martedì 4 giugno 2013

Il Gatsby di Luhrmann

 
 
 
Jay Gatsby è un personaggio che continua ad attrarre, se non altro perché riviviamo una crisi anche peggiore di quella del '29. Personalmente, però, sono contraria ai remake continui e sistematici.  Oltretutto rivelano una mancanza di fantasia. Ricordo che quella di cui parlo è la terza versione filmica.  Il minimo che si rischia è il raffronto non solo con l'opera narrativa, ma con le versioni filmiche precedenti. Mi ero ripromessa di tornare sull'argomento dopo il mio post "Fitzgerald, il jazz e il grande crac", all'uscita del Gatsby di Baz Luhrmann. Sapevamo già su questo blog, che saremmo rimasti delusi da un regista più vicino alle atmosfere circensi a lui così care già in Moulin Rouge, che alle atmsfere smart e ovattate di Fitzgerald. Ma la curiosità era tanta e alla fine ha vinto. Poi c'erano gli abiti dell'archivio di Prada, i gioielli veri di Tiffany, già prenotati nelle più prestigiose case d'asta:  orecchini di diamanti di taglio quadro, lunghe collane di perle rosa, grigie e bianche, diademi, fermagli-gioiello, anelli con splendide gemme... E le accattivanti interviste a Carey Mulligan nel ruolo di Daisy Buchanan.
 La quale dichiara che portare veri preziosi d'epoca, condiziona non poco anche la recitazione e aiuta a entrare meglio nel racconto e nel personaggio frivolo. Insomma, alla fine si cede e si va a vederlo non fosse altro che per avere il pretesto di criticare. Qui anche l'intervista di Miuccia Prada, la quale ha curato i costumi rinunciando a farli d'epoca ma reinterprentando alla sua maniera,  la moda di allora. Memorabile l'abito a lampadario con gocce di cristalli in crescendo (dalle più piccole alle più grandi). Tuttavia nel cinema l'abito non fa mai (o quasi mai) il monaco.
Il cinema non è una passerella di moda e se tutti ammirarono ad esempio, Kim Novak negli abiti di Edith Head, non è grazie a questi che il film "La donna che visse due volte" (Vertigo) di Hitchcock, viene ricordato a futura memoria, ma per la storia, il climax, l'enigma, le implicazioni psicologiche, la capacità di scatenare simbologie ed analogie, di saper parlare all'inconscio individuale e collettivo.
Ma qui nel Gatsby del III millennio, ce ne sono delle cose da far rilevare. Innazitutto lo scenario troppo ammassato e straripante durante le feste, più simili a un raduno di concerti rock, nelle foto aeree. Poi il baraccone rutilante di lustrini e paillettes, fuochi d'artificio, serre di orchidee e di gardenie palesemente finte, crea un senso di incolmato horror vacui. La casa di Gatsby sembra un castello di Disneyland. Di Caprio è un bravo attore, ma qui appare troppo ingessato in panciotti e bretelle, e non per colpa sua. 
 Soprattutto il regista non è riuscito a dargli quell'aura di mistero che fece Clayton con Robert Redford. Tutto viene troppo palesemente esibito e descritto con dovizia di particolari. La ridondanza diventa la cifra di Luhrmann, mentre la sottrazione e l'elusione erano quelle di Fitzgerald. E' vero che l'eleganza e le atmosfere soft e rallentate nel Gatsby di Clayton prodotto da Coppola hanno un po' sacrificato il mito dei "mad twenties", del progresso e della velocità. Ma è altresì vero che rifare la modernità alla maniera di Luhrmann dichiarando alla stampa che Scott Fitzgerald lo avrebbe apprezzato in quanto era un grande innovatore, significa fare della metastoria. E' inoltre una totale mancanza di umiltà e una forma di megalomania. Quasi un pretendere di rifare un Fitzgerald secondo  Luhrmann. Beh, non è il caso...
Inoltre usare gli effetti speciali per sopperire ad altre mancanze è il nuovo ritrovato del cinema nell'era dell'elettronica computerizzata. E l'effettaccio di interagire con rapide carrellate dai grattacieli fino alle gremite strade di New York quasi a sentirsi spiacciccati sul selciato, riescono solo a far venire le vertigini e a dare un senso di nausea allo spettatore stordito. "Non sorprende neppure che, nell'era dello spettacolo, nel cinema gli effetti speciali abbiano acquisito un protagonismo che relega temi, registi, sceneggiatura e perfino attori, in secondo piano" (Vargas Llosa ne "La civiltà dello spettacolo"). E "il bagno di immagini" qui diventa addirittura funambolico. Anche le corse estenuanti nell'auto gialla e cromata fanno venire il mal di mare.
Le licenze, le variazioni, e le varianti  sul tema inserite  di proposito da Luhrmann hanno creato un Nick Carraway che non si limita a fare il narratore esterno, il terz'occhio  discreto alla Marlow di Conrad per intenderci tanto caro a Scott Fitzgerald, ma diventa un amico appiccicoso e  intrusivo. Specie se poi a recitarlo è il troppo istrionico Toby Maguire con tutte le sue smorfie da "uomo ragno".
Carey Mulligan, bionda, diafana ed elegante non riesce però a far dimenticare del tutto Mia Farrow, vera flapper della gioventù dorata dell'epoca assai più di lei. E l'amore "a distanza", in forma sospesa e  allucinatoria  tra lei e Gatsby non è ben raffigurato, sul piano psicologico.
 
