martedì 24 gennaio 2012

La crisi economica raccontata in 4 film



 La crisi del ’29 trova un suo celebre cantore in John Ford, regista di Furore (Grapes of Wrath, letteralmente "I frutti dell'ira", in riferimento alla Bibbia) , film del 1940 che attinge a piene mani al possente romanzo omonimo di  John Steinbeck, il cui protagonista Tom Joad in fuga disperata dalle tempeste di sabbia dell’Oklahoma insieme alla sua famiglia,  si fa interprete del suo disorientamento e sradicamento, allorché viene espropriato della sua terra dalle banche ed è costretto ad attraversare, un’America ostile e crudele in cerca di lavoro e di cibo per sé e per i suoi familiari. Perfino un bicchiere d'acqua bisognava pagarlo. Un’odissea epica e commovente a bordo di uno sgangherato camioncino che perde pezzi strada facendo, con la famiglia patriarcale  dei Joad che si assottiglia sempre più (gli anziani muoiono di stenti e di dispiacere durante il viaggio),  nel cui andamento filmico si ritrovano le strutture narrative del western fordiano, pur essendo un classico di denuncia sociale. Memorabile la scena dell'esproprio delle fattorie e dei terreni da parte dei crudeli giannizzeri delle banche (qui nel video, reperita solo nella versione inglese, purtroppo). Suscettibile di grandi riflessioni, il fatto che questi poveri mezzadri durante l'esodo da una costa all'altra,  non potevano portare con sé nemmeno una piantina né sementi della loro terra, poiché bisognava ricomprarle in loco, negli stati ospitanti. Un film da rivedere.



Fango sulle stelle (Wild River) di Elia Kazan (1960) narra  del New Deal rooseveltiano degli anni ‘30 e delle grandi opere,  in reazione alla Grande Depressione. Opere di modernizzazione idrauliche guardate con diffidenza da vecchie generazioni di proprietari fondiari ancorate al passato, volte a salvaguardare quella terra che amano e che si illudono rimanga  immutabile nel tempo coi valori nei quali sono cresciuti. La figura di Ella Garth (Jo Van Fleet), un’ anziana proprietaria terriera che teme il "progresso"  con tutte le incognite ch’esso comporta, è lo specchio della vecchia America rude e onesta, ancorata ai valori patriarcali che se ne va. Lee Remick nel ruolo della nipote Carol e Montgomery Clift nel ruolo dell’ingegnere della TVA (Tennesse Valley Authority, l'autorità preposta da Roosevelt per le dighe sul fiume) , completano un cast d’eccezione. Il senso del fluire del tempo, filmato con uno stile calmo e maestoso è dato dallo scorrere del fiume Tennessee che attraversa la grande vallata dell’omonimo stato. Tutto cambia, tutto fluisce anche se non lo vogliamo, è il messaggio del film.




Morte di un commesso viaggiatore (1985) tratto dal dramma di Arthur Miller del 1945, qui nella versione più moderna di Volker Schloendorf prodotta dallo stesso Miller,  con Dustin Hoffman e un giovane ma già straordinario John Malkovic, è una critica spietata al darwinismo sociale di una società americana il cui “diritto alla felicità” e a perseguirla (the Pursuit of Happiness) sancito dalla Costituzione, diventa quasi un obbligo-dovere. Un’ossessione tale da trasformare il sogno in un’allucinazione. Il piccolo commesso viaggiatore dal sorriso facile scopre il disinganno e le frustrazioni del suo anonimo mestiere. E cade vittima di una società implacabile nella quale l’individualismo, lungi dall’ essere arma di difesa, crea  fragilità e vulnerabilità. Fino a spingere al suicidio il poveretto, che pensa di valere più da morto che da vivo. Se non altro perchè i suoi familiari potranno incassare l’indennità di assicurazione sulla sua vita. Film crudele e amaro sulla frantumazione del "sogno americano".

