lunedì 17 gennaio 2011

L'impostura della Pop Art

Nel campo dell’arte, come in tutti gli altri settori, sarebbe tempo di impegnarsi seriamente per liberarci dagli equivoci e dalle imposture, anzi dai veri e propri macigni che, da troppi anni, tagliano la strada a chi è dotato di vero talento, depauperano di bellezza la nostra civiltà e fanno perdere la bussola al popolo mostrandogli immagini capaci solo di degradare l’umanità e di confondere la percezione della differenza che esiste tra armonia e dissonanza, tra bellezza e deformità. Considerata la paccottiglia che dilaga da decenni si deve pensare a un lavoro enorme; ma vale la pena perdere altro tempo prezioso per discettare sul nulla o, ancor peggio, per rovistare nella spazzatura? Per fare chiarezza e chiudere il conto con un passato fatto di troppe brutture e nefandezze ritengo che basterebbero pochi saggi di facile lettura, a prezzo contenuto e adeguatamente veicolati. Uno potrebbe essere dedicato allo smascheramento della pop art e del personaggio Andy Warhol, che del pop fu e resta il massimo rappresentante.
Con ogni probabilità la definizione pop art fu coniata in Inghilterra, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, da Lawrence Alloway, un critico d’arte autore di molte recensioni che, più tardi, troviamo a New York fortemente impegnato nel lanciare giovani “artisti” pop. Già il pur facile accostamento dell’arte all’aggettivo popolare (pop infatti allude in qualche modo al vocabolo popolare) dovrebbe indurci a qualche utile riflessione. Potrebbe trattarsi dell’espressione di soggetti rozzi e privi di ingegno appartenenti alle classi meno abbienti, oppure dell’arte prediletta dal popolo. Ma, in questo caso, non si capirebbe come mai proprio il popolo per lungo tempo fu la classe sociale più ostile e diffidente verso l’esposizione in spazi imponenti e spesso prestigiosi di bidoni di spazzatura firmati, tubi serpentinati al neon e immagini seriali di nessun significato. In realtà si tratta della presunta arte che un piccolo numero di personaggi facenti capo ad una potente setta capace di condizionare il pensiero e quindi il comportamento umano in tutti i campi ha destinato al popolo. A tutto il popolo. Infatti, ancor più degli equivoci ascrivibili all’informale, all’astratto e al concettuale, i bidoni di spazzatura, i tubi al neon e le immagini seriali, ben lungi dall’esprimere, come pretenderebbero schiere di entusiastici recensori, una “critica alla società dei consumi”, hanno l’unico scopo di confondere e deprimere la percezione estetica collettiva e fanno parte della stessa tecnica usata in tutti gli altri settori da chi tende ad acquisire il potere demolendo i fondamenti della nostra società, e trasformando le popolazioni in masse di bruti facilmente manipolabili. Un percorso all’indietro che, per l’appunto, diventa possibile solo nel momento in cui viene meno l’ordine che discende dall’esistenza delle categorie del bene e del male, del bello e del brutto, del sano e del patologico a cui per secoli e secoli la nostra civiltà aveva sempre fatto riferimento. E, nel contempo, costituiscono il procedimento con cui i furbi e gli arroganti, ben inseriti nel sistema, misurano la loro capacità di catturare con ogni mezzo l’attenzione del prossimo o di provocarne una qualsiasi reazione, non importa se di disorientamento o di rifiuto, per ottenere, grazie all’alta visibilità conseguente, grossi introiti economici in cambio di poco o niente: le “opere” uniche vendute ai borghesi danarosi, inebetiti dai cataloghi che valorizzano il pattume con parole incomprensibili e a tutti gli altri, che si portano a casa la paccottiglia riprodotta in serie a medio o a basso prezzo, dalla quale, grazie alla facilità di riproduzione in grandi quantità che consente la tecnica moderna, si possono ugualmente ricavare cifre stratosferiche.
Insensato, come ho già detto, sarebbe dedicare altro tempo prezioso alla memorizzazione e all’analisi della miriade di nomi e di “opere” di tanti pretesi artisti del pop. Per il nostro scopo, che resta quello di porre fine a una delle tante imposture e quindi propiziare l’avvento di una nuova stagione, basterà la divulgazione della biografia di Andy Warhol, quella vera, non inventata da biografi falsi o prezzolati. In questa sede possiamo solo mettere in evidenza il collegamento che esiste tra l’irrompere sulla scena di questo modesto grafico pubblicitario, bilioso e paranoico, e il nichilismo pratico oggi dilagante in cui hanno finito per sciogliersi tutte le ideologie del Novecento. Potendo disporre, finalmente, di adeguati strumenti di analisi, risulterà evidente a chiunque come l’ascesa del figlio di emigranti slovacchi a cui continuano a rifarsi le torme di imbrattatori che ancora ci tormentano con i loro ignobili scarabocchi, non fu dovuta né a un inesistente talento ribelle né alla forza di volontà di una madre frustata e ambiziosa, ma all’occhio acuto di chi già negli anni Cinquanta cercava il matto giusto per promuovere la pazzia collettiva e l’uso generalizzato della droga, consapevole di quanto sia facile esercitare tutto il potere su un popolo debole di mente e incapace di scegliere, e sul quale si può riversare qualunque porcheria. Ed è