lunedì 17 novembre 2014

Pronto, chi legge? ovvero, la lettura dimenticata

Leggiamo ancora? E quanto leggiamo? Se si tratta della lettura dei giornali, posso anche capire che vi si rinunci: dicono il falso, omettono l'interessante, filtrano e fanno "velina" secondo occulti giochi di potere verso chi li finanzia. Poi oggi con l'informazione fai-da-te che proviene dal web, è più che  normale  che si preferisca ragionare con propria testa, andando a reperire personalmente le fonti. Ultimamente però i grandi abbandonati sono proprio i libri.  Si cerca, pertanto,  di correre ai ripari con iniziative per incentivare la lettura come ad esempio, l'omaggio di opuscoli che contengono classici, la nascita di associazioni culturali con relativo prestito di libri.  Ci sono perfino tratti ferroviari regionali come Trenord che danno in opzione un libro al viaggiatore affinché inganni il tempo con la lettura, da restituire quando il  viaggiatore-pendolare torna alla base. Tuttavia non si legge più, o si legge sempre meno:  inutile negarlo.  Qualcuno sostiene che la lettura si sia spostata sui tablet, su lavagnette luminose, su smartphone e sui display dei cellulari. In realtà potremmo dire che è esattamente il contrario: è a causa della rivoluzione high-tech che il mondo di Gutenberg è stato messo in dura precarietà.  Basta dare un'occhiata alla crisi attraversata dall'Editoria, alla chiusura di importanti librerie del centro delle città d'Italia. La visualizzazione luminosa del testo scritto con icone, immaginette, colori ecc. rende più invitante il leggere, che aprire un polveroso libro tutto fatto di caratteri uniformi. Non c'è nulla di più astratto e simbolico dei caratteri di stampa. Ma visualizzare non significa necessariamente leggere.  

Un tempo la scrittura-lettura aveva caratteri divini (la Bibbia - Il Libro), di rivelazione.
Gli scribi, nell'antico Egitto, appartenevano a una casta molto potente, ammirata e ben retribuita che si occupava dell'amministrazione del paese. Nel Regno Antico essi venivano scelti tra le famiglie nobili.

Il tempo per formare uno scriba era molto lungo: solo gli alunni più dotati, coloro che imparavano l'arte complicata del geroglifico monumentale, riuscivano ad arrivare a corte. Lo scriba, mantenendo il segreto della sua professione, tramandava le sue conoscenze di generazione in generazione. Agli scribi era assegnato come protettore Thot, il dio della scrittura e della saggezza, nonché mago e messaggero degli dei.

Gli scribi assunsero un ruolo di grande importanza, formando una classe intellettuale di alto calibro nella società egizia. Per una ragionata storia della scrittura (attività mai disgiunta dalla lettura) leggere qui:

http://www.funsci.com/fun3_it/scrittura/scrittura.htm

Per motivi di spazio, sono costretta a saltare la pratica della scrittura-lettura presso Greci e Latini, ma il mio pdf del Carboni, ovvia perfettamente alla bisogna.  Tra i metodi di conservazione dei testi, grande, paziente, minuziosa e laboriosa fu l'opera dei Monaci Amanuensi nelle certose e abbazie durante e dopo le invasioni barbariche. In primis S. Benedetto da Norcia, la sua Regola  e i suoi benedettini.
 

Johannes Gutenberg
Poi arrivò Gutenberg e con esso la rivoluzione della stampa a caratteri mobili. La stampa a caratteri Donatus pro puerolis (cioè una grammatica latina per i bambini, ora disperso), il De Oratore di Cicerone, il De Civitate Dei di Sant'Agostino  tutti con una tiratura di 275 copie. Una pressa come quella di Gutenberg venne costruita a Venezia nel 1469; nel 1500 la Serenissima contava ben 417 editori. Dopo l'invenzione della stampa a caratteri mobili, Venezia divenne la città più importante per il settore dell'editoria. Ciò fu possibile grazie ad alcuni fattori come la grande libertà di stampa che vigeva nel territorio della Serenissima, l'estesissima rete commerciale della repubblica, l'impiego della carta prodotta dalle cartiere di Piave Brenta e lago di Garda, l'alto tasso di alfabetizzazione della popolazione maschile veneziana e la grande disponibilità di capitali messi a disposizione da parte dei nobili veneziani. Da allora, ne cambiarono cose, nell'ambito della cultura, della scienza, della letteratura, della poesia, della musica, nella distribuzione dei volumi stampati. 


