lunedì 10 gennaio 2011

HERNST HAAS, QUANDO LA FOTOGRAFIA A COLORI DIVENTA POESIA


Hernst Haas, nato a Vienna nel 1921, fotoreporter tra i più quotati della prestigiosa agenzia Magnum dalla fine della grande guerra agli anni sessanta del Novecento, aveva già svelato nella fotografia in bianco e nero il suo straordinario gusto compositivo dell’immagine, ispirato sempre a un raffinato senso dell’ordine e dell’armonia, ma è stato uno dei primi ad usare la pellicola a colori fin dalla sua apparizione, esplorando questa nuova dimensione della fotografia con una sensibilità estetica e una capacità espressiva che nessun altro ha saputo eguagliare o, per lo meno, è riuscito a realizzare con la sua continuità immagini tanto originali e affascinanti lavorando in quasi tutti i generi fotografici, dai servizi giornalistici a quelli industriali e pubblicitari, dal reportage di costume a quello naturalistico e faunistico, dal ritratto alla documentazione d’ambiente, dallo sport alla fotografia di scena cinematografica (fu, tra l’altro, il fotografo preferito di John Huston, che lo volle al suo fianco durante la lavorazione de Gli spostati e de La Bibbia, ma documentò anche le riprese di altri film famosi come West Side Story, Moby Dick, Piccolo grande uomo, Hello Dolly), praticando le tecniche più svariate per restituire al meglio le caratteristiche del genere e inventando, tra l’altro, un metodo tutto suo per creare il “mosso” nella fotografia sportiva, ottenendo effetti sorprendenti e, come sempre, di grande suggestione estetica.Com’egli stesso ha avuto più volte occasione di spiegare, fotografare a colori è essenzialmente diverso dal fotografare in bianco e nero, perché “il colore non significa bianco e nero più colore, come il bianco e nero non è solo un’immagine senza colore. Ciascuno di questi mezzi richiede una diversa sensibilità nel vedere e, di conseguenza, una diversa disciplina”. Ed è anche più difficile fotografare a colori perché occorre, per farlo, una sensibilità “pittorica”, diversa da quella che riproduce la realtà nella dimensione semplificata del bianco e nero; quella sensibilità che ti fa cogliere ciò che armonizza una tinta con le altre e che, quando sono accostate, produce quella vibrazione sottile equiparabile a una musica, dando origine a una sorta di sinfonia visiva che avvince e seduce colui che guarda. Basta osservarle, le immagini di Haas, per constatare come egli possegga in sommo grado questa sensibilità pittorica. Le sue fotografie non sono solo immagini colorate, giacché il colore vi assume sempre il ruolo del protagonista assoluto. Ma non nel senso che appaia ridondante; al contrario, spesso è giocato su tinte morbide o cattura la luce sfumata di un ambiente o di un’ora particolare per restituire un’atmosfera, un clima, uno stato d’animo. In ogni caso, il risultato che Haas ottiene coi suoi scatti è sempre un’immagine di grande poesia e bellezza, sia quando vuol farci assaporare l’atmosfera che richiama il fascino dell’Oriente in un affollato accampamento di cammellieri del Pushkar, o quella, carica di nostalgia per il vecchio Far West, d’una mandria di cavalli al galoppo in una pianura del Texas; oppure vuol restituirci il senso di sottile tensione che pervade la sosta d’un gruppo di antilopi impala nella boscaglia del Kenia, o ancora la magia struggente del crepuscolo brumoso colto a Parigi dall’alto della Cattedrale di Notre Dame. Talvolta basta l’immagine più semplice del mondo, quella del mare che scaglia le sue onde verso la spiaggia, a creare, con le diverse gradazioni di colore verde azzurro e blu dell’acqua accostate ai bianchi della spuma e delle nuvole adunate in cielo, quella vibrazione ritmica che sprigiona la poesia e la musica.






