lunedì 15 novembre 2010

Veronica Gàmbara, la poetica del tutto


Nota introduttiva

Data la complessità dell'argomento, per questione di brevità ho dovuto operare parecchi tagli; l'alternativa sarebbe invece stata quella di pubblicare il post in almeno tre volte. Ho così appena accennato ad argomenti basilari per la comprensione della trattazione; ad esempio, come alle amicizie con Pietro Bembo, Vittoria Colonna, Bernardo Tasso, Isabella d'Este; o gl'incontri folgoranti con lo statuario Francesco I, e il carismatico Carlo V, o la corrispondenza intrattenuta con i vari pontefici dell'epoca. Dell'incontro con Ludovico Ariosto ne ho accennato in questo post. Trascuro addirittura degli scambi punzecchianti avuti con Pietro Aretino; punzecchiato e domato a sua volta dalla Gàmbara. Del ciclo conclusivo della Poetessa, quello della religione, e dell'abbandonarsi alla fede cattolica, pubblico soltanto una poesia in conclusione di post: data l'abbondanza e complessità di avvenimenti storici di quel periodo, è mia intenzione tornare sull'argomento.
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In un tempo in cui il poetare era prerogativa solo maschile, e riservata ai nobili, la contessa di Correggio e la marchesa di Pescara, in quanto donne, furono due notevoli eccezioni. Quasi coetanee, Veronica Gàmbara era nata nel 1485, Vittoria Colonna nel 1490, ebbero del matrimonio esperienze totalmente diverse, i cui sentimenti riversarono fulgidamente in poesia: per la contessa un'esperienza esaltante e felice, per la marchesa travagliata e tormentosa.

La Gàmbara, cresciuta in un ambiente stimolante per un letterato, cominciò a comporre versi fin da bambina, arte che poi, crescendo, le tornò anche utile.

In età matura, facendo leva sui versi e su lettere dall'impostazione poetica, ha cercato, per mezzo di essa, di dirimere anche dissidi esterni al regno, che si trovò a dover governare. Anche se lei non scrisse mai con l'intenzione di vedersi poi pubblicare le proprie lettere private, gli altri, secondo una prassi comune del tempo, corrispondevano in maniera pomposa e ricercata, col preciso scopo che poi la loro corrispondenza privata sarebbe diventata oggetto di stampa. Appena ebbe le redini di Correggio, nel mentre sulle acque del Lario, a Musso, in Brianza e in tutto il Milanese si svolgevano le vicende anche sanguinarie legate al Medeghino, qui raccontate, e la Romagna era appena stata scossa dalle imperiose gesta del Valentino, nel piccolo regno di Correggio, posto nel mezzo dei due, la contessa Gàmbara governava la piccola contea in maniera totalmente diversa che non a quei due, con blando uso di armi, o forza. Infatti, durante i 32 anni di suo governo, nella contea fu registrata una sola condanna capitale, e si ricorda di un ricorso alla forza ed alle armi nel 1526 quando, per difendersi dall'aggressione di ottocento fanti, comandati da Fabrizio Maramaldo, fu necessario mobilitare tutti i cittadini, invitandoli ad imbracciare le armi. Gli ottocento fanti furono poi cacciati, ma lasciarono comunque dietro di se morte, fame, desolazione e pestilenza.

