lunedì 6 settembre 2010

Settembre, Chardin e la poesia delle piccole cose



E' Settembre,
e riapre il Giardino, con un Benvenuto a lettori vecchi e nuovi.
Mese simbolico del raccolto, della cernita, della razionalizzazione e dell'equilibrio di ciò che l'Estate trascorsa ha offerto, è tempo anche della vendemmia, dei vini, dei frutti carnosi e concentrati dal sapore intenso.
Ci si avvia lentamente all'Autunno, con i suoi incredibili colori, essenze, giochi di luce.



E' in questa atmosfera che si aprirà tra breve la Mostra dedicata a Jean-Baptiste-Siméon Chardin.

Chi era Costui?
Certamente non il paleontologo e teologo modernista Pierre Teilhard de Chardin!

J.B.S. Chardin (Parigi, e quasi sempre Parigi, 1699-1779) è stato un enorme Pittore, un Autore di forme sui generis, importante per le sue scelte, spesso in opposizione al gusto coevo, noto per la sua tecnica sopraffina, famoso in parte per le sue nature morte, immagini di piccole cose, quadri dedicati al microcosmo infantile, alcuni ritratti.




Visse nella stessa epoca di Boucher, fu per poco maestro di Fragonard,
ma differente da entrambi: quel che prevale in Chardin è un nuovo naturalismo-realismo, che si può ritenere lontano derivato dalla pittura olandese del XVII secolo, ben diverso dal Rococò francese del XVIII secolo. Un naturalismo in cui sono presenti comunque sentimento, atmosfera sospesa e un invito all'introspezione.



Qualcosa di persistente nella sua produzione, l'attenzione al microcosmo quotidiano, la suggestione delle piccole cose, ci consente di prendere a prestito l'espressione della IV Egloga di Virgilio "Arbusta iuvant humilesque Myricae", nella stessa accezione in cui la volle intendere Pascoli per la sua 1ma raccolta di poesie.

La sensibilità di Chardin lo riportava sempre all'indagine visiva del quotidiano:
raffigurava composizioni di piccoli oggetti, frutta, con acuto senso di osservazione, eleganza, e un uso della luce magistrale, progressivamente più leggero, accurato e trasparente, e con valenze emotive.

Rifiuta la formazione didattica-accademica usuale dei colleghi contemporanei, preferisce lavorare direttamente a bottega con P. J. Cazes e N. Coypel (pittori di soggetti storici, da cui non mutuò molto) fino al restauro degli affreschi di Primaticcio a Fontainebleau.
Non è interessato al rito del Grand Tour, di gran moda per conoscere dal vero le bellezze del Viaggio in Italia.
Ugualmente si discosta dai generi obbligati della pittura dell'epoca, che consigliavano di specializzarsi in dipinti magniloquenti a soggetto storico, antico o mitologico. La sua è in questo senso una scelta d'arte volutamente antiretorica.



La notorietà arrivò comunque nel 1728, con i dipinti "La razza" e "Il buffet", e ottenne l'ammissione all'Accademia, cui seguirono diverse cariche e riconoscimenti, fino al permesso di soggiornare al Louvre nel 1757, dopo che Luigi XV gli concesse dal 1752 uno stipendio annuale.




Approdò anche al ritratto della figura umana, pur sempre inserita in interni,
per lo più umili, con ambientazione quotidiana-domestica.
L'ultima parte della sua vita si affidò ai pastelli.
Rimane nella storia tra i maggiori creatori di nature morte, ma soprattutto per l'inedita poetica degli oggetti, e per piccole composizioni d'autore.

La Mostra si tiene a Ferrara, presso il Palazzo dei Diamanti,
avrà titolo "Chardin, il Pittore del Silenzio",
dal 17 Ottobre 2010 al 23 Gennaio 2011.




Aggiungo un brano, pur cronologicamente successivo, che non si distanzia dalle categorie estetiche sopra descritte, la poesia colta nelle sfumature infinitesimali e nelle microvariazioni:
Arturo Benedetti Michelangeli interpreta l'Adagio dal Concerto in Sol di Maurice Ravel.

Josh

22 commenti:

marshall ha detto...

Josh,
bentornato anche a te.

Dopo due mesi di immersione nella Storia, nella Storia del'Arte, dell'Archeologia e dell'Architettura, mi ci voleva proprio "alleggerirmi" un pò, leggendo di Pittura. Chi era questo Charden? Dici bene, perchè a me era completamente sconosciuto. Meno ignoto mi è il "famoso" Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dove si svolgerà la mostra.