Ora però sembra di vivere nuovamente un'era barbarica: c'è più bulimia da informazione, ma meno cultura; c'è più abilità, ma meno formazione e costruzione dell'Individuo. Soprattutto si è costituito un esercito di "scriventi", ma pochi o nessun vero scrittore. Mentre scarseggia o o addirittura manca l'attento lettore.
E' del mio parere anche lo scrittore statunitense Nicholas Carr, autore del saggio "Google ci sta rendendo  stupidi?" in questa intervista concessa al Corriere  nel quale parla della pervasività della rete, dei suoi vantaggi, ma anche delle sue controindicazioni...


Basta prendere Internet e le tecnologie digitali a scatola chiusa. Offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei pancake people, come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere, contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale».



Nicholas Carr è la bestia nera dei fan della Rete «senza se e senza ma» e dell’industria delle tecnologie digitali. Due anni fa un suo saggio, pubblicato dalla rivista «The Atlantic» col provocatorio titolo «Google ci sta rendendo stupidi?», fu il primo sasso gettato nello stagno della Internet culture. Carr, uno studioso che ha lavorato nella consulenza aziendale e ha diretto a lungo la «Harvard Business Review», fu bollato dal popolo del web come un nemico della tecnologia. 

In realtà — racconta oggi dalla sua casa in Colorado dove si è ritirato a scrivere libri—fin dagli anni Ottanta sono sempre stato un consumatore febbrile delle tecnologie digitali a cominciare dal Mac Plus, il mio primo personal computer. Sono sempre stato un tecnofilo, non un tecnofobo. Ma il mio entusiasmo si è man mano attenuato con la scoperta che, oltre ai vantaggi che sono sotto gli occhi di tutti, la Rete ci porta anche svantaggi assai meno evidenti e proprio per questo più pericolosi. Anche perché gli effetti saranno profondi e permanenti ».


Jaron Lanier, il genio dell’intelligenza artificiale che in un recente libro- manifesto ha messo in guardia dal «collettivismo» di Internet che uccide la creatività individuale, in Rete è stato bollato come un traditore. Sarà più difficile trattare nello stesso modo The Shallows («Superficialità: Quello che internet sta facendo alla nostra mente») il suo nuovo libro che già fa discutere quando mancano ancora più di due mesi alla pubblicazione negli Usa. Il perché lo spiega lo stesso Carr: «Quello sull’"Atlantic" era un saggio scritto sulla base della mia esperienza personale, una riflessione su come la cultura digitale ha cambiato il mio comportamento. Negli ultimi due anni mi sono sforzato di andare oltre il personale, esaminando le evidenze scientifiche e sociali di come Internet—e anche rivoluzioni precedenti come quella dell’alfabeto — hanno cambiato la storia intellettuale dell’umanità. E di come le nuove tecnologie influenzano la struttura del nostro cervello perfino a livello cellulare.


La scuola dovrebbe insegnare a usare con saggezza le nuove tecnologie. In realtà, però, gli educatori e perfino i bibliotecari si stanno abituando all’idea che tutta l’informazione e il materiale di studio possano essere distribuiti agli studenti in forma digitale. Dal punto di vista economico ha certamente senso: costa meno. Ma limitarsi a riempire le stanze di sistemi elettronici è miope. Come ci insegna McLuhan, il mezzo conta, e parecchio. Senza libri non solo è più difficile concentrarsi, ma si è spinti a cercare di volta in volta su Internet le nozioni fin qui apprese e archiviate nella nostra memoria profonda. La perdita della memoria di lungo periodo è il rischio più grosso: è un argomento al quale ho dedicato un intero capitolo». (...)