proprio alla necessità di perpetuare questo genere di potere totale e perverso che va ricondotta una circostanza che dovrebbe invece far riflettere: all’immediata e praticamente universale riconoscibilità del sembiante di Andy Warhol e di molte delle “opere” a lui attribuite, corrisponde, come più sopra è stato detto, una conoscenza assai approssimativa per non dire assolutamente vaga di quella che fu in realtà la sua vita, proprio come se qualcuno avesse provveduto a far silenziare i non pochi testimoni oculari delle innumerevoli ignominie ascrivibili al più falso e ingannevole dei miti. Per esempio chi, tra i tanti cultori del bislacco personaggio, si è preso la briga di raccontarci quanto avveniva sotto la sua esclusiva regia nella mitica Factory da lui fondata? Arrampicatore sociale, abile come pochi, Andy era riuscito in giovane età a emergere dall’anonimato diventando l’amante di Truman Capote, il più famoso scrittore omosessuale statunitense dei primi anni Cinquanta: una formula abbastanza scontata per raggiungere la notorietà passando dalla porta di servizio che egli, pubblicitario per formazione, una volta diventato famoso, decise di vendere alle torme di giovani che sgomitavano per godere dei benefici che immaginavano di poter ottenere entrando nella sua orbita. Egli, infatti, prometteva a tutti “un quarto d’ora di celebrità” in cambio di un pegno che si riservava di esigere e che quasi sempre consisteva nello sfruttamento del loro corpo o del loro talento. Ma siccome l’avidità e la mancanza di scrupoli, in definitiva, non erano i peggiori elementi della sua natura assolutamente crudele e negativa, spesso il prezzo per non uscire dal cerchio di luce che egli era in grado di accordare saliva a dismisura e molti dei giovani irretiti dalla sua algida personalità e ancor più dalle droghe che nella Factory non mancavano mai, finivano per perdere la salute fisica assieme a quella mentale e, non di rado, anche la loro stessa vita. Mentre lui, cinico e perfettamente lucido (in quanto non personalmente dedito alla droga) era sempre lì, con in mano l’immancabile cinepresa, per filmarne l’abbrutimento derivante dalla decadenza fisica, le indicibili umiliazioni e perfino il momento estremo del trapasso che a volte avveniva a seguito di sfinimento fisico per assunzione di droghe e altro genere di veleni o per via del suicidio, a cui egli stesso aveva indotto il disgraziato di turno. Perchè la morte e il dolore degli altri lo affascinavano, quietavano, almeno per un po’, la sua invidia congenita in quanto lo risarcivano di quell’aspetto cimiteriale che la natura gli aveva dato e che risultava a lui stesso sgradevole.
Cominciare a far luce su tante realtà occultate è il presupposto indispensabile per far saltare il paraocchi che ancora oggi impedisce ai più di scorgere l’abisso verso il quale sono tuttora orientate quasi tutte le espressioni della nostra vita. Finalmente liberato il campo dai condizionamenti “anti-tutto” e dai pregiudizi verso le rare voci che nel corso del tempo hanno cercato, sempre invano, di indicare i luoghi del pensiero in cui erano state prefigurate tutte le tappe di questo lungo cammino di demolizione delle basi della crescita individuale e di una convivenza collettiva impostata sulla ricerca dell’armonia, sarà finalmente possibile capire quanto, in realtà, sarebbe stato facile evitare le infinite e multiformi trappole mortali disseminate in ogni angolo e lungo tutte le strade percorse da almeno due o tre delle ultime generazioni.
Restando nel campo dell’arte e a mero titolo di esempio, basterà porre attenzione al significato letterale dei punti programmatici del manifesto “dada”. Nato a Zurigo negli anni dieci del Novecento, il dadaismo è la corrente di pensiero a cui, a pieno titolo, può essere ricondotta la pop art e il fenomeno Andy Warhol. Nulla può essere più chiaro delle parole d’ordine contenute in questo proclama la cui attuazione, come appare evidente, al di là della pretesa (in verità già di per sé insensata) di rifiutare la tradizione in tutti i campi, a partire da quello artistico, non avrebbe portato alla libertà di espressione bensì all’ospedale psichiatrico. Che in seguito e sicuramente non per caso è stato abolito. Recita il manifesto:
1) Per lanciare un manifesto bisogna volere A,B,C; scagliare invettive contro 1,2,3; eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffondere grandi e piccole a,b,c;
2) Firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non plus ultra, sostenendo che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio;
3) Con il manifesto dada non si persegue nulla; chi scrive il manifesto è per principio contro i manifesti. E’ anche contro tutti i principi. Lo scopo è quello che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie in un unico refrigerante respiro;
4) Si è in favore della contraddizione continua;
5) Dada non significa nulla;
6) Non si ritiene di dover dare spiegazioni.
Utile fermare l’attenzione sui primi due punti. Essi delineano chiaramente il modello di comportamento abituale con cui ancora oggi si tenta di ridurre al silenzio coloro che propongono una chiave di lettura diversa rispetto a quella corrente o offrono un pensiero finalmente rigenerativo.