Da ultimo “Wall Street” di Oliver Stone del 1987 ci anticipa da vicino quel che stiamo attraversando: la crisi finanziaria dei mercati globali, la dismissione dei valori etici, il consumismo sfrenato, l’avidità e il cinismo, tutti elementi riscontrabili nelle fulminanti e corrosive battute di Gordon Gekko (Michael Douglas), uomo-simbolo dello yuppismo sorto da quella  Reaganomics già in affanno per le sue incipienti bolle speculative nonché trader senza scrupoli fin troppo emulato da rampanti speculatori delle generazioni successive. Personaggio sulfureo di “cattivo maestro” che cerca di corrompere Bud Fox,  un giovane broker di Borsa, instillandogli facili miti di ricchezza conquistata con rapidità ("Avidità è bello"),  Gekko è demone insonne e cocainomane  alla ricerca perenne di denaro da far girare. Celebre la sua battuta “money never sleeps” (il denaro non dorme mai), che darà poi il titolo anche al sequel dello stesso Stone, il quale sequel seppur accettabile non è all'altezza del primo film.  Gekko è parte integrante  di quel mondo élitario per adepti simile a un santuario dove tutto si crea,  tutto si distrugge e tutto si brucia su quel falò delle vanità che è Wall Street. Quattro films, per riflettere su un controverso Paese che ci trascina nella sua orbita satelitare, che ci parla dei suoi sogni impossibili, dei suoi dogmi capitalistici, delle sue illusioni e delusioni; dei suoi voli  e delle sue cadute.


 I film di John Ford,  di Elia Kazan, di Schloendorf,  di Oliver Stone, non diminuiranno certamente il numero dei nuovi disoccupati e diseredatii del terzo millennio che già stanno soffrendo in massa in Usa come in tutti gli altri stati d'Occidente, ma ci inducono, se non altro,  a riflettere sul tormentato motore del mondo e della Storia i cui ingranaggi sembrano incepparsi ieri come oggi trascinando con sé moltitudini di folle inermi e indifese.




Hesperia

33 commenti:

vincenzo ha detto...

Film bellissimi che ho avuto il piacere di aver già visto, fatta eccezione di Morte di un commesso viaggiatore che ho visto diverse volte a teatro, ma non sono stato interessato alla versione filmica perché non mi piacciono tanto i film tratti dalle pièce teatrali. Però vedo dallo spezzone che è di ottima qualità e che Malkovic riesce a battere Hoffmann in bravura.
E comunque vanno ripensati alla luce di quanto stiamo vivendo. La scena di Furore dell'esproprio delle terre rassomiglia anche troppo a quelle odierne di Equitalia in Sardegna. Chi l'avrebbe detto che ci avrebbero conciato in questo modo!

vincenzo ha detto...

e pure quella di Wall street con la battuta fulminante di Gekko sulla democrazia oggigiorno suona più che mai beffarda.

Josh ha detto...

Sono d'accordo con molte delle cose che ha scritto Vincenzo: film bellissimi.
Li ho visti tutti.

Molto riuscito il "montaggio" di episodi, simbolici -a dir poco- per quanto riguarda la nostra situazione attuale.

Josh ha detto...

p.s. a me non dispiace nemmeno la versione film di Volker Schlöndorff della 'morte di un commesso viaggiatore'....certo è teatrale...

lo stesso Schlöndorff in genere è considerato un regista della neue welle piuttosto calligrafico e letterario...
c'è un fondo di verità, ma a maggior ragione anche se risente ora della pagina scritta ora del teatro, rispetto a tante schifezze che nascono di recente, ha anche lui un suo perchè.

Indubbiamente nei suoi film si sente sempre il testo, la pagina scritta, e la sua ottima scelta di attori e attrici "iconiche",
e molto meno la mano del regista inteso come visionario o grande costruttore.

Hesperia ha detto...

E' vero Vincenzo, la scena di Furore rimanda a tanti altri "espropri" moderni di vampiri che con la scusa del "recupero crediti" ad opera delle solite banche, si comportano allo stesso modo. E questo lo chiamano progresso!
Anche la battuta di Gordon Gekko a Buddy sulla democrazia intesa come utopia in cui non credere, ci rimanda a situazioni di sospensione della democrazia attuale.

Su "Morte di un commesso viaggiatore" di Miller, nemmeno io propendo) per un cinema "teatralizzato" oggi di gran moda (vedi Kenneth Branagh). Ma qui c'è un cast di attori davvero insuperabile e il tema del suicidio del commesso, l'ho messo proprio a proposito di un altro grande fatto di attualità: il suicidio di oltre 50 imprenditori del nostro Nord -est, i quali si sono sacrificati per le loro famiglie e per poter incassare l'assicurazione. Roba da non crederci!

Hesperia ha detto...

Josh, è vero quel scrivi dei film di Schloendorf, dove c'è molta adesione al testo scritto.