Oggi, poi, non c’è solo l’uomo più o meno capace di plasmare il suo futuro: pesano anche gli interessi delle grandi corporation delle tecnologie digitali. Riecco Google...

«A far fare soldi alle società della Rete è il nostro moto perpetuo da un sito all’altro, da una pagina web all’altra.  Sono i nostri clic compulsivi a far crescere gli incassi pubblicitari. L’ultima cosa che può desiderare una società come Google è che diventiamo più riflessivi, che ci soffermiamo di più su una singola fonte d’informazione ».

Curioso. A sostenere la tesi della libertà assoluta della Rete, senza regole né percorsi educativi, sono soprattutto i progressisti. Con argomenti che, almeno negli Stati Uniti, a volte ricordano quelli usati dai libertari conservatori sulle armi, contro i vincoli in campo ambientale o le regole di educazione alimentare che avrebbero potuto evitare le epidemie di obesità e diabete. Nemmeno Google suscita, per ora, grandi diffidenze. Perché?


«Perché la controcultura della sinistra Usa, contrarissima ai grandi calcolatori Ibm fino ai roghi di schede perforate degli anni ’60, ha poi scoperto nel personal computer — uno strumento individuale sottratto al controllo delle corporation e dei governi— uno strumento di libertà. Ed effettivamente era così, è stato così a lungo. Ma negli ultimi anni molto è cambiato: dal crowdsourcing che significa lavoro e idee gratuite per molte società che operano in Rete, alle reti sociali come Facebook che si comportano come latifondisti dell’Ottocento: affittano gratuitamente pezzetti di terra per poi guadagnare sulla sua coltivazione. È ora di cominciare a riflettere».


Qui l'intera intervista: http://www.corriere.it/cultura/10_marzo_27/gaggi_rete_e417c1d0-397a-11df-862c-00144f02aabe.shtml




Per finire, non sappiamo questo nuovo mondo virtuale, così collettivistico e fatto di "condivisioni" (termine abominevole) , ma anche di solitudini e di lunghi silenzi, dove ci porterà. Né sappiamo se il testo stampato continuerà ancora a lungo o sarà relegato a musei, biblioteche e operazioni nostalgia. Voglio mettere in guardia gli "ultramoderni" dalla facile obiezione secondo la quale si possono scaricare anche i "classici" da Internet. Vero, ma si possono anche manomettere, tagliare e perfino modificare parti ritenute poco adatte al pubblico, o addirittura politicamente scorrette e poco convenienti.

Nel frattempo, consiglio di non farvi prendere dalla furia iconoclasta o biblioclasta, di sbarazzarvi dei vostri libri per far largo a dischetti, chiavette, Cd e altre diavolerie, con la scusa che occupano spazio e che la casa è piccola. E' certo che li rimpiangerete.

17 commenti:

Sympatros ha detto...

La fine della centralità del libro, la fine del rapportarsi umanistico nei confronti del libro, la fine dell'umanesimo e dell'uomo come punto centrale di valori sacrali e mitici riversati in un libro, che per osmosi diventava anch'esso mitico e sacrale. Siamo nell'età della tecnica, in cui l'uomo anche a livello intellettuale è proiettato al fare, alla scoperta, all'utile. Il modo per arrivare sulla luna, il pensare e il realizzare i mezzi per raggiungerla saranno scritti pure sui libri, ma sono libri "dinamici" sono strumenti di lavoro non sono il fine. Il libro mitico, il libro sacro da leggere nel silenzio delle biblioteche, con pause riflessive, con la testa rivolta verso il basso o verso il cielo per godere ineffabili visioni intellettuali è finito, o meglio ha perso la centralità e il predominio. E' il momento dell'homo faber, un faber intellettuale, fisico, ingegnere, informatico, scienziato ricercatore che fa un uso pragmatico del libro, libro strumento di lavoro. E gli umanisti, reliquie di un tempo che fu, godranno forse della loro rarità o andranno in crisi!