Gli esseri umani, poi, sono colti con acume psicologico, talvolta con un pizzico di umorismo, ma sempre con rispetto e simpatia. Si veda il vecchio indù che offre all’obiettivo un volto accigliato ma non privo di orgoglio e fierezza di sé. O lo stupendo ritratto d’una giovanissima Joan Collins, prossima diva del cinema, dove la bellezza del soggetto viene puntigliosamente esaltata dalla veste rossa e sensuale su cui poggia la morbidezza delle braccia e del piede scoperto.




Perfino le immagini “mosse” obbediscono a quell’esigenza di armonia e di grazia pittorica che anima costantemente l’opera di Ernst Haas, così come l’eruzione di un vulcano, una fila di arlesiane in costume tradizionale, o una splendida fioritura di azalee.





Dionisio

23 commenti:

Miriam ha detto...

Per chi fosse interessato ad avere pubblicazioni di Hernst Haas, segnalo "La creazione" e "In America", pubblicate in Italia da Garzanti un paio di decenni fa. Forse si possono ancora reperire in qualche libreria specializzata o sul mercato internazionale cercando su internet. Nel primo viene documentata addirittura la creazione del mondo attraverso una splendida raccolta di immagini dell'aria, del fuoco, dell'acqua, della flora e della fauna.Vi sono fotografie di straordinaria bellezza.
Ha pubblicato altri libri, però solo in America, come "Himalayan Pilgrimage" e "Grand Canyon", libri preziosi e inestimabili.

Anonimo ha detto...

Segnalo a tutti, sperando possa essere utile come lo è stato per me, un sito di libri rari che mi ha permesso di avere le pubblicazioni di Haas menzionate nel post: sia chiama abebooks.it, e devo dire che lavorano molto bene. Sono professionali, precisi e molto affidabili, e fanno riferimento a librerie di alto livello. Il link preciso per i libri di Haas è questo: http://www.abebooks.it/servlet/SearchResults?kn=ernst+haas&sortby=3&sts=t&x=11&y=8
Per riferimenti, sono su facebook, Monique Erba Robin, oppure www.geroglificidiluce.it
Saluti

Hesperia ha detto...

Ernst Haas è un altro della prestigiosa Magnum che meritava un post, oltre a Cartier Bresson su cui scrisse la sottoscritta nel marzo scorso (Cartier Bresson e l'anima ritrovata).

Inevitabile i raffronti, ma mentre il secondo lavora sui bianchi e neri, Haas fa esplodere e sperimenta il colore, oltre al movimento.
Tutte belle le fotografie messe da Dionisio, ma la mia preferita è quella apparentemente più banale: il mare ondoso con la sua gamma di riflessi del blu, azzurro, verde e bianco della spuma e delle nubi.
Non credo, però, che con l'attuale elettronica si possano riprodurre più immagini come queste.
Tutti bravi a fare clic, ma poi, sono poche le immagini irripetibili che meritano di essere davvero conservate a futura memoria.

Bella la Collins lontana anni luce dalla soap opera Dinasty.

Josh ha detto...

Bella idea Dionisio.
Haas era un grande, e molto suggestive sono tutte le immagini scelte per il post.
La cosa da notare è come dici la sensibilità per la composizione dell'immagine.
Belle le sue sperimentazioni con il colore, ma anche i suoi b/n.

Ne 'Gli spostati', bellissimo film di John Huston, già la fotografia di Russell Metty è davvero peculiare: un film di contenuti, di riflessioni sull'esistenza, come sempre ottima la regia di Huston, con quel b/n così 'plastico', sgranato.

Josh ha detto...

Abituati ad altro, è quasi 'straniante' oggi vedere tanta maestria nel proporre belle immagini e fotografie.

L'effetto straniante proviene anche dalla bella foto della giovane Joan Collins...
nota purtroppo solo per il ruolo che ha interpretato per tanti, troppi anni come 'la perfida Alexis' di Dynasty.

