mercoledì 10 aprile 2013

Pittura tra 2 Guerre a Forlì

Dal 2 febbraio fino al 16 giugno 2013,
presso i Musei di San Domenico a Forlì, ancora grande Arte del Novecento con la mostra “Novecento. Arte e Vita in Italia tra le due guerre”.

(Gino Severini, "Maternità", 1916) uno dei dipinti più intensi e rappresentativi, sul miracolo della vita e della maternità stessa, sospeso tra alone magico, semplicità disarmante e realismo quotidiano, nell'unione tra stilemi classici e modernità.

L'esposizione copre lo spazio di quasi un trentennio, dalla fine del primo decennio del ’900 alla II Guerra Mondiale, e si tratta di una delle meglio riuscite e più coraggiose su questi temi e periodi.
Il fulcro dell'esposizione si situa naturalmente tra gli anni '20 e '30, arricchiti di numerose connessioni e agganci.
Attraverso il percorso ideale delle opere esposte si nota il susseguirsi di tendenze,  movimenti, avanguardie, protagonisti: il tutto non è organizzato secondo uno stretto percorso cronologico, ma per temi.

(Cagnaccio di San Pietro, Donna allo specchio, 1927)

Oltre all'arte in sè quindi, emerge anche un senso della vita, uno studio della percezione delle cose d'allora, con notazioni storiche e di costume di quegli anni, che arriveranno a condizionare cinema, moda, arti grafiche e decorative.

(Marcello Dudovich, Esposizione Rhodia e Albene)

Mentre si assiste a questi testimoni d'arte, si fa strada l'idea che il Novecento,
rispetto ai secoli precedenti, o a confronto in particolare col ricco e articolato "lungo" Ottocento, sia stato un secolo breve, o almeno veloce, e che si è bruciato in fretta, eppure ...sono sempre 100 anni.

(Enrico Prampolini, Dinamica dell'azione -Miti dell'azione, Mussolini a cavallo-, 1939)

A spostarne la percezione sono state proprio le 2 grandi Guerre, la stessa velocità (il cui mito fu uno dei capisaldi anche del Futurismo...fatto proprio poi diversamente dall'industria, dalla tecnologia, dalla modernità imposta alle masse in seguito, nell'era "democratica"). Poi il dopoguerra, con la "pace" e gli innamoramenti per varie altre ideologie, con numerose tappe destrutturanti delle più o meno reali "rivoluzioni".

(Arrigo Minerbi, "La Vittoria del Piave", 1917, una sorta di Nike marziale e dai volumi muscolari sottolineati e tesi come gli atleti dello Stadio dei Marmi)

Se fino al 1914 sembrava diluirsi pigramente all'infinito la Belle Epoque ottocentesca, con la sua sognante illusorietà ed evasione, presto i fulminei ribaltamenti bellici originano conseguenti cambi nella percezione degli anni 20 e 30.
Certo, seguono poi la II GM con le sue tragedie. E dopo ancora, dagli anni 50, 60, 70, 80...un continuo cambio del sentire e di prospettiva del reale.

Massimo Bontempelli, quando nel 1926 fondava la rivista “900” scriveva: “Il Novecento ci ha messo molto a spuntare.
L’Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che un poco dopo la guerra”.



Gli anni 20 e 30 all'interno di questo divenire hanno alcuni capisaldi che li rendono quindi unici, eppure non immobili nemmeno in se stessi.
Tra le opere che solo apparentemente non c'entrerebbero con la mostra, ecco rispuntare l'anonimo della "Città ideale" di fine 1400 (sopra) _che già citammo QUI_,
quasi a sintetizzare l'anelito all'ideale, che però proprio negli anni '20 e '30 si cercherà a fondo,
in parte nel richiamo alla classicità, al Romanesimo, ma anche al Quattrocento e alla loro rilettura nel Razionalismo, con quanto di utopico, pionieristico ma anche geniale c'era nell'unire classico, eredità del passato, geometria funzionale, ricerca dei materiali e delle forme (cfr. sotto, Palazzo della Civiltà Italiana, di Giovanni Guerrini e Ernesto Lapadula).


L'utopia architettonica della città è sempre legata all'utopia del pensiero, nel senso più ampio e in vista della progettazione di una società.
E'/era voglia di crescere, di costruire. Voglia di fare, di significare, di metter mano, nel segno della fiducia e consapevolezza nell'essere se stessi.
Oggi invece non più:
infatti, diversamente, siamo privi di unità progettuale, quanto di idea compiuta/intento comune, e simbolo condiviso nella realizzazione della città e dell'ambiente,
così come siamo privi di "Nazione",
la quale anzi (parole per es. del Pres. Napolitano, quanto di Monti e delle elites europeiste) "deve obbligatoriamente cedere progressivamente sovranità" a progetti extranazionali ed eterodiretti. (sic, ripetuto centinaia di volte nei mesi/anni scorsi)

Anche solo questo breve confronto lascia intendere come quella qui descritta fosse l'ultima grande forma di arte unitaria italiana, massima unione di Classico e Moderno.
L'ultimo Antico e il primo vero Moderno nostro, anche.
Dialogo, in certi casi, tra Arte, Manufatto e prima Industria d'alta classe, ancora.
Poi...più nulla o quasi.