Cartesio ad un certo punto non volle leggere più libri!

Le tavolette sono sparite, le pergamene pure, i rotoli pure, i libri scritti a mano pure, non vedo per quale misterioso motivo i libri attuali dovrebbero continuare ad esistere…. solo perché si sono imbattuti in noi, che non vogliamo vedere morire ciò a cui siamo stati affezionati…. con un po' di psicologica sofferenza il tramonto del libro così come noi l'abbiamo conosciuto è destinato ad avverarsi…. e l'ebook, anche se da poco inventato, sta dando buona prova di sé. C'è una sorta di complesso, non so se avete notato, i giornali digitali si leggono e anche a lungo, i blog altrettanto… quando si va al libro c'è un po' di resistenza… cmq i progressi ci sono… per esempio il formato pdf è maggiormente capace di esercitare captatio benevolentiae!

viva il Progresso… la più ricca biblioteca privata del tardo Medioevo era forse quella di Petrarca, conteneva all'incirca 350 volumi, scritti naturalmente a mano… ora un file ci puo' inondare di libri… e purtroppo non ci sarà più la scusa e l'alibi salvifico che non si legge perché non si dispone del libro! La disponibilità è gigantesca e ha avuto il paradossale effetto di intimidire e demitizzare il possesso del libro…. la mercificazione globale!

Sympatros ha detto...

Hesperia, come un’esperide al tramonto, guarda al passato perché disprezza il presente, ma il passato è bello perché si è ammantato di mito, ma quando era presente, non ingigantito dal mito, era come il nostro presente, connotato da piccolezze e sciagure e da gente che guardava al passato ad un passato più passato del passato presente. La reazione in politica, in arte, in cultura è prima di tutto un bisogno dell’anima e poi tutto il resto. Bisognerebbe de-mitizzare i miti… ma poi che resta? Resta il piacere, anche se arido, ma sempre piacere di aver de-costruito e mandato in frantumi il mito e di aver svelato la prosa che sta sotto la poesia.

Hesperia ha detto...

Ciao Sympatros, e ben ritrovato. Nihil sub sole novi. E' evidente che le nuove tecnologie, mandino in rottamazione libri, biblioteche, editoria e tutto quanto è cartaceo. Io però penso che esista anche un conformismo da progresso, per cui l'ultima trovata è sempre quella giusta, sacrosanta e idonea al nostro vivere. Se Rimbaud fosse vivo, sarebbe costretto a dire il contrario della sua affermazione "Il faut absolument etre moderne", visto che questa è oramai l'aspirazione collettiva globale. Io mi sento ostinatamente "antimoderna" e "inattuale". Anche perché se rincorri troppo il Progresso, sei sempre "fuori moda", dato che quello ti frega sempre in velocità.

Il mio cellulare di recente acquisto, sarà nel giro di pochi mesi un "reperto archeologico". E me lo terrò a lungo in quanto tale. Come pure faccio per la mia vecchia auto.

Hesperia ha detto...

Sympatros, noi Italiani abbiamo un italico vizio: quello di raccattare modi di vivere americani, quando questi vengono già messi in crisi da loro.
Nicholas Carr (statunitense), parla chiaro: la rete non permette concetrazione e memorizzazione delle nozioni. Eppure si legge anche in rete, ma è un altro modo di leggere.

Io non sono una "passatista" di vocazione, ma trovo stupido rincorrere il consumismo da innovazione permanente (cambia la caldaia, avrai lo socnto fiscale: cambia l'auto,se ti penti potrai restituirla dopo un anno; cambia il tuo frigorifero, cambia il tuo pc, cambia il tuo cell.).