La Collins, giusto per la cronaca, la si poteva vedere come nella foto
in "L'altalena di velluto rosso" di Richard Fleischer del 55,
"Missili in giardino" di LeoMccarey del 58, e "La congiuntura" di Ettore Scola '65....che sono a mio avviso i suoi film migliori prima della fama (o la 'deriva' che dir si voglia) televisiva.

Josh ha detto...

Tornando strettamente al tema di queste foto, mi piace molto la volumetria e la plasticità b/n delle dune della 1ma.

Straordinaria la 4rta, con le antilopi in quel verde mostrato con la luce radente, e i rami spogli scuri, quasi una trama nera, a dare un punto d'appoggio all'immagine.

Bellissima la V, parigina...:-)

La sesta, cielo e mare, incredibile nella sua apparente semplicità.

Dionisio ha detto...

Sono stato sollecitato a fare un post su Haas leggendo del bisogno, espresso mi pare sia da Hesperia che da Josh (un bisogno anche mio, peraltro), di nutrirvi (di nutrirci) di un po' di bellezza come antidoto alla marea di brutture che ci assediano quotidianamente (nelle arti come nei comportamenti umani, ormai preda di una deriva etico-estetica incontrollabile), e le foto di Haas mi sono sembrate particolarmente rispondenti allo scopo.
Domanda che mi sono posto io e che pongo anche a voi: come mai nella fotografia, diversamente dagli altri linguaggi visivi (pittura, scultura, architettura, da tempo volti a una produzione scadente, banale e decisamente brutta) si sono visti nei decenni scorsi dei fotografi (come Haas, Jay Maisel e Pete Turner, per citare solo alcuni grandi "coloristi" che mi vengono in mente ora, ma l'elenco potrebbe essere lungo) che hanno inteso il loro lavoro come ricerca del bello?
Forse perché la fotografia è un linguaggio giovane e aveva bisogno di proporsi come un mezzo per creare la bellezza per non sentirsi da meno dei linguaggi più alti come la pittura? Così, proprio mentre le arti figurative più antiche si orientavano verso il vuoto dei contenuti, l'incomunicabilità e, francamente, il deforme e lo sgradevole, la fotografia seguiva una strada sua riuscendo a non farsi contaminare dall'involuzione estetica sempre più generalizzata?
E' un'idea che mi è venuta in mente, forse non del tutto peregrina, perché, ancora oggi, qualche fotografo che affronta il proprio lavoro come un cimento attraverso il quale realizzare qualcosa che valga la pena si trova (tra quelli che lavorano ancora con le reflex, però, e non hanno bisogno di intervenire poi col computer per correggere colori e errori).

Dionisio ha detto...

Circa l'osservazione fatta da Paolo (uno dei gentili frequentatori del Giardino) a proposito del fatto che sia stato l'avvento della fotografia a causare l'abbandono dellla figurazione in pittura, a mio avviso non c'è stato questo rapporto di causa ed effetto tra le due discipline, benché taluni l'abbiano teorizzata. Il fatto è che ad un certo momento nelle arti maggiori si è imposta la tesi sciagurata che la figurazione doveva essere abbandonata per avventurarsi sul terreno dell'informale, del concettuale, dell'astratto e via di questo passo, e si è visto con quali conseguenze: oggi nelle gallerie d'arte si espongono tubi al neon serpentinati, bidoni martellati e spruzzati di pittura, tele non dipinte ma tagliate o sporcate semplicemente buttandogli sopra della pittura. Se si leggono i vari manifesti dei movimenti d'avanguardia comparsi nei decenni scorsi si capisce anche il perché di certa involuzione (non è escluso che se ne parli anche qui, prima o poi; ci stiamo giusto pensando).
La questione è, caro Paolo, che la bellezza è data (in pittura come in fotografia) non solo dall'elemento estetico (importantissimo, ma non è l'unico), bensì dall'espressione di quel sentimento che l'artista prova verso il soggetto che ritrae. Questo è il quid decisivo che fa sì che un'opera ci parli, susciti cioè in noi una reazione emotiva, e non risulti solo l'esercizio di una tecnica. Così, almeno, pare a me. Purtroppo oggi tanti artefici (che non esitano a definirsi artisti) non se la pongono neppure più, questa questione del dire qualcosa a chi guarda ciò che hanno combinato.