Ma per commentarti eventualmente di pittura, aspetto l'intervento di quelli magari più esperti di me.

Ciao.

Josh ha detto...

caro Marshall bentrovato:-)
un po' di cose su Chardin le ho scritte...

se ti va al link in fondo c'è un brano musicale bellissimo, nella (a mio avviso) sua interpretazione migliore.

marshall ha detto...

Josh,
ho ascoltato, e ho visto che Michelangeli è un mostro sacro, in questo concerto: mi sembra vada tutto a memoria e non ho sentito una nota fuori posto. Ho anche rivisto con piacere Celibidache, il direttore d'orchestra rumeno che credo d'aver visto qualche volta alla Scala, quando ero nella claque.
Comunque la tonalità del sol non è delle più allegre, almeno in questa parte del concerto. Credo ache che Paganini sia stato il "mago" del sol, eccellendo in quella commovente e strappalacrime della variazione dal Mosè di Rossini, ed anche in un suo celeberrimo concerto.

Dionisio ha detto...

Bel post, Josh, e gran bel pittore Chardin, che all’arcadia leziosa e alla mitologia un po’ frivola dei suoi contemporanei, come Boucher e Watteau (peraltro pittori tutt’altro che disprezzabili anche questi) preferì dedicarsi alla contemplazione di delicate atmosfere di scene quotidiane, come i suoi ragazzi immersi nei loro giochi, riprodotti con una purezza contemplativa e un’accordatura cromatica così intense da far vibrare la tela come per una melodia delicata e sofisticata al tempo stesso. Davanti a queste opere si prova in sommo grado quel piacere derivante dall'assaporare la bellezza, che, in definitiva, è (o dovrebbe essere) lo scopo della pittura. Così le nature morte, frutto, come giustamente noti tu, di uno studio approfondito delle preziosità tonali dei maestri olandesi, oltre che dall’acquisizione delle raffinatezze compositive della pittura francese del primo Settecento. Poesia delle piccole cose, d'accordo, ma grande poesia, cosa che si verifica quando l'artefice ha talento da vendere come il grande Jean-Baptiste. Diderot diceva che trovarsi davanti ai quadri di Chardin era come per il viaggiatore che va a sedersi, senza accorgersene, nel luogo "che gli offre del silenzio, dell'acqua, dell'ombra e del fresco". Sembra un po' riduttivo, ma coglie, per l'appunto, quel non so che di magico che sta dentro gli oggetti o le scene che vediamo abitualmente ma che solo certi stregoni riescono a restituire con tanta intensità(un altro che riusciva a farlo era Morandi).

Ciao, Josh, piacere di ritrovarti.

Nessie ha detto...

Ciao Josh, una bella apertura davvero settembrina.
Chardin è un pittore sobrio e raffinato. Nel contempo sa essere ruspante e sembra ritrarre le buone cose profumate della campagna.
Hai fatto bene a fare un post lontano dal cinemaccio italiota e più vicino alla tua sensibilità.
Com'è triste Venezia!

Dionisio ha detto...

Sono andato a ricercarmi la riproduzione su un libro di un "Bicchiere d'acqua e bricco" di Chardin, piccolo olio su tela conservato al Museum of Art di Pittsburgh che è la fine del mondo. Quel bricco marrone con le sue delicate luminescenze, il bicchiere con l'acqua che vibra contro il vetro accanto alle tre teste d'aglio rese magistralmente con quattro pennellate rapide - il tutto immerso in un'atmosfera verde-oro che ne fa un pezzo sublime. Confermo: Cardin è un grandissimo pittore, che con pochissimi elementi di natura morta e con l'accostamento di pochi colori che creano musica sa creare un'atmosfera magica, "stregata" che ti tocca il cuore e ti entusiasma.
Bisognerebbe proprio riuscire a vederla, la mostra!

Josh ha detto...

Oooh! bentrovati a tutti quanti! :-)

caro Marshall, Celibidache è stato un Direttore straordinario, e Michelangeli è stato pianista, interprete e genio fuori dal comune, almeno nella mia opinione.