Nel montaggio da me proposto, volevo far notare non solo la rassomiglianza con episodi di ieri, ma anche il fatto che mentre nel '29 e negli anni successivi della Grande Depressione, gli Usa avevano intatti tutti gli stabilimenti in patria, oggi non c'è più nulla e la produzione è trasferita e delocata altrove.
Questo vale per gli Usa come per l'Europa. Non so come e quando se ne verrà a capo, data la desertificazione dell'industria e dell'agricoltura.

Hesperia ha detto...

Quel che mi stupisce ( e mi piacerebbe che se ne parlasse anche qui) è che con queste "memorie storiche" forti, coloro i quali ne hanno già sofferto, avrebbero dovuto impedire che la storia si ripetesse. E che si ripetesse con le modalità e in forme addirittura peggiorative, rispetto alle già ingenti catastrofi del passato.

Anonimo ha detto...

Alla cinerassegna sulla crisi manca anche Too Big to fail - Il crollo dei Giganti:

http://www.imdb.com/title/tt1742683/

zeta

Hesperia ha detto...

Grazie, è vero. Ma così sarebbe stato troppo pletorico, il post, un post che è già abbastanza lungo. Inoltre io diffido sempre un po' di quei film di "denuncia" fatti uscire sulla scia di un grave fatto all'ordine del giorno. Mi piace la distanza che è quella che ci permette di riflettere.

Se è per questo c'è anche il film documentaristico di Michael Moore: "Capitalismo una storia d'amore":

http://inaltreparole.net/it/cinema/michaelmoore080909.html

Josh ha detto...

@Hesperia:

"Quel che mi stupisce è che con queste "memorie storiche" forti, coloro i quali ne hanno già sofferto, avrebbero dovuto impedire che la storia si ripetesse."

non so, ormai dovremmo essere "avvertiti", ma non pare mai funzionare così.

Vedi questo tuo concetto è un po' come l'Historia Magistra Vitae (un augurio, un'utopia) di Cicerone nel De Oratore. Dato quanto sappiamo, almeno si sarebbe dovuta evitare la coazione a ripetere gli stessi errori.
E' però ottimistico.

Ma le cose si ripetono, ovvio più ingarbugliate di prima, e gli errori si rifanno.
Perchè? gran bella domanda...

_in parte la natura umana che cade e ricade negli stessi punti, e qui si rivela tutto il mio pessimismo e fastidio.
In questo caso, la caduta e ricaduta è sulla "Greed" per dirla col film di ERic Von Stroheim, agli albori del cinema ma moderno e anzi fuori dal tempo, come Eschilo, valido come massime incise su pietra.

_altra spiegazione: quegli errori si rifanno perchè dipendono da una certa forma mentis che non è stata debellata: a livello singolo ha a che fare con l'avidità senza scrupoli; a livello di gruppi di potere, beh non se ne sono mai andati, anzi sono diventati sempre più intoccabili e ripropongono ab aeterno il loro schemino-fregatura sotto sempre nuove spoglie.

;-)

Hesperia ha detto...

@ altra spiegazione: quegli errori si rifanno perchè dipendono da una certa forma mentis che non è stata debellata: a livello singolo ha a che fare con l'avidità senza scrupoli; a livello di gruppi di potere, beh non se ne sono mai andati, anzi sono diventati sempre più intoccabili e ripropongono ab aeterno il loro schemino-fregatura sotto sempre nuove spoglie.

Eh sì Josh, in fondo è ottimistico da parte mia pensare ciceroniamente all'Historia Magistra Vitae.

E hai pienamente ragione quando asserisci che le oligarchie di potere si organizzazano in forme sempre più nuove, innovative e sofisticate. La tecnologia, ad esempio, fa novanta e gli algoritmi matematici del turbocapitalismo viaggiano alla velocità della luce. Così, se si chiude Wall Str. si apre la Borsa di Tokio. E quando si chiude questa, c'è quella di Hong Kong e così via all'infinito.
...E il denaro non dorme mai proprio come diceva Gekko.

Sì ricordo bene Greed di von Stroheim.

Josh ha detto...

intanto metto il link a una scheda stavolta fatta bene, con bei fotogrammi per "Greed":

http://it.wikipedia.org/wiki/Rapacit%C3%A0

sul resto, ritorno volentieri nei prossimi giorni...ce n'è da dire.

Hesperia ha detto...