Dionisio ha detto...

Dimenticavo: mi riferivo al commento fatto da Paolo Al post di Josh sul Bronzino.
Anche noi, caro Paolo, siamo rimasti fieramente e tenacemente legati al figurativismo (almeno io).

Josh ha detto...

@Dionisio che risponde @Paolo:
ho provato a rispondere a Paolo poco fa lì sotto dal Bronzino .... dal punto di vista della pittura

Josh ha detto...

Che ci sia una deriva etica, e quindi anche estetica in arte ormai è assodato. Se poi aggiungiamo manifesti d'arte sempre più ispirati al vuoto pneumatico il quadro è tristemente completo.

Sulla domanda che poni e in fondo anche ti rispondi, sono d'accordo con le tue conclusioni, Dionisio.
Nella fotografia, diversamente da altra arte (pittura, scultura, architettura) ci sono fotografi che hanno inteso il loro lavoro come ricerca del bello perché la fotografia era un linguaggio giovane, nuovo, e tuttora piuttosto recente.

In quanto tale aveva bisogno di fondare, prima di tutto, un proprio alfabeto, poi di darsi una propria "classicità", e una prima grammatica di forme....

Sul tema di Paolo, anche dal punto di vista della fotografia, come accennavo là sotto, anche per me l'avvento della fotografia non può essere direttamente proporzionale all'abbandono della pittura, o della figurazione in pittura, non c'è stato rapporto di causa ed effetto tra le 2:
Sono forme d'arte e di comunicazione diverse, ed entrambe non intendono solo mostrare il visibile o documentare (la fotografia già lo fa di più della pittura), e se in parte hanno entrambe anche queste intenzioni, le hanno sempre realizzate e perseguite in modi diversi e con tecniche diverse, e altri intenti.

Chiaramente l'espressione di un sentimento, il quid, un valore vitale sensato..che sarà anche poi organizzato in estetica, ci dovrebbe essere a priori per rendere vibrante un'opera (di pittura o fotografia)...
Questo, sempre che lo permettano i manifesti 'destrutturanti', prodotti da una civiltà progressivamente senza anima,
come dire ammesso che abbia ancora lei stessa un quid...:-)e si torna all'origine dei problemi: le coscienze, lo spirito...

Dionisio ha detto...

Josh, letto e condiviso. Hai fatto un discorso molto più completo ed esauriente di quanto io avessi voglia. Ed è chiaro che andrebbero rimesse in discussione certe cosiddette conquiste del secolo dei lumi. Qui sì che esiste un rapporto di causa ed effetto tra la diffusione di un pensiero avviato verso la negazione dell'uomo (o della sua dimensione "creaturale", con i suoi bisogni spirituali) e i comportamenti autodistrivi di un'umanità che ha perso il senso e lo scopo del proprio vivere.

Hesperia ha detto...

State dibattendo, cari amici Esperidi, tematiche interessantissime e non so quanto la fotografia abbia accelerato la fine del figurativismo. Però è innegabile (e qui Dionisio può dire la sua in fatto di tecniche) che anche la pittura au plein air degli Impressionisti, cominciava già ad essere una trasfigurazione del realismo, attraverso la tecnica del puntinismo, e non una vera e propria "copia dal vero".
Fino ad arrivare poi all'Espressionismo e al periodo di Weimar dove la disgregazione della forma aveva la meglio sulla rappresentazione classica e neoclassica della figura. Certo, si obbietterà, che ci sono state due guerre di mezzo e che l'aspetto della soggettività dell'artista prende il sopravvento.

Hesperia ha detto...