L’età d’oro del Jazz viene riempita di bombe di musica pop contemporanea: Jay-Z (che cura, produce e seleziona i brani presenti nella pellicola), Lana Del Rey e la sua Young & Beautiful usata in tutte le salse (strumentale, orchestrale, originale), Beyoncé e Andre 3000 con una cover di Back to Black, Florence + The Machine, The XX (forse i più adatti, nei titoli di coda) e Gotye. Una playlist a tema che però mal si lega al film stesso, risultando straniante e poco originale. Una vera e propria intrusione di contemporaneità che però, a mio avviso,  non ci azzecca. Non sorprende, pertanto, che i migliori momenti musicali siano quelli in cui l’immagine si accompagna alla partitura originale di Craig Armstrong, o alla meravigliosa Rapsodia in Blue di George Gershwin nella sequenza che introduce il personaggio di Gatsby.
Personalmente ho sentito tanto la mancanza del grande Bix e delle grandi orchestre Dixieland che suonavano negli scatenati Garden Party dell'epoca.
Manca inoltre  una vera "scrittura" filmica  mai sopperita dall'orgia di immagini. Ecco perché il finale con la didascalia del romanzo scritta sullo schermo a chiusura di film  (Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'é sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia ... e una bella mattina...
Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato),
ci viene in soccorso quale unico baluardo di una cultura che va estinguendosi nel ritratto di un tempo (il nostro più  ancora di quello di Gatsby) destinato alla dissolvenza.






 


44 commenti:

Josh ha detto...

il post è scritto molto bene e metodicamente organizzato! :-)
Sono d'accordo, il film non mi è piaciuto.

Vedo pian piano di aggiungere qualcosa all'analisi che va già bene da sè, ma giusto per scambiare impressioni, o qualche comparazione.

Per caso pensavo al mio post su Antonioni: parallelismo folle...lì dove il nostro ha sempre lavorato per sottrazione, per cose sottintese, per stasi, per svuotamento del fotogramma....Luhrmann fa l'opposto, anzi fa la fiera circense dell'opposto! :-))

ma è troppo ardito il paragone, per generazioni diverse e per nazionalità ed esperienze diverse.

Torno in USA allora e penso al secco e deciso narrare di John Ford...penso alle innovazioni del linguaggio di Hitchcock: per la scena della doccia di Psycho, pur effettistica, si parla di centinaia e centinaia di fotogrammi montati velocissimi...era simbolo di quando il cinema anche mediante la tecnica aveva ancora qualcosa di umano e artigianale;
o penso quando Hitch per dare la profondità di campo nella "Donna che visse 2 volte" per la caduta nel vuoto di Kim Novak o le vertigini di James Stewart getta letteralmente la macchina da presa nel vuoto attaccata a una corda elastica, e ne preleva poi in seguito il girato.

Penso alla profondità di campo "moderna" inventata da William Wyler in "Piccole volpi", con l'idea di linguaggio cinematografico di "ripresa a senso", escludendo tutto il resto estraneo al vero nucleo della storia.

Penso a quanto si è fatto nello studio del punto di vista da Hitch a De Palma, a Peckimpah a Kazan ad Altman..o alla rottura anche totale del linguaggio anche di Cronenberg eppure con Luhrmann siamo lo stesso caduti in basso.

Oggi invece per carrellate impossibili e panoramiche non c'è più il genio, non c'è lo studio del punto di vista, ci sono le sequenze farlocche fatte col pc (e si vedono tali e quali che sono farlocche)

Josh ha detto...

E poi...basta remake! E cche noia.
la versione di Luhrmann esce male dal paragone con gli altri Gatsby-film.

Ma esce in modo pazzesco a paragone col testo di Fitzgerald, è un'altra cosa proprio.

Per Truffaut, per es., regia di un film tratto da un testo significa certo tagliare qualcosa MA estrapolarne assolutamente i "momenti privilegiati", ma nel
rispetto del testo, dei significati, della tensione narrativa.

Girare significava entrare nei personaggi, nella loro drammaturgia, elaborare un linguaggio adatto. E sempre riportare il senso vero della storia. Magari unire al senso della storia qualcosa dello scrittore originario del testo e inevitabilmente qualcosa di proprio.

Questo in Luhrmann non avviene proprio...

Aggiungo che un paio di dati biografici e professionali su di lui sono assolutamente illuminanti, circa la sua passione della trasposizione superficiale, rutilante e soprattutto infedele.

Luhrmann attore in poche occasioni anni 80, presto si interessa alla messa in scena di opere teatrali.
(continua)

Josh ha detto...

Sempre megli 80 Luhrmann allestisce spettacoli musicali e adattamenti di opere famose, tra cui la Bohème di Giacomo Puccini, "trasportata" negli anni cinquanta.

ma come? trasportata negli anni 50? ussignur...ma è tradire il testo di partenza....

