sabato 2 febbraio 2008

Tim Burton: "Il mio musical è un omaggio al genio di Fellini"

Forse non tutti lo sanno ma Tim Burton per disegnare i suoi scheletri s’ispira all’opera di Edward Burra.
Ed è proprio con questa “curiosità” che inizio il mio omaggio ad un grande cineasta, enfant prodige di Hollywood, icona dark di un cinema fatato e visionario che racconta le struggenti solitudini di esclusi e reietti con una vena di sublime, folle ironia.
La figura dell’emarginato, dell’incompreso, dell'escluso dal consorzio umano, non perché malvagio ma semplicemente perchè diverso, torna ossessivamente nella sua cinematografia.
Dal Pinguino di Batman, ripudiato dai genitori a causa del suo orrido aspetto, al patetico Ed Wood, "il peggior regista del mondo" innamorato dei golfini d'angora e del trash di Bela Lugosi, i “diversi”
sono il “leif-motiv” della sua opera a partire dal protagonista più autobiografico del suo cinema, il commovente Edward mani di forbice che distrugge tutto ciò che tocca con le lame che ha al posto delle dita, nonostante l'animo mite perchè, il suo creatore, Vincente Price, è morto prima di donargli un paio di mani vere.
Un così appassionato cantore della diversità, altri non poteva scegliere, come protagonista del suo prossimo musical (in arrivo sugli schermi il 22 febbraio), che "Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street". Il musical si rifà ad una storia vera, pare infatti che Todd sia realmente esistito e sia stato responsabile di 160 omicidi nella Londra del XVIII° secolo.
Todd era un eccelso barbiere dell'elegante londinese Fleet Street che elaborò un’ atroce ritorsione per vendicarsi di un'ingiustizia subita da un magistrato che lo aveva condannato per portargli via la bella moglie e la giovane figlia. Scontata la pena, Sweeney riapre la bottega sotto falso nome e comincia a tagliare le gole dei clienti, in attesa di arrivare finalmente a quella dell'odiato giudice che ha ancora in custodia sua figlia Johanna . Al piano di sotto, nel suo negozio una fornaia vedova, compagna di Sweeney, mette i cadaveri nel tritacarne per farcire pasticci che vanno a ruba e, innamorata del barbiere, gli mente sulla sorte della moglie raccontando che è morta mentre in realtà vaga, folle, per la città. La fornaia è interpretata Helena Bonham Carter (moglie di Burton) e il barbiere sanguinario dal suo attore feticcio Johnny Depp.
Burton confeziona con questo musical il suo horror più cupo e gotico, con sgozzamenti in primo piano e cadaveri triturati, ciò nonostante i critici sono concordi nell’affermare che riesce a pervadere di poesia anche questo “splatter” a tinte forti.
Sweeney Todd ha già all’attivo ben tre nomination agli Oscar: per le scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (che hanno ricostruito mirabilmente la livida Londra ottocentesca), per i costumi e per il migliore attore protagonista, Johnny Depp.
E’ lo stesso Tim Burton a Roma per presentare il film, a dichiarare che “Sweeney Todd” è un omaggio al genio di Fellini (anche in Big Fish Burton omaggiava il nostro grande regista) e a parlare della sua ultima fatica: “L'horror è espressionismo e sfogo emotivo. Il sangue che scorre nel film non è realistico, ma catartico e espressionista. Tra le mie fonti di ispirazione c'è anche il cinema di Mario Bava, un autore capace di creare un proprio universo fantastico. E c'è, soprattutto, il celebre musical che nei paesi anglosassoni, tra Broadway e Londra, va in scena da anni: un mix tra horror, umorismo e musica che negli anni '40 era arricchito dallo stile francese del melodramma Grand Guignol. Io l'ho sfrondato di balli e cori, con personaggi chiusi in se stessi e introversi, tanto che raccontano i loro sentimenti cantando. Per Johnny Depp cantare per la prima volta sullo schermo è stata una bella sfida, la cosa che mi piace di lui è che vuole mettersi continuamente alla prova. La gente viene sgozzata nel film come oggi in Iraq in questi tempi ci si mangia l'un l'altro, e la mia favola ha molti elementi di attualità, attinti alle immutabili emozioni umane. Anche nella Hollywood di oggi "mangiare o essere mangiati" come "homo homini lupus", sono espressioni molto in voga. A Hollywood ci vado solo per lavorare, non vivo più a Los Angeles, la mondanità non mi piace, mi sento vicino ai miei personaggi poco integrati e in conflitto con la società: anch'io tendo a interiorizzare tutto, sono chiuso, solitario e arrabbiato. Con il passare degli anni prevale il senso di perdita, persino quando tutto va bene e sei vincente. Dopo la notizia delle nomination, ho mandato una mail a Depp, è felice ma timido e già in ansia all'idea di partire per Hollywood. Ferretti ormai è abituato agli Oscar: l'ho scelto perchè ho visto quello che ha fatto nei capolavori di Fellini, il mio film è un omaggio a Fellini e Dante conserva in sè lo spirito felliniano che poi riesce a trasfondere nelle scene”.
Come si può dedurre dalle sue parole anche un musical-horror ambientato nella Londra ottocentesca può esser di spunto a numerose riflessioni a cominciare, proprio da “"homo homini lupus", che testimonia come l’animo umano non conosca “progresso” e come sotto le spoglie della modernità si celino i lupi, oggi come allora.