(Cesare Maggi, "Italica Gens" 1941)

Forma e Radice, e non solo...
che sarà poi bruciata, spogliata, spersonalizzata, snellita e resa geometricamente seriale e priva di aura dal nuovo design dopo gli anni 50-60, sposato all'industria di massa dei decenni successivi.

(Marcello Piacentini, Sedia per la casa di F. Sarfatti)

Per questo nell'esposizione s'incontrano architetti, pittori e scultori, ma anche designer, grafici, pubblicitari, ebanisti, orafi, creatori di moda d'allora: per significare cioè un progetto comune che in una revisione del ruolo dell’artista, si dirigeva verso una sorta di “ritorno all’ordine”. Ma tutto avveniva in una osmosi amica tra svariati campi del sapere.

(Massimo Campigli, "Zaino in Spalla", 1927, marziale-geometrico che risente ancora della volumetria cubista)

Il desiderio di ritorno all'ordine trae origine dalla crisi delle avanguardie storiche, dalla fine del Cubismo e del Futurismo, considerati espressione di un processo di dissoluzione dell’ideale classico, iniziato effettivamente con il Romanticismo e accentuato con l’Impressionismo e movimenti come Divisionismo e Simbolismo, i quali hanno dato risultati sì anche splendidi ma del tutto anticlassici.
Va inteso che il ritorno all'ordine non deve esser letto come "guardare indietro" in maniera sterile e non come semplice ritorno al passato, ma come ripresa di canoni ritenuti adatti alla realizzazione di una concezione: Plasticità solida, anche, con uno sguardo al passato, ma inserita nella temperie (allora) attuale.
“Una solida geometria di oggetti, una nuova classicità di forme”, per Carlo Carrà, mentre De Chirico sul ritorno della figura umana affermava: “Pictor classicus sum”.


(Giorgio De Chirico, "Piazza"-"Souvenir d'Italie", 1925; Avevo cominciato a dipingere soggetti”, sostiene de Chirico, “ove cercavo di esprimere quel forte e misterioso sentimento che avevo scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane”. Ma anche mistero, staticità tra statue e palazzi dalle prospettive che inviano alle architetture di Firenze, Torino, e alla Città ideale del Rinascimento, in vista dell'utopia architettonico-razionale) 
La ritrovata armonia tra tradizione e modernità era evidente con alte punte creative in particolare nell'opera di Felice Casorati, Achille Funi, Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt (già trattato qui) e Arturo Martini – e avrà, grazie allo spirito critico e organizzativo di Margherita Sarfatti, l'appoggio del regime che voleva un’arte di Stato. I regimi dittatoriali europei d'allora utilizzeranno anche a fini propagandistici il linguaggio classicista di questi artisti, ma la loro arte non può più essere censurata, come avvenuto per decenni, per ragioni ideologiche.

(Francesco Messina, pugile, 1930)

Apposite sezioni della mostra infatti rievocano la I (1926) e la II (1929) Mostra del Novecento Italiano, organizzate da Margherita Sarfatti; la grande Mostra della Rivoluzione Fascista allestita a Roma nel 1932-1933 per il decennale della marcia su Roma; la V Triennale di Milano ovvero della pittura murale (d'allora....non i "graffiti" de quartiere di oggi da rap e hip hop) intesa come un’arte nazional-popolare, di tutti, ancorata a una tradizione illustre nostra e profondamente radicata; la rassegna dell’E42 a Roma (costruzioni per l’Esposizione Universale di Roma del 1942) che ha segnato la trasformazione nell’urbanistica e nell’immagine della capitale.

Ecco quindi, impossibili nelle loro esperienze da riassumere qui, Boccioni, Balla, Sironi, Soffici, Prampolini, Carrà, Severini, Savinio, De Chirico, De Pisis, Morandi, Casorati, Funi, Campigli, Donghi, Martini, Rosai (trattato qui), Pirandello, Maccari, Mafai, Manzù, Guttuso.


La mostra riprende le principali occasioni in cui gli artisti si prestarono a celebrare l’idea e i miti proposti dal Fascismo, ma affronta anche il legame culturale e formale con la prospettiva razionalista e il dibattito sulla necessità di appigli col classicismo in architettura e nell’urbanistica, l'utopia sull'armonia degli spazi in cui vivere e la coerenza culturale e nazionale dei suoi simboli.

(Giò Ponti, I progenitori, 1925)

La presentazione di realizzazioni urbanistiche e architettoniche mostra le realizzazioni anche di  Forlì e vari centri della Romagna: dipinti, sculture, cartoni per affreschi, opere di grafica, cartelloni murali, mobili, oggetti d’arredo, gioielli, abiti, offrono una fruizione simbolica del nesso tra arti e vita. L’obiettivo era ridefinire ogni aspetto della realtà passando dal mito classico a una mitologia possibile del presente.

(Achille Funi, "La Terra"...oltre a questo notevole, 
presenti altri dipinti sul tema dell'agricoltura, dei frutti della terra, della nobiltà del coltivare, del valore della bonifica dei terreni)

L’artista, sempre per Bontempelli, ha il compito di “inventare miti, favole, storie, che poi si allontanino da lui fino a perdere ogni legame con la sua persona, e in tal modo diventino patrimonio comune degli uomini e quasi cose della natura”.