Veronica Gàmbara era di indole pigra, le piaceva la buona tavola, ed era pingue di corporatura; sarà stato anche per questo che aveva avuto una certa difficoltà a maritarsi, tanto che dovette intervenire sua madre, che chiese aiuto in tal senso alla propria famiglia d'origine, i Pio di Carpi. E sarà stato forse anche per la sua pinguedine che di lei non c'è alcun ritratto, nonostante Antonio Allegri, detto il Correggio, fosse il pittore ufficiale di casa Gàmbara. Aveva ventiquattro anni, e fu un gran sollievo per i suoi, quando si celebrarono le nozze, dapprima per procura, col quasi cinquantenne Giberto X da Correggio. Questi era anche il
vedovo di Violante dei Pico della Mirandola, dalla quale aveva avuto due figlie e, come detto, era anche imparentato con la sposa per parte della madre di lei, Alda dei Pio di Carpi. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, per via della forte differenza d'età, per Veronica fu la svolta della vita, e la felicità, anche se di breve durata; rimase infatti vedova dopo nemmeno dieci anni di matrimonio. Ciò non di meno il loro fu un matrimonio stabile e reso felice dalla nascita di due figli, che sarebbero potuti diventare di più, se un intervento chirurgico, resosi necessario per salvarle la vita, la privò del piacere di diventare madre ancora. Al contrario dell'amica Vittoria Colonna, infelice per quel marito giovane e forte, ma sempre in giro per il mondo in cerca di battaglie e di femmine, il marito di Veronica, ormai non più giovane nè forte, aveva deposto le armi ed aveva dedicato alla moglie ed alla prole il resto dei suoi anni. Il matrimonio per procura, senza che i due non si erano forse mai visti prima, era avvenuto il 6 ottobre 1518, una ricorrenza che la poetessa ricorderà sempre, anche e soprattutto nei 32 anni di vedovanza. Veronica era rimasta abbagliata dal di lui aspetto al primo vederlo, tanto che in seguito scrisse "di bellezza adone / cede al suo paragone". Dello stesso tenore di questi versi è il seguente struggente brano, che, presumibilmente, compose nel periodo dell'avvenuto matrimonio per procura, quando forse non si erano ancora visti.

Poscia che 'l mio destin fermo e fatale
Vuol pur ch'io v'ami e che per voi sospiri,
Quella pietà nel petto Amor v'ispiri
Che conviene al mio duol grave e mortale

E faccia che 'l voler vostro sia eguale
A gli amorosi ardenti miei desiri;
Poi cresca quanto vuol doglia e martìri
Che più d'ogn'altro ben dolce sia 'l male.

E se tal grazia impetro, almo mio sole,
Nessun più lieto e glorioso stato
Diede amor o Fortuna al mondo mai.

E quanti per addietro affanni e guai
Patito ha il cor, ond'ei si dolse e duole,
Chiamerà dolci, e lui sempre beato.

Nella primavera del 1509, gli sposi sono a Napoli, dove, nella Cattedrale di Amalfi, celebreranno il rito nuziale religioso. In occasione di quel viaggio Veronica ebbe modo di rivedere l'amico Bernardo Tasso, futuro padre del celebre Torquato, conosciuto quand'egli era a Ferrara, al servizio degli Estensi. Con lui, da giovani, c'era stato un fitto scambio di missive in gergo e in versi poetici. Per ragioni di lavoro, come diremmo oggi, Bernardo s'era trasferito a Salerno.
Come il Tasso, anche Pietro Bembo che era, e che sarà ancora, dopo la vedovanza, il mentore prediletto di Veronica, negli anni del felice matrimonio verrà messo un pò in disparte.

In quel periodo storico era di moda motteggiare ad imitazione del Petrarca, ma farlo non era da tutti, e soprattutto era prerogativa esclusivamente maschile: alle donne era riservato l'accudimento familiare. Veronica Gàmbara e Vittoria Colonna ruppero però quel tabù.
Nel 1509 Veronica aveva lasciato il paese natale nel bresciano alla volta dell'Emilia. Si era sposata per procura nell'ottobre precedente con il conte Giberto X, signore del piccolo regno di Correggio .

Di quel periodo sono state ritrovate solo poesie dedicate al marito, e di questo genere: "le parole / Dolci ad udir del suo bel foco ardente".
Pare anche che nel frattempo si fosse dimenticata perfino degli amici più cari, del Bembo, in particolare. Il 26 agosto 1518 conte Giberto moriva e Veronica, facile supporre al culmine della disperazione, scriverà:
Quel nodo in cui la mia beata sorte,
Per ordine del ciel, legommi e strinse,
Con grave mio dolor sciolse e discinse
Quella crudel che 'l mondo chiama morte.

E fu l'affanno sì gravoso e forte,
Che tutti i miei piaceri a un tratto estinse;
E se non che ragione alfin pur vinse,
Fatto avrei mie giornate e brevi e corte.

