"Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perchè là siete stati e là vorrete tornare" (Leonardo da Vinci).
Quando scrisse QUESTO articolo, legato al quadro di Paul Gauguin, D'où venons nous / Que sommes nous / Où allons nous (Da dove veniamo - Che cosa siamo - Dove andiamo), anche Marcello, per l'acuirsi di problemi di salute che lo attanagliavano da tempo, si era trovato in quel momento critico in cui ciascuno cerca risposte a quei grandi temi insoluti della vita; sentimenti che lui aveva garbatamente e velatamente manifestato in quel post nel quale fa l'indagine introspettiva dell'animo di Paul Gauguin, che nel periodo in cui dipingeva il quadro era in preda a profonda angoscia esistenziale. In quel post Marcello, toccando vette che ancora non gli conoscevo, mi si era rivelato dotato di estrema sensibilità, che esprimeva anche nelle sue vignette, se le si analizzavano a fondo. Vignette che spesso non capivo perchè a volte molto profonde, come questa, e allora, senza vergognarmene, gli chiedevo chiarimenti. Quello che alcuni dei suoi detrattori più incalliti non capivano era che quando Marcello si immedesimava in Sarcastycon, non era il semplice vignettista come se ne potrebbero trovare tanti altri in rete. E a questo punto mi sia consentito l'arrogarmi la paternità di Sarcastycon, alias Marcello, vignettista. Fui io, infatti, che dopo aver gustato delle sue prime vignette nel 2006, lo spinsi e lo stimolai a perseverare in quella strada, che aveva imboccato assai bene, e a volersi migliorare sempre più. Marcello conviveva da tempo con il pacemaker, che ultimamente ogni tanto gli faceva le bizze; e allora doveva andare in revisione, come lui soleva chiamare quelle assenze dal blog. Ma ultimamente, l'ausilio di tale supporto meccanico non gli era stato più di grande aiuto, e un cuore nuovo mi confidava che sarebbe stato più confacente al caso suo. Ma per questioni etiche e psicologiche si è sempre astenuto dall'idea di sottoporsi ad un trapianto. E così, nonostante un intervento di routine presso la Clinica San Raffaele di Milano - che peraltro in base a quanto mi comunicò l'amico comune Stealth il 3 febbraio, era andato tutto bene - tornato a casa, forse per il sopraggiungere di altre complicazioni, la sera di mercoledì scorso ci ha lasciati, spegnendosi nella sua abitazione, davanti al computer, forse intento a leggere i nostri post con i relativi commenti.Ho di lui tanti ricordi, ma per quanto io vivrò ce ne sarà uno che mi riporterà a lui più di ogni altro. Negli stessi giorni di gennaio in cui si era aggravato, venendo ricoverato nell'ospedale della sua città, a 300 km di distanza anche mio padre veniva ricoverato quasi in fin di vita. Data l'età e le sue condizioni generali apparse subito molto critiche, noi familiari c'eravamo già preparati al peggio. Pochi giorni fa, invece, nel giorno del suo compleanno i medici, coadiuvati da eccellenti fisioterapisti, han provato a rimetterlo in piedi, e lui, autonomamente, è riuscito a mantenersi diritto per alcuni secondi. Qualcuno dei presenti ha così subito sussurrato al "miracolo", andando anche a vedere chi fosse il santo del giorno: San Pier Damiani. Di tale santo, e Dottore della Chiesa, tempo addietro avevo scritto un tratto della sua agiografia in questo breve saggio, unendolo ai versi di Dante che lo aveva cantato nel Paradiso.
San Pier Damiani, una figura che sarebbe anche molto adatta ai nostri tempi - eremita, monaco, cardinale di movimento: innamorato di Cristo e della Chiesa - era nemico degli sprechi e degli sperperi che avvenivano nella Chiesa del suo tempo, affermando che quelle risorse potevano invece essere indirizzate più utilmente per alleviare le sofferenze dei poveri.
En passant, vorrei quindi ricordare i tre punti salienti della sua agiografia, riassunti poeticamente da Dante nel XXI Canto del Paradiso, dal verso 106 e seguenti.
- Era un momento particolarmente difficile per la Chiesa. Erano frequenti casi di simonia e gomorria nell'ambito ecclesiastico. Su questi due argomenti san Pier Damiani scrisse il Liber gratissimus (contro la simonia) e il Liber gomorrhianus. Nel 1057 Stefano IX, anche lui monaco e divenuto papa per forza, lo creò cardinale vescovo di Ostia. Seguì due linee guida poste al centro della sua attività apostolica: "il ritorno alla tradizione intesa come metro su cui la Chiesa deve continuamente misurarsi e il riferimento alla sede apostolica in funzione di guida di verità, perchè munita del sigillo della vicaria di Cristo". "Fu lui il principale ispiratore del famoso decreto del 1059 con cui Niccolò II stabilì che l'elezione papale fosse fatta dai soli cardinali".
- Iniziò ad essere il cardinale di movimento. Inviato a Milano, con un soluzione geniale pose fine allo sciopero liturgico che era scoppiato nel 1059 perchè "quasi tutti i chierici erano stati ordinati simoniacamente". Compì poi missioni in Francia, dove risolse diatribe al limite del possibile. Fu due volte a Montecassino, e a Firenze dove fu chiamato per risolvere il caso del vescovo Pietro accusato di simonia. Già vecchio e malato, nel 1069 si recò in Germania davanti all'imperatore Enrico IV e ne impedì il divorzio.