Un po' come il Lohengrin senza cigno di recente alla Scala con l'azione trasposta nel 1800 invece che nel medioevo..storia di una lunga infedeltà e di anestesia di autori e testi originari, incerca dello spurio a tutti i costi.

Qui vediamo in nuce già il Luhrmann futuro.
La mentalità dell'"adattamento libero".
Sì perchè per es. noi in Italia abbiamo avuto dei registi adattori assolutamente rigorosi: un genio, Luchino Visconti, rispettoso di testi, decor, ambiente, perosnaggi e senso eppure grande creatore individuale;
e i suoi allievi.

Anche se più discontinui e calligrafici, a nessuno viene in mente che abbiamo MAi sbagliato un adattamento Nè Zeffirelli nè il calligrafico ma elegantissimo Bolognini, che sto rimpiangendo al solo pensiero di cosa significhi un "adattamento" alla Luhrmann.



Josh ha detto...

Luhrmann nel 1992 passa al cinema, "Strictly Ballroom" nata a teatro 1987 diventa un film,
"Gara di ballo". Successo.

Nel 1996 Luhrmann reinterpreta
(solita rilettura circense e funambolica) nientepopodimeno che Shakespeare con "Romeo+Giulietta", che riceve una nomination agli Oscar per le "migliori scenografie" ma ch è un tradimento del testo shakespariano.

Nel 2001 gira il musical "Moulin Rouge! " (il tono rutilante c'è già nel punto esclamativo), con Nicole Kidman e Ewan McGregor, ambientato in una Parigi bohemien ma immaginaria, con scenografie surreali.

Per me il cinema deve essere "plot". MARCHINGEGNO NARRATIVO e non più di tanto o non solo scenografia.

Addirittura la colonna sonora del film è formata da pezzi di musca leggera successivi e assolutamente inflazionati e di massa
che non c'entrano nulla con il Moulin Rouge...(quel tema aveva nella realtà storica sue musiche) da All You Need Is Love dei Beatles o "Pride (In The Name Of Love)" degli U2 a Roxanne dei Police, da The Show Must Go On dei Queen a Your Song di Elton John) reinterpretate e riproposte a legare lo sviluppo della trama.

Ovviamente quel film vince 2 Oscar ("migliori scenografie" e "migliori costumi") e 3 Golden Globe ("miglior film (musical/commedia)", "miglior colonna sonora" e "miglior attrice (musical/commedia)" a Nicole Kidman) dati i gusti degli americani e la loro conoscenza storica e letteraria, almeno nella media, piuttosto ....diciamo non troppo approfondita.

Josh ha detto...

Tacciamo ora su altri registi australiani, come australiano d'origine è Luhrmann anche se inserito appieno e come onformazione psicologica e percettiva nello showbiz USA.

Perchè a solo pensare a Peter Weir e alla sua delicatezza di tocco Luhrmann ci fa una brutta figura.

Josh ha detto...

Toby Maguire ha una faccia rimbecillita con gli occhi sempre strabuzzati. Sono un uomo e non sono abituato a giudicare esteticamente altri uomini, ma certi nuovi attori USA propostici come gran bellezze hanno per me oltre che non un gran mestiere, anche un che di repellente.

Josh ha detto...

Nel Gatsby, Luhrmann sbaglia completamente anche colonna sonora, come solito.

Tradisce l'era del jazz contemporanea al libro, per del trash pop che nulla entra con Fitzgerald.

Detesto tutta la colonna sonora, poi ho sempre odiato il rap.

Salvo, ma non PER il film, quindi a parte del film, che per Gatsby non hanno senso,
"Young & Beautiful" della Del Rey (sempre inteso nella media del pop americano) per il tema pungente "mi amerai quando sarò vecchia e brutta ...caro Signore, quando verrò di là mi permetterai di portare il mio uomo?" consueto tema di amore e morte/eternità e perdita, nei temi oscurati cari a Lana.

http://www.themusik.altervista.org/testi/young-and-beautiful-di-lana-del-rey/2837?doing_wp_cron=1370265858.9149620532989501953125

Josh ha detto...

la parte musicale di Craig Armstrong è migliore perchè non sovraccarica il già sovraccarico filmico....
ed è già un musicista non di pop trash, ma molto più completo dedito a sonorità atmosferiche e a volte quasi neoclassiche.

Anche se per Gatsby come scrivi serviva il jazz giusto.

Tanto per dire, di Craig Armstrong, anche quando usa le voci, ecco chi prende...qui con Elizabeth Fraser (Cocteau Twins) tra gli angeli :-)

https://www.youtube.com/watch?v=URvC-7lcrvI

Hesperia ha detto...

Josh, mi pare che gli esempi che hai fornito relativi agli effetti speciali, da sempre in uso nella storia del cinema (a partire da Meliès e dai Lumière) siano illuminanti e tipici di mano registiche interessate alla visione di insieme e alla valorizzazione delle storie e degli attori da mettere sempre in primo piano. Aggiungo anche da Vertigo la scena in cui Kim Novak (Madeleine-Judy) e James Stewart si rincontrano e lui la fa rivestire con lo stesso tailleur grigio. Lei avanza con un leggero rallenti come la Gradiva di Jensen; dopo di che i due si baciano in una piattaforma che Hitch costruisce come girevole per dare un senso di trasporto ulteriore (Lei viene dal regno delle Ombre e lui la rivuole sulla terra).
Nessuno di noi credo, è contrario agli effetti speciali, ma agli effetti autoreferenziali alla Cameron di Avatar, per intenderci.

