giovedì 19 aprile 2012

Tommaso Landolfi, scrittore per pochi


Tommaso Landolfi occupa nella letteratura italiana del Novecento una posizione particolare, quella d’un grande stilista in grado di creare artifici narrativi capaci di inoltrarsi nelle zone di frontiera tra sogno e veglia per restituire il carattere sfuggente e polivalente della vita, cogliendone volentieri le risonanze sinistre, ma in una cifra ambigua che oscilla tra l’ironia e lo scetticismo e che spesso fa pensare a un senso d’insignificanza, a un non voler prendere troppo sul serio la materia stessa del narrare così come non va presa troppo sul serio la vita, dove la sorte dell’uomo non è che una condanna senza scampo e di fronte alla quale, per conseguenza, ogni atto, compreso quello di volerla rappresentare, diventa un gesto futile e quasi inutile. Una frase del diario dello scrittore, intitolato, vedi caso, Rien va, svela con chiarezza il suo atteggiamento verso l’esistenza: “Di vero non v’è se non che lo spirito giace eternamente in catene, poco importa da chi forgiate”. Questo senso di inutilità o d’impotenza si traduce, va da sé, in angoscia, ma un’angoscia di fronte alla quale conviene reagire facendo spallucce e fingendo noncuranza, magari anche una certa dose d’irrisione. Un atteggiamento, questo di Landolfi, che ha avuto una duplice conseguenza sulla sua produzione, riverberandosi sia nel modo particolare di raccontare ch’egli ha sviluppato, sia nel suo rifiuto d’impegnarsi in un’opera di grande respiro come il romanzo. Egli ha infatti scritto solo racconti e prose varie; anche dove il numero delle pagine supera il centinaio (come in Racconto d’autunno), l’ispira-zione e il tono restano pur sempre confinati nella dimensione del racconto. Ma è soprattutto nello stile che vien fuori quel tono particolare di distacco che denota il suo scetticismo e, si sarebbe tentati di pensare, quella sorta d’insicurezza verso il proprio scrivere, se non fosse per il virtuosismo della scrittura, derivante da una conoscenza della lingua italiana talmente ampia da poterne disporre con abilità e creatività inesauribili. Ma si tratta d’uno stile che sembra voglia ricalcare quello d’un altro, come se l’autore non si fidasse della propria voce e avesse bisogno, per esprimersi, di affidarsi (più esattamente, di fingere d’affidarsi) a quella d’un altro. Non siamo quindi sul terreno della parodia d’altri autori, ma su quello della finzione della parodia di autori, che solo vagamente ci rimandano, di volta in volta, a Gogol, a Puskin, a Dostojevskij, a Hofmannsthal, a Edgar Allan Poe, a Kafka e a Stevenson (tutti autori che Landolfi conosceva bene e dei quali spesso tradusse l’opera in italiano). In altre parole, Landolfi, per vincere il suo scetticismo nei confronti della letteratura, ha bisogno, per esercitarla, d’indossare una maschera. Da autore pienamente immerso nella modernità, soffre, insomma, di quella perdita di fiducia nei confronti della narrazione tradizionale come strumento adatto ad esprimere la complessità (o meglio, nel suo caso, l’ambiguità, l’inafferrabilità) dell’esistenza; un po’ come fa Borges, altro narratore caratterizzato da scetticismo verso il proprio strumento e che, nei suoi racconti, s’inventa addirittura l’artificio di far recensire libri immaginari da autori inesistenti.
Scrittore originale e anomalo, dunque, che proprio nella patina d’antico di cui riveste spesso la sua prosa, e nell’uso insistito di vocaboli inattuali, sempre però in chiave ironica e, qui sì, parodistica, e attraverso cui denuncia proprio la diffidenza nei confronti della lingua ormai logorata dall’uso e ricoperta dalla polvere del tempo (cosa che ha indotto taluni critici del passato a definirlo erroneamente, e superficialmente, un “eccentrico ottocentista”) dimostra la sua modernità e attualità. Ma scrittore anomalo soprattutto per il suo rifiuto di concedersi al grande pubblico. Come ha scritto il critico Carlo Bo, occorre, per capirlo, valutare “il dato della sua purezza, della sua impossibilità di confondersi nella storia o soltanto col suo tempo. Criterio che vale per le sue letture, per i suoi scrittori-modello, per la sua retorica che non si è mai accostata agli ismi del tempo, alle mode, alle leggi della tribù… E’ stato il vero solitario della letteratura del nostro Novecento, un solitario cosciente, un volontario dell’isolamento assoluto”. Moravia, suo contemporaneo e scrittore mondano per eccellenza, poteva dire di lui con sufficienza che non otteneva il successo perché conduceva vita troppo appartata. Ma oggi chi ha voglia di rileggere quello che ha scritto Moravia? Mentre la scrittura di Landolfi continua ad attrarre e affascinare chi, nella letteratura, cerca quel piacere insostituibile che ci introduce in un mondo insolito e sorprendente dove tuttavia riconosciamo quella parte di noi stessi che giace nelle fessure del nostro io meno esposto, senza contare il piacere di assaporare una prosa ricca e preziosa che ha il potere di inchiodarti alla pagina. Certo, questo volersene stare appartato, probabilmente per non confondersi con la schiera di scriventi ideologizzati che ha popolato il nostro Novecento, è costato caro a Landolfi, un grande scrittore che ha sempre avuto pochissimi lettori. Ci ha provato Italo Calvino a conquistargli un po’ di lettori curando e pubblicando per Rizzoli, nell’ormai lontano 1982 (Landolfi era morto nel 1979 e in vita aveva pubblicato solo presso Vallecchi, casa editrice marginale e ormai scomparsa), un’antologia dei suoi racconti, Le più belle pagine di Tommaso Landolfi. Ma, come rilevava qualche anno dopo ancora Carlo Bo, Calvino non era riuscito a rovesciare la condizione di scrittore senza lettori di Landolfi. Da qualche anno in qua ha ripreso a pubblicare le sue opere, per tappe successive, l’editore Adelphi, ma c’è da dubitare che questo lavoro encomiabile abbia conquistato a Landolfi un vasto pubblico di lettori; almeno in Italia, paese tuttora afflitto da troppi scriventi privi di talento e altrettanti critici ideologizzati, perché all’estero si sono accorti di lui e hanno cominciato a tradurlo. Perfino un critico esigente e dal palato fine come l’americano Harold Bloom, recentemente scomparso, lo inserisce, unico italiano insieme a Calvino, in una scelta compiuta tra Ottocento e Novecento di narratori d’ogni nazionalità per insegnare a Come si legge un libro (titolo d’un saggio pubblicato nel 2000).
Senza dubbio c’è il Landolfi meno ispirato, la cui produzione soffre talvolta eccessivamente della sua – come definirla? – non completa convinzione rispetto allo scrivere, inteso come gioco futile, sperpero di capacità preziose gettate troppo facilmente al vento e disperse come fumo. E’ questo che può indurre il lettore alla diffidenza e al rifiuto. Ma nei suoi momenti migliori egli è capace di scandagliare magistralmente il cono d'ombra sospeso tra il notturno e il diurno e, addentrandosi nei meandri occulti dell’essere umano, creare una sorta di specchio deformante del suo animo per meglio delinearne i guasti e mostrarci quindi l’uomo contemporaneo in tutta la sua patetica e ormai patologica insufficienza umana.

