lunedì 11 ottobre 2010

PAOLO UCCELLO, LA FUNZIONE MAGICA DELLA PROSPETTIVA E DELLA MATEMATICA

Paolo Uccello, in un’epoca di grandi pittori come quella in cui egli visse ed operò, il primo Quattrocento italiano contraddistinto dal raggiungimento d’una tecnica pittorica già sopraffina ma che conserva ancora l'ingenuità della visione, lo stupore di fronte alle cose del mondo, la fantasia che trasforma tutto in un bel sogno, spicca per la sua capacità di creare atmosfere incantate e rarefatte, oggi diremmo surreali, composizioni cristallizzate nella magia d’una luce mitica, incantata, che nelle scene per così dire d’azione, quelle più importanti della sua produzione, le tre grandi tavole della Battaglia di San Romano (tra le poche, però, superstiti, perché molto è andato perduto di questo pittore), appaiono illuminate da una luce come di tempesta in procinto di scoppiare che sembra fermare i personaggi nel gesto in cui il bagliore corrusco della luce li blocca al modo di un’istantanea fotografica (viene in mente la teoria di Cartier-Bresson: fermare l’attimo pregnante), conferendogli quell’aria di solennità ed eternità e, per l’appunto, mitica, come ho detto poc’anzi. Pittore per nulla realistico, quindi, ma surrealista per eccellenza proprio per quella sua capacità di creare nelle proprie opere quell’alone mitico e magico che va al di là della realtà e la trasfigura nel sogno. E se è vero, come racconta il Vasari, che trascorresse molta parte del suo tempo nello studio della prospettiva, lo fece solo per negare, o meglio distorcere, restituire in modo innaturale proprio quella prospettiva in cui non solo lui si arrovellava al suo tempo, ma molti altri artefici impegnati nell’arte pittorica. Sulla questione dell’uso della prospettiva in funzione magica e surreale è stato De Chirico, tra i pittori contemporanei, ad avvalersene, a farsene, in un certo modo, il campione. Se, come dice Borges in uno dei suoi paradossi più intriganti, ogni artefice crea i propri precursori, non c’è dubbio che De Chirico abbia creato (diciamo meglio, più realisticamente, eletto) a proprio precursore proprio Paolo Uccello. A prima vista è difficile rendersene conto, perché gli esiti pittorici dell’uno sono molto diversi da quelli dell’altro. Ma possiamo scommetterci che De Chirico abbia studiato a lungo il grande Paolo sul tema della resa prospettica; e che, studiandolo, abbia capito che, per creare quell’atmosfera surreale, bloccata nel tempo e decisamente onirica che ha immesso nei suoi quadri migliori, quella che lui ha voluto definire “metafisica”, il segreto stava nel distorcere la prospettiva, nell’usarla come elemento di straniamento dalla realtà. Gli esiti pittorici sono molto diversi, come ho detto, perché De Chirico usava l’ironia in quanto la contemporaneità non consente di abbandonarsi all’incanto della favola e il suo atteggiamento è quello di chi, di fronte alle brutture della modernità, può solo difendersi irridendo il gusto di coloro che, mentre non esitano ad accostare una fabbrica industriale ad un castello rinascimentale, mettono alla ribalta, come se fossero statue classiche, dei manichini di sartoria (parlo, lo si è capito, de “Le muse inquietanti”). E non credo sia un caso che, a proposito dei personaggi di Paolo Uccello, si parli di “manichini” (per restare nel discorso di chi è il “precursore” di chi), perché la loro compostezza e algidità, pur impegnati come sono in una battaglia densa di trombe e di vessilli, irta di lance e di balestre, li estraneizza, per così dire, dal contesto in cui si trovano.