Miriam

17 commenti:

Hesperia ha detto...

Avevo già letto quest'ottima analisi di Miriam sul Culturista e sono d'accordo con quanto è emerso.
Il nostro gusto, la nostra percezione del bello è stata deviata e coartata nei modi più subdoli e reiterati e tutto questo sui giovani ha prodotto quello sfacelo interiore che aumenta di giorno in giorno, come se ci trovassimo su di un piano inclinato.
Questi guru come Warhol hanno numerose responsabilità a loro carico. Ma anche l'operazione postuma che emerge dalla biografia di cui parla Miriam, mi pare un'operazione tardiva. Il relativismo etico, culturale ed estetico si è già insinuato in ogni ambito della società e i guasti sono irreparabili.

Hesperia ha detto...

PS: Ogni tanto c'è Tocqueville che si accorge del Giardino e questo post è stato messo in evidenza.

Vorrei anche aggiungere che nel post sottostante su Haas ho messo un utile link sul documento dedicato a Bernard Berenson e alla sua critica alla modernità e alla diffusione dei musei moderni dedicati alle esecrabili "installazioni" volute dalla Guggenheim, la quale fece un bel po' di investimenti di questa fuffa, alzando a sproposito le quotazioni di Jackson Pollock e della action painting.
Riporto il link anche qui, dato che è assai più pertinente:

http://www.lacrimae-rerum.it/documents/Berensonelalungafarsaartemoderna_000.pdf

paolo ha detto...

Se non sbaglio Andy Warhol è quell'idiota che pretendeva di passare ai posteri con il quadro della minestra in barattolo, la Campbell Soup.
Direi che più idioti di lui sono quelli che ci hanno creduto.
Saluti.