Josh, ti invio questo link che forse conosci già, comparso in precedenza sul blog Fatti d'Europa sul critico d'arte Bernard Berenson, vissuto a lungo a FI, dato che anche in pvt sei parecchio sensibilizzato all'argomento.

http://www.lacrimae-rerum.it/documents/Berensonelalungafarsaartemoderna_000.pdf

e un punto interrogativo: non è che le varie Guggenheim invidiose del nostro patromonio artistico di gran lunga superiore abbiano fatto quotazioni "dopate" su tanta porcheria alla Pollock (solo per fare un esempio di qualcosa che non mi piace) così tanto per incrementare il mercato del dipinto astratto ai nostri danni?
Insomma, magari è una mia ubbìa ma mi pare che il mercato dell'arte e le case d'aste (sempre accaparrate da quelli che contano) c'entri qualcosa in questo dilemma.

Hesperia ha detto...

PS: il documento di Berenson in Pdf è un po' lunghetto, ma forse vale la pena di leggerlo. Magari salvatelo eppoi leggetevelo con calma.

paolo ha detto...

Scusate, magari è solo un dettaglio, ma non è Ernst Haas e non Hernst?
Molte buone spiegazioni sono state date ma ritengo in ogni caso che l'avvento della fotografia ha non poco rivoluzionato le arti figurative forse trasformandole nel più generico 'visive'. Insomma secondo me la pittura figurativa dopo l'avvento della fotografia ha perduto appeal. Basta pensare alla ritrattistica.

Josh ha detto...

@Hesperia: grazie del testo al link.
Ma guarda un po' cosa diceva Mr. Berenson di certe patacche astratte:-))..delle speculazioni -quotazioni esercitate 'ad arte' su artisti di malaffare e poco momento, ideati dal nulla e imposti come 'nuova estetica'....

Il punto interrogativo è legittimo.
E' chiaro che gli Usa & co storicamente non avevano e non hanno il nostro patrimonio artistico...così hanno 'pompato' i vari Pollock per incrementare il mercato dell' astratto mandando avanti anche chi non sapeva dipingere....facendola passare come nuova estetica, perfetto corollario agli scempi della vita quotidiana e innaturale della 'modernità'.

Dionisio ha detto...

@ Paolo. Dettaglio chiarito: ho sott'occhio "La Creazione" col nome dell'autore, scritto così: ERNST HAAS.
Personalmente, continuo a ritenere che la fotografia non abbia inciso sensibilmente nell'involuzione della pittura verso l'informale, configuratasi nei suoi aspetti estremi in pura impostura. Anche a corredo di quanto detto da Hesperia e Josh a proposito delle dichiarazioni di Bernard Berenson, l'involuzione delle arti figurative sono dovute alla diffusione di teorie che hanno il loro brodo di coltura in Europa ma che vengono raccolte dall'America e a un certo momento le impongono ai mercati di tutto l'Occidente, anche avvalendosi strumentalmente (perché l'intento era soprattutto commerciale, l'ideologia c'entrava poco o punto) della contrapposizione politica dei due blocchi: ovest vs. est. Per dirla con chiarezza, poiché in Unione Sovietica e paesi affini si praticava il realismo socialista, si ritenne utile contrapporgli l'astrattismo e/o l'informale, che stavano prendendo campo in certi ambienti europei e che era facile da praticare su larga scala in un paese come l'America, priva d'una grande tradizione pittorica alle spalle e quindi di talenti sufficientemente numerosi in grado di realizzare in pittura opere figurative di grande qualità. A conti fatti, quindi, sono stati proprio i grandi mercanti d'arte americani che, per guadagnare tanti quattrini, hanno imposto a un pubblico internazionale le imposture "artistiche" che nel tempo hanno imbambolato anche i collezionisti danarosi, che hanno acquistato per cifre notevoli tanto pattume che in futuro si rivelerà (si spera, almeno) per quello che valgono: zero e porto zero (come diceva mia nonna per significare il nulla).
Il realismo socialista era un'emerita schifezza, ma l'informale (credetemi) non è meno schifoso, perché oltretutto se ti azzardi a dire che non significa e non vale nulla ti trattano da deficiente che non capisce e non sa apprezzare l' "arte".