Ancora, Pittori come Severini, Casorati, Carrà, De Chirico, Balla, Depero, Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Donghi, Dudreville, Dottori, Funi, Sironi, Campigli, Conti, Guidi, Ferrazzi, Prampolini, Sbisà, Soffici, Maccari, Rosai, Guttuso, 
e Scultori come Martini, Andreotti, Biancini, Baroni, Thayaht, Messina, Manzù, Rambelli mostrano comunque anche l'eterogeneità delle tendenze tra i poli del Novecento quali Metafisica, Realismo Magico, Déco e varie mitologie.


Tirando le somme, si nota ancora il superamento della pittura da cavalletto per riprendere il rapporto tra pittura e architettura, quindi il ritorno al Quattrocento italiano con ispirazione da Giotto, Masaccio, Mantegna, Piero della Francesca, da cui si mutua un  realismo preciso e tradizionalmente italiano. 

(Mario Sironi, Italia Corporativa, 1936)

Sono anche questi gli ingredienti dello stile di quest'epoca: rivalutare formalmente il Quattrocento e l'Antichità Classica non significava nemmeno recidere i legami con l’arte contemporanea europea. Infatti già Picasso e Derain, dal secondo decennio del Novecento avevano fatto lo stesso percorso, passando dalla scomposizione e dall’astrazione cubista alla ricomposizione della figura e a una nuova classicità in cui venivano presi a modello l’antico e la tradizione italiana.


Il Novecento passa con disinvoltura dall’arte alta agli oggetti della vita quotidiana, dove si respirava la stessa atmosfera di ritorno alla misura classica, anche nella manipolazione di materiali preziosi. Ecco allora mobili e vari oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano, Montalcini, Muzio, Giò Ponti e i gioielli di Alfredo Ravasco. Mai come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si identificarono con quelle della cultura e della politica, originando, tra sogno parigino e l’autarchia, la prospettiva dell'alta moda italiana.

(Antonio Donghi "Le Maschere"-Carnevale)

Sul luogo della mostra: a piano terra è una ricerca di testimoni dell’Italia del Ventennio e anche su Mussolini, mentre il primo piano sonda i temi.
Il percorso è suddiviso in 14 sezioni che toccano i temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che hanno aderito alle direttive del regime, partecipando al concorso e accettando le commissioni pubbliche, e quelli che hanno partecipato a quel clima, alla ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la tradizione, tra l’arte e il pubblico, fino alla crisi del sistema.

(Gerardo Dottori, "Flora", 1925)

Una mostra molto ben fatta, documentata da un punto di vista storico fino all'inverosimile (compresi arredi, oggetti, depliant, che possono spaziare dalla cultura popolare, fino contadina a quella altoborghese),
su una stagione,

(Cesare Sofianopulo, Maschere)

l'ultima,
che ancora poteva dirsi completamente "Italiana".

Josh

post (in qualche modo) correlato

invece un esempio di arte contemporanea

Forlì, Musei di San Domenico

2 Febbraio 2013 - 16 Giugno 2013
Telefono: 199757515; Visite guidate e laboratori 02.43.35.35.20
E-mail: servizi@civita.it
Orario: da martedì a venerdì: 9.30-19.00; sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20.00. Lunedì chiuso.
Biglietto: Intero € 10,00 Ridotto € 8,00 (per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 e maggiori di 65 anni, titolari di apposite convenzioni, studenti universitari e residenti nella provincia di Forlì-Cesena) Speciale € 4,00 (per scolaresche - scuole primarie secondarie
Note: La visita è regolamentata da un sistema di fasce orarie, con ingressi programmati. Prenotazione obbligatoria per gruppi e scuole e consigliata per singoli. Il biglietto della mostra consente la visita alla Pinacoteca Civica

34 commenti:

Hesperia ha detto...

Una mostra davvero imperdibile e suppongo che andrai a vederla, visto che la distanza non è molta. Post molto ben argomentato e impegnativo, visto che per ciascuno di questi artisti ci sarebbe da dire e ridire...

In Francia è capitato che la mostra del periodo futurista sia stata bollata semplicemente come "arte fascista" da un'imbecille come Catherine Tasca allora ministra della Cultura:

http://sauraplesio.blogspot.it/2006/04/le-monde-osteggia-il-classicismo-del.html

Su De Chirico (ego pictor clasicus sum)ci sarebbe da aprire un post solo per lui, e non sono mai riuscita a vedere una personale monografica ma solo pezzi sparsi qua e là.

Poi Balla che è uno dei miei preferiti. Questi artisti stanno a dimostrare che il fascismo alla fin fine era meno desertificatore che altri regimi, in fatto di arti figurative. A dopo...

Hesperia ha detto...

Praticamente il fil rouge che lega la mostra sono le due Guerre Mondiali. Poi, come tu dici, i temi all'interno di questa esposizione sono compositi (dal dipinto alla scultura, all'architettura. E da questa all'oggettistica e all'arredamento). Per non parlare della cartellonistica pubblicitaria che fa capolino proprio in questo secolo. E se proprio vogliamo ampliare gli orizzonti (hai citato Bontempelli) anche in letteratura ci sono state importanti novità. Basta pensare all'esperienza de La Voce.

Josh ha detto...