La morale del film di von Stroheim è chiara: nel deserto le monete luccicanti non servono più a nessuno. Con queste non si può mangiare né bere né essere felici. In fondo anche Sergio Leone nel suo film "Il buono, il brutto e il cattivo" riprende questa importante lezione nella scena finale in cui Eli Wallach viene legato al cappio da Clint Eastwood davanti alla tentazione di Tantalo dei sacchi pieni di monete.

Poi lo sparo finale che lo libera dal cappio, ma Tuco (Wallach) resta solo, senza cavallo in compagnia delle monete d'oro in territorio desertico.

Mah...eppure di gente simile continua a esserne pieno il mondo.

Lisa ha detto...

Sono film di grande qualità ed è interessante analizzare la crisi economica con questo metodo comparativo fra ieri e oggi.
Di questi quattro però mi è rimasto particolarmente impresso Wild River di Kazan. Non è considerato il suo film più famoso e non credo nemmeno che abbia avuto un grande successo di pubblico. Ma a me è piaciuto perché il tema dell'esproprio delle terre lungo il fiume benché doloroso, è trattato all'interno di un paesaggio pittoresco e grandioso. Come ha fatto notare Esperia, anche il ritmo narrativo è lento e calmo.

Hesperia ha detto...

Ciao Lisa,
direi che sono indecisa anch'io tra Furore e Wild River (Fango sulle stelle).
La lentezza è la cifra narrativa di questo secondo. Una lentezza simile all'andamento del fiume Tennessee, del tutto funzionale al racconto. Un racconto fatto di elusioni (il rapporto tra i due, dove lei è già sicura che lui sarà il suo uomo, ma lui le si sottrae, perché non si sente parte di quel territorio e di quell'ambiente), di sospensioni e di drammi perfettamente inseriti nella natura. La vecchia matriarca muore sì, ma almeno muore nella sua isola sul fiume, anche se non più nella sua vecchia casa.

I vecchi patriarchi di Furore muoiono sradicati e lontani dalla loro casa e dalla loro terra nel viaggio verso una California che non sarà certo un Eldorado. Questa burbera matriarca (Jo Van Fleet) invece, non ha il privilegio di morire nella sua casa poiché la TVA le dà una moderna casetta di ripiego; ma almeno muore nella sua isola. Il suo dramma umano viene smorzato da questa bellezza della natura.

johnny doe ha detto...

Tutti ottimi films....dovendo scegliere (ma è sempre un azzardo) scelgo i più recenti.
Quello tratto da Miller,per lo smarrimento indiduale indotto da certi meccanismi del sistema,e Wall Street sul piano collettivo e per il funzionamento di meccanismi solo intravisti dal grande pubblico,ora abbastanza evidenti e catastrofici per risultati.
Non mi é dispiaciuto nemmeno il seguito di questo,ancor più illustrativo di certi meccanismi finanziari realmente accaduti,sebbene sia un po' melenso,con un Michael Douglas imbolsito e il giovane apprendista stregone,sbiadita controfigura di Bud Fox.

Josh ha detto...

Tornando ai film proposti, come valore filmico i primi per me sono in effetti migliori.
John Ford aveva il pregio di essere epico, tragico a volte, con un senso dell'affresco storico abbastanza unico, con la capacità di riprendere ampie vicende, e inserire ingrandimenti di gesti unici che assurgevano a paradigma.

Anche solo questo aspetto faceva di lui un enorme narratore.

Josh ha detto...

I riferimenti biblici in "Furore"/Grapes of Wrath tendevano ad assolutizzare il racconto, come dire a scolpirlo, a renderlo assoluto.

Questo respiro di epica di un popolo,
in un'epoca dai grandi fatti simbolici, manca un po' negli altri film,
che sono però buoni sotto altri punti di vista, e comunque funzionali al nostro argomento.

E poi in Ford c'è Steinbeck in filigrana...
Sì memorabili sono molte scene:
le tempeste di sabbia, l'esproprio bancario dei terreni, il girovagare, la cacciata forzata, l'America enorme, quasi infinita, spaziosa ma un grande carcere, per cui ostile.

Josh ha detto...