Dionisio

39 commenti:

Hesperia ha detto...

Landolfi di cui ho letto qualche racconto, si colloca come hai ben scritto nel panorama novecentesco della dissoluzione delle certezze. E' un autore molto raffinato e in epoca di caduta del gusto, leggere Landolfi è sempre un esercizio di buona lettura e letteratura.
Come hai giustamente spiegato Dionisio, "ma oggi chi ha voglia di rileggere quello che ha scritto Moravia? Mentre la scrittura di Landolfi continua ad attrarre e affascinare chi, nella letteratura, cerca quel piacere insostituibile che ci introduce in un mondo insolito e sorprendente".

Landolfi in questo senso rappresenta l'Inattuale sempre proponibile, mentre Moravia troppo magnificato dagli ambienti letterari che sappiamo, ha ormai fatto da un pezzo il suo tempo. Alla fin fine, la troppa fama logora.


Non è un caso che L. attraesse Calvino, che più che un romanziere è un "raccontatore".
Da ultimo se di ciascun scrittore dobbiamo individuare la cifra, direi che quella di Landolfi è la FUGA (anche da sé stesso con quella leggerezza e ironia un po' blasée).

Hesperia ha detto...

OT di carattere tecnico. Raccomando di scrivere direttamente sull'editor della piattaforma e non fare copiaincolla da word o da latre campionature senza aver formattato altrimenti sull'aggregatore del Castello si visualizza così:

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Andare a vedere per credere.

Dionisio ha detto...

Nonostante i suoi molti difetti, la sua noncuranza e ironia un po' blasée come la definisci tu, Hesperia, e che io ho messo in rilievo forse più del dovuto, non bisogna commettere l'errore di considerare Landolfi uno scrittore irrilevante. Benché li abbia letti molto tempo fa, alcuni suoi racconti mi restano nitidanmente nella memoria come tra i più belli incontrati nella mia ampia esperienza di lettore (diciamo meglio: ampia con tante lacune da colmare, e conseguente fastidioso senso di frustrazione). "Racconto d'autunno" è uno di questi (c'è il ricordo vivissimo di Stevenson e di Edgard Poe, ma la cifra è solo e non potrebbe essere d'altri che di Landolfi); ma soprattutto "Lettere dalla provincia" e "La moglie di Gogol" (quest'ultimo indicato anche da Harold Bloom come uno dei racconti più belli del Novecento, non limitatamente solo all'Italia), belli per l'originalità dell'idea, per la genialità e perfezione dell'esecuzione, e per la bellezza e ricchezza della scrittura. Sulla scrittura di Landolfi, Carlo Bo, un critico di quelli di razza (non come i contemporanei!),diceva che Landolfi era lo scrittore italiano dopo D'Annunzio in grado fare con la lingua tutto quello che voleva. E Calvino, nel volume di scritti scelti suoi che curò, aggiunse: "Dell'uno e dell'altro (cioè di D'Annunzio e di Landolfi) di può dire che scrissero al cospetto della lingua italiana tutta intera, passata e presente, disponendone con competenza e mano sicura come d'un patrimonio inesauribile cui attingere con dovizia a con piacere continuo".

P.S. Mi piacrebbe commentassero questo post frequentatori del Giardino come Jonny Doe, per esempio, che una volta ha nominato Landolfi (non ricordo più in che occasione).

Hesperia ha detto...

Sì Johnny Doe è un estimatore di Landolfi. E dato che nel suo blogroll ha linkato il Giardino, vedrai che si farà vivo. Poi sono d'accordo con te, Landolfi non è affatto da sottovalutare, al contrario è da approfondire.
Come del resto anche Manganelli, altro scrittore novecentesco.

Dionisio ha detto...

Per chi non avesse letto niente di Landolfi, suggerisco, tanto per cominciare, "Racconto d'autunno" (romanzo breve o racconto lungo), oppure "Ombre", un volume di racconti dove si trovano i due di cui ho parlato, "Lettere dalla provincia" e "La moglie di Gogol". Credo abbia pubblicato entrambi i volumi la casa editrice Adelphi, e sicuramente in libreria si trovano. Letteratura sopraffina. Vedrete che dopo il primo approccio, vorrete conoscerlo meglio.

Josh ha detto...

Conosco discretamente Landolfi, e il post è uscito bene.

Anche Carlo Bo, citato, è stato forse il critico che l'ha capito di più.