Alcuni dei dipinti li conosco e li ho visti, ma non tutti, per cui ci vado volentieri:-)

Si è fatto quel che si poteva col post, ma sono tanti, troppi artisti, una buona parte di prim'ordine....ed è impossibile trattare tutti, sarebbe un bombardamento enciclopedico:-)

Sì mi ricordo la Tasca (nel senso di Catherine) e hai fatto bene a linkare il tuo post che non trovavo più.

Per me l'arte di quell'epoca è piena degli ultimi capolavori, è un delitto snobbarla per "ideologia".

E che opere ci hanno costretto a ingurgitare quegli altri lì, poi, al posto di queste.

Josh ha detto...

De Chirico è un universo intero da sè, infatti.

Balla anche è straordinario.
Io per es. ho sempre trovato molto poetico anche Casorati, mi lascia sempre a bocca aperta, ma dal vivo è spettacolare.

Diversamente mi affascina anche Depero.

Del Fascismo si sono dette molte cose ormai, ma sicuramente non ha desertificato la radice culturale italiana.

Il dopoguerra invece ha stigmatizzato il Razionalismo, il Déco, ma anche il Quattrocento e il mondo classico, snobbati in massa per dirigersi alla cultura dell'informe che conosciamo oggi o a mode ereditate da paesi esteri.

Qualche figurativo tradizionale solo da un punto degli anni 80 in poi ha avuto un po' di credito, ma è stata dura fare arte in un mondo disastrato sempre dedito alla tabula rasa.

Hesperia ha detto...

PS: c'è un mio refuso latino in De Chirico: classicus (con due s).

Il classicismo di cui parli è in realtà una sorta di "éternel retour". Una modernità certamente proiettata verso le conquiste della tecnica e dell'industrializzazione del secolo, ma anche consapevole delle sue origini e delle sue radici laddove il colonnato greco convive con la ciminiera e l'antico veliero con la locomotiva.

Hesperia ha detto...

Era un mio vecchio pezzo del 2006 (7 anni fa) ed eravamo tutti più giovani :-). Tu eri appena entrato nella congrega e c'era un'immagine di Balla che ora non si vede più. Sono andata a rileggere i nostri commenti e mi sono accorta che eravamo ancora tutti quanti pieni di illusioni. Nel frattempo...beh, meglio sorvolare...

Devo dire che quella maternità di Gino Severini mi piace proprio tanto: carnale e insieme divina.

GL ha detto...

Interessante come mostra, ma sarebbe ancora più interessante che comprendesse anche il periodo delle guerre, per capire meglio il fenomeno.

Penso che Malevich (il mostro astratto del moderno) è un esempio da considerare, e forse il migliore esempio (anche perché la sua vita scorre prima della guerra, nella guerra, e tra le guerre). Vedete in questo link due dei suoi ultimi quadri rinascimentali, lui e sua moglie:

http://www.artexpertswebsite.com/pages/artists/malevich.php

Qui è uno dei suoi ultimi quadri, fatto secondo il gusto ufficiale soc-reale:

http://artlover.me/en/art/kazimir-malevich/portrait-of-vapavlov

Non so cosa pensi Josh, a me mi sembra che siamo nel comico. Sempre che lui sia costretto a farlo l'ultimo quadro, una faccenda ancora poco chiara. Ma non per me.

Josh ha detto...

@Hesperia

"Il classicismo di cui parli è in realtà una sorta di "éternel retour". Una modernità certamente proiettata verso le conquiste della tecnica e dell'industrializzazione del secolo, ma anche consapevole delle sue origini e delle sue radici laddove il colonnato greco convive con la ciminiera e l'antico veliero con la locomotiva."

Esatto. Poi visto che tutto è eterogeneo, a volte si ha un sovrappiù di razionalismo, tra gli ingredienti, a volte una radice futurista...ma la somma delle cose rimane un'attitudine moderna con ancora forti riferimenti classici tra colonnato greco, utopia quattrocentesca, ciminiera.

L' "altra" arte invece del colonnato greco, dell'apporto classico, e del Quattriocento si è fatto beffe e l'ha annullato:
al suo posto ci ha messo l'arte povera, l'astrattismo e le banalizzazioni da pop art.
Orrende.

Josh ha detto...

@Hesperia...

già il 2006...buonanotte:-)
chissà dove avevo la testa: sicuro di illusioni ce n'erano di più.

Gino Severini è un pittore capace...per es. lui per la Maternità sopra,
dal Quattrocento prende più che altro quella sorta di realismo minuto e molto concreto,
e dal moderno la pulizia dei tratti e l'atmosfera sospesa.

Sembra comunque classico..ai nostri occhi, in un'età in cui la donna è sempre meno mamma e meno femmina e deve essere sempre altro, per fare la moderna.

Prima però Severini proveniva da cubismo e futurismo.
Dopo il cubofuturismo torna al classicismo (il quadro detto)
ma nel secondo dopoguerra torna ancora al futurismo.

Nel 21 pubblica il trattato "Du cubisme au classicisme" e chiarisce il suo passaggio a una pittura "neoclassica" e un po' metafisica.

In realtà l'evoluzione classica , dopo cubismo e futurismo non fu caso solo suo,
ma anche di Picasso, Derain, De Chirico...è il "ritorno all'ordine"
detto “ritorno al mestiere” da De Chirico pubblicato.