Hesperia ha detto...

Mi rifiuto di andare al cinema per sentirmi male, avere nausea e capogiri, a causa del Rd, ecchediamine!

Fai l'esempio di Truffaut, ma lui è sempre stato un vorace divoratore di classici, di romanzi di buona narrativa. E' ovvio che si sia posto il tema di come trasferire sullo schermo senza "tradire", le sue "epifanie" letterarie. Anzi, direi che il cinema è stato, in larga parte usato da lui proprio con lo scopo di valorizzarle (L'Altare dei morti di H. James ne "La camera verde", "JUles et Jim" dal romanzo (bellissimo) di Henri-Pierre Roché. "La sposa in nero" di William Irish. Il saggio illuministico del dott. Itard sul "Ragazzo selvaggio", "Le due inglesi e il continente", ancora da Roché, "Fahrenheit 451" da Bradbury, ecc. ).

Quando dico che ora ai films manca poca "scrittura", intendo dire proprio questo.

Hesperia ha detto...

Volevo dire "c'è poca scrittura", chiedo venia. E scarseggia anche come sceneggiatura, una colonna portante del buon cinema.

Questo si vede, spiace dirlo, nell'attuale cinema italiano. Che è diventato "cazzaro", improvvisatore di battute sceme, minimalista nel senso peggiore, inconsistente...
Altro che Visconti! Da ragazzina ho visto prima il film viscontiano del Gattopardo e in seguito lessi il libro. Beh quando lessi il capolavoro di Tommasi di Lampedusa, mi pareva di averne già letto in Visconti. Angelica e la Cardinale erano perfino l'una il doppio dell'altra. E ottima è stata la trovata di mettere la "madre selvaggia" sempre velata che nessuno in paese aveva mai visto a causa della gelosia del marito, nella Cardinale stessa in doppia parte.

Hesperia ha detto...

Non conosco tutta la produzione di Luhrmann che citi, ma dopo questo e Moulin Rouge, neanche mi passa la voglia di vedere altro.

Weier è un regista che adoro. In particolare "Un anno vissuto pericolosamente", "Witness" e "Picnic ad Hanging Rock".

Non parlarmi di rap, la musica delle tribù insediatesi nelle metropoli!

Hesperia ha detto...

Errata corrige: nel commento delle 15: 46 ho scritto RD invece di 3D. Si vede che solo al pensiero cominciavo a stare male.

Non parlarmi poi di trasposizioni arbitrarie a sensazione, di opere liriche in scena tanto per catturare i gonzi.
Te ne cito qualcun'altra oltre al LOhengrin con la mezz'ala di cartone. Una Carmen georgiana grassa come una mugika che copulava in scena diretta da Barenboim. Un compare Turiddu nella Cavalleria rusticana intepretato da un coreano bassotto che faceva smorfie facciali immani per pronunciare il Bel Canto italiano. Una Violetta Valéry nella Traviata di Verdi che va a letto con Alfredo.

Vabbé mi fermo qui...se Luhrmann appartiene a questa genìa che torni pure tra i canguri australiani.

Josh ha detto...

Sono d'accordo con in pratica tutte le osservazioni.

A parte che mi sono accorto di aver scritto con qualche errore di battitura di troppo. Dopo ri-rispondo, ce n'è di cose da dire....
intanto ti segnalo questa notizia:

http://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/1256163/Shezow--il-superpotere-dei-cartoni-animati--diventare-un-eroe-transessuale.html

a quanto pare siamo rimasti noi a interrogarci sulla fedeltà a un testo, che senso ha fare cultura, rispettare gli autori.
Lego questo pensiero infatti alla chiusura del tuo post.

Ormai, come si vede, si usano i media, che siano musica, film, tv o cartoni pure
per propagandare situazioni limite, e che erano di casi rarissimi ed estremi, che oggi vogliono diventare la dittatura della minoranza o assurgere a sistema di vita di massa, a norma.

E' chiaro allora che anche il cinema "normale" più o meno, non può essere più tale....e allora non sia più fatto di narratività vera, di scrittura letetraria nè filmica,
che implicano anche la logica e un'etica, ma sia solo robetta di vacuo estetismo.

Hesperia ha detto...

Si, ma anche questa scema di giornalista di Libero autrice dell'articolo che cavolo si inventa? Venire fuori a dire che Cenerentola e Biancaneve sono diseducative perché i principi azzurri non esistono è un'emerita idiozia. Le fiabe sono educative proprio in quanto scollegate dal tempo, razza di idiota!
Vivaiddio che ci siano ancora racconti di magia che col "c'era una volta" si collocano al di là di questi tempi funesti che stiamo vivendo. Bah...

Josh ha detto...

Sì la parte finale dell'articolo è demenziale, ...l'ho linkato unicamente per segnalare il fatto...ma il commento di quella lì....
perchè non ci si può opporre, nemmeno su Libero, al pensiero dominante della gaiezza obbligatoria per tutti.