Sull'Adagio assai di Ravel, la versione di Michelangeli è l'unica davvero corretta, ne ho sentite molte versioni, per es. quella di Bernstein è troppo mielosa, con code aggiunte, furba, e 'ri-letta', tradisce Ravel, l'equilibrio di Michelangeli
è stato un unicum nella storia.
Tra gli altri pregi, in questo brano Michelangeli non sbaglia soprattutto i tempi, le durate, le quantità, lì è il suo straordinario equilibrio.

Mi veniva in mente questo brano abbinato ad alcuni dipinti di Chardin.
Il pieno orchestrale e la parte per fiati a contrasto verso la fine del brano è commovente per me.

Sì è possibile che tu abbia visto e sentito Celibidache alla Scala! :-)beato te!

Oltre al Sol....sono da sempre attratto ...da qualsiasi cosa in Re minore: ancora meno allegro. Si vede che il mio diapason personale è "regolato" così:-)) sull'introspezione.

ti lascio un link informativo ben fatto, spero lo leggerai:

http://heinrichvontrotta.blogspot.com/2010/06/maurice-ravel-concerto-in-sol.html

Josh ha detto...

Buongiorno Dionisio e bentornato, è un piacere ritrovarti anche per me.
:-)
Uno dei segreti della pittura di Chardin è proprio il modo in cui accorda i colori, i pieni e i vuoti, le trasparenze, come sono calibrate le sfumature tra loro. Nonostante la semplicità apparente dei soggetti, c'è una tensione e una cura maniacale dei particolari.

Ci sono artisti che cercano il senso nel "grande", a volte nel pomposo, nella bellezza che atterrisce, che s'impone,
sempre di ricerca dell'assoluto si tratta.
Chardin decise di cercare 'il senso' nei microcosmi, nelle pieghe delle cose piccole e apparentemente comuni, e lo fece con coraggio. Chissà forse è proprio questa la sua grandezza.

Josh ha detto...

@Nessie: il post m'è venuto da sè, nemmeno l'ho meditato.

E poi le tavole imbandite di Chardin...:-) abituato come sono alla campagna, e a quelle luci degli interni, è stato naturale.

Sul cinema italiano recente, proprio il post non mi usciva....
mi viene in mente un film di qualche anno fa, dell'ottimo Franco Brusati "Dimenticare Venezia": un nome un programma...

:-))

Josh ha detto...

Ah sì Dionisio, bello davvero!
lo conosco il bicchiere d'acqua e bricco con i 3 agli. Non l'ho inserito perchè qui nelle immagini non entrava più. Davvero suggestivo.

Trovo anche sia un quadro davvero moderno, per il tipo di visione che suggerisce. Il lavoro sulle superfici e sulla luce ha dell'incredibile.

di Mammi ha detto...

Josh,
bentornato e sempre in palla.
Un saluto a tutti gli amici.

Ti devo dire che, per mio gusto personale, non mi piacciono le nature morte, se si eccettuano quelle che hanno come soggetto i fiori.
Quella che hai riportato è molto bella e sembra che i fiori siano stati messi nel vaso nello stesso momento in cui lo si guarda e si ha l'impressione che l'operazione non sia ancora conclusa. I fiori e i petali che sono sul piano sembrano significare che deve tornare la persona che, dopo aver sistemato i fiori nel vaso, vuole rassettare e pulire. E' un operazione che si fa comunemente: si prende un mazzo di fiori si mette nel vaso e sicuramente qualche petalo o foglia cade d'intorno e poi si pulisce. E' forse una di quelle "piccole cose" che dici tu.
Non so se il pittore avesse realmente pensato a questo,ma proprio questa è stata la mia impressione.

Arturo Benedetti Michelangeli non si discute come pianista,come personaggio era un po' borioso ed antipatico (l'ho ascoltato moltissimi anni fa in concerto dal vivo e il suo atteggiamento verso il pubblico non era dei migliori)

Per quanto riguarda Bernstein, sono d'accordo con te è "mieloso" non ho l'adagio di Ravel ma il raffronto l'ho potuto fare tra la 9° sinfonia di Beethoven eseguita da von Karajan e quella eseguita da Berstein. A mio avviso von Karajan è inarrivabile.
ciao
Marcello

Josh ha detto...

caro Marcello, bentornato anche a te!
Ecchettuffai di bello là in Toscana? :-))

A me le nature morte non dispiacciono in genere. Di Chardin mi piace molto il primo dipinto che compare nel post. Insomma preferisco quelle con oggetti e cibarie, ma devono essere davvero ben fatte, deve scaturire qualcosa di non solo didascalico.