Nausicaa ha detto...

Per ciò che riguarda la mia esperienza a scuola, sottoscrivo quel che scrive Carr. Sopravvalutare il mezzo (il pc) non significa affatto creare menti più recettive e preparate. In altre parole, non è il mezzo che rende più colti. Inoltre il web si è dimostrato deludente anche durante le famose ricerche. Si seleziona, si copia, si incolla, ma gira e rigira finché non si stampa gli alunni non riescono a studiare e a memorizzare. Chiosare, selezionare, sottolineare i passaggi interessanti e saper sintetizzare richiedono il cartaceo. Se poi non lo si vuole chiamare "libro", l'importante è la parola scritta e stampata.

Una delle più grandi fesserie propagandistiche è quella secondo cui la carta richiede cellulosa, perciò non rispetta l'ambiente e bla, bla,bla. E allora tutta l'energia elettrica che ci vuole per far girare la banda larga della rete, non la si conta?

Hesperia ha detto...

Innanzitutto una cultura si manifesta principalmente dalla sua capacità di potersi tramandare nel tempo. E come la si tramanda? Mediante la conservazione.
Vedremo se le nuove biblioteche ed emeroteche informatiche riusciranno a tramandarsi senza manomissioni e senza danni. Soprattutto, basta un black out, una crisi energetica che tutto si può perdere. E si badi, allo stato attuale, non ci saranno pazienti certosini che si metteranno a ricostruirla.

Per ciò che concerne l'apprendimento degli alunni (specie se giovanissimi) si fa avanti lo smanettone abile, ma superficiale e poco concentrato. Purtroppo ha ragione Mc Luhan, il mezzo non è mai neutro.

Anonimo ha detto...

La cosiddetta "rivoluzione digitale" non e' nemmeno lontanamente paragonabile all'invenzione della carta e della stampa. Entrambe hanno favorito la divulgazione della parola scritta rendendo piu' economico il mezzo che la veicolava. Con questo, sono state strumenti indispensabili per la costruzione dell'identita' europea e cristiana. Ora non ricordo bene gli esatti rapporti economici, ma dai miei studi di paleografia ricordo perfettamente come il salto da un materiale all'altro, dalla scrittura manuale a quella stampata, abbia consentito la diffusione del sapere in pressoche' ogni ceto sociale.

A dispetto di cio' che si crede comunemente, la riproduzione digitale e' molto piu' costosa. Soffre, poi, di molti altri difetti, tra cui, l'impossibilita' di fruizione senza la necessaria energia e il rischio di cancellazione di natura magnetica. Con l'eccezione di pochi supporti, naturalmente.

Ma la differenza fondamentale sta nella percezione che i nostri sensi hanno dell'immagine digitale. Non va dimenticato che si tratta della riproduzione di un segno scritto: della sua immagine digitale. E' un po' come pensare che guardare da una finestra sia come guardare la TV. Anche se siamo indotti a credere che il meccanismo sia il medesimo, il nostro cervello lo identifica come diverso e tende a memorizzarlo in modo piu' parziale.

Come scrive Hesperia, ci sono autori che si sono occupati di questo aspetto. Come e' lecito attendersi, in un mondo nel quale la lobby dell'informatica ha il diritto di veto in virtu' del suo grande peso economico, questi testi vengono trattati come il proverbiale cane in chiesa.

Non ultimo il rischio per la conservazione dei testi dovuto alle strane idee che sembrano pervadere i cervelli degli attuali oligarchi mondiali, il che renderebbe le fosche previsioni di Orwell uno scherzetto da quattro soldi.

Allora che fare ? Opporsi a chi vorrebbe sostituire un mezzo con l'altro senza rifiutare, comunque, la possibilita' che consente la moderna tecnologia, ovvero, di concentrare molto sapere in pochissimo spazio. Ma il problema, al solito, e' "chi" lo fa.

Questo potrebbe essere il lavoro di ipotetici nuovi monaci nei loro scriptoria.