Ipse Dixit
La morte è un'esperienza che tutti dobbiamo fare. Nella zona dove sono cresciuto si tratta ancora di un tabù, mentre in altre culture viene considerato un evento festoso. Perché non prendere la morte in maniera positiva, anziché considerarla semplicemente come un qualcosa da sotterrare?

Le scelte artistiche debbano rimanere tali per non perdere anche quell'ultimo briciolo di purezza che è necessario quando si fa questo lavoro.

Mi interessa la contrapposizione tra realtà e fantasia. Sono attratto dai confini molto sottili tra le due cose: spesso quello che viene percepito come realtà è fantasia, mentre quello che può sembrare fantasia è la realtà. La fantasia è un'esperienza che fai ogni giorno ma a me, interessa molto di più la linea di confine tra le due percezioni.Il vero realismo è quello che nasce sulla linea di confine. Credo che la realtà per sua natura stessa sia molto elusiva...Sono sempre stato attratto dal potere della percezione.

Aretusa

26 commenti:

Egle ha detto...

Interessantissima questa presentazione del musical in lizza per gli Oscar.
Non riesco quasi piu' a vedere scene orripilanti da quando gli effetti speciali le hanno rese completamente realistiche. Anche se sono ironiche.
Ma ci sono le eccezioni dei capolavori come sembra essere il film di Burton.

( ma come si sta bene in questo giardino fiorito! :-))

Drago Draghi ha detto...

Aborrrrrro Fellini. :-) Anch'io preferisco la semplicita', niente sangue e truculenza. C'e' gia' la realta' per queste cose; se anche la fantasia si occupa dei mostri non rimane alcuna via di fuga. Bloody Aretusa?

Aretusa ha detto...

Egle io andrò a vederlo appena esce, e ti saprò dire se ne vale la pena...
Io, invece non amo i musical, ma é possibile che questo di Burton, mi prenda.
Burton é il mio preferito, per la sua grande fantasia "noir" con la quale filtra ogni genere cinematografico dalla fantascienza (grandioso Mars Attack), al fantasy, ai cartoon ecc.
Sarà quanto meno interessante vederlo all'opera con un musical...
ciao Mary

Aretusa ha detto...

Mio caro Drago, ci hai azzeccato sono un'appassionata di noir, thriller e horror...
Per me, come per Burton, la violenza sullo schermo é catartica, uno sfogo emotivo a patto che sia inserita in un contesto puramente fantastico e/o ironico.
Un'esempio "Dal tramonto all'alba" piccolo capolavoro di Rodriguez con Keitel e Clooney (veramente per stomaci robusti).
O il "Kill Bill" di Tarantino.
Detesto invece la violenza fine a se' stessa presente in molte pellicole contemporanee.
(Non parlo di film di denuncia, come "Hotel Rwanda", lì é necessaria), ma di certe produzioni dove viene esaltata la mitica del "super-uomo" ammazza tutti, tipo "Rambo", "Rocky" e figlioletti vari...
Se devo essere sincera, Fellini non é in cima alla lista dei miei registi preferiti, anche se alcuni film suoi, li salvo.
Ciao Mary

Hesperia ha detto...