Dionisio ha detto...

Entrando più nel dettaglio tecnico, c'è una differenza sostanziale nel "come" si opera in pittura o in fotografia. In pittura ci si affida alle mani (almeno per chi, come me,intende che si deve essere artigiani provetti per ambire ad essere anche artisti) oltre che con gli occhi la mente e il cuore. In fotografia, benché si debbano usare, anche qui, gli occhi la mente e il cuore, ci si affida invece a un mezzo meccanico, ossia alla fotocamera. In pittura, in quanto artigiani, si deve innanzitutto saper disegnare, si concepisce il quadro partendo da un'idea o da un'intuizione e poi si disegna sul quadro l'mmagine che risponde visivamente all'idea o all'intuizione. Quindi si dipinge, scegliendo i colori che concorrano al meglio ad esprimere lo stato d'animo che si vuole imprimere all'immagine concepita (e alla base di tutto questo c'è un mestiere che nasce dal tirocinio tecnico e poi dal bagaglio di esperienze che trai nel tempo con l'esercizio prolungato, oltre che col bagaglio umano e culturale che accumuli dentro di te). Che si lavori in studio o en plein air, le cose non cambiano, si lavora sempre per realizzare un'immagine che è dentro di noi anche se ci si affida, nel realizzarla,a qualcosa che abbiamo di fronte (anche per il ritratto è lo stesso, perché riproduciamo fattezze secondo un'idea che ci siamo fatta del soggetto, oltre a cercare di farlo somigliante).
In fotografia si lavora in modo opposto: si va "a caccia" delle immagini e, avendo sviluppato un bagaglio tecnico che va dall'uso prolungato dello strumento nelle situazioni più diverse, quindi dalla conoscenza della resa delle pellicole, dell'uso degli obiettivi, della funzione della luce, ecc., si coglie, nell'immagine che abbiamo davanti agli occhi, quell'aspetto che meglio esprime il nostro stato d'animo rispetto all'immagine stessa: nel taglio che scegliamo, nella luce che ci sembra più significativa, nell'accostamento dei colori, ecc. ecc. E questo succede anche se l'immagine la costruiamo, per esempio nella fotografia di moda dove la posa del soggetto e la luce si costruiscono artificialmente.
Anche nel ritratto non è la stessa cosa realizzarlo in pittura o in fotografia, perché in pittura lo si "costruisce"; in fotografia puoi solo cercare di "fermare" la fisionomia nell'istante in cui ti sembra esprima meglio il carattere che hai intuito nel soggetto che hai di fronte; più facilmente operi lo scatto quando ti sembra che il soggetto sia più naturale o appaia più gradevole, specie se esso appartiene all'altro sesso e vuoi valorizzarne l'aspetto nel modo migliore.
Insomma, nonostante le somiglianze, i linguaggi e le tecniche moltodiversi. E chi li ha praticati entrambi, lo sa bene.
E poi nella pittura abbiamo alle spalle, almeno noi occidentali, due millenni di esperimenti di esempi e di conoscenze inestimabili, quindi disponiamo di un grande patrimonio per realizzare (avendo la voglia di studiare per assimilare quel bagaglio e disponendo ovviamente del talento necessario) qualcosa di grande.
La fotografia è nata da poco e sembra già che abbia accantonato il bagaglio tecnico che ha accumulato per accontentarsi dei risultati più facili, aiutandosi con mezzi esterni (salvo svolte future, sempre possibili, perché anche questo linguaggio soffre del pressapochismo e del dilettantismo che oggi investe tutti i linguaggi.)
Il discorso è lungo; spero almeno di essere stato comprensibile.

Miriam ha detto...