Hesperia ha detto...

C'è pure questo spot pubblicitario americano sui cereali Cheerios su cui poi dovremmo fare un post. Certamente non qui sul Giardino perché c'è da avvelenarsi:

http://www.giornalettismo.com/archives/960545/la-pubblicita-dei-cereali-che-ha-offeso-i-razzisti-americani/

se clicchi il link di Huffington post (nell'articolo) vedi pure il filmatino. Lasciamo perdere va'...

Josh ha detto...

anzi per parafrasare quel che dice la tizia la sul giornale :
"e' proprio la sostanza che è cambiata",
altro che "la sostanza non cambia" tra Biancaneve, Cenerentola e le She-male.

Siamo precipitati in basso.
E' là la sua ipocrisia.
E' uguale Cenerentola, una ragazza, a un maschio che diventa per magia donna/trans? Perchè i bambini ci si dovrebbero riconoscere?
ma che cacchio di mondo

Hesperia ha detto...

L'hai visto lo spot con la bimba di colore che fa l'apoteosi del meticciato universale, attraverso i cereali? della serie, così buoni che uniscono tutta la famiglia interetnica. Al tg si sono lamentati perché in Usa sarebbero diventati tutti "razzisti". E dire che hanno un presidente colored, una vera avanguardia di quanto poi toccherà a tutti.

Josh ha detto...

lo guardo dopo lo spot poi ti dico, al momento non ho connessione.

Il Presidente USA colored, che poi non si è ben capito se fosse di origine haitiana, figlio di mamma avanguardista ebrea hippie e di padre musulmano, non un typical american quindi, ma typical NWO,
si può anche dire che è andato al potere ben appoggiato dai DemoKrat e NWo,
ma se non altro dopo secoli e secoli di convivenza USA con le popolazioni di colore, arrivate per volontà americana e schiavismo in USA.

Da noi non abbiamo avuto certo una storia schiavista, e pur non essendo MAI stati qui i popoli di colore, arrivano solo da una 20ina d'anni,
spesso non hanno nemmeno avuto tempo di integrarsi col territorio, la lingua, la cultura nostrana e si chiede di mandarli in pubblica amministrazione d'imperio, scavalcando gli italiani con le loro infinite e taroccate graduatorie e concorsi,
o son ministro in una settimana, dopo esser stati deputati 1 giorno.

Se non altro in uSA dopo una permanenza di secoli e secoli solo allora, alla fine, uno diventa presidente,
qui invece c'è rischio che venga prelevato direttamente in Burundi digiuno di lingua, usi, leggi, fatto presidente là e spedito qui a presidenziare.
E' la modernità.

Hesperia ha detto...

Bella "il Burundi digiuno di lingua":-) E difatti bisognerebbe dire chiaro e tondo che vogliamo anche noi 250 anni di tempo per pensarci un po' su. Come hanno fatto loro. Par condicio, non ti pare?

Josh ha detto...

macchè par condicio...non la vogliono, perchè ci sono dei pari più pari dei pari, cioè più uguali.

Come pretendere d'imperio le quote extra nella pubblica amministrazione: ma perchè non fanno il concorso come tutti gli altri?

O altro esempio: le infermiere. Si dice che mancano infermiere, ma le ambasciate, comprese la nostra, reclutano infermieri/e dell'est direttamente in madrepatria da loro, bypassando le nostre magari disoccupate e diplomate oggi anche con laurea breve e ormai paramedici.

Presto accadrà, dati i prodromi, che uno appena arrivato dal barcone, senza documenti (che presto non sarà reato) sarà Presidente Santosubito.

E se ti opponi, sei rassista. Siamo a questo livello, non manca molto.

Josh ha detto...

Hesperia, visto il filmato dello spot. Dico tutto tra le righe.

va bè, diciamo che c'è una simbologia obbligata che è diventata assolutamente ossessiva.

Lo spot così costruito lo dimostra.
I commenti negativi mostravano invece più che altro la gente che si era rotta di imposizioni ideologiche anche nelle scelte sentimentali nel privato!

Ma se non ti uniformi ai diktat mondialisti anche nella tua via privata, anche nelle tue privatissime scelte sentimentali e sessuali,
vogliono dirti che sei sbagliato tu.

Josh ha detto...

Torno a Luhrmann, con ordine.

Sì gli effetti speciali ci sono da sempre nel cinema ..ma il cinema aveva un'etica delle visione, l'effetto speciale, lo stratagemma aveva un valore narrativo di sottolineatura, non era un singulto tra tante esplosioni di fuochi d'artificio.

Cfr in Notorius di Hitch il carrello "impossibile" sulla chiave dello scantinato che in mano la bella Ingrid Bergman.

Gli effetti erano cioè adoperati a senso dai registi in armonia col sistema film e mai disgiunti dalla narrazione, anzi erano essi stessi stratagemmi narrativi.

Ih mamma Cameron di Avatar, che robaccia: le facce blu mutanti.
Se diceva: è un cartone animato, faceva prima...

Josh ha detto...

D'accordo su Truffaut...e su quanta letteratura ci fosse dietro i suoi film, per es quella che hai citato bene tu...che è poi quella cui brevemente mi riferivo anche io.

