasioni per chiacchierare.

marshall ha detto...

Hesperia,
non so dove ti trovi, ma anche qui da me piove a dirotto. Ha appena smesso. E' stato il primo temporalone semicatastrofico dell'anno.
Per pareggiare il conto di tre a due, dovresti caldeggiare l'ingresso per un'altra blogger femmina. Ne saremmo ben lieti.
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Dionisio,
ad onor del vero, prima che l'autore si possa "offendere", credo che quello che citi, attribuendomelo, sia il commento che mi ha scritto qualcuno, forse Sarcastycon (che, oltre che sarcastico, è anche un colto intellettuale). Comunque, adesso vado prima a verificare.

marshall ha detto...

Dionisio,
ho verificato quanto sopra. Effettivamente quello scritto fa parte di un commento di Sarcastycon. Dunque, avevo visto bene. E conoscendolo, solo da lui mi poteva venire quel genere di commenti.
E adesso, andrò finalmente a leggere, visto anche gli elogi che ha fatto Josh al post.

dionisio ha detto...

Scusa, Marshall, allora ho fatto un po' di confusione. Piano piano leggerò i vostri post e quelli degli abituali commentatori per imparare a orientarmi(quello sulla città di Josh l'avevo già letto perché indicatomi da Hesperia; effettivamente i punti di contatto col mio pezzo sono notevoli)
Approfitto di questo nuovo ingresso per rivolgervi gli auguri di Buona Pasqua.

marshall ha detto...

Dionisio,
un post bellissimo, di quelli che piacciono moltissimo a me. Vado in pausa di lettura, interrompendola da dove parli di Settimio Severo. E qui, per dire ciò che sento, copio-incollo, prima, un passo di Wikipedia, tratto dala voce "Le Colonne di San Lorenzo" di Milano, la mia città.

"Le colonne di San Lorenzo, situate di fronte alla basilica di San Lorenzo in corso di Porta Ticinese n. 39, rappresentano uno dei rari reperti romani di Milano, assieme ai pochi resti dell'anfiteatro, del teatro, delle terme "erculee" del circo e di poche altre tracce della Milano imperiale.

Si tratta di sedici colonne in marmo con capitelli corinzi che sostengono la trabeazione che fu di un edificio romano risalente al III secolo, probabilmente delle grandi terme volute dall'imperatore Massimiano. Le colonne vennero trasportate nell'attuale locazione nel IV secolo a completare la nascente basilica di San Lorenzo. Appoggiati alla basilica vi sono altri corpi, tra cui notevole è la cappella di sant'Aquilino con mosaici di età romana.

Le colonne rivestono un significato affettivo per alcuni milanesi in quanto testimonianza visibile dell'antica Mediolanum, che ha resistito alla furia distruttiva dei Goti, del Barbarossa, dei bombardamenti dell'ultima guerra mondiale e anche alla furia ricostruttrice dei suoi cittadini".
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Ne ho parlato perchè dette colonne, scolpite direttamente in Africa, in blocco unico, giunsero al "Porto" di Milano (all'epoca esisteva un porto a Milano, forse in Corso Europa. E il forse è dovuto al fatto che non ne è rimasta traccia. I "milanese" dei secoli scorsi hanno cancellato tutto).
Non sto a ripetere un'epica storia che ho già raccontato nel mio blog, per scrivere la quale, l'avevo adeguatamente studiata nel sito della Storia di Milano.
Per farla breve, credo d'aver letto che l'ordine per quelle Colonne di pregiato marmo rosa sia venuto da Settimio Severo.
A dopo.

marshall ha detto...

E' un post che fa sognare, con finale tragico:
"La necessità di disporre di sempre nuovo terreno agricolo per garantire il nutrimento alla popolazione crescente indusse i governanti di Leptis al progressivo abbattimento delle cospicue foreste che una volta la circondavano, fino alla loro completa estinzione"

L'abbattimento delle foreste intorno a Leptis è stata quindi la causa indiretta dell'insabbiamento del porto, e, con esso, la morte della città, resa non più abitabile. La vicenda di Leptis, con la sua tragica fine, dovrebbe quindi diventare serio monito ai governanti di oggigiorno, di saper "governare" attentamente i flussi migratori, all'ingresso nelle singole realtà. Mi auguro che, chi governa la Lombardia, attui al più presto possibile quel programma annunciato di piantumare i 100 milioni di nuovi alberi.

marshall ha detto...

Dionisio,
a proposito del porto di Milano, cui accenno in un commento qui sopra, ne avevo scitto nel seguente post: http://ecopolfinanza.blogspot.com/2008/03/milano-in-et-romana-il-porto.html

marshall ha detto...

Approfitto della visita per creare il link di quanto sopra:
Milano in età Romana: il porto.

Nota: diversamente da quanto scritto sopra, ci sono studiosi che attribuiscono la provenienza del marmo per le Colonne di San Lorenzo al paese di Musso (Como) , le cui cave fornirono pregiato marmo per la costruzione molte chiese e basiliche.