Josh ha detto...

muahua Paolo l'ha detta in breve! :-)

Josh ha detto...

Il pezzo di Miriam è molto buono, lucidissimo e condivisibile.

Per me, per contestualizzare storicamente, è fondamentale il saggio di Berenson linkato da Hesperia, (leggetelo pazientemente, salvatelo) che osserva come è nata non tanto solo la pop art, ma a partire da tutto l'ambaradan di investimenti di Peggy Guggenheim come si arriva al 'gusto nuovo' che va per la maggiore.
Da cui discende anche il 'piazzare la nuova tendenza', creare uno stile-non stile, esaltarlo, 'pomparlo' mediaticamente, imporre questo tipo di gusto come 'il nuovo' d'allora e, purtroppo, un punto di non ritorno.
La paccottiglia esaltata è ormai l'arte osannata dalla massa. Warhol & co è insegnato nelle università da un pezzo.
Questo 'gusto' è quasi dominante.
Se uno se ne dissocia, entra nella categoria di coloro che 'NOn comprednondo l'arte contemporanea', potrà essere tutt'al più permesso come un parere soggettivo, perchè questo è ormai il sistema in cui siamo capitati.
Non ultimo anche il fatto che gli USA non avendo una mole immensa d'arte precedente come noi(anche se avevano buoni autori 'classici americani' senza arrivare a questo), si sono appoggiati a questo 'trend' per piazzare le loro croste.

Per cui, citando Miriam
"Considerata la paccottiglia che dilaga da decenni si deve pensare a un lavoro enorme; ma vale la pena perdere altro tempo prezioso per discettare sul nulla o, ancor peggio, per rovistare nella spazzatura? Per fare chiarezza e chiudere il conto con un passato fatto di troppe brutture e nefandezze ritengo che basterebbero pochi saggi di facile lettura, a prezzo contenuto e adeguatamente veicolati."

Magari...dico, magari.
Magari bastasse qualche saggio a cambiare una mentalità ormai troppo diffusa, penetrata nel gusto dominanate ma anche nell'ufficialità dominante.

Josh ha detto...

Mi domando inoltre se non sia invece proprio voluto il 'depauperare la bellezza della nostra civiltà', per citare ancora dal bel post.

Qui infatti non si parla più di CIVILTA', cara Miriam, ma di MERCATO.

E di 'far mercato' del nulla. Che ha fatto presa, anche nella quotazione delle croste, come una persuasione occulta, non certo come convincimento di nuova estetica.

Cocacola...suppa Campbell...oggetti di mercato, come le balle che ci raccontano da una vita su quel delinquente di 'Che Guevara', giusto per restare in tema coi 'quadri' mostrati in foto.

Josh ha detto...

la pratica di Warhol poi di filmare drogati, trans e morenti alla Factory in qualunque momento, e di spacciare questa specie di sadismo dell'ultima ora per Cinéma vérité è un altro capitolo della discesa agli inferi non solo dell'arte, che è assente, ma della comunicazione del nulla, che è sua volta stato incensato come qualcosa.

Miriam ha detto...

Mi fa piacere che, almeno qui nel Giardino, siamo tutti d'accordo che non abbiamo alcuna intenzione di continuare a farci prendere per il naso da sedicenti esperti di "arte moderna", che sono solo stati capaci di distruggere il senso stesso del fare arte, cioè quello di creare qualcosa che parli alla parte più nobile dell'essere umano, alla sua sete di spiritualità e di bellezza.
Non credo, Josh, che alla maggioranza della popolazione piacciano le porcherie che oggi ci ammanniscono come opere d'arte. Parlerei piuttosto di rassegnazione che deriva dal senso di inferiorità e dal timore di essere tacciati di ignoranza e insensibilità rispetto a quei cialtroni che si spacciano per esperti e che avvalorando tale qualifica conferendo alle brutture che sponsorizzano quotazioni spesso da capogiro.
Quanto a smontare questo equivoco non è detto che ci voglia poi così tanto, e chi ha gli argomenti per farlo non deve mai scoraggiarsi. Ricordi la fiaba del Re che se ne andava in giro nudo credendo di indossare un bellissimo abito? Per l'appunto, il suddito più semplice, non disposto ad accodarsi al conformismo generale, ha avuto il coraggio di esclamare che il re era nudo.