Ma il mondo di Paolo Uccello è quello della favola, un mondo che attinge copiosamente all’armonia, per restituire la quale egli non esita a ricorrere alla matematica e alla geometria, perché alla matematica e alla geometria si è affidata l’opera stessa della creazione. Guardiamo la disposizione dell’armata dipinta nelle tre sequenze della Battaglia di San Romano: è tutta costruita su regole matematiche. Le armi vanno a gruppi accostati per numero: per esempio, se tre balestre e tre lance sono gialle, si contrappongono a tre lance rosse; oppure se le selle sono cinque, cinque sono i baltei; così i pennacchi e gli elmi, e i volti scoperti e i cavalli, sempre a gruppi opposti e corrispondenti di due e di tre, di tre e di cinque. La scena, nei tre diversi momenti in cui si snoda la battaglia, è sempre disposta in un incastro di figure geometriche inserite in un reticolo definito ancora geometricamente, come la selva di lance levate in alto che disegnano un angolo retto corrispondente a quello, disposto all’interno d’un quadrato ideale, delle lance spezzate sul terreno. I colori poi, stesi in modo piatto, assolutamente non reali, come i cavalli gialli e rossi e bianchi e neri galoppanti o rampanti nell’impegno della pugna ma sempre in atteggiamento aggraziato ed elegante, e verde-azzurri quelli caduti a terra sotto l’impeto dello scontro tra le due fazioni, concorrono in modo determinante, insieme alla mancanza di sangue e di morte cruenta che porta con sé la guerra (c’è un solo morto, ma così schiacciato a terra da sembrare più un’armatura abbandonata nella polvere che un uomo reale), a creare l’atmosfera da fiaba, sovra reale e mitica della scena raffigurata dall’artista. Una pittura di pura bellezza, insomma, che si traduce in altissima poesia e che solo un pittore come il mite Paolo Doni detto Uccello (perché amava dipingere gli animali ma soprattutto gli uccelli), artista “coi piedi poggiati saldamente sulle nuvole” (la definizione, felicissima, è di Ennio Flaiano) poteva realizzare.
Mi accorgo d’aver parlato solo della Battaglia di San Romano. Le altre cose di Paolo, quelle almeno giunte fino a noi, vanno annoverate tra le opere minori, anche se per niente irrilevanti, come il ritratto femminile conservato al Garden Museum di Boston o La caccia nella foresta dell’Ashmolean Museum di Oxford, e soprattutto il San Giorgio e il drago della National Gallery di Londra, altra opera favolosa per l’impianto, per l’atmosfera e, ancora una volta, per il sovra realismo della scena. Addirittura l’opera di salvazione della principessa prigioniera del drago da parte del San Giorgo vi appare superflua (concorrendo quindi all’effetto di straniamento o di stupore) perché la principessa tiene al guinzaglio il drago e quindi appare evidente che è lei a tenerlo sottomesso. Ma forse qui è da vedersi un significato simbolico ed edificante: la figura del drago rappresenta il male, e l’immagine della donna che l’ha ridotto al suo controllo (colei che, almeno al tempo di Paolo Uccello, rappresentava idealmente la continenza, la mansuetudine), vuole ricordarci che il male è nella natura stessa dell’uomo e non si può debellare per sempre, ma che dobbiamo imparare a tenerlo a freno, a metterlo al guinzaglio, a vincerlo. E San Giorgio che pretende tuttavia di ucciderlo ci fa la figura del velleitario e dell’ostinato. Con gli occhi di oggi, e mettendola in burla, diremmo del maschilista, perché non si accorge che già ci ha pensato la donna a mettere al guinzaglio la natura animale e maligna dell’uomo.
Dionisio

14 commenti:

Hesperia ha detto...

Parli di un'epoca, caro Dionisio tra le più feconde e invidiabili della nostra storia dell'arte. E Paolo Uccello, con quel suo tocco di leggera grazia fiabesca e di magia, di cui ha descritto così bene i dipinti, è tra i miei preferiti.

L'irrealtà più che il surrealismo, mi pare davvero la sua cifra. Ma anche l'uso dei colori in chiave simbolica. L'azzurro livido dei cavalli caduti ne è un esempio lampante.
Ottima la comparazione attraverso l'uso sapiente della prospettiva, con De Chirico, forse il più grande tra i classici della "modernità".
Credo che quella di Paolo Uccello sia stata un'epoca dove le scienze, l'arte, e le humanae litterae erano tutte perfettamente e armoniosamente collegate. Il dipinto di S. Giorgio che uccide il drago l'ho visto di recente alla National Gallery di Londra.
Colgo l'occasione per chiedere: ma è stato tutto bottino di guerra? perché lì ci sono tra i più bei dipinti delle nostri migliori scuole e botteghe d'arte.
Mi piacerebbe sapere se sono in prestito o se se li tengono loro a futura memoria.
Il dipinto di S. G

Josh ha detto...

complimenti Dionisio, bel post...eh beh giochi in casa:-)
Paolo Uccello è anche tra i miei preferiti. Sono sempre rimasto affascinato dal suo modo di rappresentare il movimento, le scene corali-di massa e i ...cavalli.