In più oggi e specie in Luhrmann manca quella scrittura ma manca anche l'invenzione di un linguaggio filmico proprio, l'usare la mdp come mezzo per la creazione di un proprio discorso.

Siamo al grado zero della rappresentazione...lo noti anche tu quando nel post intendi che il troppo pieno e la ridondanza di particolari di Luhrmann è un videoclipppone di una sfilata, ma non ancora un racconto per immagini. Solo immagini. Mancano le figure di interpunzione cinematografiche oltre che la verità dell'assunto letterario.

Insomma un altro caso di quelli che Hitchcock chiamava "riprese di gente che parla" che non era ancora cinema ma solo fotografia in movimento senza narrazione vera e propria.

Quasi che il cinema invece di evolversi, invece abbia preso ora qualcosa dalle riprese da rotocalco, da telenovela, da servizio del tg.

Josh ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Josh ha detto...

"l'attuale cinema italiano" che giustamente critichi...per me è messo così da un certo punto degli anni 80 in poi.

"E' diventato "cazzaro", improvvisatore di battute sceme, minimalista nel senso peggiore, inconsistente..."

assolutamente vero.

E che temi: 'a ppolizzia, 'i carrabbinieri, 'apperiferia, 'abbanda, 'ammmafia, la svergugnata, a camorra, er probblema esistenziale: ECCHEPPALLE!

e lo stile di ripresa?

sempre tipo scuola di polizia 1,2,3,4,5,6,7,8,9, commissario Ultimo, l'eroe antimaffia e via andare.
Poi ti ci infilano sempre er maggistrato eroe + er prete, er nonno, la puttana di buon cuore.

Ci prendono per scemi.
la fiera del convenzionale.


Vai al cine a vedere un film italiano degli ultimi 30 anni e a a parte qualche rarissimo caso di grandi nomi di generazioni passate, ancora riprese a caso di gente che parla, o roba che ti chiedi? ma è il tg 2?
ah no è er filme.


colpa anche della sedicente intelligentsja che ha occupato da decenni le istituzioni, che ha questo immaginario e queste capacità qui eh.
'Sso impegnati loro eh

Josh ha detto...

di Luhrmann a parte Gatsby e Moulin Rouge, si capiva da subito l'aria che tirava anche in Romeo+Juliet.

Sì per me lui è uno di quei delle trasposizioni arbitrarie a sensazione..

Luhrmann fece lo stesso con la Boheme diventata un musical anni 50 con la brillantina e il ciuffo, il giubbotto di pelle/chiodo e il sottofondo di Happy Days....

I canguri l'aspettano :-))

Weir invece è rigoroso, molto umano...
e sa essere anche sottile...usando le armi normali del regista e del discorso cinematografico.


Nessie ha detto...

Sì, guarda siamo davvero presi bene: fra le favolacce computerizzate americane, e quei filmettucci italioti che sembrano pezzi di Tg o di telecronache sportive tutto il calcio minuto per minuto di Nando Martellini & affini.
Il cinema aveva il ruolo di farci sognare, di ipotizzare nuovi mondi, ,di creare nuovi archetipi. Una ragazza giovane vedeva "Sabrina" di Billy Wilder o Cenerentola a Parigi di Stanley Donen, e quei film rappresentavano già un mini-romanzo di formazione, una storia di
educazione sentimentale che poteva fare propria.

Macché...mi sa che sia finita anche questa era.

Hesperia ha detto...

Weir, ha una sua costante narrativa che viene spesso trasferita in vari film: il contatto (a volte riuscito a volte no) fra culture diverse. Che è un tema di grande attualità. Harrison Ford fra gli Amish in Witness, si rifugia là dentro, ama Rachel, ma sa che non può far parte di QUEL mondo.
C'è un contatto tra due diverse culture anche in Master & Commander, con Il capitano (cultura dell'azione) interpretato da Russell Crowe, e il medico chirurgo, uomo di scienza e di riflessione.
In Green Card commediola rosa, c'è però l'incontro fra un francese pasticcione che desidera la cittadinanza (Depardieu) e un'americana (Andie Mac Dowell)molto pragmatica.
Per non dire di Truman Show, film che gli americani schiavi dei network si sono guardati bene dal premiare. Una storia impietosa fra realtà mediatica e la vera esistenza. Insomma, direi che è un regista molto nelle mie corde che raramente delude.

Josh ha detto...

Peter Weir mette in scena spesso il conflitto tra io e piccolo mondo quotidiano VS sistema, più in generale, e lo sa fare molto bene. Colpisce anche il gran cambio stilistico tra un film e l'altro. Picnic at Hanging Rock è un po' un mito, per il mistero, per come è girato.
Per es The Truman Show (in replica ieri sera in tv) è diversissimo naturalmente, ma è un buon meccanismo di raccconto in cui ogni elemento è sotto controllo.

Molto coraggioso, ma ovvio gli gli americani non lo premiassero, è una critica palese al loro mondo dei media e del modello della società del controllo.

Quando ho citato Weir prima non ero sicuro, ma sospettavo ti piacesse.