Dionisio ha detto...

A conforto di quanto dice Miriam, vi fornisco questo dato. Su Tocqueville, dove il suo post figura dalla mattina stessa in cui era comparso qui, oggi ho provato a vedere quale pezzo finiva in cima alla classifica secondo l'ordine dei click ed è appunto risultato "L'impostura della pop art". Segno che l'argomento interessa e che si sente il bisogno di voci che facciano chiarezza sugli equivoci e imposture di cui siamo vittime da troppo tempo.
L'arte non deve essere "capita" come dicono gli esperti del nulla: l'arte SI GODE coi nostri sensi e con la nostra sensibilità, e quando siamo di fronte al'arte autentica ce ne accorgiamo subito; se ne accorge anche chi si rifugia subito nella formuletta difensiva del "non me ne intendo, non posso esprimere un giudizio". Bisogna imparare ad avere un po' più di coraggio, a non farsi irretire dallo spirito del gregge. Personalmente ho scoperto che i più semplici hanno più coraggio di chi ritiene di essere sufficientemente acculturato, però teme il giudizio di chi ostenta maggior sapere di lui...

Lo PseudoSauro ha detto...

Siamo una bella congrega di reazionari, da queste parti... :-)

Certamente, ma questa definizione si puo' estendere a tutta la cosiddetta "Arte". Ormai anche questa roba e' entrata nel conformismo accademico, per cui ci si puo' trovare un Raffaello accanto ad una qualsiasi ciofeca del genere, e guai a lasciarsi scappare che non c'e' alcuna parentela tra l'una cosa e l'altra. Un po' come quando ai concerti ti propongono un quartetto di Mozart, insieme con le sequenze di Berio... a parte il fatto che il pubblico non capisce mai quando debba applaudire, il disagio e' evidente in quelli cui non e' stato troppo lavato il cervello, mentre le scimmie addestrate nei conservatori fanno diligentemente cio' che e' stato loro insegnato, cioe', educano gl'ignoranti alla "modernita'". La Modernita' e' tutta uguale in quanto ad astrattezza, ma e' l'assenza di logicita' che deprime. Il Logos e' indispensabile all'uomo colto come all'ignorante. E poi hanno il coraggio di prendersela con quelli dell' "arte degenerata"... quando si rifiuta la tradizione della paternita', non c'e' definizione migliore di questa, anzi, erano le stesse Avanguardie dei primi del Novecento a rivendicare la loro posizione. Una posizione ideologica prima che artistica, in quanto nei secoli precedenti l'arte ha sempre parlato attraverso le sue opere, senza alcun bisogno di doversi "illustrare"... Bene, ormai l'"illustrazione" e' diventata piu' importante dell'opera. Suggerirei all'ottima Miriam di guardare anche alla speculazione finanziaria per capire meglio la dimensione totalitaria del pensiero "moderno". L'astrattezza ha preso il sopravvento sul reale anche nella vita di tutti i giorni. Un saluto ai pochi resistenti di questo disastro globale.

Miriam Pastorino ha detto...

C'è una cosa che sfugge e invece ha molta importanza: la gente non ne può più di zuppe incorniciate e comincia a capire il legame che esiste tra la pseudo arte e l'economia virtuale.

Anonimo ha detto...

Mi piace esattamente come viene visualizzato il vostro livello in tutta.

johnny doe ha detto...

Completamente d'accordo con la tesi del post, anche su altre tipologie transavanguardistiche od altro che non son altro che creazioni di galleristi e critici col solito sistema.
Convinci un direttore di un importante museo d'arte moderna (ci sono tanti modi...)a piazzare un quadro di un tuo protetto in una sala e contemporaneamente le quotazioni di tutti i quadri che hai in magazzeno lieviteranno.Queso è un antico gioco,col sostegno di qualche compiacente critico.