Severini poi dal 1924 al 1934, si dedica all'arte sacra per affreschi e mosaici. Il tema metafisico e sacro in lui ha una certa rilevanza dopo la sua fase di ricerca spirituale e religiosa.

nel tardo dopoguerra ritorna insolitamente al Futurismo e all'astratto.


Josh ha detto...

Comunque su Severini figurativo cfr.

http://www.arte.go.it/musei/ingrao/images/Severini.jpg

http://www.iger.org/wp-content/uploads/2011/10/ritratto-gina-severini-mia-figlia.jpg

http://www.arcadja.com/artmagazine/it/wp-content/gallery/080523-top-lot/tl080523_06.jpg

http://24.media.tumblr.com/tumblr_m0hax2TbnT1qkpirfo1_500.jpg

http://www.arteecarte.it/gallery_images/severini.jpg

mosaico sacro:

http://www.mosaicartnow.com/wp-content/uploads/2012/04/gino-severini-church-of-st-mark-cortona-mosaic-wiki-crop1-288x302.jpg

di gusto nettamente differente la sua scomposizione totale d'immagine nella fase cubofuturista

http://styleandthestartup.files.wordpress.com/2012/12/gino-severini-1912.jpg?w=416

qui agli inizi siamo al divisionismo addirittura

http://www.flickr.com/photos/32357038@N08/5530180537/

Josh ha detto...

@GL

Tra le 2 guerre è il fuoco dell'argomento, ma c'è qualcosa del prima della I GM e qualcosa fino alla fine della II GM

La mostra è molto italiana, e ruota anche intonro al fascismo.

Malevich in questo senso c'entra non moltissimo.

Non mi fa impazzire.
Dal primo link: si nota tutto il passare tra gli stili, l'attraversarli. Devo dire che non me ne piace uno....
Nè i primi astrattissimi con le stanghette, del Suprematismo.
Nè le donne con i chiapponi, nè il manichino,
nè il papier collé e simili cubisti con le scritte,
nè il finto 400 staticissimo versione Soviet.

LA Madre Russia ha avuto artisti enormi. Qui però non c'è più il piacere della visione.

Josh ha detto...

Dal 2ndo link, il ritratto di Pavlov è molto ben eseguito, ma preferisco
il paesaggio vicino Kiev :-)

http://artlover.me/en/art/kazimir-malevich/landscape-near-kiev

Josh ha detto...

@Hesperia

la Voce fu a suo modo un capitolo di grande pregio nella critica letteraria. E che penne e questioni sollevarono. E i versi....

Peccato la sua breve durata(1908-1916)ma ricordiamo chi ne fece strettamente parte: Prezzolini, Papini, De Robertis, Serra, Boine, Rebora, Borgese, Cecchi, Longhi, Omodeo, Slataper, la Sarfatti, ma anche Sbarbaro....Palazzeschi, Campana, Govoni, Cardarelli...

A fare un paragone oggi, c'è da stare male.
Non si tratta di gusto o stile, è che di fatto non c'è nessuno pari, o della stessa statura.

GL ha detto...

Credo che non mi hai capito bene. Il mio commento era ironico (l'eterno ritorno dell'uguale comico postmoderno-classico), non per dimostrare quanto è bello Malevich, e quanto piace a qualcuno e quanto non piace qualcun'altro.

Oramai io conosco press a poco i tuoi gusti e i gusti generali del blog. Dall'altra parte mi sono riservato di esprimere le mie preferenze in questa materia.

Pero, visto che hai commentato anche le altre opere del link (che ho portato soltanto per le due ultime opere rinascimentali del link), per giudicare tutto Malevich vedi anche qui:

http://www.wikipaintings.org/en/kazimir-malevich/spring-garden-in-blossom-1904

I suoi primi paesaggi non mi sembrano inferiori dai passaggi simili di molti altri colleghi di Malevich, ammirati da voi nel'altri post simili.

GL ha detto...

Non riesco a trovare link soltanto con i primi paesaggi impressionisti postimpressionisti e fauve, meglio si vedono qui, anche se mischiati con litografie e altre robe che disturbano la vista:

http://xaxor.com/oil-paintings/1300-malevich-kazimir-russian-1878-1935.html

Ho portato Malevich come esempio illuminante di metamorfosi, classico-moderno-classico. Dall'altra parte non è che sono OT (accusa di sempre), mi sembra che i futuristi italiani hanno avuto un sposalizio e poi un divorzio con i futuristi russi. Non dimenticare, con voi italiani comincia la globalizzazione, anche se poi nascosta dietro la nazionalizzazione. Eterno ritorno dell'uguale.

Josh ha detto...

@GL

sì ho capito che il commento era ironico, DA.

"l'eterno ritorno dell'uguale comico postmoderno-classico" diciamo che in realtà si voleva sottolineare quanto il classico grecoromano e il 400 diventano modelli ideali, ci si rifa a loro in modo vario nel ritorno all'ordine, e li si sposa a frammenti di modernità.
Un moderno ancora storico quindi, e che non ha reciso la sua radice identitaria.
Per me, per lo spirito del blog, è importante.