Per esempio il solo fatto che per spiegare e dare qualche traccia del "Racconto d'Autunno" Bo trova una strada nel paragone con Barbey D'Aurevilly, con il suo consueto figurare lussureggiante e stratificato, romantico e gotico ma non solo.
(tsè figurati se lo lasciavo scappare:-))

Si arriva poi solo con il resto delle opere di Landolfi a scoprire che certi nuclei tematici non erano solo occasione di racconto nel "Racconto d'Autunno", ma simboli personali, che ritornano cammuffati più volte anche nelle opere successive,
come la mamma scomparsa, la casa/nido distrutta...

Josh ha detto...

Sullo stile, è stato un geniale sperimentatore.

Cfr. la sua poesia in lingua inventata nel "Dialogo dei Massimi Sistemi".
Portato all'estremo, il concetto sembra dire che la lingua...è comprensibile solo a chi la parla, a chi la compone, ma non agli altri.

Ma anche questo rientra non tanto in un ipotetico aderire ai canoni dell'incomunicabilità, ma ancora nell'impossibilità di decifrazione e scioglimento delle "catene".

Josh ha detto...

p.s. su Moravia:
e pensa che c'è chi non aveva voglia di leggerlo non solo oggi,
ma neanche ieri:-))

Dionisio ha detto...

Su Moravia, Josh: sono riuscito, anni fa (quando ero aperto e disponibile ad arrivare comunque in fondo al libro molto più di quanto lo sia oggi), a leggere un paio di romanzi brevi e li ho trovati non un granché. Ma "Gli indifferenti" e "La noia" non sono riuscito ad andare (anche armandomi d'un certo stoicismo) oltre le prime 40 pagine (e pensare che hanno tratto anche un film da ciascuno di questi polpettoni, anch'essi noiosi ma un po' meno dei libri).
Invece ho ripreso in mano i libri di Landolfi per commpilare il pezzo su di lui e mi sono riappassionato alla lettura, anche di certi racconti che a suo tempo avevo trovato non bellissimi, trovandovi oggi qualcosa che prima mi era sfuggito.
C'è qualcosa in lui, come rileva Hesperia, del dandy ottocentesco un po' decadente (alla Des Esseintes di Huysmans, che tu conosci certamente), ma corretto sempre da un atteggiamento autoironico e da quell'aria in fondo modesta, di chi si propone come artigiano della lingua (o delle parole) senza pretendere di ergersi a maestro, e qui divergendo molto dal D'Annunzio, il cui dandysmo era giocato decisamente sul versante eroico-superomistico.

Sympatros ha detto...

La prosa d'arte non è indicata per il romanzo, che nasce come genere popolare e realistico. La prosa d'arte tende a ciò che stilisticamente è prezioso, levigato e perfetto e perciò spesso preferisce il racconto o comunque il testo breve. Mi sembra forzato mettere in competizione Landolfi e Moravia, sono due atleti che corrono per specialità differenti. Sapete chi è il più grande prosatore dell'epoca moderna, il più grande dopo i greci dell'antichità?…. E' un italiano e non lo dico io, lo dice un grande un grandissimo tedesco, lo dice Nietzsche. Leopardi è il più grande prosatore dell'epoca moderna dopo i greci. Ci fu una edizione einaudi di tanti anni fa, un libretto che raccoglieva tutto ciò che il grande filosofo tedesco aveva detto su Leopardi. Partì con un'ammirazione grandissima, per poi trasformarsi in odio feroce contro il suo pessimismo e alla fine gliene dice di tutti i colori… se la piglia persino con l'onanismo sessuale del povero Giacomino. Ma sulla prosa Nietzsche è geniale… è il primo ad accorgersi della grandezza e della bellezza dello stile delle opere in prosa di Leopardi. In Italia ci vorrà ancora mezzo secolo, prima che se ne accorgessero, tutti presi com'erano ad esaltare la sua poesia. Naturalmente la prosa di Leopardi è prosa d'arte, non è un romanzo!

Dionisio ha detto...

Sympatros, ami la provocazione ma sei privo di finezza. Non ci sogniamo affatto di fare un paragone tra Landolfi e Moravia, perché il primo è un grande scrittore, il secondo uno scrivente per nulla interessante, al quale ha attribuito il successo solo il salotto radical-chic della sua epoca. Il tempo infatti ha reso giustizia, tant'è che oggi nessuno lo legge più. E non eri tu che affermavi che chi ha avuto successo oggi può darsi che domani sparisca? Ricordi quel tale che disse "ai posteri l'ardua sentenza"? Che poi è lo stesso dello stile del quale ti sei incaponito, in altra occasione, a sostenere la difficoltà, mentre io raccontavo che l'ho letto d'un fiato fin da bambino per dire che la sua scrittura non era affatto difficile?
Sei contro il parere altrui sempre e comunque.
Anche qui tiri fuori, incongruamente, Leopardi, che c'entra, secondo il detto popolare, come i cavoli a merenda, solo per esaltare Nietzche il tedesco quale eminente critico letterario perché è evidente che sei un nietzchiano convinto, forse perché ti piace la sua teoria del superuomo che a noi convince poco o punto.
Ognuno, si capisce, è libero di pensarla come gli pare, ma almeno si dovrebbe restare in tema, e non utilizzare il primo argomento che passa in capo per dire: "Io ne so di più", come si faceva da bambini.

Sympatros ha detto...

Moravia non era in tema, c'entrava come i cavoli a merenda e non l'ho messo io a concorrere con Landolfi, siccome la lingua batte dove il dente duole, avete colto l'occasione per dare un po' addosso al sinistro Moravia...ma questo non è un blog di cultura? Per un po' l'avete dimenticato…. io, con un po' di provocazione ho cercato di evidenziare la differenza fra prosa d'arte e romanzo. Manzoni è un autore di stile, ma resta nel genere romanzo. Per rendere più chiaro il concetto ho portato l'esempio più riuscito di prosa d'arte almeno secondo Nietszche e ho parlato di Leopardi….