La qustione del non poter portare più con sè nemmeno una piantina o le sementi, nell'esodo di John Ford,
oggi acquisisce un sovrappiù di simbologie:

a proposito del riallacciarsi ad altri post, "la privatizzazione del mondo" attuale è arrivata a mettere le sementi, quindi il proseguo dell'agricoltura nel futuro, in mano solo ad alcuni.
Chiunque vorrà seminare, dovrà pagare una tassa ai "proprietari del brevetto" seme, come se una patata o il rosmarino possa essere inteso come invenzione o proprietà esclusiva di qualcuno...

http://www.repubblica.it/economia/2011/10/25/news/brevetti-23791788/?ref=HREC2-7

(strano che io linki la detestata re pubica, ma questo art. ha un suo perchè)

Josh ha detto...

Differente, ma molto riuscito anche 'Fango sulle stelle' di Kazan, che peraltro è sempre un regista straordinario, un altro grande narratore.

Spesso tratta di situazioni di cambiamento, o meglio di conflitto tra visioni differenti, ideale e reale, un interprete delle età di crisi,
rimanendo critico: a parte i film classici e le sue attività non lontane da notevoli autori letterari,
molto ben fatti anche tra i suoi ultimi, disincantati film:

_il compromesso
_i visitatori

Josh ha detto...

su Schloendorff ho detto...
e l'ultimo, beh...come dire, è cronaca dei giorni nostri o molto recente,
di un modello di vita a mio avviso sbagliato, quello che ha creato questa crisi e il mondo malato che gli Usa sia prima, hanno voluto importare dappertutto, sia , poi ne hanno spalmato la fine ovunque, facendolo pagare/scontare a tutti.

Hesperia ha detto...

Ciao Johnny, è vero che il secondo Wall Street 2, era meno caratterizzato ed è come dici: Gekko imbolsito con tanto di retorica tipicamente americana del "pentimento del malfattore". Il citato "Morte di un commesso..." è vero che è più vicino ai nostri tempi, ma mi accade che i film tratti da lavori teatrali, mi diano un po' un senso di claustrofobia, anche se questa è voluta.

Sposo la linea di Josh e di Lisa. Preferisco quelli più "antichi", forse per il valore di "classicismo" che mantengono.

Hesperia ha detto...

Josh: "E poi in Ford c'è Steinbeck in filigrana...
Sì memorabili sono molte scene:
le tempeste di sabbia, l'esproprio bancario dei terreni, il girovagare, la cacciata forzata, l'America enorme, quasi infinita, spaziosa ma un grande carcere, per cui ostile.".

Verissimo sul paesaggio ostile come un grande carcere a cielo aperto e con queste tempeste di sabbia che rendono "pazzi", come la figura stupendamente tragica interpretata da Carradine, il prete che perde la fede ma che continua a suo modo ad essere un predicatore pazzo.

Di Kazan (un grande ostracizzato dalla political correctness e da quella macchia di collaborazione al maccartismo che mai gli fu perdonata), ricordo lo struggente e lirico "Splendore nell'erba" (ancora ambientato durante la crisi del '29) e "Baby Doll".

Josh ha detto...

di Kazan sono belli in pratica tutti...:-)

aggiungo che oltre alla sua capacità di narrazione di film obliqui, con temi di pungenti, e a volte di affreschi più ampi non senza ambiguità, ha lanciato comunque mezzo mondo di attori....intendo sapeva scegliere facce giuste grazie alla sua stessa attività teatrale (specie i testi di Miller e T. Williams), e anche se provocatorio e di rottura per l'epoca, non era per nulla antispettacolare nè anti business cinematografico:

da James Dean nella "Valle dell'Eden",
a Marlon Brando e Vivien Leigh nel "Tram" di Tennessee Williams,
poi Brando, Karl Malden e Eve Marie Saint nel "Fronte del Porto",
Natalie Wood in "Splendore nell'erba",
fino a Faye Dunaway nel "Compromesso".

beh...erano supercast:-)

Josh ha detto...

@Hesperia :
..."e con queste tempeste di sabbia che rendono "pazzi", come la figura stupendamente tragica interpretata da Carradine, il prete che perde la fede ma che continua a suo modo ad essere un predicatore pazzo."

tornando a Ford:
vero, figura molto suggestiva, sia 100% americana, eppure nello stesso tempo così un "paradigma" di una condizione.

Ah e visto che l'avevi citata, anche Lee Remick era un'attrice straordinaria che ho sempre seguito.

Nessie ha detto...

Lee Remick è a dir poco deliziosa. L'avevo anche vista ne "Il giorno del vino e delle rose" di Blake Edwards e pure ne "La lunga estate calda" di Martin Ritt, due film che esulano dal nostro tema, ma che appartengono a buon diritto a un periodo felice del cinema americano, il quale ora si limita a solenni porcherie a base di effetti speciali.