Sì, dai link...mmmh le opere "rinascimentali" di Malevich non mi sono piaciute perchè hanno una staticità statuaria che non mi convince. Una fissità e plasticità esagerate. Un po' lo conosco Malevich.

Dal link di wikipaintings si nota la sua parabola, il divenire. Anche lui ha aspetti iniziali postimpressionisti, divisionisti e influenzati dai movimenti fine 800-primissimi 900. Alcuni davvero intensi.
Il suo irrigidirsi di tratti e volumi, specie dopo gli anni 10 non mi convince (non solo in lui, ma in molti altri artisti, anche nostrani).
A un certo punto...sembrano cartoni animati, o diversamente textures tecniche di materiali vari...uhm

Ma, come dici, i suoi primi non sembrano inferiori dai passaggi simili di molti altri...

Josh ha detto...

Visto anche il second-ultimo link, molto eloquente il passaggio di Malevich come metamorfosi, classico-moderno-classico.

L'ultimo suo "classico" lo trovo poco digeribile ma pazienza.

E' vero che i futuristi italiani hanno avuto per una fase una relazione con i futuristi russi.
Però non sono d'accordo con la tua frase che commento sotto.

Josh ha detto...

GL dici:
"Non dimenticare, con voi italiani comincia la globalizzazione, anche se poi nascosta dietro la nazionalizzazione. Eterno ritorno dell'uguale."

per me non è così, cosa significa che con noi italiani comincia la globalizzazione? mah

cerca di seguirmi. E' un metodo tipico marxista prendere un vocabolo, un valore/disvalore di oggi, e riportarlo storicamente indietro appiccicandolo forzatamente ad altre epoche.

la globalizzazione è qualcosa di molto recente, si applica tanto al commercio, quanto al modello "tutto il mondo uguale da un capo all'altro", orrore per tutti gli identitari con passione "locale" e nazionale.

E questo non è un frutto italiano.
Di nazionale in Italia oggi poi non c'è nulla, visto che in EU non ci sono nemmeno più le nazioni, mancando tutte le sovranità locali (monetaria, legislativa vera...)demandate ai banchieri e usurocrati europeisti.

Se voglio forzare, e rimanere in quel che dici, dubito però che gli italiani abbiamo imposto nulla su larga scala. Quando mai...

Io non seguo il vocabolo adoperato in questo modo, ma volendolo fare, il primo esempio di globalizzazione/-ma inteso nel senso di estensione in più luoghi di un metodo-convenzione,
avviene prima con la lingua greca classica quando diventa koinè, cioè lingua comune di una vasta area.
Ma non è globalizzazione perchè non era per tutto il globo, solo una vasta area.

La seconda per alcuni è l'Impero Romano, ma non è globalizzazione perchè non è per tutto il globo ma solo per una vasta area.

La terza per alcuni è il Cristianesimo, ma ha vie individuali (Chiesa certo, ma anche rapporto personale con Dio) e varie declinazioni e impiega secoli se non millenni per penetrare in certe aree.

Nessuno di questi è veramente globalizzazione, è solo un vocabolo di oggi che abbiamo provato ad attribuire a certi fenomeni del passato....e nessuno di questi fatti è prodotto solo "italiano".
L'IMpero Romano stesso era romano e non italiano, era l'humanitas e la latinitas, l'Italia nemmeno c'era...

Tanto più che l'ITalia in quanto tale nasce nel 1861 e sembra non star molto bene insieme nemmeno ora.

Altra globalizzazione molto più vicina a ciò che veramente il vocabolo significa oggi è il Commonwealth. L'uso della lingua inglese e il conseguente prevalere del modello anglo-americano per il mondo. Ma resto dell'idea che quando si parla di globalizzazione il termine è nato di recente e riguarda solo i fenomeni recenti con cui è stato formulato.

Josh ha detto...

@GL: non è che per "globalizzazione" da parte degli italiani ti riferivi alla diffusione della..PIzza!? :-)

GL ha detto...

Si anche della pizza della margherita tricolore(mozzarella bianca, salsa rossa e rigone verde), se sei in grado di vedere le cose in grande, puoi vedere le stesse cose anche in piccolo.
In grande volevo dire che Italia e il paese del cattolicesimo, e tu sai che "cattolico" originariamente ha anche un senso "globale". Io no posso fare in un commento la storia del globalismo, ma mi sembra che il futurismo nasce per la prima volta in Italia, per di più globalista come Terza Roma, poi vengono quelli che protestano nel nord come espressionisti del Terzo Reich.

Josh ha detto...

Con esattezza, "Cattolico" è dal greco antico katholikòs...da katholou..come dire, letteralmente "dappertutto/per ogni dove/esteso al tutto" ma è inteso e sempre tradotto come Universale.

"Globale" è un concetto che nasce di recente, parente di idee come Villaggio Globale, collegato magari via web o telematica.

Ecco perchè si tende a dire Chiesa Universale ma non Chiesa ...Globale

Josh ha detto...

Indubbiamente il futurismo nasce in Italia, anche se per me è spesso studiato poco, ha i suoi manifesti ufficiali, forse non molto letti in realtà...

Non vedo l'Italia del Futurismo comunque come "globalista" perchè non impone questo modello a nessuno, anche se è stato liberamente recepito da altri paesi.