Ma tema sol di non andare in parte
Troppo lontana a quella ove il bel viso
Risplende sovra ogni lucente stella,

Mitigato ha il dolor, che ingegno od arte
Far nol potea, sperando in paradiso
L'alma vedere oltra le belle bella.

Restò così vedova all'età di 33 anni, non si risposò più, e mantenne il lutto totale per il resto della vita. Del suo corpo faceva vedere solo il viso. Fece perfin dipingere di nero la carrozza, facendola trainare solo da cavalli neri o morelli; anche la stanza e il letto fece addobbare di nero listato per sempre a lutto. Nei primi tempi di vedovanza, è probabile avesse anche meditato al suicidio, ma forse fu il pensiero dei due figli ancora in tenera età a distoglierla dalla turpe idea. E fu così che aspettando la loro maggiore età, prese in mano le redini del piccolo regno, assolvendo al compito con inusuale determinazione e maestria, per una donna di quei tempi. Le vicissitudini della vita, portarono poi i figli ad occuparsi di tutt'altro, diventando il maggiore un condottiero, e il minore un cardinale. Toccò così a Veronica di governare il Regno per gli oltre trent'anni in cui visse. E fu così che gli anni dal 1519 al 1532 li dedicò gran parte alla politica, ed estera in particolare. Scriveva in prosa, o motteggiando, a Francesco I e a Carlo V. Di Francesco I ammirava l'aspetto statuario, di Carlo V invece il grande carisma. L'ammirazione reciproca tra la contessa di Correggio e l'Imperatore fu tale che questi, nelle sue tre venute a Bologna, per ben due volte volle passare da Correggio, ospitato con tutti gli onori dai cittadini e da casa Gàmbara.

Componeva motti e sonetti e lettere per tutti; molte andate perse, ma parecchie ci sono pervenute, fornendoci tra l'altro preziose testimonianze sulle abitudini e modi di vivere del tempo, e una ricca testimonianza sull'evoluzione della nostra lingua che andava pian piano sganciandosi dal latino negli scritti di ufficialità. La grande stima e soggezione che aveva per Carlo V la trasferì in un sonetto che compose nel 1526, all'indomani della pace di Madrid siglata tra i due re. Con quel trattato di pace, Veronica si era illusa che, finalmente, si sarebbe giunti alla pace universale tanto agognata da tutti. Questo il sonetto:

Vincere i cor più saggi e i Re più alteri,
Legar con l'arme e scioglier con la pace,
Dargli e tor libertà quando a voi piace,
Esser dolce agli umili, acerbo ai fieri;

Che pajan falsi appo de' vostri veri
Gli onori altrui; che di virtù la face
Viva si accesa in voi, che ancor vi spiace
De l'error l'ombra e del vizio i pensieri;

Nasce, Signor, da unir la salda mente
Con l'eterno voler; far poca stima,
Che ceda al suo valor l'empia fortuna.

Onde sarà la gloria vostra prima
In terra, e l'alma il ciel sovra ciascuna,
Quella d'onor, questa d'amore ardente.

Nel luglio del 1532, tornando Verola in possesso della sua famiglia d'origine, fece un viaggio di ritorno al paese natio. Vi mancava da più di vent'anni e l'impressione unita a commozione fu tale, che compose la seguente poesia in suo onore, di chiara intonazione petrarchesca:

Con quel caldo desio che nascer suole
Nel petto di chi torna, amando, assente
Gli occhi vaghi a vedere, e le parole
Dolci ad udir del suo bel foco ardente,
Con quel, proprio voi, piagge al mondo sole,
Fresc'acque, ameni colli, e te, possente
Più d'altra ch'l sol miri andando intorno,
Bella e lieta cittade, a veder torno.