Ciao Are, intrigante presentazione di un regista che è nelle mie corde e di cui mi occupai nell'altro blog com Mars Attacks, che resta tra tutti i suoi film,quello che prediligo insieme all'indimenticabile "Edward mani di forbice", una fiaba nera che non mi stanco mai di vedere e rivedere. In più se è un musical, è una ragione di più perché io vada a vederlo, dato che è tra i generi che prediligo. E con questo do perfettamente ragione a Richard Gere in Chicago, quando asserisce che un musical è un lavoraccio impegnativo, dato che bisogna saper cantarem, ballare, mettere ottime coreografie, colori costumi ecc. Ciao.

Hesperia ha detto...

In altre parole,il musical è l'essenza dell'entertainement. E non dimentico, sempre di Burton, il cartoon tridimensionale de "La sposa cadavere", con il suo sublime-orrorifico, un genere apparentemente trash inventato da lui.

Aretusa ha detto...

Il musical é forse il genere che preferisco meno, ma Chicago é piaciuto anche a me.
Brave anche le due protagoniste la Zellweger e la Zeta-Jones, veramente dirompenti
Invece mi ha dato proprio sui nervi "Moulin Rouge" con la Kidman. anche se i protagionisti erano tutti all'altezza, ma l'ho trovato troppo lezioso.
Sarà perchè amando i film che risvegliano sentimenti forti, l'ho trovato sdolcinato.
A parte i musical infatti non sopporto i film come "il favoloso mondo dio Amelie"...Amelie (il personaggio)l'avrei vista bene come protagonista di Saw l'enigmista (quella a cui mettono in testa un marchingegno per schiacciargliela..)
ciao Are

Ps. Hesperia oggi mi compaiono i bidoncini in tutti i commenti e non solo nei miei.
boh...

Hesperia ha detto...

Il musical in genere non piace agli Italiani ( a parte la sottoscritta e pochi altri). "Chicago" (su coreografie di Bob Fosse, il genio di "Cabaret") è stato formidabile e le due protagoniste gareggiavano in bravura. x Moulin rouge invece sono d'accordo con te: un vero flop pretenzioso, inutilmente barocco e sdolcinato.

Lo PseudoSauro ha detto...

Per quanto riguarda il musical, direi che si tratta di un'espressione nazionale della cultura americana (nemmeno anglosassone), quindi mi pare comprensibile che altrove non abbia avuto lo stesso successo. Secondariamente, dato che si tratta spesso di una specie di opera barocca, con tanto di scenografia faraonica e costosissima, mi pare ovvio che non sia facile far circolare un'opera del genere, almeno da un punto di vista economico. Ma il dato piu' importante, direi che e' la lingua, insieme con gli usi e costumi americani. Solo cinematograficamente e' possibile esportare questo genere, il che lo allontana ulteriormente dalle sue origini europee, comprese le compagnie di giro che lavoravano, con pochi mezzi, piu' o meno come avveniva per il teatro. sempre considerato che si trattasse di generi diversi, dato che in passato azione scenica e musica erano spesso fusi insieme. Vedi teatro elisabettiano, compreso lo stesso Shakespeare, singspiel e la stessa opera lirica delle origini, dal belcanto barocco in poi. Un conto e' l'ascoltare una canzone di cui non si comprende nemmeno una parola, ed un altro un'intera opera. La cultura americana e' diversa da tutte le altre, anche se ha radici comuni con quella europea, ormai e' un'altra cosa.