Una volta c'era il canto gregoriano ad una sola voce, monodico. penso invece che per fare armonia ci vuole la dissonanza, ci vuole... la dissonanza in un blog ci vuole per garantirne l'armonia complessiva, io mi sono accollato l'ingrato compito della dissonanza... sperando di tanto in tanto non soltanto di dissonare ... ma anche di suonarle.. e a volte ne esco suonato! Oh, Dioniso, non ti alterare…. sii un po' dionisiaco che la vita fugge, et non s’arresta una hora, et la morte vien dietro a gran giornate.

Sympatros ha detto...

Detto inter nos, io non leggo molto i romanzi, anzi è da parecchio che non leggo proprio niente. Di Moravia ricordo di aver portato a termine la lettura soltanto di Agostino, che era breve e allora non mi sembrò scritto male. Il resto non mi piaceva e non l'ho letto. Cmq, opinione personale forse dissonante, secondo me il tempo, con le sue fredde ali, spazzerà via sia Moravia che Landolfi! Degli sperimentatori linguistici, abili e raffinati, funambolici, io salverei soltanto il Gadda della Cognizione del dolore…. però non so se il tempo è d'accordo con me o meno!

Dionisio ha detto...

Tanto per la precisione, Moravia è stato tirato in ballo da me perché ebbe la iattanza di sostenere che Landolfi non aveva successo perché non faceva vita mondana come lui, il che era ingiusto, a parte il fatto che la bravura di uno scrittore non si misura dal successo di pubblico,almeno per me, e specialmente oggi che di lettori buoni se ne vedono pochini in giro. E poi, certo, Moravia è uno scrittore mediocre (sempre a mio avviso) in quanto scrittore, non perché simpatizzasse per la sinistra, e quindi ho sottolineato che mentre i libri di Landolfi continuano ad interessare, almeno chi le lettere le ama e sa distinguere un po' tra ciò che e buono o ottimo e tra ciò che è non buono, quelli di Moravia non li legge più nessuno e quindi il suo successo si è rivelato, rra l'altro, effimero.
Quindi non deformare il pensiero e le intenzioni altrui, il che mi sembra il minimo di correttezza da pretendere a chi legge le tue cose.
Quanto al fatto che il romanzo debba essere per forza popolare e richieda uno stile secco o simil secco, mentre il racconto debba esser lirico o simil lirico, è opinione contraddetta da molti esempi ed è, a parer mio, un luogo comune.
Detto questo, non mi altero affatto, anzi mi diverto a sottolineare il tuo voler essere a tutti i costi "contro" e ad atteggiarti a maestro, quando poi ammetti di non frequentare più la letteratura da tempo. E, per inciso, di Leopardi ammiro grandemente la poesia, ma la sua prosa, nonostante il parere di Nietzsche, non mi manda in estasi.

Sympatros ha detto...

Detto questo, non mi altero affatto, anzi mi diverto

Beh sono contento di aver contribuito al tuo divertimento…. un contributo senza costi e pur esso divertito… però però mi rimane il dubbio che ti eri un po' alterato…. cmq alla prossima, non costosa, garantita e obbligata dissonanza!

johnny doe ha detto...

Eccomi Hesperia...purtroppo ero alle prese con ben altri argomenti su questo miserabile governo e soci,tanto da trascurare il Giardino.

Aggiungo poche note al post che ha mirabilmente colto lo spirito e le qualità landolfiane.

Spirito libero e aristocratico,(come lui stesso si definì in LA BIERE DU PECHEUR ,il mio preferito),dal linguaggio elaborato, simbolico e raffinato e non per tutti.
Landolfi non fu mai legato ad alcuna ideologia e rappresentava quindi soltanto se stesso.
Fuori dagli schemi, e come nel post rilevato,con un’ambizione poetica dirompente ma al tempo stesso messa a tacere, forse per l’oscuro timore – evocato in un racconto del 1937, "Night must fall»" – che a lasciarsi andare «ne sarebbe venuto fuori qualcosa di troppo bello ... e allora tutto sarebbe finito e riprecipitato in una voragine senza fondo».

Com'è sempre suggestivo e piacevole leggere questo Mister Illeggibile,come qualcuno l'ha chiamato,lontano da ogni fritto e rifritto minimalismo!
Già l'aveva capito Calvino (Le più belle pagine) nel 1982 e financo Battiato che nel 1989 cantava:

Mi piacciono le scelte radicali
la morte consapevole che si autoimpose Socrate
e la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
la vita cinica ed interessante di Landolfi
opposto ma vicino a un monaco birmano

Gratuità e futilità dell'esistenza,come il gioco (lui incallito giocatore),a cui si mescola pure l'insensatezza della scrittura (mirabile Bière du pecheur) che cerca un ordine,un fondamento della realtà che non trova e che forse non esiste nemmeno.
Un succedersi fortuito di circostanze casuali,fuori dal controllo della razionalità,come lo stesso Calvino rilevò in "L'esattezza e il caso".

Il Nostro cercò quasi ossessivamente di conciliare la letteratura con il mondo, la vita con la scrittura, consapevole di quanto fosse disperata questa impresa.

Manganelli (un altro fuori schema) lo definì "scrittore notturno,bizzarro abitatore degli anfratti della retorica,scrittore da grotte,favolatore di astri,di cunicoli,zoologo di animali mostruosi e cosmici,botanico di veleni rari e nobili" .
La più bella definizione mai data di Landolfi.

Un amico mi disse che sarebbe piaciuto a Carmelo Bene (altro non intruppato).
Ebbene,durante le pause della programmazione del Caligola,a Roma,dice un giovane CB:
"non frequentavo ancora i letterati,ma mi piaceva ascoltar le loro conversazioni nei caffè di via Veneto...Mi deliziava sentir Landolfi che sfotteva Montale..."