Quanto ad un discorso più generale sull'arte contemporanea,la cosa più evidente è che non esiste un criterio di valutazione dell'opera.Non ci può essere perchè è soltanto un'idea,a cominciare dal famoso water capovolto di Duchamp.Diventa quindi tutta una specie di happening (tra l'altro vecchissimo,si pensi ai dadaisti) in cui stupire,sbalordire con qualche trovata,spesso grottesca e financo soggetta al ridicolo, come il cavallo di cartapesta o simile scambiato dalla nettezza urbana per rifiuto e portato in discarica (Milano).
Il criterio di giudizio,il valore di un'opera è quindi demandato a parametri che nulla hanno a che fare con il contenuto della stessa.

L'esempio di Warhol è illuminante.Che fosse un individuo di genio,di vivida fantasia...non ci piove,ma da qui a quanto ne è stato fatto...e venduto..

Anonimo ha detto...

A me risulta che parte delle sue opere siano custodite al MoMA e che non siano proprio cianfrusaglie...
La Pop Art è una ventata d'aria fresca per alcuni, basta spennellate, cuadri beige e neri tutti uguali e statue di marmo, l'Arte continua!

Se l'arte moderna piace non è solo perchè è commerciale, ma perchè trasmette qualcosa, e quel qualcosa può essere trasmesso tranquillamente tramite quadri fatti di contorni netti e colori forti.

Warhol è un genio perchè è stato il primo a dipingere barattoli, non perchè i barattoli siano tanto difficili da ritrarre...

Pop art is for everyone.

[I vostri commenti sono scritti professionalmente, ma i contenuti sono patetici.]

Anonimo ha detto...

A me risulta che parte delle sue opere siano custodite al MoMA e che non siano proprio cianfrusaglie...
La Pop Art è una ventata d'aria fresca per alcuni, basta spennellate, *Quadri beige e neri tutti uguali e statue di marmo, l'Arte continua!

Se l'arte moderna piace non è solo perchè è commerciale, ma perchè trasmette qualcosa, e quel qualcosa può essere trasmesso tranquillamente tramite quadri fatti di contorni netti e colori forti.

Warhol è un genio perchè è stato il primo a dipingere barattoli, non perchè i barattoli siano tanto difficili da ritrarre...

Pop art is for everyone.

[I vostri commenti sono scritti professionalmente, ma i contenuti sono patetici.]

Josh ha detto...

@Anonimo: lei invece è patetico sia nella forma sia nel contenuto

Josh ha detto...

@Anonimo: dice "parte delle sue opere custodite al MoMA"

è proprio questo il problema, addirittura nei musei sono finite. Ha letto il saggio di Berenson sopracitato? le spiega come mai sia finito al Moma immeritatamente.

anonimo "La Pop Art è una ventata d'aria fresca per alcuni, basta spennellate, *Quadri beige e neri tutti uguali e statue di marmo, l'Arte continua!"

no no, l'arte è morta con la pop art, incapacità di dipingere e di ritrarre, altro che 'arte che continua'. Si vede che lei è un iconoclasta. Fa benissimo, ma non venga a rompere qui allora. Prima della Pop art i quadri non erano 'neri e beige tutti uguali' come lei sostiene, si vede che non conosce la pittura precedente.

Il guaio della pop art non sono colori netti e dettagli forti. Anche Caravaggio dipingeva con colori forti. Qualche differenza c'è.

La risposta se la dà da sè con l'enunciato "Pop art is for everyone."
E' proprio questo aver voce in capitolo dappertutto, anche nelle cose serie, da parte dell'uomo qualunque che passa per strada, come fosse un'autorità somma, ad aver rovinato il mondo contemporaneo.
Aggiungo che la pop art non è per veryone, ma è per gli iconoclasti. E'invece provato che anche gli ignoranti e analfabeti restano estasiati davanti a un Raffaello, a un Leonardo, a un Botticelli pur senza gli strumenti culturali per spiegarli.
Un barattolo invece rimane un barattolo.