Anonimo ha detto...

vi ricordo, a proposito di dark, o meglio di gothic/coldwave, che hanno collaborato con Tim Burton (e a cui pure si è ispirato più volte, sostiene) il branco che compare anche nella SDTK del Batman...una conturbante signora:) Saluti cari

http://it.youtube.com/watch?v=T4y6M2AeQ00

Anonimo ha detto...

ehm, brano, non "branCo"...quando scrivo col portatile ho postazioni improvvisate e infilo strafalcioni, comunque il video c'è e la fonte è verificata:)

Aretusa ha detto...

Infatti, ho sempre pensato che i musical USA, fossero una "rielaborazione yankee", della lirica italiana, quindi più apprezzati in loco che all'estero.
Anche se secondo me rendono molto meglio a teatro dove la musica, ma soprattutto la danza sono maggiormente esaltate, dalla diretta fisicità dei protagonisti.
Vedere un balletto a teatro é tutta un'altra esperienza, che non vederlo in televisione o al cinema.
E se la lacuna della lingua é mitigata a teatro, al cinema no.
Anche se un musical poco noto di parecchi anni fa, é per me, un vero capolavoro.
Parlo di "Jesus Christ Superstar"...l'unico che ho visto e rivisto e la cui versione cinematografica é la migliore.
Ciao Are

Aretusa ha detto...

Ciao Josh, non conoscevo questa "chicca" su Barton.
Cmq. é facilmente comprensibile come Burton possa essere affascinato dalla "conturbante signora"...Fra l'altro Siouxsie sarebbe stata una perfetta Catwoman.
La Pfeiffer é bravissima, ma troppo "eterea".
Ciao Are

Hesperia ha detto...

Non più tardi di ieri sera Tim Burton era in tv intervistato su RAI 3 da una goffa Dandini che si arrampicava sugli specchi col suo solito intellettualese gauchiste. Tim le ha risposto nella maniera più semplice e concreta, tipica dell'uomo che fa. Mentre la maestra Dandini, insegna. E cioè, DOES NOTHING. Quante simpatiche bestiole e piante in questo giardino! :-)

Aretusa ha detto...

La Dandini é insopportabile...immagino m'avrebbe guastato il piacere di ascoltare l'intervista di Tim Burton.
Purtroppo,in Italia siamo pieni di questi "intellettual-chic", che non sanno fare un cavolo, a parte riverire chi di dovere. Il bello é che fanno cadere il loro "sapere" dall'alto, come se fossero chissà geni incompresi, ma fuori dall'Italia non se li fila nessuno.
In America più sono grandi, più sono alla mano.
Qui più sono piccoli, più sono palloni gonfiati.
Un esempio l'odioso Moretti, insulso come regista e un vero "cane" come attore.
Ciao Are

Hesperia ha detto...

Are, ora poi il malmostoso Moretti si è messo a fare pure la lunga scena di sesso con Isabella Ferrari nel suo ultimo film "Caos Calmo". Ah! Ah! Ah! E' già su You tube la sua scena hard, per la felicità dei gonzi. :-D
Dicono che abbia la sensualità di un baccalà. Io non mi sprecherò di certo per andarlo a reperire in rete! Un famoso filosofo austriaco ha detto di recente che i nostri attori sono brutti, quanto i nostri politici. E che questo è segno di grande decadimento per un popolo considerato tra i migliori anche sul piano estetico. Si vede che pensava a Moretti. Scusa l'OT, ma ci voleva.

Anonimo ha detto...