Sempre un amico: "... funambolico, fatato, beccamorto e trafugatore di sé stesso. Landolfi è stato un trafugatore proprio, oltre a un cinico dissipatore di bluff. Delle volte proprio nun c'ha vogglia... e lascia tutto a metà, e lo fa finire, come una pallottola che si sgonfia appena scita dalla canna"

Io son della parrochia di quelli che per prima cosa guardano lo stile di scrittura per continuare a leggere,poi quello che ha da dire.Fortunatamente,spesso chi ha qualcosa da dire sa anche scriverlo in un certo modo tutto suo e irripetibile,come Landolfi,per tanto tempo dimenticato in favore di molti scrittori da ombrellone.
Purtroppo,la letteratura é altra cosa dallo svago o dal carino,é un percorso di vita,occorre sudarsela in molti casi,vedi Joyce,Céline,Manganelli,Proust,Cechov,Beckettt,lo stesso Landolfi.
Poi ci sono i miracoli di Tolstoi e Fedor che mettono d'accordo tutti.

A proposito di Russi,si vedano anche le traduzioni landolfiane di Leskov,"Il viaggiatore incantato", e i "Racconti di San Pietroburgo" di Gogol, mirabilmente rese con il suo italiano "fatato".

.

johnny doe ha detto...

...Leggo di improbabili paragoni o confronti con Moravia...avrei da sbizzarrirmi sulla qualità letteraria dei due...uno scrive,l'altro inventa...ma é meglio che taccia perchè son troppo di parte...

Questa gente dobbiamo frequentare,i solitari,gli ospiti inquietanti,seducenti e pericolosi,amanti degli stravolgimenti,ironici,incuranti di mode e tendenze,sempre sull'orlo di un precipizio in cui non cadono mai.
Il precipizio del banale.

Parlerei per ore di questo mio amatissimo jongleur e compagno di tante ore...

Un grazie ad Adelphi.

Dionisio ha detto...

Iohnny doe, grazie del bel commento, col quale concordo in tutto. Mi riconosco poi in pieno nel passo in cui dici: "Io son della parrochia di quelli che per prima cosa guardano lo stile di scrittura per continuare a leggere,poi quello che ha da dire.Fortunatamente,spesso chi ha qualcosa da dire sa anche scriverlo in un certo modo tutto suo e irripetibile,come Landolfi,per tanto tempo dimenticato in favore di molti scrittori da ombrellone... la letteratura é altra cosa dallo svago o dal carino,é un percorso di vita, bisogna sudarsela in molti casi".

Su manganelli, poi, medito di scriver qualcosa prossimamente. Devo prima rileggermi alcune cose, perché forse da più d'un anno non ho più (ri)letto niente di suo (già sento i lettori casuali di libri che diranno: "Questo è matto, rilegge più volte gli stessi libri").

Dionisio ha detto...

Avevo trascurato il Landolfi traduttore. "Il viaggiatore incantato" di Leskov l'avevo letto (roba di venti anni fa) in altra traduzione e l'avevo trovato noioso. Poi l'ho trovato nella traduzione di Landolfi e sono rimasto incantato. Ragazzi, era un altro libro! Da lì e poi da altri esempi (sempre dal russo, Isaak Babel tradotto da Franco Lucentini e Renato Poggioli o Tolstoj tradotto da A.Villa sono ben altra cosa rispetto alle traduzioni più recenti) ho capito che si deve stare attenti al traduttore, quando leggiamo libri restituiti da altre lingue. Perfino un Maupassant, che non ha una scrittura particolarmente elaborata, tradotto da un cane diventa scipito e insulso.

johnny doe ha detto...
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johnny doe ha detto...
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johnny doe ha detto...

@Dioniso

direi che in certi casi il traduttore é di capitale importanza,come ad esempio per Céline o il Miller dei Tropici.Qui Bianciardi ha fatto uno splendido lavoro.Concordo su Poggioli,ottimo traduttore anche di versi russi.
Volendo spigolare poi,nella poesia diventa determinante il dicitore,l'interprete...dato che a mio avviso andrebbe detta più che letta.
Sentire Carmelo Bene interpretare (e non recitare) Majakovskij capisci immediatamente il tono che lo stesso poeta (instancabile interprete dei suoi versi)intendeva dare alle sue composizioni che nella lettura sono quasi lettera morta di fronte alla rappresentazione che ne dà Carmelo.

Ricordo anche i versi di Landolfi,da poco ripubblicati,Viola di morte...
per la verità lo preferisco nei racconti e specialmete nelle opere diaristiche.
Saluti

johnny doe ha detto...

Rispondendo ad alcune considerazioni di Sympatros, prosa d'arte a parte,vorrei dire che lo stile di scrittura si può semprer mettere a confronto sia che si tratti di racconti o romanzi.La propensione all'uno o all'altro genere poi,credo dipenda da altri fattori più legati al carattere individuale del modo di pensare,più che da uno stile predefiito per i generi.Così come Nietzsche era più portato alla scrittura aforistica asistematica e invece un Hegel a quella sistematica.Già tra un Platone ed un Aristotele c'è una grandissima differenza di stile.
Poi ci sono i casi in cui lo stile si esprime identico nei due ambiti.In Céline della Trilogia (e in parte di Morte a Credito) ,lo stile é lo stesso dei pamphlets e delle opere più brevi.
In sostanza,resto dubbioso che ci sia uno stile adatto ai romanzi e uno ai racconti brevi.