Vero che non si tratta affatto di un 'realista', ma di un surrealista in senso lato: dalla rappresentazione della luce, alla scelta dei colori, a certi volumi...

Si può dire che la scelta della 'prospettiva' metafisica di De Chirico....e della precedente prospettiva di Paolo sono state prospettive 'in soggettiva', personalmente interpretate,
non oggettive e dal vero.

Josh ha detto...

La matematica e la geometria presenti,
di cui parli nel post per Paolo, facevano parte integrante della sua arte, anche se il significato dell'opera alla fine sarà magico e visionario.

Il tutto è anche indice del fatto che a quell'epoca si credeva ad un'armonia universale intoccata
e alla 'misurabilità' del mondo: tutto ciò andava di pari passo con tutto quanto all'epoca faceva appello alla numerologia, astrologia, aristotelismo-platonismo, nella visione composita delle magiche sfere (ma armoniosamente misurabili) che scorrendo generavano regolarmente spazio e tempo, sotto l'amichevole occhio divino.

Da un cetto punto in poi cade la serena idea della misurabilità del mondo, con la comparsa di vari 'altrove' (all'esterno e all'interno dell'artista, dell'uomo) sempre più inquietanti e mai più 'regolabili' e armonizzabili, come si vede dal 700 o da certo Illuminismo in poi.

Marcello di Mammi ha detto...

Dionisio
In un post precedente su Rosai dell’amico Josh
http://esperidi.blogspot.com/2010/03/rosai.html
Ci fu una lunga discussione sulla questione della prospettiva e della geometria proiettiva, poiché sono un maledetto pignolo, nei commenti mi rifeci dalle pitture degli antichi egizi, passando per Euclide, Pier della Francesca, Leon Battista Alberti, accennando anche alle prospettive nelle geometrie non euclidee per giungere alla prospettiva sferica, come diceva Josh, introdotta da Cezanne.
Ti ringrazio per avermi quasi costretto a cercare cosa proponesse Paolo Uccello sulla prospettiva dato che, specie nel quadro della battaglia di S. Romano, sicuramente la prospettiva è distorta a dispetto di quella centrale classica. Ed essendo impensabile che P.U. non conoscesse le pitture di Pier della Francesca e le opere di Leon Battista Alberti, c’era qualcosa che mi sfuggiva. Così casualmente ho trovato un disegno del nostro che è uno studio spettacolare di prospettiva. Vi allego il link http://sarcastycon3.files.wordpress.com/2010/10/paolouccellostudiodivasoinprospettiva1.jpg
Rappresenta le linee guida di un vaso da fiori attraversato dalla retta di simmetria e la parte del bordo superiore del disegno è addirittura una sezione dell’oggetto. Quello che mi ha stupito di più è il gambo del vaso che ha una struttura le cui linee guida sono degli archi di iperbole o forse di parabola, per cui si ottiene un solido di rotazione la cui superficie è concava. Se pitturare un vaso da fiori, anche di forma particolare è alla portata di tutti i pittori, in quanto riproduzione della realtà, variamente interpretata ma sempre partendo dalla realtà,il disegno prospettico di PU denota una profonda conoscenza della geometria in quanto è essenzialmente uno studio intellettuale e astratto, praticamente è metter su carta l’idea platonica dell’oggetto. In conclusione PU,conosceva perfettamente la prospettiva ed introduce nei suoi quadri, consapevolmente, le distorsioni prospettiche proprio avere degli effetti scenici inusuali e irreali: forse per lui dipingere la realtà era troppo banale.

Josh ha detto...

Aggiungo: nei dipinti di Paolo molto belli anche i cani 'stilizzati', sembrano i levrieri del déco.
(penultima fig.)