Salve, mia cara Patria, e tu, felice,
Tanto amato dal ciel, ricco paese,
Che a guisa di leggiadra alma fenice,
Mostri l'alto valor chiaro e palese;
Natura, a te sol madre e pia nutrice,
Ha fatto a gli altri mille gravi offese,
Spogliandoli di quanto avean di buono
Per farne a te cortese e largo dono.
In "Fresc'acque, ameni colli" si scorge chiaramente l'influsso del Chiare, fresche et dolci acque.
Da lì in poi, e quindi dal 1532 al 1540, si dedicherà alla poesia impegnata, quasi aborrendo i frivoli versi scritti nell'età giovanile. Nel sonetto che segue descrive infatti tutto il rammarico e disappunto per essersi persa in gioventù in quelle "sciocche rime". Ed è chiaro il riferimento a quando scriveva mottetti per il buffone Baron, di corte Gonzaga, o le canzonette per Isabella d'Este in Gonzaga, che da giovane si dilettava in canzonette, e prediligeva i versi composti da Veronica. Insomma, da quel 1532 la Poesia per Veronica Gàmbara è diventata una cosa molto seria, e scriverà, tra le sue innumerevoli composizioni:

Mentre da vaghi e giovenil pensieri
Fui nodrita, or temendo, ora sperando,
Piangendo or trista, ed or lieta cantando,
Da desir combattuta or falsi, or veri,
Con accenti sfogai pietosi, e seri I concetti del cor, che spesso amando
Il suo male assai più che 'l ben cercando,
Consumava dogliosa i giorni interi.

Or che d'altri pensieri, e d'altre voglie
Pasco la mente, a le già care rime
Ho posto, ed a lo stil, silenzio eterno.

E se allor vaneggiando, a quelle prime
Sciocchezze intesi, ora il pentirmi toglie
Palesando la colpa, il duolo interno.

Nella parte conclusiva della sua vita (1540-1550) c'è da rilevare l'abbandonarsi di Veronica alla religione. Questo è quel periodo, accennato all'introduzione, sul quale torneremo. Qui trascrivo solamente un suo significativo sonetto:
Ite, pensier fallaci, e vana speme,
Ciechi ingordi desiri, accese voglie;
Ite, sospiri ardenti, acerbe doglie,
Compagni sempre a le mie eterne pene;

Ite, memorie dolci, aspre catene
Al cor che pur da voi or si discioglie,
E 'l fren de la ragion tutto raccoglie,
Smarrito un tempo, e 'n libertà ne viene.

E tu, povr'alma in tanti affanni involta,
Slegati omai, e al tuo Signor divino
Leggiadramente i tuoi pensier rivolta;

Sforza animosamente il fier destino,
E i lacci rompi; e poi leggiera e sciolta
Rivolgi i passi a un più sicur cammino.
Nonostante, come detto, Il Correggio sia stato il pittore ufficiale di corte Gàmbara, pare non vi sia di Veronica alcun ritratto. Si ha soltanto notizia certa di un quadro da lei commissionato all'Allegri, che doveva rappresentare una Maddalena nel deserto; ma esso è andato disperso.
Bibliografia: La Signora della Poesia, di Daniela Pizzagalli, Editore Rizzoli, 2004.
Immagini - dall'alto: Ritratto di dama; Correggio (1517-1518), da Wikipedia
Francesco I di Francia - 1525 circa - da Wikipedia
Carlo V - da Wikipedia
Ulteriori fonti d'informazione: Cristinacampo.it

Cliccando qui, si accede alle Rime di Veronica Gambara, tramite il sito Letteratura Italiana.

21 commenti:

Marcello di Mammi ha detto...

Marshall
della Gambera ne avevamo già parlato e non ho libri che la riguardino, ma al tuo cenno sull'Aretino mi sono incuriosito e sono andato a vedere cosa avesse detto la lingua "malèdica" sulla contessa

"...Contro Veronica
Gambara è l'ingiuria atroce dell'Aretino, che la disse ' meretrice laureata ' : e inverecondo oltraggiatore, che di rado mentiva interamente, questa volta ha detto certamente il falso..."
dal
GIORNALE STORICO
DELLA LETTERATURA ITALIANA
DIRETTO E REDATTO
EGIDIO GORRA
VOLUME LXX.
TORINO
C ti. sa Editrice ERMANNO LOESCHER
1917

A onor del vero ci sono anche degli scritti dell'aretino che elogiano la Gambara.
Amore-odio?
ciao

marshall ha detto...