Quanto a Leopardi,come sostiene Nietzsche,io non lo vedo poi un gran prosatore.Pensatore profondo si,ma lo Zibaldone non é certo un esempio di grande prosa.La colpa non é certo sua,perchè aveva a disposizione un linguaggio burattinesco erede estenuato di cinque secoli di petrarchismo,mentre ad esempio i francesi del settecento avevano già un linguaggio perfettamente formato,ancor oggi attuale.Nello stesso periodo di Leopardi scriveva Baudelaire,e la differenza linguistica balza subito all'occhio.Un linguaggio moderno ed uno arcaico.
Avessimo seguito le invenzioni,la moderntà del linguaggio dantesco,forse la lingua italiana avrebbe preso un'altra piega.Prosatore più limpido e migliore credo sia stato in definitiva Manzoni più che Leopardi.
Ancora a fine ottocento-primi novecento ci troviamo di fronte ad un linguaggio pascoliano e carducciano francamente un po' ridicolo.Se poi pensiamo alla prosa rimbaudiana della Saison di trent'anni prima,c'è da nascondersi.
Credo che il primo romanzo scritto in un linguaggio moderno sia stato Il Piacere dannunziano,linguaggio molto diverso dalle sue opere poetiche.Ma posso sbagliare,non avendo ora presente tutto il panorama letterario dell'epoca.

Sympatros ha detto...

L'accezione di prosa d'arte e lo stesso lusinghiero giudizio di Nietszche si rivolgono ad un lavoro per-fetto, cioé fatto completamente, cioé finito, in cui la cura espressiva ha la stessa importanza del messaggio ideologico da veicolare. Quindi non lo Zibaldone, ma le Operette Morali. La lingua…. è "morta" ed è l'erede di una lingua che non è stata mai "viva", lingua letteraria che nei secoli non ha mai avuto il complesso della democraticità ed è passata indenne da Cicerone a Boccaccio e da Virgilio a Petrarca e grazie o purtroppo alla politica e al predominio del Bembo impedirà il sorgere in Italia di una lingua parlata che sia pure letteraria.
Leopardi usa in maniera magistrale questa lingua aristocratica, morta, letteraria, da biblioteca, sia perché è l'unica che conosce e sia perché non deve scrivere romanzi. Il problema l'avrà Manzoni e la cultura e la politica post-unitaria. Nietszche ammira Leopardi perché scrive in "latino moderno", cioè l'italiano rinascimentale, ma con lo stile dei greci. Certo ognuno è libero di pensarla come vuole sul giudizio estetico di Nietszche su Leopardi. Cmq la raffinatezza filologica di Nietszche e l'intuito estetico sono fuori discussione… stupendo il giudizio sulla poesia e la mediocritas di Orazio, Certo né Leopardi e né Nietszche avevano la consapevolezza che il mondo letterario sarebbe andato in tutta altra direzione, l'aveva invece capito Hegel che definirà il romanzo come l'epos, la moderna epopea borghese. Cmq non ciò che è "morto" è brutto, Leopardi ha scritto le Operette e anche le sue poesie in una lingua defunta, ma è stata in grado di vivificarla e a modo suo di renderla comprensibile, suggestiva e lineare!

johnny doe ha detto...

Non si tratta di brutto o bello,ma di linguaggio aderente al tempo o meno.Che senso avrebbe oggi scrivere sonetti stilnovisti.La lingua é uno strumento vivo,al passo coi tempi.
Appunto,Leopardi usa una lingua da biblioteca,anche nelle Operette Morali.Io credo che Nietzsche in fondo più che altro ammirasse Leopardi per il pensiero (almeno agli inizi,prima di ripudiarlo insieme a Schopenhauer in nome del nichilismo attivo) e non tanto per il suo stile,stile che lui si guardò bene dall'usare poi nello Zarathustra.
Caso mai poteva ammirare il Leopardi come collega filologo,e comunque indirettamente da scritti tradotti.Non credo fosse in grado di apprezzare più di tanto la lingua italiana.
Declinò infatti la traduzione delle Operette con queste parole: "Io personalmente, infatti, conosco troppo poco l'italiano e, sebbene filologo, non sono in generale un linguista"
Anche Overbeck : "Dopo gli anni trascorsi sulla Riviera, le sue nozioni di francese e di italiano erano rimaste quanto mai scarse".
Quindi,non mi fiderei tanto dei suoi giudizi sulla lingua italiana e sullo stile leopardiano.
Penso che N. considerasse L.come un fossile linguistico vivente,mentre lui aveva in mente l'avvenire.

La definizione che qui dai di prosa d'arte é a mio parere un po' limitativa,é quello ma anche altro di più,e non mi pare improntata a grandi messaggi ideologici,ma più che altro estetici.Non farei entrare McLuhan in questa questione.

La lingua italiana é stata viva con Dante,e solo in parte con Boccaccio.Forse anche con qualche poeta minore.
Il bivio continuo a vederlo nella scelta accademica del petrarchsmo,via via sempre più artificioso e scollato dai tempi.

Dici "Certo né Leopardi e né Nietszche avevano la consapevolezza che il mondo letterario sarebbe andato in tutta altra direzione...",beh poteva forse intuirlo Nietzsche, in fondo l'epoca del romanzo era già da un pezzo cominciata...

Per chiudere,vorrei notare la posizione antitetica di Manzoni E Leopardi circa la lingua.
Il primo avvalorava l'idea che l'italiano fosse il vero erede del greco e del latino,il secondo invece,più realistico,era pronto a buttare via tutto il retaggio classico per avviare una nuova letteratura.

Non é questione di pensarla in un modo o nell'altro,la questione é che i giudizi estetici di N. su L.sono alquanto inattendibili.

Sympatros ha detto...

La lingua é uno strumento vivo,al passo coi tempi.

Per essere giusta questa frase dovresti aggiungere ADESSO, dopo romanticismo, naturalismo, civiltà di massa, liberalismo e socialismo…. non è stato sempre così… ho fatto già riferimento al Bembo. All'inizio del '500 si stabilisce di scrivere nella lingua del trecento e la lingua viva e al passo coi tempi di Machaivelli, e per me interessantissima, non avrà seguito. Io ho parlato di filologo e di intuito estetico finissimo di Nietszche… non c'è bisogno di saper parlare latino per gustare ed emettere un giudizio estetico sulla poesia di Orazio o conoscere alla perfezione l'italiano per giudicare stilisticamente le operette morali.