Di Kazan è da ricordare anche il film autobiografico basato su un suo romanzo "Il ribelle dell'Anatolia" (America America, titolo originale) che certamente conoscerai.

Josh ha detto...

sì, di Kazan ho visto tutto, mi ricordo quel film.

Guarda..Lee Remick non era "bella" nel senso del glamour massimo delle dive del cinema, ma era un'ottima attrice per mestiere e sensibilità, e poi soprattutto per quello sguardo.

Incredibile anche nei '70, più adulta quindi, anche nel "Presagio" (Omen, 76 di Richard Donner)..intendo...riuscire a colpire in un film così nero e terribile...

E anche "Telefon" di Don Siegel. Sapeva essere dolce e materna, come dall'aria innocente ma terrorizzata.

Josh ha detto...

ah Hesperia ...curiosità:

ovviamente "The days of wine and roses" di Blake Edwards (film) era anche una canzone di Henri Mancini:-)

strumentale:
http://www.youtube.com/watch?v=9TpvTEb4BaQ

molto bella anche cantata, ma sul web da linkare non c'è

johnny doe ha detto...

Io mi riferivo non tanto al valore filmico,cioè a livello di critica cinematografica,quanto al senso della crisi che ora stiamo vivendo.
Le opere più vecchie raccontano meglio ,esteticamente emozionalmente e tragicamente...ma un mondo molto meno complesso che non c'è più (pur essendone prodromi)e meno utili alla comprensione di fatti attuali.
In questo senso li preferivo....aggiungerei anch'io To big to fail e,fuori gara, un estratto di Quinto Potere,quando il magnate televisivo spiega al teleimbonitore Peter Finch cosa intende per democrazia,e cioè un governo mondiale delle multinazionali dove esistono solo clienti e non popoli.Magari si dimenticava di dire anche sudditi....

Hesperia ha detto...

Johnny, oggi i classici sulla finanza si sprecano e Hollywood e le sue majors di produzione fiutano l'aria che tira. Anche le tragedie fanno spettacolo: non dimentichiamolo. Da Wall Str. a Hollywood sono sempre l'Oro che alla fin fine si ingrassano. Nel migliore dei casi noi siamo solo gli spettatori che guardano e pagano il biglietto, per la gioia delle loro tasche.

Quarto potere di Welles e Quinto potere di Sidney Lumet sono due ottimi film che però mi pare trattino in particolare dell'industria mediatica e del suo potere di manipolazione. Avremo modo di riparlarne. Comunque è vero che oggi la situazione è assai più ingarbugliata e difficile da descrivere e metaforizzare della crisi del '29. E sarà ben difficile che da questo bailamme si ricavino dei "capolavori". E' già tanto se vedremo dei buoni film.

Hesperia ha detto...

Sì, ricordo questa colonna sonora Josh, e - tié - ti ho trovato anche la versione (o meglio una delle versioni) cantata da Julie LOndon :-)

http://www.youtube.com/watch?v=-q04_ZzAztw&feature=related

johnny doe ha detto...

Beh..Wall Street non é male anche sotto il puro profilo critico-filmico....di Quinto Potere ho riportato solo una scena memorabile ben appropriata a quanto sta succedendo oggi,al di là delle implicazioni mediatiche,e cioè sulla volontà di rendere il mondo governato da una cupola multinazionale economica-finanziaria.....quanto al fatto che siamo noi che ingrassiamo loro anche con i film,che ci vuoi fare,finchè son loro a farli!

Comunque,dipende sempre da chi guarda....non sempre mettere in piazza i propri misfatti é un affare...anche se porta soldi.

Hesperia ha detto...

D'accordo Johnny. Wall Street di Oliver Stone è un buon film, ma non un capolavoro a 5 stelle. E sotto sotto, l'immagine che veicola è quello di una "Borsa cattiva" a cui va contrapposta una "borsa buona"; tratta di trader cattivi e senza scrupoli (Gekko) e di trader buoni (il vecchio trader sotto cui Buddy era alle dipendenze). Tutto questo, è maledettamente americano, a ripensarci bene. Le Bische sono Bische, e in quanto tali vanno chiuse. Ma questo non ce lo dirà mai nessun film :-). Ovvio che i film vanno presi per quello che sono e non possiamo sognarci di vedere dei messaggi radicali nelle pellicole, dato che come dici "sono loro a farli".