Il Globalismo vero della Globalizzazione non è una cosa liberamente recepita ma imposta a livello di sistema: per es.
perchè non posso più mangiare i fagioli che dovevano crescere dietro casa mia,
ma anzi l'Unione Europea ne sanziona la produzione qui,
per obbligarmi a comprare i fagioli peggiori nati Sri Lanka e arrivati in aereo?
misteri del globalismo, della finanza apolide delocalizzata che fa del mondo una Rivoluzione Permanete. Questo è globalismo globalizzante.

Il fatto che il futurismo nasca in Italia e magari venga recepito in parte da altri paesi liberamente e non per imposizione,
come per tanti stili -legati a brevi epoche- che si sono diffusi, non è per me globalismo,
perchè la globalizzazione vera impone modelli unici obbligati, e uno in realtà invece poteva anche NON essere futurista.

Lo stesso Malevich di stili ne cambia 44.

La Prima, Seconda o Terza Roma la vedo più vetero-identitaria (allora, mica adesso) che ...globalista.

Josh ha detto...

Aggiungo anche che non vedo l'Italia del Futurismo come "globalista" tanto più che era autarchica e nazionale.

GL ha detto...

Josh, non facciamo giochi di parole “dappertutto/per ogni dove/esteso al tutto/universale/globale ecc" vuol dire una sola cosa: vuole tutto, volontà di potenza. Che non è una cosa sbagliato in se, tutti vogliono tutto, anche i pigmei. Io lo menzionato come un buon indizio iniziale per il desiderio di voler tutto da un genovese che parte in direzione ovest e un veneziano direzione est, la conquista del globo da “un popolo di … navigatori, di trasmigratori”.

Il futurismo (nessun cosa nasce dal nulla) era più che globale, era cosmico, la conquista dello spazio, adorazione dell’aero della macchina e della industria, adorazione della guerra in se e della guerra totale, odio al campanilismo, al marcio tradizionalismo e alla vita arretrata bucolica e campestre. E’ un'altra cosa cos’è successo più tardi con opportunismi e concordati politici, e giramenti di rotta da socialisti internazionalisti in nazionalisti e autarchici fascisti e monarchici (andando in giro nel globo, per essere liberamente recepiti nei Balcani e in Africa) e poi in comunisti e democristiani in giro di 24 ore, che non si capisce un cavolo senza trasformarsi in un zombi. “I fagioli peggiori nati in Sri Lanka arrivati in aereo” sono il risultato finale della conquista dello spazio futuristico (dei fagioli e della pizza, un popolo di consumatori, ah ah ah).

Non c’è niente di disperarsi, è successo a tutti i futuristi, in un modo o nell’altro, anche ai russi e tedeschi.

Vedi qui e ridi un po, perché ti vedo un pochino teso:

http://www.cartoongallery.eu/englishversion/wp-content/gallery/itaussig/taussig08e.jpg

Josh ha detto...

Giochi di parole chi?
GL , il qui pro quo, da mesi che intervieni, è caratteristica penso caratteriale tua consolidata
:-))

Josh ha detto...

GL dici
"...perchè ti vedo un pochino teso"

EH NO! un altro commento con insulto più o meno latente e sarai ricancellato. Per i modi, più che altro.

Stai accorto.

Josh ha detto...

No,
I fagioli nati in Sri Lanka arrivati in aereo che l'UE e il globalismo ci costringe a consumare, invece che le buone e tradizionali merci locali,
sono frutto dell'Internazionalismo socialista-postcomunista che si è fuso col capitalismo e con la finanza apolide,
e NON
"il risultato finale della conquista dello spazio futuristico"

e infatti c'è "compagno" Uljanov proprio lì nella tua foto al link con l'hot dog.

Josh ha detto...

Ma commentare un quadro del post, o un passaggio nel testo, quello no?

mah.

GL ha detto...

Josh,
se commento un quadro o un passaggio sarà peggio, per te e per me, perché no è che trovo gusto a urtare le persone ed essere urtato da loro. Dall'altra parte penso che ha valore per tutti di sentire qualcosa "contro", non soltanto: "che bello", "magnifico" ecc.

Mi spiego meglio: la differenza di vedute tra noi è che dove tu (o voi) vedi soltanto interruzioni di fenomeni storici senza collegamenti (per altro fenomeni non di larga scala), io vedo interruzione si, ma anche continuazione di un fenomeno in grande e in serie. Per di più io considerò le mosse storiche come fatali, mosse obbligate come in una partita di scacchi, iniziata con piede sbagliato, sia come ritorno all'ordine, sia la tendenza opposta del disordine.

Senti bene per evitare ogni malinteso, non è che io non do valore alla tendenza all'ordine, ma soltanto come tendenza, perché il senso ultimo dell'ordine finale e completo, è un ordine che comprende sia ordine che disordine, sia simmetria che asimmetria. Vuol dire on ordine sempre creativo. Da questo punto di vista non posso considerare questioni di prima mano la pizza, fagioli ecc, anche se capisco bene, e anche meglio di te nella situazione che sono, la mancanza di sapori locali.

Hesperia ha detto...