Riguardo la sinistra e il cinema…ovviamente gli studi di cinema e spettacolo legati alla filosofia estetica e alle teorie della percezione sono stati considerati a lungo in Italia come una zona ‘alternativa’ solo per le persone di sinistra. (Veltroni, per es.) Gran parte della critica e analisi cinematografica italiana, qualcuna anche di pregio, è di sinistra. Ho fatto a mia volta quegli studi, a parte lett classiche e mod, ma la mia passione rimane la semiotica, cercare simboli ricorrenti nel macrotesto, e la teologia, quindi ho un approccio per forza di cose differente.
Ovvio gli studi sul cinema di sinistra sono ‘di classe’ nel senso della ‘lotta di classe’, molto marxistizzati e intellettualistici; si può notare anche un altro fatto antropologico. Cfr. la mole non indifferente di ricerche italiane sulla Nouvelle Vague dei ‘60: Truffaut, Chabrol, Godard, Resnais, Rohmer & co. Visti e interpretati dalla sinistra sembrano altri registi, pur tra pagine di qualche pregio. Sembra anche che a molta intellighenzia di sinistra, forse perché più che laici sono ateisti, manchi l’esprit delle cose, anche in senso culturale e mistico cristiano di Spirito. Beh per forza, se si rinnega…lo Spirito se ne va…
Per es. un teorico della Nouvelle Vague, Andrè Bazin era cattolico, aveva un’idea del cinema molto morale, come una ricerca spirituale…a mio avviso l’arte anche del cinema investigata solo in un modo non è capita dagli studiosi di sinistra. E’ come che invece di trovare o cogliere lo Spirito, colgano solo le parvenze, l’aldiqua delle cose, non lo sfondamento prospettico concettuale dell’aldilà delle cose, come una versione ristretta della caverna di Platone che non rimandasse all’essenza, dopo il caos simbolico. Troppi girotondi. :)

Anonimo ha detto...

@Hesperia, quando giustamente distingui tra chi DOES cinema, e chi DOES NOTHING, appunto:)
Fare critica cinematografica “militante” per molti di sinistra era un transfert, lo è stato per intere generazioni, come una Queste du Graal intorno al significato proprio della vita, più che del cinema. Data la formazione "tabula rasa marxista", non sapendo cogliere più l’anima sacra nella vita reale, cercavano questa anima in una sorta di Religio atea nel cinema, nell’intellettualismo: peccato però che il cinema, per quanto geniale, non è in sè la vita, ma solo la riproduzione della stessa da 1 unico punto di vista, solo immagine di un’immagine, solo Imitation of Life, non Life. La vita è altrove.
:)

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Drago Draghi ha detto...

Non c'e' da sorprendersi, ne' per il fatto che la cultura sia "di sinistra" (cosa nostra), ne' tantomeno per l'incapacita' dei critici di essere "artisti".

Ogni tempo ha la sua egemonia, pertanto il marxismo ha sostituito il cattolicesimo, ove questo era egemone. Sacerdoti anche questi, in fin dei conti, dato che di "scientifico" nella proprosta marxiana c'e' poco o nulla, ma molto di fideistico.

Storicamente i critici sono sempre stati artisti falliti, quindi non ci vedrei grande differenza. L'unico dato inquietante e' il crollo verticale delle competenze dovuto alla societa' massificata - quindi non solo alla componente "di sinistra".

Io direi che e' il modello "progressista" ad aver prodotto cotanta ignoranza, e con il termine intendo tutto l'appiattimento egualitarista post-rivoluzionario: sia esso liberale, come socialista. L'Arte e' in se' un fatto elitario e castale: lo e' sempre stato anche per l'uomo delle caverne.

[il portiere]

Drago Draghi ha detto...

Per concludere, la definizione "uomo del fare" equivaleva nel passato alla mago, ma nella societa' pre e post-industriale cio' e' divenuto l' "artigiano" e non l' "artista". Proprio per cio' che dice Josh, ovvero per la perdita del senso del trascendente e la tendenza a collocare tutto nell'immanente. Direi che in una societa' secolarizzata come la nostra l' Arte, intesa come espressione sacrale, non ha piu' alcun senso. Pazienza: abbiamo grandi musei e grande copia di manoscritti (se resisteremo alla tentazione di nuclearizzarli).

[il portiere]

Anonimo ha detto...

Josh all'anonimo x drago:
ma nè Drago, nè nessuno ha scritto esattamente un vero giudizio sul proprio tempo. A parte che si parlava trascendendo il mero presente anche in maniera simbolica, cioè rifacendosi a categorie culturali o del sentire dell'uomo che sono eterne, se non categorie spirituali, che trascendono l'hic et nunc vero e proprio. E poi lo spirito dell'uomo può leggere anche la sostanza degli avvenimenti presenti, non è solo dote razionale, e non è da tutti, ma se non lo facesse saremmo o morti o senz'anima. Per esempio lo stesso fece bene Nessie nel post in cui usava la figura di Helter Skelter/mondo alla rovescia per interpretare il presente, e nessuno con un po' di sale in zucca potrebbe non riconoscerle un'ottima capacità di lettura, se vuoi anche profetica, appunto attinente allo spirito, anche se applicata alla cultura o alla way of life del presente.