Il sauro

Hesperia ha detto...

Sauro, dai, mettiti una maiuscola al nick :-).

Tu hai avuto molta dimestichezza coi mezzi informatici per "deformazione professionale", perciò credo sulla parola in quanto dici. Lo stesso Nicholas Carr dopo aver fatto pubblicazioni su pubblicazioni sui mezzi informatici dei quali è esperto, si è sentito dare del "tecnofobo", quando è vero il contrario.

Del resto le grandi corporations dei software hanno i loro grossi tornaconti nel criminalizzare chi non si adegua in tutto per tutto ai loro diktat. Google ( quotato in Borsa) gode di moltissimi privilegi, tra i quali quelli di poter mettere i suoi server nei paradisi fiscali. E ti par poco?

"Opporsi a chi vorrebbe sostituire un mezzo con l'altro senza rifiutare, comunque, la possibilita' che consente la moderna tecnologia, ovvero, di concentrare molto sapere in pochissimo spazio. Ma il problema, al solito, e' "chi" lo fa".

Appunto, chi lo fa?!

Sul fatto che le attuali tecnologie informatiche siano tutt'altro che a buon prezzo, sono d'accordissimo. Ma ci sarà ugualmente l'alibi "salvifico" che non si legge, nonostante si possiede questi mezzi costosi. La gente preferirà comprare meno da mangiare, ma tutti avranno pc, smartphone, tablet. ecc. E il bello è che le letture saranno abborracciate, superficiali, e pressapochiste, perché - inutile negarlo - VISUALIZZARE non significa LEGGERE. E a ben riflettere, in fondo neanche "vedere".

Anonimo ha detto...

Aspetta he speria... :-) il sauro si e' minuscolizzato per offrire meno bersaglio. Non si sa mai, con tutti i libberali curiosi che ci sono in giro...

E' vero. Ho avuto qualche esperienza nell'informatica, pressoche' dagli esordi della rete, ma comincio ad essere obsoleto pure qui.

Il problema dei problemi e' politico prima che informatico. Fino ad una certa epoca si alternavano centralizzazione e distribuzione. Dopo, la centralizzazione ha prevalso con il pretesto che la tecnica la rendeva possibile. Il risultato e' stato, anche qui, un esproprio invisibile, il che e' la cifra piu' evidente del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale.

Siccome un certo tipo di cultura ha sempre avuto la fissa di controllare il Sapere, ne consegue che e' doveroso preoccuparsi di come la nuova tecnologia potrebbe essere usata.

A ben vedere, i mezzi migliori sono ancora taccuino e lapis.

Il sauro

Hesperia ha detto...

Temo che il problema dei problemi, sia proprio quello che hai indicato: la disponibilità del materiale scritto on line. Apparentemente aperto, collettivo e alla portata di tutti, in realtà "tracciato" e aleatorio.

Perché quelle allegre Alici (nel senso di acciughe) delle Meraviglie di Progressisti, così entusiasti del Sapere in rete, forse non lo sanno ancora ma ogni volta che scarichiamo un Pdf, restano "tracce" delle nostre peregrinazioni, dei nostri gusti, disgusti, abitudini, letture, ecc. ecc. E a me (che magari sarò un po' paranoica) mi scoccia. A casa mia, prendo un libro, me lo leggo, lo ripongo e nessuno, a parte la sottoscritta, lo sa. In rete, invece no, e ciò che è "disponibile" non è detto che sia TUO. Amazon, magari ti segue e ti insegue...

Ma già, alle Alici piace stare dentro la rete. Da pesca, of course :-).

GL ha detto...

Ciao ragazzi, come state? Da tempo che non ci vediamo, in saluto a tutti!

Per la tema i questione abbiamo già discusso diverse volte (con pochi risultati).

Cosa dire di nuovo?