Sympatros ha detto...

Ho la vaga impressione che ci sia una sorta di malinteso. Apprezzare il giudizio di Nietszche su Leopardi, apprezzare la linearità della lingua classica di Leopardi, non in sintonia coi tempi, non significa affatto attestarsi su una posizione reazionaria passatista e rinnegare il nuovo…. su Manzoni ho espresso giudizi di fortissima ammirazione in altri post. Per paradosso però arrivo a dire che se ci fosse ADESSO qualcuno in grado di scrivere in una lingua, non al passo coi tempi, di scrivere e scrivere bene, non avrei alcuna difficoltà ad apprezzarne e a riconoscerne i meriti. Ma la lingua non è al passo coi tempi… e chi se ne frega!|

Dionisio ha detto...

C'è evidentemente un malinteso in queste ultime battute tra voi, Johnny e Sympatros. E' giusto quello che dice Sympatros (eh eh, carissimo, stavolta ci troviamo d'accordo) a proposito di una scrittura che risulti bella e quindi apprezzabile pur non risultando al passo con la lingua attuale (peraltro divenuta molto più povera, anche tra coloro che scrivono, rispetto a quella del passato). Vi siete inoltrati entrambi su un sentiero che vi ha portato fuori rotta. Ma come! Abbiamo appena detto che amiamo Landolfi perché, oltre che per la sua capacità di inoltrarsi nelle zone oscure dell'animo umano e di estrarne gli aspetti bizzarri e inquetanti, senza però dargli un peso eccessivo, anzi risolvendo tutto in gioco e spesso in burla, è capace di usare la lingua italiana trascorrendo da vocaboli e stilemi antiquati o desueti a modi e gerghi attuali come nulla fosse,creando quel pastiche che risulta spesso irresistibilmente sarcastico o almeno ironico verso l'oggetto del narrare come la stessa narrazione, tanto che taluni critici superficiali del passato lo avevano definito, come ho già rilevato, un bizzarro ottocentista?
Personalmente gli scrittori che amo di più sono proprio quelli che usano la lingua senza farsi intimidire dal fatto che vocaboli e giri di frasi siano caduti in disuso, specie quando dimostrano di saper usare benissimo anche i modi attuali tra cui anche quelli popolari (un altro che lo faceva in modo magistrale era Yoice, per esempio, come del resto il nostro Manganelli).

Dionisio ha detto...

Ho dimenticato Gadda, che addirittura mischia l'italiano più raffinato al gergo burocratico e perfino al dialetto (anzi, più dialetti).

Sympatros ha detto...

Certo non era in grado di tradurre un'opera da dare alle stampe dall'italano in tedesco, ma santo iddio era in grado di leggere capire e gustare Leopardi. Le operette e le poesie mica erano state tradotte….. Le ha lette e gustate in Italiano. Nietszche ha letto Leopardi in italiano e l'ha capito molto bene e lo conosce molto bene

Leopardi è l'ideale moderno di filologo; i filologi tedeschi non sanno fare nulla

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La fine dei filologi-poeti è dovuta in buona parte alla loro depravazione personale. La loro stirpe ricresce più tardi: Goethe e Leopardi, ad esempio, sono fenomeni di questo genere. Dietro di loro lavorano i semplici filologi-eruditi. Quest'ultima stirpe prende inizio con la sofistica del secondo secolo
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Chi puo' mettere …. un Tedesco accanto a Leopardi?
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allora Goethe e Leopardi ci appaiono come gli ultimi grandi epigoni dei filologi-poeti italiani

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(su Isocrate) Il più grande prosatore del secolo, Leopardi, l'ha tradotto e s'è formato su di lui, egli che poté dire, essere la bella prosa di gran lunga più difficile dei bei versi; la poesia rassomgliare a una figura di donna magnificamente abbigliata, la prosa a un corpo nuso.
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Raccomando di coltivare lo stile greco, in luogo di quello latino, con riferimento soprattutto a Demostene. Semplicità! Tenere presente Leopardi, che è forse il più grande stilista del nostro secolo.
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E mi fermo alle prime pagine del libro. Nietszche dimostra abbondamente di aver letto, capito, gustato stilisticamente la prosa di Leopardi e di averne apprezzato il pensiero, almeno in una prima fase!

Hesperia ha detto...

Già Dionisio, anche Gadda è un grande sperimentatore. E non solo della lingua che usa con grande libertà mescolando abilmente dialetti, vernacoli, forme gergali all'Italiano, ma delle strutture narrative. O meglio, Gadda, è un sublime destrutturatore. Ci ritorneremo.
Interessante la querelle (si fa per dire) tra Sympatros e Johnny.

@Johnny Doe su Rimbaud, poeta che conosco per averlo approfondito in lingua originale. Il suo motto "Il faut absolument etre modernes" aveva un senso nel suo tempo. Se capitasse nel nostro direbbe "Il faut absolument etre anciens", visto che il progresso ci ha portato ai punti che sappiamo.

Personalmente mi sento "à rebours" e anche questa la considero libertà.

johnny doe ha detto...

@sympatros

Dici " non c'è bisogno di saper parlare latino per gustare ed emettere un giudizio estetico sulla poesia di Orazio o conoscere alla perfezione l'italiano per giudicare stilisticamente le operette morali."

Non é che sia molto d'accordo con questa asserzione.Nietzsche comunque conosceva più latino e greco che l'italiano.

Accanto ad una lingua accademica,c'è sempre stata una lingua viva,l'esempio di Machiavelli lo conferma,il fatto é che a differenza di altre nazioni,l'Italia ha fatto una scelta sbagliata.
Ma hai presente certi versi danteschi,addirittura popolareschi e di grande efficacia nella Commedia? Già nel Duecento avevamo una lingua al passo coi tempi!