Hesperia ha detto...

Al troll Andrea che fa il giro delle 7 chiese (anche 14, 21 e 28) dei siti di tutta la blogosfera, gli consiglio di stare alla larga, perché qui siamo quattro a uno. Oltretutto i suoi commenti non sono di alcuna utilità. Si parla di cinema, certo, e i gusti al cinema sono leciti. Specie se quel che ci propinano è pattume. E per gusti intendo anche "gusti schierati", sì. Cosa dovremo dire? W Moretti solo per far piacere ai troll sinistrorsi come lui? Perciò aria, sciò! qui non ti ci voglio perché questa è casa MIA! Chiaro? Puoi sempre andare a sputtanare, a mettere zizzannie, calunnie e a vomitare insulti su di me su altri blog. Come del resto fai. Ricorda che sul piano delle vendette, io sono più sarda di te, perciò ti consiglio per il tuo bene di stare fuori dalle scatole.NON TI PERDONERO' MAI.

Hesperia ha detto...

Sono d'accordo col Drago sui rapporti tra arte ed egemonia. Anche se il vero artista (e il vero critico non prezzolato) dovrebbe poter usare la propria "techné" per non essere né omologo né organico al potere.

Josh, ho frequentato a lungo i cinéma d'essai, e come dice il liberale Paolo Di Lautréamont (o Paolo della Sala) sono autentici zoccoli duri di realsocialismo. Hai ragione quando dici che a leggere le loro dissertazioni critiche non riconosci nemmeno più il film che hai appena visto. E che forse quello recensito è un altro film, da quello a cui si è assistito.
OT: chiedo scusa ad Aretusa (che fa pure rima :-)) se mi sono presa la briga di fare repulisti in sua assenza, ma trattasi di vecchi professionisti ben noti nell'ambito delle molestie virtuali, che fanno solo perdere tempo.

Drago Draghi ha detto...

X Hesperia

infatti quando ho scritto di "crollo verticale delle competenze", intendevo proprio la mancanza della Techne'. E a cosa e' dovuto? all'egualitarismo per cui ognuno puo' fare qualunque cosa senza doversi preoccupare di apprenderne i modi. Anche ove l'Artista potesse - e secondo me non puo' - esprimersi nella nostra societa', non potrebbe farlo appieno se non padroneggiando la techne' dell'artigiano. C'est a' dire: l'artigiano puo' diventare artista per virtu' intrinseche che non hanno direttamente a che vedere con gli attrezzi del mestiere, ma senza queste non e' ne' l'uno, ne' l'altro. E questa e' la fattispecie attuale: manca l'artigianato a causa della rottura "progressista" con la tradizione (l'atto di consegnare l'esperienza di padre in figlio) e manca l'arte per l'incapacita' di pensare alla dimensione trascendente.

Hesperia ha detto...

Certo. Musica per le mie trombe d'Eustacchio visto che di questi temi mi sono sempre occupata. E in particolare di quel periodo storico in cui arte/mestiere e mestiere/arte erano un tutt'uno inscindibile e venivano trasmesse da una generazione all'altra. L'artigiano è stato espropriato dei suoi ferri del mestiere, della sua bottega e dei suoi garzoni ai quali poteva trasmettere antichi saperi, da varie rivoluzioni industriali. Ma qui ci allontaniamo dal cinema che è un arte (o mestiere) d'équipe. Anche se, in questo preciso ambito, non mancavano registi/artigiani come Chaplin che scriveva soggetti e sceneggiature, recitava, dirigeva, musicava i suoi film da sé. Oggi si direbbe: un genio. Ma Thomas Mann diceva che il genio è fatto di tanta traspirazione e un po' di ispirazione.