Senza dubbio nell'ultimo dipinto c'è un significato allegorico, perchè l'allegoria, la metafora, l'analogia, queste figure semantiche, visive come linguistiche, erano le chiavi simboliche per aprire il mondo culturale e l'immaginario dell'epoca, in cui tutto era ordinatamente e armoniosamente polisemico.
Non dimentichiamo che la Donna era anche Madonna e pure Domina, e sempre un po' Beata Beatrix.

Josh ha detto...

un piccolo ritrovato:
digitate su Google Immagini 'De Chirico cavalli'
e compaiono una serie abbastanza lunga di dipinti di cavalli del primo De Chirico 'mitologico': molto plastici, poetici, immaginari e irreali....

Dionisio ha detto...

Risponderò ai vostri interessanti commenti a pezzi e bocconi perché il mio PC è al momento bloccato e devo usufruire di uno non mio, su cui operano altri più frequentemente di quanto possa fare io.
Hesperia, mentre so che, a parte la Gioconda (venduta da Leonardo a un francese) tutta le opere italiane presenti al Louvre di Parigi (numerosissime) sono frutto dei saccheggi di Napoleone e della sua sciagurata armata di ladroni durante la famigerata campagna d'Italia del suddetto (né alcuno si sogna di parlare di restituzioni: non ci proviamo noi italiani, figurati se viene in mente ai cuginastri francesi!); invece non so, sinceramente, quale sia la situazione delle nostre opere in mani inglesi: può darsi che le abbiano acquistate, può darsi che le abbiano avute in altro modo, ma stai certa che, se sono esposti permanentemente presso i loro musei, è perché ormai sono proprietà loro. Del resto una quantità strabocchevole di opere italiane è dispersa in tutto il mondo per via di furti, vendite (lecite o illecite), transazioni d'ogni tipo (anche qui, di che tipo?). Ciò nonostante siamo ancora il Paese col patrimonio d'opere d'arte più ingente del mondo. Alla maggioranza degli italiani questo frega poco o nulla (anche se poi il popolo italico si fa delle mostruose code di mezze giornate per visitare un museo o una mostra, ma solo quando ci vanno in tanti, perché da noi le cose si fanno in ammucchiata o altrimenti non interessano), per gli stranieri invece siamo un serbatoio inesauribile di roba da venire a vedere (quando va bene),o da portarsi via (anche qui con tutti i mezzi,leciti o illeciti che siano).
Ma bando alle polemiche perché l'argomento di oggi è il grande Paolo Doni, che trasmette felicità e buonumore, cosa che, a parte tutto il resto, è una delle sue prerogative più gradite.
Dici bene, Josh, epoca felice quella del primo Quattrocento italiano! Ormai la tecnica, superato il gotico, aveva già raggiunto vette di virtuosismo, e poichè allora chi andava a bottega da un pittore non ne usciva col permesso di dipingere se non,concluso il tirocinio, non aveva dimostrava di avere il talento per farlo, tutti quelli che dipingevano erano, va da sé, uno più bravo dell'altro, e facevano tutti opere meravigliose. Paolo Uccello è solo uno dei tanti, anche se aveva, rispetto agli altri, quella sua particolare felicità di restituire la magia e la grazia in quella chiave fiabesca e, sì, surreale, "dechirichiana" insomma, come ho cercato di dimostrare.

Dionisio ha detto...

La prospettiva: quasi tutti, all'epoca di Paolo, la studiavano o ci inciampavano anche quando cercavano di schivarla (è stato il Vasari a creare la favola di Paolo Uccello talmente dedito allo studio della prospettiva da dimenticarsi di fare opere per fornire il nutrimento alla famiglia).Masaccio è un altro che faceva continuamente i conti con la prospettiva, come il Perugino,il Pisanello, per citarne solo alcuni. E Mantegna: avete presente il suo Cristo Morto, visto di scorcio in posizione supina restituito un po' come il cavaliere morto di Paolo Uccello in posizione bocconi? Ognuno se l'arrangiava a suo modo, non perché (come giustamente ci ricorda Marcello) non sapessero riprodurla, come dimostra il fatto che conoscevano tutti o quasi il modo di applicare la matematica alla pittura. Gli è che avevano capito anche che la matematica, nell'arte, si applica, ma poi è la fantasia, il cuore, il sentimento che fa l'opera d'arte. Pensare che fossero degli ingenui,e che creassero solo per una sorta di istinto felice, allorché il loro lavoro dimostra inequivocabilmente che ne conoscevano tutti i segreti, ci dice solo che gli storici dell'arte che lo sostengono sono solo degli asinicalzati e vestiti. Chi disegna e dipinge capisce al volo di avere a che fare con dei mostri di tecnica, quando li guarda, e che avevano anche un gran talento artistico e una grande sensibilità, ma avevano la loro tecnica prodigiosa che gli permetteva di esprimere con tanta forza e poesia il loro mondo interiore.
Con questo siamo tornati all'eterno discorso che la grande arte si esprime solo con la grande tecnica, e quelli che sostengono il contrario non sanno quello che dicono.