Marcello,
grazie per il tuo contributo d'informazione.
Da quel che ho letto io dell'Aretino, sull'ottimo libro della Pizzagalli, mi son fatto l'immagine di un gran furbetto che ha vissuto di rendita ricattando i signorotti del tempo. Li teneva soggiogati con la velata minaccia che avrebbe spifferato ai quattro venti tutte le malefatte di ciascuno di loro; e così costoro se lo tenevan buono mandandogli continuamente omaggi in denaro o in natura.
Lo aveva fatto anche con la Gàmbara, e per certo tempo gli andò bene. Ma quando questa mangiò la foglia, si mise a poetare prendendolo sottilmente per i cosiddetti fondelli. Questi allora cominciò a cambiare atteggiamento, e le parti pian piano si invertirono, tanto che alfine fu lui ad omaggiare lei, finchè divennero grandi amici.
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Il fatto della "meretrice laureata", sì l'ho letto anch'io, ma faceva parte dello stile dell'Aretino, in quanto la Gàmbara aveva sì cultura da vendere, ma era tutt'altro che meretrice. E Pietro Aretino questo lo capì.
Ciao.

marshall ha detto...

Marcello,
scusami curiosità e indiscrezione. La tua libreria è ricca anche di questi volumi, oltre a tutti gli altri che m'hai detto?
Ulteriore indiscrezione: ma quanti ne hai?

Marcello di Mammi ha detto...

Marshall
OT
questo libro non lo possiedo, ho riportato l'edizione caso mai qualcuno volesse, giustamente, controllare la fonte. Ho diversi libri ma, purtroppo, una parte sono andati ad altri eredi,ci sono ancora circa 400 volumi del 7/800,da dividere, appartenuti al bisnonno di mia moglie, che era archivista e paleografo del Granduca di Toscana.Sai che guerra con mia cognata, l'unica a cui interessano oltre a me....
ciao

Hesperia ha detto...

Caro Marsh, hai scritto un vero e proprio trattato su uno tra i pochi esempi di poesia al femminile di quel tempo. E vedo che l'hai fatto con grande impegno e sensibilità.
Vittoria Gambaro, Vittoria Colonna (che fu ammirata da Michelangelo) e Gaspara Stampa sono tra i rari fulgidi esempi di poetesse di quel tempo.
Ottimo il riferimento di Cristina Campo, una grande saggista che ha fatto emergere le tre poetesse citate .
Di loro tre, la mia conoscenza è frammentaria, ma grazie a te, ho le direttrici per una ricerca più approfondita della loro poesia. Interessante anche l'entourage artistico che si svolgeva attorno alla Gambaro come il Correggio, pittore di famiglia, di cui ho visitato di recente una magnifica mostra a Parma.

Un itinerario un po' insolito rispetto alle tue ricerche sui luoghi. Come mai ti sei interessato tanto a questa figura femminile?

marshall ha detto...

Hesperia,
la storia risale ai tempi del mio "grande" innamoramento per Ferrara (che puoi scoprire dal link che ho inserito nel post) e cercavo accanitamente tutto ciò che riguardasse la città estense. Tra questi c'erano, ovviamente, il Tasso e l'Ariosto. Leggendo quel passo dell'Orlando Furioso, dove parla molto bene di una tale
..."Veronica da Gambara mi pare"...
Da lì era iniziata la "caccia" a questa Veronica da Gambara. Tutto il resto è venuto dopo. La "folgorazione" recentissima me l'ha data l'amico Fausto di Alloggibarbaria.blogspot (il link è nel post alla voce Bembo) quando ha pubblicato il post sulla
Ca' Bembo.

Josh ha detto...

Ciao Marshall e complimenti per il bellissimo post.
:-) uh ma che tema hai scelto! Ma cos'è mi imiti? scherzoooo

interessante il parallelismo tra poetesse che hai delineato, con bei cenni biografici e in un'ottica storica.

Precisa la notazione sugli epistolari...e anche l'andirivieni dell'influsso petrarchesco all'epoca.
Aggiungo: che meraviglia i dipinti di Correggio:-)

Sono ben scritte anche le vicissitudini personali: quanti incontri con personaggi storici decisivi...e incrocio di persone, parentele, amicizie, per la politica, la letteratura d'allora.

Suggestivo il racconto della vedovanza 'dark' di Veronica, vero spartiacque nella vita della signora.