Josh ha detto...

beh in genere per la regia in Australia ci sono altri bravi/e:

Gilliam Armstrong, Bruce Beresford, Scott Hicks, George Miller, Philip Noyce...anche molti altri

va ben anche Mel Gibson è di origine australiana anche se americano per molti versi

Se invece intendiamo..Oceania c'è la bravissima Jane Campion che però è neozelandese.

sembra quasi che essersi formati laggiù, nel senso "alla periferia dell'impero" abbia conservato qualcosa in più del vecchio mondo nell'animo di questi fuggiti dall'Europa.
E' qualcosa che gli australiani hanno conservato molto di più rispetto agli americani.

Quando mio padre era ragazzo tutta la sua famiglia a un certo punto voleva mollare tutto e trasferirsi in Australia. Non lo fecero per un soffio.
Mi domando oggi là se avremmo una vita migliore...è anche vero che non avrebbe mai conosciuto mia madre in quel caso e io non sarei qui:-)

Josh ha detto...

Sull'horror vacui come ossessione del "troppo fitto" in Luhrmann:

è proprio la cifra del suo mondo.

Però voglio paragonarlo a una sequenza magistrale di un film magistrale, per mostrare INVECE come si può usare, a senso, il "troppo pieno" e non come mero accatastamento di elementi.

in IV POtere, verso la fine, dopo la morte del protagonista, c'è una sequenza lunga....
Dopo qualche parola dei giornalisti, che intendiamo non ci hanno capito nulla...
la mdp allontana
lo sguardo dello spettatore dal gruppo dei giornalisti – come dire che il loro contributo è stato
inutile – per lasciarci ad osservare dall’alto.

Appare una caterva infinita di oggetti,
sistemati in modo da formare una metropoli
stilizzata con grattacieli, torri, palazzi, strade....È la città di Kane formato da oggetti inutili raccolti negli
anni e conservati in maniera maniacale.

Anche lì c'è il "troppo pieno": ma è usato a senso.

Lo sguardo dello spettatore, guidato dal narratore,
percorre come in volo questa città immaginaria fino a intravedere un vecchio slittino. Qui, poco prima dell’entrata in campo
di alcuni operai, l’immagine ideale della metropoli
svanisce e si ritorna a capire bene la materialità del deposito di
oggetti accumulati di cui si riconoscono chiaramente le sembianze. Lo slittino, simbolo della libertà
dell’infanzia sacrificata per una vita mondana, gettato nel forno brucia inesorabilmente assieme agli
altri oggetti.

Abbandonata quindi l’inutile investigazione del giornalista, visti bruciare gli oggetti accumulati in una
vita, alla fine cosa rimane? Solo del fumo, fumo nero che si disperde nel cielo.

Sembra dire

"E che giova all'uomo se guadagna tutto il mondo e perde l'anima sua?" come dal Vangelo di Marco....

Ma così al cinema non era mai stato mostrato! Non è detto, è suggerito con un crescendo emotivo e simbolico, creato dal soprasenso delle immagini attraverso una sconvolgente inquadratura dall'alto su oggetti morti alla fine di una vita.

Ecco come usare, conspevolmente, il "troppo pieno" come elemento narrativo.
Ma infatti era Orson Welles.

:-)

Hesperia ha detto...

Anche la Campion mi piace molto e ho visto alcuni suoi buoni film. Sì, possiamo metterla come regista del continente nuovissimo Oceania, ma gli stilemi sono i nostri, occidentalissimi.

Be', certo, la scenografia strapiena di Welles e la scena dello slittino di "Quarto Potere" a cui nella versione italiana dà il nome di Rosabella (Rosebud) ha tutta un'altra significanza di quell'orgia luhrmanniana che abbiamo appena visto.
In Welles ogni inquadratura, ogni grandangolo ecc. è tutto ragionato, non è un caravanserraglio.

Hesperia ha detto...

OT sull'Australia. Allora (quand'eri ragazzo) si poteva emigrarvi facilmente, ma ora è quasi impossibile. Tuo padre ha perso una magnifica occasione.

Hesperia ha detto...

PS sui costumi. Inoltre, proprio in mezzo a questo strano caravanserraglio del vero e del falso, che senso ha poi per Luhrmann dichiarare che i gioielli indossati da Tiffany erano VERI e con costi astronomici, quando là in mezzo si vedono piogge di paiellettes e cascate di lustrini palesemente falsi?

Prada stessa ha dichiarato nell'intervista che ho messo in link che ha tirato fuori gli abiti dal suo archivio disegnati "in stile", ma che non sono costumi storici, proprio per differenziarsi dalle versioni precedenti. Alla fine, vien fuori un bel minestrone indistinto del vero, del falso, del tarocco, dell'autentico, forse voluto di proposito dal regista. Ma con un risultato a mio avviso mediocre.

Comunque per tornare ai gioielli (veri) a me piacevano moltissimo gli orecchini antichi di Daisy con la perla rosa a cui c'era attaccato un pendente di diamante con taglio quadrato. Chissà quanto costano!!!
O anche l'orologio-bracciale montato su fili di perle vere.

Hesperia ha detto...

PS: ho scritto "indossati da Tiffany" ma volevo dire da "Daisy e offerti da Tiffany", naturalmente.

Josh ha detto...