Dionisio ha detto...

Help, cos'è successo? Vedo il mio primo commento ripetuto ben tre volte. Haiuto Hesperia, come rimediare?

Hesperia ha detto...

Sono intervenuta a cassare i cloni, Dionisio. Forse il tuo pc fa i capricci.

Dionisio ha detto...

"Non dimentichiamo che la Donna era anche Madonna e pure Domina, e sempre un po' Beata Beatrix".

Perfetta la tua puntualizzazione, Josh. A quel tempo la donna aveva, almeno idealmente, questa altissima considerazione. Che caduta vertiginosa in era moderna e post moderna, dove lei stessa ha voluto essere come l'uomo (non parlo della parità dei diritti, che è sacrosanta), ossia come quella metà dell'umanità votata a confrontarsi con la parte animale (e ferina) di sé, quella che per l'appunto occorre imbrigliare e tenere a freno! Allora l'immagine che si poneva davanti a tutti (soprattutto con la pittura, linguaggio universalmente compreso, anche per via della diffusa analfabetizzazione) attribuiva alla donna il ruolo di aiuto e guida per l'uomo, più facile a trasgredire, per tenere a freno la parte peggiore di sé. E Allora come adesso era l'immagine (e il compito) dei due ruoli che contava, perché dava un indirizzo, un'impostazione, anche se nella realtà era comunque facile trasgredire a entrambi. Quando manca l'immagine di riferimento, e quindi il dettato del comportamento, la trasgressione diventa abitudine e uso comune. Oggi la parte ferina dell'umanità è esaltata da entrambi i sessi, e lo vediamo tutti i giorni, in quella che i media definiscono "cronaca".
Ma qui siamo nuovamente andati fuori tema. Meglio guardare i quadri di Paolo Uccello, anche perché ci ricordano quell'ideale di Armonia e di Belella a cui dobbiamo tornare ad ispirare il nostro agire. E per il nostro bene.

Dionisio ha detto...

"Armonia e Bellezza" era l'intenzione di scrivere. Ma i tasti del mio PC (hai ragione Hesperia) sono ballerini.

Dionisio ha detto...

Quanto ai bellissimi levrieri di Paolo Uccello,caro Josh,gli esponenti dell'art Deco si sono limitati a fare una semplice operazione di copia-incolla, che, contrariamente a quanto si crede, non si fa solo oggi e non si esercita solo nei confronti della scrittura, ma è un esercizio che gli uomini praticano forse da sempre e verso tutto ciò che può essere copiato.

Hesperia ha detto...

Josh, vero su De Chirico e i cavalli. Ma anche in suo fratello Savinio compaiono i cavalli. E pure Aligi Sassu, famoso per i suoi cavalli innamorati.

Il cavallo nell'immaginario collettivo è simbolo di libertà senza confini e senza limiti: la sua corsa affascina per la sua misteriosa alchimia di armonia e di forza che induce nel cavaliere l'esperienza di sentirsi tutt'uno col magnifico animale.
Ma non solo. Fin dall'antica mitologia è sempre stato simbolo di forza, vitalità, ma anche saggezza. Basta pensare ai centauri.La loro particolarità è che possedevano tutti i pregi e tutti i difetti del genere umano, portati però a livelli elevatissimi, tanto che nella mitologia sono stati riservati loro ruoli completamente contrastanti: dall'estrema saggezza all'incredibile crudeltà. E tale idea perdurò nel tempo.