Josh ha detto...

p.s. Marshall...i miei nonni da parte paterna sono di Ferrara:-)

marshall ha detto...

Josh,
ti ringrazio infinitamente del tuo preziosissimo commento, e sono anche felicissimo di sapere che i tuoi nonni paterni sono di Ferrara, città della quale mi ero strainnamorato al tempo in cui lessi Il Mulino del Po, integralmente (2000 e rotte pagine), dopo di che, sulla scia del Giardino dei Finzi Contini, che sapevo ambientato a Ferrara, mi diedi alla caccia di tutti i romanzi semistorici del Bassani (altro grande!), poi, quando entrai nei mondi fantastici dei più grandi Ariosto e Tasso l'innamoramento fu totale e stravolgente: volevo trasferirmi a Ferrara (feci una testa tanto ai miei! E pensare che avevo già i miei problemi!).

Basta! Mi concedo una pausa, altrimenti mi torna lo stramagone!

marshall ha detto...

Josh,
da un passo del commento dove scrivi:
"Precisa la notazione sugli epistolari...e anche l'andirivieni dell'influsso petrarchesco all'epoca"

...temo d'aver commesso una notevole gaffe con una amica.

A costei, che segue questo blog, è prof di lettere, oltre che giornalista locale, rispondendo ad una sua mail ho anche scritto:

...vi aleggia l'anima del Petrarca e il movimento a lui ispirato: il petrarchismo. Il post è anche un omaggio indiretto al suo caro papà... ecc.ecc.

Capito dove starebbe la gaffe? Ho parlato di petrarchismo, mentre forse avrei dovuto parlarle di "epistolari".

Illuminami!
Grazie.

Josh ha detto...

Uhm...Marshall dove starebbe la gaffe? Mi sono perso. Non sono sicuro di aver capito tutto quello che mi scrivi lì nel commento, non capisco tra papà, epistolari e petrarchismo quali tra i 3 termini metti in rapporto tra loro,
ma un'ambiguità la trovo qui:

ti cito

“...vi aleggia l'anima del Petrarca e il movimento a lui ispirato: il petrarchismo. Il post è anche un omaggio indiretto al suo caro papà... ecc.ecc. “

diciamo che non si capisce 'il suo caro papà' a chi sia riferito.

Il papà del Petrarchismo? Può essere che intendi in senso lato Petrarca, che però non aveva immaginato il Petrarchismo successivo come propria derivazione di circa 3 secoli europei....

Meglio può essere Pietro Bembo, il petrarchista totale ufficiale...

Ma il dubbio sembra sia ....con il papà della destinataria della lettera, cioè sembra che stai parlando con la figlia di Petrarca o di Pietro Bembo:
se così fosse postuleresti per la tua interlocutrice un'età secolare quasi millenaria :-))
l'ultima mi sembra la più esilarante ahahah


La questione epistolario l'hai spiegata già bene tu: venivano scritte lettere in qualche modo d'arte, in altra epoca, con la consapevolezza talvolta che sarebbero state pubblicate come 'genere' a se stante, quindi non sono come la nostra corrispondenza privata più sincera, c'era già talvolta una costruzione formale voluta sapendo che avrebbero avuto quasi sicuramente un pubblico più vasto.

A mio avviso è poi sempre bene quando possibile leggersi biografie ed epistolari, anche recenti, dei moderni e contemporanei, e contestualizzare,
per capire meglio l'artista e la persona, andando oltre al testo, anche se poi dalle biografie ed epistolari non si può sapere tutto dell'interiorità di una persona...

un po' come scriveva De Sanctis, quando diceva in alcuni casi 'ci era l'artista ma non ci era l'uomo' o viceversa, 'non ci era l'artista ma ci era l'uomo'....ci sono anche casi in cui in letteratura troviamo levigatezza formale, magari non profondissimi contenuti, e poi una vita che non ci sembra sto granchè come levatura morale e spessore, non tanto per fatti magniloquenti o meno, in altre parole....

Gerta ha detto...

C'è un'altra poetessa che avete citato, Vittoria Colonna, aristocratica anche lei, di cui vorrei riportare un sonetto che mi piace. Complimenti per il post.

