Quando muore un grande artefice del Novecento, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: chi prenderà il suo posto? E sarà alla sua altezza? Parlo di Hubert de Givenchy lo stilista scomparso il 10 marzo scorso. La Maison è andata avanti diretta da altri nomi di prestigio, come Joe Galliano e Riccardo Trisci, più altri tentativi di fusioni. Attualmente è diretta dalla britannica Clare Waight Keller. Il grande couturier vi rimase a fare il direttore artistico fino al 1995. Ma è inutile ricordare che il meglio della sua produzione artistico-artigianale è già entrata nei musei dedicati alla moda e alla storia del costume. E non a caso, dato che questo grande (era alto quasi 2 metri) gentleman della moda aveva una sua filosofia: «È l’abito che deve seguire le linee del corpo, non il corpo assecondare la forma del vestito». Il gusto francese, caratterizzato da una manifattura dedita alla perfezione ed alla raffinatezza, incontra le mani di un uomo nato da famiglia aristocratica di religione protestante nel 1927 a Bouvais, orfano di padre e cresciuto da sempre tra i costumi d’epoca collezionati dal nonno, un celebre fotografo. Contro il volere della famiglia si avvicinò al mondo della moda, specie dopo aver frequentato “L'Ecole Nationale des Beaux Arts” a Parigi ed essersi avvicinato all'atelier di Cristobal Balenciaga del quale era fervente ammiratore. Dopo il 1968 ne ereditò per l'appunto la clientela, incorporandola nel suo atelier che andava già a gonfie vele. Dalla loro collaborazione nacquero gli abiti a “palloncino”.
«Gli abiti di Givenchy sono gli unici nei quali mi sento me stessa. Lui è più di un designer, è un creatore di personalità» diceva Audrey Hepburn del suo couturier preferito, le cui creazioni (91 abiti, 17 dipinti, bozzetti, foto) sono pure stati in mostra fino al gennaio 2015 nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. In scena tutte le più significative “mises” realizzate dal geniale stilista francese. Come l'abito nero lungo appena scivolato indossato da Audrey Hepburn in "Colazione da Tiffany" con un motivo circolare in perle che quasi copre le spalle di Audrey (aveva il complesso delle scapole sporgenti) nella scena della celebre passeggiata sulla 5th Avenue a NY davanti alla vetrina della famosa gioielleria, mentre è intenta a mangiare una brioche.
Cappottino arancio per Audrey in "Colazione da Tiffany" |
Givenchy è stato il couturier che per primo ha saputo creare una fortunata simbiosi stilista-diva. Il tubino nero di Audrey (battuto a cifre considerevoli nell'asta di Christie's ) mentre fuma al party con il lungo bocchino, è già un'icona intramontabile e non solo una locandina filmica. Idem l'abito nero più corto un po' svasato (il “little black dress”) con una bordatura in fondo - “mise” completata di largo cappello a cloche abbellito da un nastro di seta e occhiali, quando lei fischia per chiamare un taxi. Non è un caso che la Guerlain Profumi abbia prodotto in tempi recenti una fragranza dal titolo "La petite robe noire", in omaggio al suo stile sobrio e raffinato.
Abito corto con cappello a cloche in "Colazione da Tiffany" |
Abito di "Sabrina" |
Lei
era agli esordi della sua carriera durante la lavorazione di "Sabrina"
e si fece annunciare per incontrarlo. Ma ecco l’equivoco. “Credevo fosse un'altra Hepburn, Katharine, di
cui ero fan. A quel tempo Audrey non era ancora molto conosciuta a Parigi"
racconta lo stilista nelle interviste. “Mi chiese di disegnarle il guardaroba
per Sabrina, io ero occupato a metà
collezione, ma le mostrai alcuni modelli che sembravano tagliati per lei”. Fu subito sodalizio creativo. Da allora la
loro solida amicizia durò fino alla morte dell'attrice e il nome di Hubert de Givenchy
compare nei crediti di tanti altri suoi film: “Arianna”, “Cenerentola a
Parigi” (un film ambientato proprio sul mondo della moda e della fotografia) “Sciarada”, “My Fair Lady", "Insieme a Parigi", “Come
rubare un milione di dollari”, ciò che favorì l'espansione e diffusione della
sua griffe nel mercato americano.
Abito rosso in "Funny Face" (Cenerentola a Parigi) |
Un'amicizia fraterna fatta di stima e fiducia
reciproca. Per Givenchy "Audré"
(così la chiamano i francesi) era considerata una “sorella”. Del resto divenne
il suo sarto personale anche nella vita privata, grazie al suo stile sobrio, pratico
e veloce. Precursore del prêt-à-porter di lusso, fin da giovanissimo creò nell'atelier di Elsa
Schiaparelli (dove lavorò per 4 anni), i famosi "separati" multifunzionali,
una linea di coordinati blusa-gonna-giacca e pantaloni che i clienti potevano
accessoriare a seconda del loro gusto e umore.
Il suo
talento fece subito breccia fin dalla prima collezione del 1952, dove appena
24enne, venne notato con interesse dalla direttrice di "Elle" e da Carmel Snow, gran sacerdotessa di "
Harper’s Bazaar”. Un défilé tutto in bianco e nero dove si distinguono le
modelle amiche sue tra le quali la stupenda Bettina Graziani che darà il suo
nome a un pezzo destinato a diventare un capo di culto: la blusa Bettina. Nasce ed evolve con lui anche la figura della
supermodel divistica e Bettina (chiamata così, senza il cognome) ne fu un
esempio significativo. Lei fu anche press-agent per la Maison Givenchy.
Blusa Bettina |
Deborah
Kerr, Juliette Gréco,Lauren Bacall, Elizabeth Taylor, Jeanne Moreau, Jean Seberg,
Marlène Dietrich, Greta Garbo, Marella Agnelli figurano nel gotha della sua
clientela. Ma soprattutto creò tutto il guardaroba per la visita ufficiale di
Jacqueline Kennedy in Francia nel 1961 e confezionò l’abito verde smeraldo con
bolero indossato da Grace Kelly durante un viaggio a Washington.
Nelle ultime interviste rimpiange il tempo in cui le mannequin erano eleganti ma senza ricorrere ad un glamour chiassoso e le sue clienti si vestivano con cura anche per recarsi in luoghi sperduti.
Nelle ultime interviste rimpiange il tempo in cui le mannequin erano eleganti ma senza ricorrere ad un glamour chiassoso e le sue clienti si vestivano con cura anche per recarsi in luoghi sperduti.
Abito verde smeraldo con bolero per Grace Kelly |
Abito da cerimonia per Jackie Kennedy qui con Charles De Gaulle |
Ma poi, da vero signore, quasi a pentirsene, aggiunse che in fondo è già stata una grande fortuna aver attraversato un tempo nel quale la grazia, lo stile, l'eleganza e il talento venivano riconosciuti e apprezzati. La sua ultima sfilata si tenne l’11 luglio 1995 a Parigi. Il quotidiano "Le Figaro" sottolinea che “le Grand Hubert” non ha trovato il suo posto nella nuova era, quella dei "bulldozer industriali”. Ma forse è anche un privilegio.