E' vero, come dice Josh nel post dedicato a Bronzino e in questo su Haas, che la crisi della pittura è una rottura semantica che si trasferisce nel vuoto della forma e del contenuto dell'oggetto creativo, e che la stessa crisi investe la letteratura la musica e tutte le forme d'arte. E' vero anche che in questi altri campi della creatività non si può certo addossare la responsabilità della loro crisi alla comparsa della fotografia, ma piuttosto alla imposizioni del nulla concettuale che ha travolto tutte le manifestazioni del nostro vivere.
Ultimamente sono andata a cercarmi tutti i manifesti delle cosiddette avanguardie storiche e dalla loro lettura si capiscono molte cose. Sarebbe utile parlarne un po' più diffusamente, anche per sviluppare un po' di consapevolezza rispetto alle brutture che ci impone una modernità che non va per niente intesa come progresso.
Va bene esaltare ciò che di bello viene ancora prodotto, ma per difenderci e sviluppare una certa resistenza al dilagare delle brutture, certe cose vanno smascherate. Mi propongo di farlo nel prossimo post.

Hesperia ha detto...

Bene Miriam, allora aspettiamo il tuo prossimo post. Direi che la dittatura del Brutto, è l'espressione di quel totalitarismo economicista che già stiamo vivendo. Avete notato gli edifici delle banche? Tutti verticali, freddi e scostanti come inferni di cristallo. Sull'architettura come l'arte più politica che ci sia, poi ci sarebbe molto da speculare e dissertare. Penso alle varie sale ovali, ottagonali della Casa Bianca. Penso alla brutte chiese che si costruiscono oggi in mezzo ad orrendi edifici di "edilizia popolare" nelle periferie. Ma penso anche a quel culto della forma che è stato volutamente abbandonato per avviare una vera e propria iconoclastia. Ma non voglio andare fuori dal Topic del post.

Dionisio, si vede bene da come ne parli nel dettaglio tecnico che hai praticato entrambe le discipline.
Per quanto però si possano fare ottime foto artistiche (Cartier Bresson, Haas, Dorothea Lange e Gisèle Freund della Magnum, docent) credo però che la pittura risenta ancora della vecchia "denominazione" delle Corporazioni nate sotto le età dei Comuni. E' nata e resta (a mio modesto parere) un'"arte maggiore". Ovviamente c'è pittura e pittura.
Rispetto a certe croste che si vedono oggi, o a certe bluff astratti, allora è meglio una buona e bella fotografia.

Dionisio ha detto...

Perfettamente d'accordo con te, Hesperia, che la pittura abbia un posto maggiore rispetto alla fotografia: dopo un paio di migliaia di anni che la si pratica e si producono fior di capolavori, vorrei vedere che si dicesse il contrario... Sono solo gli ultimi cinquant'anni o giù di lì, da quando è avvenuta la rottura totale con la tradizione che sono iniziati i guai...ma, per l'appunto, quella che oggi praticano i più non è pittura, ma impostura. La fotografia è (ancora) un'arte minore (tant'è vero che io l'ho praticata, diciamo, per mercede); tuttavia anche la fotografia è un mezzo che consente di esprimere sentimenti come tutte le altre arti, e lo dimostrano proprio le foto realizzate dai più bravi, e come ho scoperto io stesso man mano che ne approfondivo la conoscenza. E certo che davanti a tante croste di oggi (ma spesso non sono neanche croste, perché manca proprio la "dipintura") è meglio guardarsi una bella foto di Haas o di Cartier Bresson, che almeno esprimono qualcosa e ti consentono di rifarti gli occhi.

marshall ha detto...

FUORI TEMA, DENTRO IL TEMA
Visto che siete amanti della fotografia, potreste partecipare a questo concorso fotografico a premi, organizzato da Il Sole 24 Ore. Si tratta di inviare foto di panorami della propria città, oppure foto di manieri, castelli, torri, ecc.

http://foto.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2009/comuni-concorso-fotografico/comuni-concorso-fotografico_fotogallery.php?id=25

Buona partecipazione.