Scrivo sol per sfogar l’interna doglia,
Ch’al cor mandar le luci al mondo sole;
E non per giunger luce al mio bel Sole,
Al chiaro spirto, all’ onorata spoglia.
Giusta cagione a lamentar m’invoglia,
Ch’io scemi la sua gloria assai mi dole;
Per altra lingua, e più saggie parole,
Convien ch’a Morte il gran nome si toglia.
La pura fè, l’ardor, l’intensa pena
Mi scusi appo ciascun, che ’l grave pianto
E’ tal, che tempo, nè ragion l’affrena.
Amaro lagrimar, non dolce canto,
Foschi sospiri, e non voce serena,
Di stil no, ma di duol mi danno il vanto.

marshall ha detto...

Josh,
devo aver creato un pò di confusione nel commento:
il papà è il papà di quella mia amica giornalista, nonchè professoressa di lettere alle scuole medie, che segue questo blog. Il "caro papà" si riferisce al fatto che è venuto a mancarci nel gennaio di quest'anno. Anche lui, professore di lettere, nonchè preside del liceo dove insegnava, oltre che ottimo e rinomato "dantista" locale, aveva una grande passione per il Petrarca, e mi raccomandò vivamente di leggere il "De vita solitaria" in un momento in cui credo di essergli sembrato in uno stato di profonda crisi depressiva.
---
Riprendo a leggere il tuo commento.

marshall ha detto...

Josh,
ho assodato la differenza tra "epistolari" e "petrarcheschi": caratteristiche che può avere anche una stessa persona, ma son due questioni totalmente differenti.

marshall ha detto...

Gerta,
grazie per il sonetto che ci mandi; il mio libro, dedicato alla Gàmbara, riporta solo suoi sonetti.

Questo sonetto della Colonna è splendido, ma lo straordinario è il leggere che scriveva già nell'italiano dei poeti dell'ottocento, anticipandoli quindi di oltre trecento anni: straordinario!
E devo anche dire che la qualità di questo sonetto, tranne in due o tre casi, è senzaltro superiore alla qualità di questi sonetti della Gàmbara, che conosco assai bene, avendoli letti almeno dieci volte ciascuno.

Grazie per la gradita visita.

Anonimo ha detto...

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marshall ha detto...

Hesperia,
io, invece, grazie a te mi sto interessando anche di Gaspara Stampa, e può darsi ne nasca un post, non tanto da me, quanto del blogger veneziano Fausto, visto che Gaspara Stampa era nata Padova nel 1523 da una famiglia di origine milanese (il padre era orologiaio), ed era morta ancor giovane a Venezia nel 1554, appena quattro anni dopo la nostra Veronica Gàmbara, che però era nata nel 1485.
La mia curiosità per questa poetessa è nata anche dal fatto che nel post La Madonna del Castagno parlo di villa Casati STAMPA di Muggiò, divenuta Monumento Nazionale ed ora sede del Palazzo Municipale.
Ma ho scoperto che Gaspara Stampa non ha nulla a che vedere con questa villa.

marshall ha detto...

Fuori tema per Josh,
ti farà piacere sapere che oggi un nutrito gruppo di miei concittadini è sceso a Ferrara per ammirare la mostra di Charden.
Che abbiano letto il tuo post?

Josh ha detto...

ah benissimo Marshall...beh la mostra di Chardin è ben fatta, che abbiano letto o meno il post....insomma è un'esperienza 'dell'interiorità', che ci vedano o meno quel che ci ho visto io:-)

marshall ha detto...

Josh,
sono gli universitari del tempo libero, e non della terza età (ha voluto così colei che ha fatto il lascito dell'immobile al comune, e infatti ci vanno anche ragazzi di vent'anni), tra i quali c'è chi legge i tuoi post.

Josh ha detto...

uh mamma! :-)) grazie allora, sono molto onorato.
Tieni conto che molte delle cose scritte anche se verificabili e in fondo esatte, sono anche personali, sono state scelte perchè lì c'era per me una tensione emotiva....
ecco cosa intendevo quando ti parlavo di scrivere per sfogo.

Dì pure però che non mi prendano troppo sul serio, specie nelle mie fasi più deliranti :-)