A volte penso che la "democrazia internettiana" sia una boiata pazzesca. Un povero Josh, fa una fatica bestiale a mettere insieme un post per caratterizzare la prima parte del Novecento, un secolo controverso, ma ancora raffinato e con importanti novità di cui ha citato una numerosa letteratura icononografica e pittorica, e c'è chi si mette a parlare di "merende" per non parlare di "cavoli" e cercare civilmente (e sottolineo "civilmente") di rimanere in topic. Tanto per rimanere in argomento, ho visto a Cortina che De Pisis e Sironi hanno delle quotazioni impossibili. Quelle di De Chirico, Carrà e Morandi poi sono astronomiche.
E vidi la splendida collezione di Agnelli aperta al pubblico al Lingotto, intitolata alle automobili, all'ardimento dei futuristi e a quell'elogio alla velocità che è la cifra del periodo futurista. Vale la pena di ricordare l'Isotta Fraschini di D'Annunzio, conservata al Vittoriale.
Ricordo volentieri anche l'indimenticabile Tazio Nuvolari (ovvero il Mantovano Volante) di cui ebbi modo di vedere un'esaustiva mostra fotografica a Mantova a lui intitolata.
Il futurismo italiano è un periodo che va ristudiato ed è inutile accostarlo a quello russo, che è invece astrattistico e destrutturante.

Personalmente amo poco perfino Kandinski, oltre al citato Malevic.

GL ha detto...

Va bene Hesperia allora dimmi chi ami dai futuristi realistici e strutturanti italiani.

Josh ha detto...

@Hesperia

grandi verità.

La cosiddetta democrazia internettiana svela ogni giorno di più i suoi limiti e difetti.
Dagli interventi di quei fusi dei grillini, con Casaleggio, Massonerie, Gaia, Sassoon, Zeigeist, follie varie & co

Tornando a noi,
il futurismo italiano va ristudiato a partire dai manifesti, alle vere intenzioni;
vanno rivisti i suoi percorsi, dai residui inziali di volumetrie cubiste alla lode al movimento.

Qui poi nel post è rappresentato principalmente il famoso "ritorno all'ordine", cioè una fase non futurista, ma alla ricerca di una nuova classicità.

Il futurismo russo tende molto di più all'astratto, come evidente anche da quella fase in Malevich.
Quando anche il resto dei pittori russi hanno voluto cambiare 44 stili, nel loro prendere parte alle avanguardie hanno mostrato una capacità di distruzione dell'immagine e di destrutturazione che non ha pari.
Del resto vivenao in un clima storico-politico antiumano, in cui la figura umana non era più al centro, ma un'astrazione (politica) imposta a detrimento dell'uomo.

Qualcuno di loro ha preso parte anche ad altri movimenti, figurativi, tenendosi sulla scia del resto della vecchia Europa, a volte con buoni risultati, ma a volte con esiti più discontinui e una certa "fissità" dell'immagine, o distacco dal reale. Comunque movimenti non tutti nati là.
Con questo continuo a pregiare le icone della pittura sacra russa, ma ancora parte del loro 1800.

Chi non è soddisfatto di questa opinione, peraltro piuttosto condivisa, ....da uno Sgarbi, a uno Zeri, a un Argan, a Barilli, per entrare nello specifico-
può aprire un suo proprio blog controcorrente altrove e sfogarsi là.

GL ha detto...

Va bene Josh, dimmi tu perché io, come non-italiano, non so cosa pensano Sgarbi, Zeri, Argan, Barilli per il fatto che arte disordinata cubo-futurista comunista, che destrutturava l'uomo e lo toglieva dai piedi (sostituendolo con figure geometriche e mecanismmi), fini (dai anni 30 fino al 89 del secolo scorso) nell'arte del realismo socialista figurati-vista che metteva nel centro la figura umana disprezzando a morte arte destrutturi-sta e distrutti-vista capitalista?

Josh ha detto...

Ripeto per l'n-sima volta, non è il tema del post.

L'arte disordinata cubo-futurista comunista, che destrutturava l'uomo e lo toglieva dai piedi (sostituendolo con figure geometriche e meccanismi),
DOPO un certo punto degli anni 30, fino agli anni 80, ha avuto sia ancora punte astrattiste ...poi sono state "vietate",
ed è stato dato impulso allo sviluppo di un realismo socialista figurativo, chiamiamolo così,
Perchè?
non certo per mettere al centro l'uomo, o la bellezza della vita,
ma per ammaestrare le masse, e convincerle,
e spesso si trattava di arte divenuta ripetitiva e didascalica, doveva insegnare "come si doveva essere sotto il regime", imponeva un modello di vita.

Ne fecero una mostra a Roma non troppo tempo fa.

Francamente non vedo il nesso con questo post.

L'unico tratto in comune, forse, è che entrambi i regimi derivano dal mutare e dell'ammalarsi ulteriore del socialismo in ...totalitarismi.
Uno nero l'altro rosso.

la differenza pittorica è prima di tutto nello spirito dei popoli, anche nell'interpretare uno stile con affinità:

la sistematicità, il pensare in grande tipico dei popoli dell'est,
ma anche il meccanicismo su grande scala, che prese il posto della grande epica umanistica e umanitaria di Madre Russia, si riversa nei rispettivi quadri e lo si nota comunque diverso
dal gusto della vita italiano e dal senso dell'armonia assoluta tipico di qui, che in molti casi si è mantenuto anche all'interno di questo stile (della mostra in oggetto).