Le nature morte floreali di solito non mi piacciono: ne ho comunque 2 in casa (mica di Chardin eh:-) ma in genere è raro mi piacciano i quadri con fiori tranne pochissime eccezioni, cioè per me van bene solo quando si riesce ad evitare l'effetto lezioso, e non accade spesso.

La tua spiegazione della n.m. con fiori di Chardin è azzeccatissima. Quegli elementi (il petalo caduto, mo' torno a pulire e rassettare) sono voluti, ha voluto mostrare la natura morta con naturalezza, spontaneità...in un momento 'vivo' e dinamico, colto sul fatto, non troppo oleografico e 'di genere'.

concordo anche con le tue valutazioni ..orchestrali, infatti.

a dopo

Hesperia ha detto...

A proposito di nature morte (che a me piacciono) non si può non citare Morandi e le sue luci e volumi. Per me, un grande. Certo, siamo in altra epoca.
I fiori anche a me piacciono meno dei frutti. A parte qualche eccezione.

Dionisio ha detto...

Marcello, l'opera d'arte non è data dall'oggetto che ne rappresenta il tema, ma dal genio dell'artista. I grandi temi dell'umanità, se trattati da un artefice privo di talento, non ti faranno mai vibrare le corde del cuore e dell'anima. Se l'artista è valido saprà fare opera d'arte sia trattando dei temi universali, sia occupandosi delle piccole cose, come, nel nostro caso, nature morte: verdura, frutta, fiori, oggetti d'uso comune. Non è neppure questione della maestria con cui ritrai le cose, ma dalla capacità di immettervi la tua anima, il tuo sentire ecc.
Per l'appunto Morandi, che ha dipinto oggetti d'uso comune per tutta la vita (tra l'altro quasi sempre gli stessi, ripetuti in infinite varianti) è uno dei nostri più grandi pittori del Novecento. Questo perché, da grande artefice qual era, li sublimava, li trasformava in elementi di un'atmosfera surreale e un po' stregata, magica insomma. Per inciso, proprio guardando il quadro di Chardin di cui ho parlato, quello col bicchiere d'acqua e bricco, si capisce (per chi ha un po' l'occhio esercitato per queste cose) che Morandi se l'era guardato eccome Chardin; anzi l'aveva studiato a fondo.
Non per dare lezioni a nessuno; ma insomma, dipingere è il mio mestiere.

di Mammi ha detto...

Dionisio
"l'opera d'arte non è data dall'oggetto che ne rappresenta il tema, ma dal genio dell'artista."
Perfettamente d'accordo,ma per gusto personale, pur riconoscendo la validità delle altre opere,preferisco i fiori: magari certi girasoli...

Cmq mi piace anche Les bulles de Savon.
La bolla
spunta a poco a poco
dalla cannuccia,
si arrotonda
cresce
si colora.
Poi riflette la finestra,
i vasi di fiori,
il cielo.
...
Gabriele D’Annunzio

Un capolavoro,chiunque l'abbia dipinto, può non suscitare feeling in me ed in altri sì. D'altronde il mio approccio, se vuoi da profano,con la pittura è essenzialmente emotivo.
ciao
Marcello

di Mammi ha detto...

Josh
vedo che sono l'unico a cui piacciono i fiori e, considerando che siete degli esperti di pittura, mi sono chiesto il perchè.
Non sono riuscito a trovare una spiegazione ma, non essendomi finora chiesto del perchè io preferisca i fiori,ci ho riflettuto sopra.
Il fiore rappresenta il ciclo vitale:la gemma è la gestazione,
quando sboccia è la nascita,quando si sviluppa è la giovinezza e al raggiungimento della maturità è pronto per l'impollinazione, per creare una nuova vita.Infine appassisce e muore.
Il fiore trasmette sentimenti, quanti fiori ho regalato in vita mia,dall'orchidee alle rose,spesso rosse,ma anche semplici mazzi di fiori di campo che piacevano molto a mia madre.
Ti assicuro che mai ho regalato un cesto di frutta, soprattutto ad una donna!
Le cipolle o le zucche o una fetta di cocomero,per quanto magistralmente dipinte,mi dicono ben poco. Per carità è un discorso soggettivo e pertanto del tutto opinabile.
ciao
Marcello

Josh ha detto...

mi spiego meglio, Marcello.
Non è che non mi piacciano le nature morte con fiori:
ce ne sono alcune spaziali, dai fiamminghi-olandesi, a certe d'autore interpretate in maniera
molto personale e fin lì ci siamo e piacciono anche a me.