Ahahahah, mi son ricordato di un intero capitolo del libro Notre Dame de Paris di Victor Hugo dedicato al terrore esercitato dalla tecnologia. l'Inquisitore indica il libro prodotto dal Guttenberg dicendo:

- Questo qua ucciderà questo là (indicando Notre Dame, vuol dire il libro ucciderà architettura)!

Ahahahah ....

Questa discussione è inutile e non viene mai al capo se fatta da literatti che non conoscono le funzioni della tecnologia, o peggio lo odiano considerando soltanto la sua funzione utilitaria. Invece tecnologia ha molte altre funzioni, comprese le funzioni che ha l'arte. Da Vinci, un genio assoluto (il più grande), non distingueva un quadro da una borsa di donna.

Non esiste una trovata tecnologica che non ha difetti, anzi proprio il difetto lo fa funzionare. Per esempio un ago non e resistente, si rompe, appunto grazie alla sua funzione di essere appuntita.

Dunque non esistono difetti in tecnologia, non perdete tempo per trovarli. Perdete tempo di capire la funzione e la ragione storica della tecnologia, come segno dei tempi, collegato con lo spirito dell'epoca. Oggigiorno è lo spirito più profondo dell'epoca, e Leonardo sarebbe felice di viverla.

Vanda S. ha detto...

Un piccolo appunto: il recente libro citato, scritto da Carr, non si intitola "The Shallows" ma The Glass Cage. E' uscito a settembre del 2014.
Ecco il collegamento:

http://www.amazon.com/The-Glass-Cage-Automation-Us/dp/0393240762/ref=pd_bxgy_b_img_y

Hesperia ha detto...

Vanda, prenditela con l'intervistatore del Corriere Massimo Gaggi, da cui ho linkato il pezzo. Ho fatto una ricerca e vedo che l'ultimo è quello che dici. Ma Carr in passato ha effettivamente scritto un libro dal titolo: "The Shallows: "What the Internet Is Doing to Our Brains" è stato finalista nel 2011 per il Premio Pulitzer nella categoria General Nonfiction.
Si vede che Gaggi è rimasto un po' indietro.

Marshall ha detto...

""Fuori argomento.
Visto il primato conquistato da Agrigento, che è la città meno vivibile d'Italia, pur avendo i consiglieri comunali più staccanovisti d'Italia (più di 1100 sedute, quindi più di tre al giorno, compreso Natale, Ferragosto ecc.)?

Mi sono così ricordato d'aver scritto quel post, Girgenti amore mio, ed ho scritto al suo autore Gianfranco Jannuzzo, agrigentino doc, di scriverci una commedia esilarante, così come è nel suo stile dolcemente graffiante.""

http://esperidi.blogspot.it/2010/02/girgenti-amore-mio.html

Hesperia ha detto...

Sì, Marsh, ricordo quel post su Agrigento e mi dispiace che una così bella città sia considerata "poco vivibile" evidentemente per ragioni di qualità dei servizi sociali non funzionanti.

marshall ha detto...

Post illuminante, che sono riuscito ha leggere integralmente solo oggi, mentre cercavo articoli da linkare per un post che ho in mente di pubblicare ai primi di maggio. L'occasione mi verrà data dalla replica di una commedia degli attori dilettanti del mio paese (dei quali ho già parlato in miei post).
Per restare nel tema della commedia, che, tramite una biblioteca viaggiante, è quella di stimolare la lettura, la commedia verrà replicata all'interno di un biblioteca (mi pare sia quella di Paderno Dugnano).
Il post mi ha anche aperto gli occhi sopra un tema finanziario. Da appassionato di "gossip finanziario" non riuscivo a capire perché il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, un multimiliardario divenuto tale con la vendita on-line di libri, e non solo quelli, si sia comprato la totalità del Washington Post, investendovi centinaia di milioni di dollari ( http://it.wikipedia.org/wiki/The_Washington_Post ).

marshall ha detto...

errata-corrige
...che sono riuscito a leggere
e non che sono riuscito ha leggere.