Tu puoi apprezzare anche il babilonese,ma qui stiamo parlando di letteratura non di ricerca filologica.
Ripeto,tu puoi ammirare (come pure io d'altronde)i sonetti stilnovistici,ma in poesia o letteratura che senso avrebbe oggi?.Questa vive di continua ricerca sul linguaggio e sullo stile.Almeno per i grandi innovatori.

Ma non ti accorgi che tutte le citazioni di N.parlano di filologia,che nulla c'entra con lo stile narrativo? Lui stesso dice che non era un linguista!
Non é che N. le abbia poi beccate tutte a livello estetico,e certo non con Leopardi stilista del secolo.

@dioniso

Usare parole desuete,preziose,una bella scrittura....non vuol necessariamente dire avere stile.Nel caso di Landolfi ad esempio, é ben altro,come tu stesso noti.Non é certo una lingua accademica,morta!
Non riesco a comprendere come in letteratura,romanzi,racconti,poesiesi possa scrivere con una lingua del passato,se non per esercizio ironico (Landolfi) o accademico.
Gadda é tuttaltra cosa,era uno sperimentatore,inventore di parole,un jongleur della lingua,ha creato uno stile...nulla a che fare con una lingua letteraria o accademica,ma viva,dinamica,nuova.
E' questo che conta in letteratura.

@hesperia

Tu apri un altro capitolo,che più che alla lingua si riferisce alla povertà letteraria italiana attuale ed a considerazioni d'altro tipo.Non é qi il caso di fare un discorso sulla modernità in generale.
Il "bisogna essere moderni" rimbaudiano va inteso come una continua ricerca sulla lingua(lui era un poeta,non un sociologo),cosa che ha sempre senso per uno scrittore.Che poi non ci riesca,é altra cosa.

La ma visione della letteratura é in primis quella della ricerca linguistica,che porti ad uno stile nuovo,personalissimo in grado di interpretare e sintonizzarsi col mondo in cui vive, coi suoi aspetti positivi e negativi,poco importa.

Così han fatto i veri scrittori Joyce,Beckett,Cèline,Proust...per citare i pù rappresentativi.Il linguaggio,lo stile usato era già una rappresentazione del mondo in cui vivevano,prima del contenuto.

Forse il malinteso é dovuto al fatto che a me poco interessa una scrittura che risulti bella (e già qui bisognerebbe definirne il significato),quanto una scrittura che risulti innovativa,creativa,non imitativa.
Sempre parlando di letteratura.

Sympatros ha detto...

Uelà Jonny chiudiamola qua, ma stai attento a non prendere una cantonata…. filologo, nel nostro caso, è da intendere nel senso etimologico, come amante della parola, come uno che accarezza la parola, la leviga… la stessa accezione di dicti studiosus che Ennio, riferendosi all'arte della scrittura, dà traducendo il greco filologo. E che Nietszche si riferisca a questa accezione basta guardare l'accostamento con Goethe. Cosa a che a fare Goethe con la filologia normalmente intesa? Niente. Goethe è filologo, amante della parola, scultore della parola. Nietszche ama la prosa di Leopardi, lo ama per il modo come tratta la parola e la frase, lo ama per la semplicità di tipo greco che la contraddistingue. E, visto che ami Dante, più non ti dico e più non ti rispondo !

Sympatros ha detto...

Naturalmente ho dimenticato di mettere tra virgolette la citazione dantesca…. ma avrete capito che non rispondo più a Jonny non perché ami Dante, il sommo Dante che è, a suo modo, anche lui dicti studiosus, cioè filologo!
Studiosus, specie nelle forme arcaiche, vuol dire amante, studiose avv. vuol dire con zelo con amore con passione!

Dionisio ha detto...

Dico un'ultima cosa sugli equivoci e poi la finiamo perché qui si finisce a parlare di nulla, come Mercuzio.
Mi fai torto, torto assai, caro johnny, a pensare che per "bella" io intenda una scrittura semplicemente corretta e piacevole. E' evidente che parlo di stile, che può scaturire ANCHE dalla capacità di usare la lingua usandone tutte le risorse e spaziando quindi dall'antico al moderno (dove si può, volendo, usare anche l'aborrito gergo dello SMS, perché no se lo si fa per ironizzare appunto sull'impoverimento attuale della lingua?), come fa per l'appunto Landolfi e come fa D'Annunzio, che sono stati i migliori in questo in tempi recenti.

johnny doe ha detto...

Vabbè...

marshall ha detto...

Nel Tg1 di questa sera, ho sentito nominare di Tommaso Landolfi, e del suo paese natio Pico, in Ciociaria.
Quale sia stato l'argomento non l'ho sentito, ma il fatto che lo scrittore sia di origini Ciociare, come i miei avi, me lo ha reso simpatico. Ho dedicato alcuni post a questa terra.

Breccia ha detto...

Landolfi è uno dei grandi solitari della letteratura italiana. Gli scritti della prima parte della sua carriera sono un dissociarsi più o meno involontario dalle correnti che tenevano banco all'epoca. Esempio: era quasi modaiolo il romanzo di formazione nel quale un protagonista adolescente aveva varie iniziazioni esistenziali. Ebbene Landolfi ne fornisce un suo personale contributo con La pietra lunare. Racconto d'autunno giunge in un momento in cui la guerra era perlopiù raccontata con precise funzioni d'impegno politico militante. Cancro regina è fantascienza filosofica rimasta unicum in Italia. Mi viene da accostare Landolfi soprattutto per il Mar delle blatte a Savinio come figura di grande giocatore e scommettitore del l'insignificanza surreale...

Hesperia ha detto...

Mi spiace che tu abbia dovuto aspettare tanto in moderazione, ma questo blog l'ho un po' abbandonato, dato che non viene molto frequentato come quelli politici. Comunque meglio tardi che mai.