- "Difese la libertà di parola nella Chiesa, il dovere di reciproca correzione fra i suoi membri fino all'ultimo laico". "Diede grande importanza all'aspetto socioeconomico, affermando che i beni della terra appartengono a tutti e che le ricchezze della Chiesa spettano per diritto ai poveri". "Ricordava ai monaci che, se nel comprare un vestito spendono troppo, hanno rubato, perchè si sarebbe potuto aiutare un povero".
Tra' due liti d'Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto, ché troni assai sonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria"
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continuando, disse: "Quivi
al servigio di Dio mi fei sì fermo,
che pur con cibi di liquor d'ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.
In tema di grandi dilemmi, tra gli animi più dediti all'introspezione nasce talvolta il desiderio di cercare una qualche prova scientifica dell'esistenza di Dio, ciò che era avvenuto in me e Marcello, e con lui avevamo così quasi deciso di addentrarci in tale ricerca. La prima idea l'ebbe lui quando pubblicò il post Entanglement (cliccare per leggere), presente nel suo Zibaldino. Un articolato post dalla complicata assimilazione, che però andrebbe letto per farsi l'esatta idea di chi fosse realmente Marcello: persona dedita continuamente a profonde meditazioni, che poi esternava anche nelle mordaci vignette a firma Sarcastycon. Un mio fugace tentativo è invece riscontrabile nel post Possibile prova scientifica dell'esistenza di Dio,
dove il bagliore luminoso provocato dal corpo di Cristo nel quadro di Tiziano Vecellio, conservato nella chiesa San Salvador di Venezia, sembra quasi voler anticipare e quasi prevaricare di 4 secoli la nota legge di Einstein, la cui mirabile sintesi è racchiusa nella famosa formula E=mc2 .Sembra infatti che Tiziano in tale quadro abbia voluto inconsciamente crearsi la propria prova scientifica dell'esistenza di Dio: la massa corporea di Cristo che si trasforma in bagliore, quasi in virtù della celeberrima formula.
La dipartita in così giovane età di Marcello (70 anni, appena compiuti alla fine di gennaio, non erano poi così tanti) ha bloccato per sempre tale progetto, perchè desistemmo; forse anche a seguito di un commento di Josh, che ci aveva in certo qual modo dissuasi dal proseguire.
Postilla conclusiva.
Mia figlia, a conoscenza della grande amicizia tra me e Marcello nata sul filo di internet, insiste pressantemente affinchè trasformi in libro tale storia, promettendo di darmi una mano. Non prometto nulla, e ci penserò.
link utili: per accedere all'indice della sua saggistica, cliccare qui / a proposito del suo agnosticismo, leggere qua / a proposito della sua posizione in merito, leggere qua / per accedere a qualche suo spunto filosofico, cliccare qui / A proposito del suo agnosticismo cliccare qui
In alto: Marcello - Foto gentilmente offertami dalla famiglia
Seconda foto dal basso: Eremo di Gamogna - Appennino Romagnolo



Un’altra possibile origine del nome possiamo trovarla nella lontana civiltà babilonese, dove risiede uno dei modelli di riferimento più antico del carnevale. A Babilonia la festa celebrava il passaggio dal vecchio al nuovo anno, il cui avvento corrispondeva all’equinozio di primavera. Il momento culminante di quella celebrazione era rappresentato dall’attraversamento della città da parte di una nave munita di ruote, il car naval (da cui, dunque, carnevale) su cui troneggiavano i simulacri del sole e della luna. Scortato dal popolo festante, il battello montato su ruote approdava al santuario del dio Marduk, colui che, dopo essere sceso agli inferi, risorgeva vincendo il caos e riportava l’ordine nell’universo. Il percorso del car naval raffigurava simbolicamente il viaggio degli astri dal vecchio al nuovo anno e alludeva al passaggio dall’oscurità e dalla confusione prodotte nel cosmo dal declinare del tempo trascorso alla ri-creazione e alla luminosità del tempo rinnovato. Durante il viaggio l’anno morente – e con esso l’ordine del cosmo – si dissolveva nel nulla, causando la regressione al caos primordiale in cui si determinavano l’inversione naturale, per cui l’uomo si tramutava in animale, in donna o in fanciullo e viceversa; l’inversione sociale, che consentiva ai servi di diventare padroni; e l’inversione temporale, dove i defunti, evocati dai viventi indossando una maschera, potevano tornare in vita per “sfrenarsi” come al tempo della loro esistenza e della loro giovinezza. Incontriamo riuniti qui, in sostanza, gli elementi fondamentali del carnevale, gli stessi che ritroviamo, in forme più o meno simili, nei Saturnalia romani, durante i quali gli schiavi diventavano padroni e ogni licenza era permessa, ma soprattutto (quale probabile conferma dell’origine del nome della festa) nei riti celebrati in Grecia in onore di Dioniso e in Egitto in onore di Iside, contrassegnati da cortei di carri a forma di nave, quegli stessi carri, d’altronde, che si sono tramandati nel corso dei secoli fino ai giorni nostri, come testimoniano la presenza di carri mascherati in molti carnevali del nostro paese, da Ivrea a Cento a Viareggio.