Non so neanche io che significhi ribadire che i gioielli Tiffany erano veri ...tanto il resto è stra falso...

"...minestrone del vero, del falso, del tarocco, dell'autentico, forse voluto di proposito dal regista."

è il mondo Luhrmann :-)

Aggiungo altro motivo perchè non mi piacciono nè Di Caprio nè MAguire nè nel film nè in genere:
sembrano eterni adolescenti.

Non sembrano e forse non saranno mai uomini, ma sempre adolescenti invecchiati.

Colpa sia della loro fisicità, sia del ruolo con cui divennero famosi.

Di Caprio resterà sempre legato a quella melensaggine del Titanic. Sì ok vabbuò Gangs of Ny...ok il falsario in 'prova a prendermi'....
Comunque non è attore universalmente versatile,
a me non piace. E provare la parte di Redford adesso bah

Esistono attori americani adesso che per me sono meno trash di altri, e sono bravi:
2 a caso, Aaron Eckhart e Jon Hamm...
sono già molto più credibili di Di Caprio e Maguire in qualsiasi film abbiano fatto, ma almeno non sembrano eterni ragazzini o sempiterni liceali.

La parte di Daisy Fay che era di Mia Farrow (e io NON sono un fan di Mia, per niente...ok in qualche film di Allen, ok con Polanski, ma per il resto...) ma nel vecchio Gatsby stava bene,
adesso è di Carey Mulligan...sì ma? boh
non mi piace proprio in quel ruolo.

Il Gatsby di Fitzgerald è molte cose, ma anche un grande affresco che mostra l'America in maniera nostalgica e decadente e Robert Redford ne è ottimo protagonista nell'altro Gatsby.

Luhrmann, con i limiti detti fin qui, invece sembra compiacersi della borghesia americana, della sua ricchezza e la celebra in una marea di dettagli scoordinati ed estetismo d'oltreoceano fine a se stesso.
Questo forse è l'elemento più lontano da Fitzgerald.

Hesperia ha detto...

Non saprei Josh, magari è un bello e buono spot per le vendite di Tiffany e per i compratori straricchi nelle casa d'asta (per lo più ricchi collezionisti). Noi non conosciamo il mercato occulto del cinema, ma ogni cosa serve ad autopromuoversi e a finanziare in parte la costosa produzione del cosiddetto "evento".

Ho scritto nel post che questa è la terza versione cinematografica. Ufficialmente è vero, ma ce ne sarebbe una quarta (che in realtà è la prima del 1926, che è muta. Ma dato che la versione del muto, non circola, non correggo nemmeno l'inesattezza.

Josh ha detto...

Il mercato nascosto del mondo cinematografico non lo conosciamo in dettaglio,
ma è chiaro come il sole che ogni marchio esibito o addirittura sovraesposto in un film, specie se di grido, con un forte battage pubblicitario, trasforma il film in un grande spot....cui tra l'altro il cinema va assomigliando sempre più, di gran carriera.

So delle varie versioni dei Gatsby cinematografici....
però direi nell'immaginario di massa il Gatsby del cinema era quello con Redford e la Farrow con soggetto di Coppola e regia di Jack Clayton (un altro notevole regista, quasi misconosciuto dalle platee, lo stesso di Suspence/the innocents da Henry James........un mito del mio immaginario...uno di quelli che pur nel poco ridefinì la visione gotica al cinema..e poi la sua direzione di Deborah Kerr !

Un film recitato in maniera così interiorizzato la Kerr ritrovò forse solo nel (lo sempre sconosciuto alle grandi platee) "Giardino di Gesso" di Ronald Neame.

Hesperia ha detto...

Film sconosciuti alle platee, ma non alla sottoscritta, come pure Clayton:-)
"Suspense" (con la s) è un altro felice adattamento da quello straordinario romanzo che è "Il giro di vite", sceneggiato nientemeno che da Truman Capote. Perciò, noon propriamente una cosuccia qualsiasi.
La Kerr è indimenticabile anche ne "Il narciso nero" di Powell e Pressburger.


Qui una sequenza da The innocents, film che da bambina mi spaventò a morte. E non era nemmeno vietato :-)
http://www.youtube.com/watch?v=wMdQzYkgF4A

Hesperia ha detto...

Questo spezzone è migliore, dato che l'altro è solo uno spot promozionale del fim:

https://www.youtube.com/watch?v=IcFUadSHdIA

Dicevo, avrò fatto sì e no la 5a elementare quando lo vidi e quei due bambini (Flora e Miles) mi spaventarono per l'incoerenza dei comportamenti. Due piccoli demoni attraverso i quali potevano incontrarsi l'istitutrice e il giardiniere della villa. Non c'erano tutti quegli effetti orrorifici, raccapriccianti e truculenti che vanno di moda oggi, ma mi spaventai a morte senza sapere il perché.
Le cose che si vedono da piccoli non si dimenticano più.

Johnny 88 ha detto...

Ho amato talmente tanto il libro di Fitzgerald che non ho avuto il coraggio di andare a vedere l'opera circense di Luhrmann. Del regista in questione m'è bastato e avanzato "Romeo e Giulietta".

Hesperia ha detto...

E ci credo JOhnny, ciao