Il rischio dellò della natura morta di fiori è il "quadretto di genere", l'effetto lezioso-romanticoso-femminile: quest'ultimo effetto, facile, non mi piace, ma è piuttosto comune e può degenerare facilmente in termini du gusto. E' il "decorativo per forza".
Già una natura morta d'oggetti vari, metti pure bottiglie, frutta comune, cacciagione, o anche solo oggetti richiede capacità maggiori per affascinare...proprio perchè l'oggetto in sè non è già di suo bello come un fiore.

marshall ha detto...

Il commento è il copia-incolla del mio post odierno.

"Viaggio nella mente di Ravel"

Passione e malattia : all'origine della musica del "Bolero"
Per comprendere meglio quanto scritto nel commentario del post Settembre, Chardin e la poesia delle piccole cose, a proposito di Maurice Ravel, e del suo Adagio dal Concerto in sol, magistralmente interpretato da Arturo Benedetti Michelangeli, bisognerebbe riferirsi alla biografia del musicista francese che ha segnato l'inizio del '900.
E' scritta da Enzo Restagno, critico musicale, docente di Storia della musica, direttore artistico del festival MiTo, in corso di svolgimento nelle due città dal 3 al 24 settembre.

Ne trascrivo uno stralcio dall'articolo di Armando Torno, pubblicato dal Corriere della Sera di venerdì 20 novembre 2009.

Londra, 1948. Al congresso di neuropsicopatologia il professor Théophile Alajouanine legge una relazione sul caso Maurice Ravel. Conosce bene le vicende, giacchè nell'ultima fase della vita del musicista (morto nel 1937), quando si manifestarono gli inquietanti disturbi cerebrali, aveva avuto modo di esaminarlo. Conservava memoria e orecchio intatti ma non era più in grado di scrivere e leggere la musica; già nel 1934 per stilare una lettera di poche righe impiegava otto giorni, andando a cercare ogni parola sul dizionario e copiandola quasi fosse un geroglifico misterioso. Lo scienziato così compendia il dramma dell'artista: "Ha sperimentato la tortura di essere murato vivo entro un organismo che non ubbidiva più alla sua intelligenza. Osservava disperato vivere in lui un estraneo al quale lo aveva accoppiato un destino malvagio".
Ravel era ormai nell'immaginario di tutti. I ritmi del Bolero con le loro nenie incantatorie permeavano il vuoto esistenziale che sarebbe diventato una condizione del Novecento. Il Concerto pour la main gauche en ré majeur, commissionato dal pianista austriaco Paul Wittgenstein - fratello del filosofo Ludwig - che aveva perso l'uso dell'arto durante la Grande Guerra, è un continuo accavallarsi di reminescenze "nelle quali riconosciamo il tormento di una memoria che teme di smarrire se stessa". Potremmo continuare, sino alle ultime opere che lo videro non più in grado di scrivere, ma non riusciremmo a compendiare in poche battute l'infinito lavoro di Enzo Restagno Ravel e l'anima delle cose (il Saggiatore, pp.680, € 35), dal quale abbiamo preso in prestito il passo.

marshall ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
marshall ha detto...
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marshall ha detto...

Josh,
nel mentre facevo dell'altro, avrò oggi ascoltato almeno dieci volte il concerto (circa 10 min. ogni volta !). Non consente ulteriori distrazioni. Aiuta molto a concentrarsi in ciò che si sta facendo. In un certo senso è molto rilassante.
Da notare l'espressione molto soddisfatta del direttore d'orchestra, al termine dell'esecuzione!
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nota: i due commenti cancellati sono state ripetizioni automatiche del lungo commento di cui sopra.

Josh ha detto...

Bene Marshall, interessante commento e interessante post di là da te!
Conosco alcuni scritti di Enzo Restagno.

nel frammento che metti, si parla anche di Concerto per la mano sinistra (è bello e intenso, ma preferisco quello che ho citato io stavolta qui, il concerto in Sol).

Del concerto in Sol questo qui linkato è solo l'Adagio assai, in tutto sono 3 movimenti, uno prima e uno doppo.

Ho piacere che l'hai riascoltato. A me appoaga sempre. Vedo che ti ispira:-)

Non ti preoccupare dei 2 comm. cancellati, fa nulla.